In ogni guerra, ancora prima della gente, occorre assassinare la verità. Guerra alla libia: 100000 morti, 240000 persone ancora cercate, 78000 dispersi. 10300 donne violentate, 350000 rifugiati.
Libia: soldati italiani in missione con il generale Haftar
Una quarantina di uomini affiancano i servizi. Ok di Renzi
(Il Ghirlandaio) Roma, 24 mag. - Militari dell'Esercito e della Marina,
in tutto una quarantina di uomini, lavorano assieme a funzionari dei
servizi segreti in Libia, anche nelle basi del generale Khalifa Haftar,
l'ex ufficiale gheddafiano che nei giorni scorsi ha rifiutato di
riconoscere il governo di Tripoli di Fayez al Sarraj e di collaborare
con l'inviato dell'Onu Martin Kobler. Lo riferisce oggi il quotidiano la
Repubblica, spiegando che la prima grande missione congiunta tra
servizi di sicurezza italiani e ministero della Difesa è in corso ormai
da settimane.
L’Italia è pronta a guidare una missione militare internazionale in
Libia. Parola del capo degli stati maggiori riuniti statunitensi, il
generale Joseph F. Dunford.
Benché al vertice di Vienna di lunedì scorso tutti abbiano escluso
l’invio truppe occidentali in Libia limitandosi a valutare forniture di
armi al governo di salvezza nazionale di Fayez al-Sarraj (nella foto
sotto), il generale Dunford ha detto al Washington Post che “In Libia ci
sarà una missione a lungo termine” e potrebbe essere ancora guidata
dall’Italia anche se, ammette il giornale, negli ultimi tempi il premier
italiano Renzi sembra aver frenato sull’ipotesi di mandare truppe.
Truppe che peraltro nessuna fazione libica e neppure il governo di
al-Sarraj hanno finora chiesto.
L’ex-leader libico Muammar Gheddafi fu ucciso “perché
pensava che l’Africa era matura per sfuggire alla povertà coi propri
mezzi, svolgendo il proprio ruolo nella governance globale“, aveva
detto il presidente del Ciad Idris Deby, in un’intervista. Secondo il
Capo di Stato ciadiano, era essenziale “farlo tacere”, aggiungendo che “la
storia registrerà che gli africani non hanno fatto molto. Ci hanno
ignorato e non fummo consultati. Gheddafi era sconvolto e imbarazzato“. “Fu
lo stesso con Patrice Lumumba, in Congo. Perché l’uccisero? Perché
Gheddafi fu ucciso? (…) Siamo fornitori di materie prime. Ma guardate
dove siamo? Siamo molto arretrati“, ha detto il leader del Ciad da Abeche, la seconda città del Ciad.
Uno dei due "governi" della Libia ha assunto degli scassinatori
Il
loro compito è forzare una cassaforte di cui solo l'altro governo,
riconosciuto dalla comunità internazionale, ha la combinazione: è una
storia esemplare delle nuove divisioni e confusioni
22 maggio 2016
L banca centrale fa capo al "governo" di
Tobruk, uno dei due che si dividono il controllo della Libia, ha
assunto due scassinatori professionisti per aprire una cassaforte che
contiene più di 150 milioni di euro in monete d’oro e argento. Soltanto i
funzionari della banca centrale fedeli al governo rivale, quello di
Tripoli appoggiato dalla comunità internazionale, conoscono la
combinazione di cinque numeri che apre la cassaforte: e ovviamente non
hanno nessuna intenzione di consegnarla ai loro nemici. Il Wall Street Journal è riuscito a intervistare i due scassinatori,
conosciuti soltanto come “Khaled”, un ingegnere, e “al Fitouri”, un
fabbro. I due progettano di aprire un buco nella parete di cemento
del caveau e quindi di mettersi al lavoro sulla cassaforte utilizzando
alcune tecniche che preferiscono non divulgare. Il Wall Street Journal
ha intervistato i due lo scorso 13 maggio e non è chiaro se nell’ultima
settimana siano riusciti a portare a termine il loro piano. Le monete
custodite nella cassaforte hanno l’effigedel Leader Muammar Gheddafi, e probabilmente per utilizzarle sarebbe necessario coniarle una seconda volta.
Nel febbraio 1982, la rivista del sionismo mondiale, Kivunim (Direttive,
in ebraico) pubblicava un approfondito studio dal titolo “Una
strategia per Israele negli anni ‘80”. Firmato dall’agente israeliano
Oded Yinon, l’articolo notava come tutti i paesi islamici potenziali
nemici di Israele fossero, al loro interno, minati da divisioni
religiose ed etiche; e proponeva di istigare le discordie e le fratture,
onde destabilizzare i paesi e spezzarli in piccoli stati settari, in
lotta perpetua tra loro. Anzitutto, il piano Yinon citava l’Irak di
Saddam: “l’Iraq, ricco di petrolio e lacerato internamente, è sicuramente un candidato degli obiettivi d’Israele. La sua dissoluzione
è ancora più importante per noi di quella della Siria. L’Iraq è più
forte della Siria. (…) l’obiettivo più importante, spezzare l’Iraq in
domini come Siria e Libano. In Iraq, la divisione in province lungo
linee etno-religiose, come in Siria durante il periodo ottomano, è
possibile. Così esisteranno almeno tre Stati attorno alle tre principali
città: Bassora, Baghdad e Mosul, e le aree sciite del sud si
separeranno dal nord sunnita e curdo”. Ma anche Siria, Libano, Egitto, ed altri stati erano passati in rassegna come candidati alla destabilizzazione e frammentazione.
"We came, we saw, he died". Hillary Clinton, aspirante Presidente USA, starnazza felice..."siamo venuti, abbiamo visto, lui è morto". Lui è Gheddafi e la sciagurata forse pensa di passare alla storia come una eroina.
(Giampaolo Rossi) - C’è un pezzo della storia dei nostri giorni
che mostra, simbolicamente, l’arroganza impietosa ed il cinismo con cui
l’Occidente ha generato l’attuale disastro Mediorientale; è un video (in fondo alla pagina) di cui riportiamo solo la parte finale.
È il 20 ottobre del 2011 e Hillary Clinton, allora Segretario di Stato,
sta per iniziare un’intervista televisiva quando viene raggiunta dalla
notizia della morte del leader libico Muammar Gheddafi.
La reazione della signora è l’emblema dell’irresponsabilità di una classe politica che sta facendo dei danni irreparabili. La Clinton,
nel fuori-onda, esulta, non riesce a trattenere la sua contentezza;
poi, davanti alla giornalista che sta per intervistarla, con
l’entusiasmo di chi sa che ha vinto la sua guerra personale, esclama,
parafrasando nientemeno che Giulio Cesare: “we came, we saw, he died”
(siamo venuti, abbiamo visto e lui è morto), convinta che la storia avrebbe appuntato a lei e al suo Governo l’ennesima medaglia da “liberatori”.
In quel momento, secondo la retorica dei politici umanitari, un bieco
dittatore era stato eliminato e i musicanti delle orchestrine
occidentaliste suonavano le loro serenate sulla nuova Libia che sarebbe
nata democratica e libera.
(Gabriele Adinolfi) - Libia: il nostro governo tergiversa e forse nasconde qualche non piacevole fatto compiuto. Cosa è avvenuto e che sta accadendo nel Paese che fu di Balbo? Semplicemente
che nel 2011, a cento anni esatti dalla nostra vittoriosa impresa
coloniale, Napolitano e la sua cerchia hanno rovesciato gli equilibri
consolidati e consegnato quelle terre a chi prima di noi su di esse
esercitava le mire. La
Libia è stata dapprima destabilizzata, tanto dal produrre almeno due
governi ufficiali. Già, destabilizzata e incontrollabile. Quanto? Le
milizie armate si computano intorno al migliaio, tutte armate fino ai
denti, e sono espressioni di clan e fazioni: quindi ci sembra che domini
il caos. Peccato però che i fondi con cui sono stipendiati i miliziani
vengano tutti erogati dalla Banca Centrale che è quindi in condizione di
paralizzarle ma non lo fa. C'è
di più: l'equivalente locale dell'Isis (ovvero dei contractors che
controllano i pozzi e liberano così il mercato del petrolio senza che si
passi necessariamente per lo Stato) si chiama PFG ed è stipendiato sia
dalla Banca Centrale che dai petrolieri. Questo
“caos” profitta dunque agli speculatori privati, lì, e a quelli di
carne umana, qui, perché ha contribuito a far cadere il blocco
dell'emigrazione accelerandone anzi il processo per via del terrore e
dell'instabilità.
Nella prima parte dell’analisi ci siamo concentrati sulle dinamiche e sulle responsabilità del golpe che nel novembre del 2011 portò alla caduta di Silvio Berlusconi. Sia Mario Monti che il suo successore, Enrico Letta, appartengono all’establishment finanziario “liberal”, di cui le riunioni del gruppo Bilderberg sono forse l’appuntamento più famoso. Nel frattempo gli stessi ambienti necon e del Likud israeliano che già sostenevano Silvio Berlusconi, scaldano il loro nuovo uomo: è Matteo Renzi, che nel dicembre 2013 conquista la segreteria del PD. Per convincere un riluttante Giorgio Napolitano alla seconda forzatura della prassi costituzionale in poco più di due anni, è rivangato una prima volta il golpe del 2011: il Presidente della Repubblica cede dopo pochi giorni. Infine, altre verità su quel colpo di Palazzo riaffiorano oggi, grazie a Wikileaks, quando Matteo Renzi è allo stremo e si respira aria dell’ennesimo cambio di regime: perché? E chi si cela dietro il sito di Julian Assange?
“Commissione d’inchiesta! Golpe! Convocate l’ambasciatore
americano!” gridano i fedelissimi di Silvio Berlusconi, dopo la
pubblicazione dei cablo segreti sul sito Wikileaks che dimostrano quanto
Washington seguisse da vicino le trame che portarono nel novembre 2011
alla caduta del Cavaliere. Il golpe bianco del 2011 fu in realtà il
coronamento degli sforzi avviati con l’elezione di Barack Obama alla
Casa Bianca, protratti per tutti il 2009 ed il 2010: anzi, già nel 1994,
la prematura fine del primo governo Berlusconi è riconducibile a
quell’establishment angloamericano che considerava il parvenu della
politica italiana come un ostacolo all’agenda di privatizzazioni ed
integrazioni europea. Il golpe del 2011, attuato con la complicità
internazionale di Angela Merkel e Nicolas Sarkozy e quella interna di
Mario Draghi e Giorgio Napolitano, è da allora rinvangato di tanto in
tanto: una prima volta in vista dell’insediamento di Matteo Renzi a
Palazzo Chigi, poi oggi. Perché? E chi si nasconde dietro Wikileaks?
Armi alla Libia contro l'Isis: "L'Italia addestrerà le truppe, ma nessuna missione"
„
Armi alla Libia contro l'Isis: "L'Italia addestrerà le truppe, ma nessuna missione"
La
situazione è ancora molto complicata e la partita è tutta da giocare,
ma dal vertice di Vienna emerge l'accordo sulla parziale revoca
dell'embargo Onu sulle armi. E' totalmente esclusa, invece, l'ipotesi di
una missione militare sul terreno in Libia
Armi alla Libia contro l'Isis: "L'Italia addestrerà le truppe, ma nessuna missione"
„Armi alla Libia contro l'Isis: "L'Italia addestrerà le truppe, ma nessuna missione"
„
L'accordo c'è, ed è pressoché totale. Pieno
sostegno al governo di unità nazionale; possibile revoca parziale
dell'embargo Onu sulle armi; necessità di includere il generale Haftar
nel processo di stabilizzazione della Libia. E, soprattutto, nessun
militare straniero sul terreno. Tanta carne al fuoco, posizioni con sfumature diverse, ma accordo unanime.
Almeno sulla carta. Strada lunga e tortuosa, certo. E neppure troppe
illusioni sul fatto che i buoni propositi espressi ieri attorno al
tavolo dei negoziati sulla Libia, a Vienna, trovino conferma in azioni
concrete.
Roma, 13 mag – Manca ormai solo qualche mese all’uscita di scena di Obama,
la figura centrale di questi anni tormentati, caratterizzati da crisi
economica e tensioni internazionali. Un presidente inevitabilmente
“buono” per via del suo colore della pelle, come vuole il pensiero
debole dei nostri tempi. Un idolo dei media e delle sinistre radical
occidentali, di cui è stato simbolo incontrastato, tanto da meritare un Nobel per la Pace
prima ancora di fare un passo in politica estera. Ma basta analizzare
le sue mosse nel corso degli anni per capire come Obama abbia in realtà
agito in continuità con l’istinto imperiale americano, riuscendo dove altri non erano arrivati grazie anche al pregiudizio favorevole che ha caratterizzato la sua amministrazione.
I conflitti durante la sua presidenza si sono susseguiti senza sosta,
mentre l’utilizzo dei droni, i sistemi a pilotaggio remoto con cui
condurre attacchi aerei, si è addirittura sestuplicato rispetto al
periodo Bush. Gli interventi di cui parliamo sono ben diversi dalle
“guerre classiche”. Si tratta di azioni di destabilizzazione,
manipolazione dell’opinione pubblica, finanziamento di gruppi eversivi e
invio massiccio di contractors, cioè mercenari, attraverso le quali
tentare di favorire il regime-change nei paesi di interesse geopolitico.
Sul tema gli States hanno una lunga tradizione, di cui le “rivoluzioni
colorate” sono la parte più nota.
Ultimamente è ritornato di moda parlare male della "Libia di Gheddafi", proprio quando fervono i preparativi per una nuova guerra, i passi vengono compiuti uno alla volta: il RATTO Serraji ha costituito la fantomatica "guardia presidenziale" , ha chiesto aiuto ai suoi padroni per combattere l' " immigrazione e l' ISIS" . Tutto è pronto per una nuova guerra, ma bisogna preparare l' opinione pubblica, ed ecco le scuse belle e pronte:
L’ultimo segreto di Aldo Moro: «La Libia dietro Ustica e Bologna»
Intervista al Dott. Mego Terzian, presidente di MSF in Francia, di ritorno da una visita in Libia.
Qual è la situazione in Libia oggi, che alcuni descrivono come caotica?
La percezione di sicurezza in
Libia è molto scarsa tra gli altri attori umanitari e la presenza di
gruppi jihadisti contribuisce a questa percezione. Tuttavia, sulla base
delle osservazioni delle nostre équipe, i combattimenti sono localizzati
in poche zone. In altre aree, come Misurata e Tripoli, vi sono elevate
tensioni politiche e militari. I gruppi radicali si sono stabiliti a
Derna, Sirte, e in alcuni quartieri di Bengasi, dove i combattimenti
sono all’ordine del giorno. I bombardamenti indiscriminati a Bengasi
sono il rischio più grande per le nostre équipe. Ciò detto, il Paese non
è in mezzo a un bagno di sangue. È lo scontro politico il problema più
complesso. Due governi, uno a Tobruch nella parte est, e l'altro a
Tripoli a ovest, sono in conflitto e le Nazioni Unite ne hanno appena
istituito un terzo. Tuttavia quest’ultimo non ha potere sulle parti in
conflitto, e non è ancora stato riconosciuto dal parlamento di Tobruch.
di Rostislav Ishenko * Il Ministero della Difesa della Russia ha tenuto una
conferenza sulla sicurezza internazionale il 27-28 aprile 2016. Ho
partecipato a un comitato sulle ‘rivoluzioni colorate’. Qui le mie
opinioni. Primo punto è che il problema ha iniziato ad
interessare i militari (rappresentanti dei ministeri della Difesa di
decine di Stati hanno preso parte alle discussioni) dimostrando come le ‘rivoluzioni
colorate’ sono ormai considerate non una minaccia interna che interessa
i servizi speciali e la polizia, ma come aggressione militare estera.
Il generale con le sue truppe assedia Sirte. Non per debellare lo Stato
Islamico. Ma per ottenere da Serraj la guida dell'esercito. Sullo
sfondo, il ruolo di al Sisi.
Il generale Khalifa Haftar non sta affatto assediando Sirte per
sconfiggere l’Isis, come proclama, ma con tutt’altro fine: contrattare
con Fayez al Serraj il proprio ruolo preminente nella formazione del
nuovo esercito libico.
Ennesimo episodio della totale irresponsabilità dei leader libici nei
confronti del Paese e della lotta al terrorismo, l’assedio alla città
controllata dall’Isis, condotto dalle forze di Haftar, ha un solo scopo:
mettere al Serraj di fronte al fatto compiuto, evidenziare la totale
inaffidabilità delle milizie di Misurata (spina dorsale della sua forza
militare) sul campo in un confronto militare serio e chiudere una
trattativa in cui gli venga riconosciuto o il comando del nuovo esercito
libico agli ordini del governo di Tripoli o, in subordine, che esso
venga affidato a un generale di fiducia.
Parlando a Roma il presidente della
Commissione Europea ha esortato i primi ministri degli Stati Ue a "non
perdere di vista il sentimento comune europeo": "Ascoltate troppo
l'opinione pubblica interna"
I capi di governo degli Stati dell'Unione Europea non dovrebbero "ascoltare così tanto gli elettori".
Parola di Jean-Claude Juncker.
Le improvvide dichiarazioni del presidente della Commissione Europea sono
arrivate ieri da Roma, dove il numero uno dell'esecutivo dell'Unione si
è recato per presenziare al conferimento del Premio Carlomagno a Papa
Francesco.
Nella splendida cornice dei Musei Capitolini Juncker ha
voluto strigliare quei politici definiti "europei a tempo determinato",
pronti a rivolgersi a Bruxelles solo nel momento di incassare, e mai
quando è l'ora di dare. Troppo spesso i governanti del Vecchio
Continente, ha spiegato l'ex primo ministro del Lussemburgo, guardano
solamente ai sondaggi e promuovono misure destinate perlopiù a soddisfare le richieste immediate dell'opinione pubblica interna.
Un’Europa sempre più succube e “disarmata” di fronte ai traffici di
immigrati clandestini: questa in concreto la fotografia che emerge dal
rapporto dell’Europol in
cui il territorio del Vecchio Continente rappresenta una sorta di
“terra di nessuno” priva di leggi in cui chiunque può sbarcare e
pretendere asilo e assistenza.
“Il 90% dei migranti ha dichiarato di aver utilizzato servizi
illegali che hanno facilitato il loro viaggio verso l’Unione europea” ha
spiegato il direttore di Europol, Rob Wainwright, al Comitato Schengen.
Frase che tradotta dal linguaggio burocratico significa che la quasi
totalità degli stranieri giunti in Europa lo ha fatto non solo
illegalmente ma pagando profumatamente organizzazioni criminali che,
sostiene sempre Wainwright, “abbiamo calcolato abbiano registrato, solo
l’anno scorso un fatturato compreso tra i 3 e i 6 miliardi di euro” “Abbiamo
identificato 40mila trafficanti di uomini e individuato più di 100
imbarcazioni sospette:: si tratta di gruppi multinazionali composti da
persone originarie dei Paesi di provenienza dei migranti, come la Siria,
o di transito, come la Turchia, ma anche da molti Paesi europei”.
Questa industria criminale prevede molti attori ovvero “trafficanti,
reclutatori, riciclatori di denaro” e coinvolge i migranti in una serie
di attività ‘illecite come “prostituzione e spaccio di droga”.
Le milizie responsabili della sicurezza della "mezzaluna
petrolifera" libica, a lungo neutrali nella disputa tra Tripoli e
Tobruk, avvertono del rischio di "una guerra civile" e accusano il
generale libico.
Tripoli, 8 maggio 2016 - Khalifa Haftar punta ai campi petroliferi del paese. Le Guardie petrolifere guidate da Ibrahim Jadran accusano il generale dell'esercito libico di aver orchestrato un piano per controllare i terminal e i campi di estrazione in Libia.
“Toglieremo il Segreto di Stato sulle stragi”. Forse il primo a profferire questa buffonata è stato Oliviero Diliberto,
nel 1999 ministro della Giustizia, a proposito – udite! udite! – della
strage di Portella delle Ginestre, avvenuta nel 1947. Ovviamente, anche
per quella strage non si sono trovati i famosi documenti da desecretare.
Ora ci riprova Renzi, dando la stura a La Stampa e al suo incredibile articolo: “La Libia dietro Ustica e Bologna”
“Tutto nasce da una direttiva di Matteo Renzi, che ha fatto togliere il
segreto a decine di migliaia di documenti sulle stragi italiane. Nel
mucchio, i consulenti della commissione d’inchiesta sul caso Moro hanno
trovato una pepita d’oro: un cablo del Sismi, da Beirut. (...) Ebbene,
partendo da quel cablo cifrato, alcuni parlamentari della commissione
Moro hanno continuato a scavare. Loro e soltanto loro, che hanno i
poteri dell’autorità giudiziaria, hanno potuto visionare l’intero
carteggio di Beirut relativamente agli anni ’79 e ’80, ancora coperto dal
“L’esistenza umana e lo sviluppo dell’Africa sono minacciate da
impatti avversi di cambiamento del clima – la sua popolazione, i suoi
ecosistemi e la sua biodiversità
unica saranno tutte vittime rilevanti del cambiamento globale del clima.”
Così chiaramente si esprime l’ufficio africano dell’UNEP (Programma
delle Nazioni Unite per l’Ambiente) di base a Nairobi, quando si tratta
di valutare l’impatto negativo del cambiamento del clima su questo
continente di 54 nazioni con una popolazione totale di 1 miliardo e 200
milioni di abitanti. “Nessun continente sarà colpito così gravemente
dagli impatti del cambiamento del clima, quanto l’Africa.”
Altre organizzazioni nazionali sono ugualmente esplicite. Per
esempio, la Banca Mondiale, basandosi sui rapporti del Comitato sul
Cambiamento del Clima (IPCC), conferma che l’Africa sta diventando la
regione più esposta del mondo agli impatti del cambiamento del clima.
Ryad
si sta rivelando un elemento destabilizzante per
tutto il medioriente. Gli USA, preoccupati per la crescente egemonia
saudita, provano a ridimensionare la ormai scomoda alleanza con una lenta
apertura a Teheran. Ma questo processo potrebbe essere accellerato: il
Congresso pare voglia desecretare i documenti che provano responsabilità saudite con gli attentati
dell'11 settembre.
di Patrizio Ricci
Il New York Times rivela che al Congresso USA è in iter di approvazione una Legge che rimuoverebbe
certe immunità ''contenute in una legge del 1976 che dà alle nazioni
straniere una certa immunità da azioni legali nei tribunali americani''.
Se il provvedimento legislativo passasse, consentirebbe di rendere pubblici i risultati di un'inchiesta
del Congresso del 2002 sugli attacchi terroristici dell'11 settembre contenute nelle 28 pagine del rapporto.
Cosa vuol dire? Vuol dire che ci sono prove ''che funzionari sauditi che vivevano al momento negli Stati Uniti hanno avuto un ruolo nella trama terroristica''.
Come mosche prima della pioggia, ritornano i
blogger trendy (liberismo, “diritti umani”, “migranti”, “rivoluzioni
colorate”...) a promuovere la nuova guerra contro la Libia. Ricordate
Gabriele Del Grande? Cinque anni fa era su tutte le TV a segnalare
l’assoluta necessità di defenestrare Gheddafi e a inneggiare
alle “migliaia di ragazzi in armi, per loro fortuna salvati dai
bombardamenti della Francia, che hanno scelto le armi in nome della
libertà”. Ci ha guadagnato una serie radiofonica - “Radio 3 soldi -
Syria Calling, voci dalla guerra” - dove, nell’ultima puntata - 31
maggio 2013 - così si parlava di Al Nusra, “sono il numero 1
dell’onestà, non hanno mai rubato nulla. Apprezzo il loro modo di
trattare i civili”.
Una strage in Italia per fare accettare ad una riluttante
opinione pubblica una ennesima guerra in Libia? Anche perché - state
pur certi - poche ore l’attentato, già “filtrerebbero” sui mass media
“notizie” sulla identità degli attentatori e, sopratutto, delle loro
postazioni in Libia. Subito dopo, il decollo dei cacciabombardieri.
Nessuna “guerra” per carità: solo una “operazione chirurgica” contro i
covi degli assassini. Poi, da cosa nasce cosa. Altri bombardamenti di
qua e di là. E per “bonificare” il terreno dai terroristi ancora in
circolazione, un numeroso contingente militare italiano in Libia. Roba
da manuale di guerra psicologica, altro che “Tripoli, bel suol d’amore” o l’omicidio di qualche nostro connazionale (magari, in un davvero strano assalto) o un davvero improbabile assalto alla nostra Guardia Costiera.
Il controllo del petrolio è la principale posta in gioco fra le
fazioni che si confrontano in Libia. Da esso dipendono i futuri assetti
istituzionali del paese: Stato unitario o federale o due Stati.
Costituisce anche l’obiettivo delle numerose potenze esterne, che si
confrontano in Libia e si combattono per procura, sostenendo le fazioni a
ciascuna favorevoli. IL GIOCO PERICOLOSO DELLA FRANCIA
Appoggiando il generale Haftar, ma dicendo di sostenere Serraj, la
Francia sta facendo un “gioco” alquanto ambiguo. Forse non è la sola.
Taluni puntano sulla possibilità che Haftar occupi il ricco bacino
petrolifero della Sirte e, con i rifornimenti militari ricevuti, elimini
l’Isis dalla costa e da Sirte. Non ha la forza necessaria per
conquistare anche la Tripolitania. Il suo successo comporterebbe la
divisione della Libia. Sarebbe il “Piano B” da sostenere qualora Serraj
non riuscisse a consolidarsi e a prendere il controllo delle milizie di
Tripoli, oltre a quelle di Misurata e, con l’aiuto internazionale, non
riuscisse a mantenere l’unità del paese, magari con un ordinamento
federale. L’accettazione del fatto compiuto di un successo di Haftar
toglierebbe così la “castagna dal fuoco”, che oggi paralizza
l’Occidente: quella di dover combattere l’ISIS in Libia.
Dunque, siamo ai ferri corti con l’Austria. La Boldrini ha tuonato,
atteggiando la nobile boccuccia a furioso patrittismo anti-imperiale.
Forse manderemo truppe al Brennero (un déjà vu): i telegiornali soffiano
sul fuoco, gli ascoltatori Rai sono infiammati di odio per gli egoisti
viennesi, fascisti, che non obbediscono a papa Francé. Con l’Egitto
siamo già praticamente in guerra – “Verità per Regeni”, lo chiede la
mamma del medesimo con tutti i media – anche se proprio adesso che (su
ordine Usa) andiamo in guerra in Libia, ci sarebbe utile essere amici di
Al Sisi. Il quale ha appena mandato al generale Haftar – suo protetto
in Libia, anche se gli Usa lo hanno messo sotto embargo – 1050 veicoli
militari, per la maggior parte furgoncini Toyota di quelli che fanno
meraviglie con una mitragliatrice pesante binata piazzata sul cassone,
ma anche mezzi blindati, già verniciati con colori mimetici. Sembra
che Haftar con questi mezzi attaccherà i terroristi islamici di Derna,
Bengasi, a dell’ISIS nella Sirte. Sarebbe opportuno sapere prima del
nostro intervento se Haftar è nostro amico o nostro nemico, se in Libia
ce lo troviamo contro o al nostro fianco, se gli americani ci sbattono
contro i terroristi che armano loro, con cui colludono dai tempi della
Clinton al Dipartimento di Stato.
Accusa i neocon con nomi e cognomi: Paul Wolfowitz allora
viceministro al Pentagono, l’israelo-americano Michael Chertoff, il
rabbino Dov Zakheim (numero 3 al Pentagono) di essersi infiltrati nel
governo Bsh jr. e di aver organizzato, su istigazione di Israele, il mega attentato dell’11 Settembre 2001.
E non è un complottista marginale: è stato un alto funzionario del
Dipartimento di Stato da Nixon a Carter a Bush-padre, esperto in guerra
psicologica, attore in operazioni coperte (come l’uccisione di Moro)
per conto degli Stati Uniti. Membro fino al 2012 del Council on Foreign
Relations, quindi dell’élite dell’Establisment. Né lo si può accusare
di avere come motivazione l’antisemitismo: i suoi genitori erano ebrei
russo-polacchi fuggiti alla Shoah, lui ha scritto persino una biografia
di sua “mamma yiddish”, Teodora. E’ Steve Pieczenik.
Una vecchia conoscenza anche per l’Italia, come vedremo.
Steve Pieczenik ha detto tutto il 21 aprile 2016, intervistato da Alex Jones, creatore del sito InfoWars:
il video-intervista, di 47 minuti, è stato diffuso, probabilmente non a
caso, nel pieno della campagna americana per incolpare la monarchia
saudita del mega-attentato dell’11 Settembre, con la minaccia di
pubblicare le 28 pagine del rapporto della Commissione Senatoriale sul
9/11, segretate da Bush jr. proprio perché mostrerebbero il
coinvolgimento dei sauditi ai più alti livelli.
Steve Pieczenik corregge: sì, c’è stato la cooperazione di “agenti
sauditi”, ma il mandante principale è Israele, insiste
nell’intervista. Egli si dichiara disposto a testimoniare sotto
giuramento davanti a un tribunale federale e rivelare lì le sue fonti,
fra cui (dice) “un generale”. Preferisce sue vecchie foto…
Convoglio militare italo-britannico cade in agguato in Libia
Lo ha affermato il sito ebraico DEBKA, notoriamente vicino al Mossad.
Rapida traduzione:
“Il convoglio di Marines italiani, con le forze speciali britanniche
e le truppe libiche era in viaggio dalla città nord-occidentale di
Misurata verso la roccaforte ISIS di Sirte, che si trova 273 chilometri a
sud-est, quando è caduto in un’imboscata e duramente colpito dalle
forze ISIS.
“Ci sono stati uccisi e feriti fra le truppe italiane,
mentre mancano informazioni se ci sono state vittime inglesi. Alcuni
rapporti dicono che membri delle forze occidentali sono stati fatti
prigionieri da ISIS, ma devono ancora essere identificati.
E ‘possibile che eventuali ostaggi siano in mano alle “Forze Armate libiche”, una milizia comandata dal generale Khalifa Belqasim Haftar, un libico che ha la cittadinanza americana”. [vero che Haftar è americano. La frase di DEBKA è ambigua, vuole incolparlo. Può avere i suoi motivi. Nota di Blondet]
26 aprile 2016 di Michele Paris
Il vertice di lunedì a Hannover tra il presidente americano Obama e i
leader di Germania, Francia, Gran Bretagna e Italia, ha contribuito a
fare maggiore luce sui progetti occidentali per un nuovo intervento
militare in Libia a cinque anni dalla campagna di bombardamenti
risoltasi con la devastazione dell’economia e della società del paese
nord-africano. Le preoccupazioni dei governi che stanno predisponendo i
piani di intervento questa volta riguarderebbero principalmente il
flusso di migranti provenienti dal territorio libico e diretti verso
l’Europa.
Sputnik News, 25 marzo 2016 L’analista politico statunitense Phil Butler racconta nel suo
articolo per il New Eastern Outlook che il principe Mohammed el-Senussi
è uno dei figli di Sayyid Hasan ar-Rida al-Mahdi el-Senussi, principe
ereditario del Regno di Libia dall’ottobre 1956 al settembre 1969,
quando la monarchia fu abolita.
Il 1° settembre 1969 un gruppo di ufficiali dell’esercito libico, tra cui il colonnello Muammar Gheddafi, rovesciò re Idris di Libia e pose fine al governo de facto del principe ereditario.
È interessante notare che è stato l’erede “legittimo” al trono, il
principe Mohammed, a richiedere aiuto, nella sua intervista ad
Al-Jazeera English il 24 febbraio 2011, alla comunità internazionale per
rimuovere dal potere il leader libico Muammar Gheddafi.
Si
parla molto della Libia in questi giorni ma ancora oggi non vengono
chiarite le motivazioni che nel 2011 hanno condotto all’intervento Nato
in Libia. Cosa è accaduto, perché ci troviamo oggi in questa situazione
di caos nel paese nord-africano?…
Balbettando i leader occidentali dicono che bisogna completare la
democrazia in Libia , che l’intervento armato dell’occidente fu ‘un
errore’, ma non un errore in sè: fu un errore ‘non aver accompagnato i
libici nel ‘periodo di transizione’, di averli lasciati soli’.
Vedremo di seguito che questo non sarebbe stato comunque possibile,
giacchè il consiglio Nazionale di Transizione libico era formato da
membri di al Qaeda ed affiliati e l’occidente ne era perfettamente a
conoscenza perchè li aveva scelti.
Già da all’ora lo dicevamo a seguito di numerose eclatanti evidenze
che venivano colpevolmente sottaciute dai media mainstream di
intattenimento.
Già da allora lo diceva uno studio condotto di J.FELTER e B. Fishman, due analisti dell’Accademia Militare di West Point. Lo studio si chiama Al Aa’ida Foreign Fighter in Iraq. A first Look at the Sinjar Record (Harmony Project, Combating Terrorism Center, Department of Social Science, US Academy, West Point, NY, December 2007) Ve ne proponiamo alcuni contenuti da una sintesi scritta sempre nel 2011 dal giornalista investigativo G.Tarpley che riprendende lo studio di West Point. Vietato Parlare – Patrizio Ricci
Da qualche settimana il Washington Post e il New York Times stanno
conducendo con grandi mezzi una sottile operazione: scagionare Hillary
Clinton, allora segretaria di Stato, di quel che ha fatto in Libia.
Hillary è la candidata preferita dell’Establishment, specie ora che si
deve assolutamente evitare che alla Casa Bianca vada Trump. Se le cose
sono andate così male e la Libia è oggi uno stato fallito, è colpa di
una serie di fortuite e sfortunate circostanze; lei, la Cltinon, ha
deciso l’intervento per proteggere i civili libici dalla strage che
stava compiendo il loro dittatore.
Per fortuna s’è formata in Usa un gruppo civico di base, la Citizen
Commission on Benghazi (CCB). Lo scopo di questi cittadini: stabilire la
verità su quanto accadde a Bengasi l’11 settembre 2012, quando fu
attaccata la sede distaccata dell’ambasciata americana e i terroristi
massacrarono l’ambasciatore Chris Stevens e tre difensori, Marines. La
loro indagine (cito) “ha dimostrato che Gheddafi era un nostro alleato
di fatto nella guerra al terrorismo islamico…e come l’amministrazione
Obama e Hillary Clinton decisero di sostenere ribelli legati ad Al
Qaeda, invece che tenere negoziati di tregua con Gheddafi, ciò che
avrebbe portato alla sua abdicazione e alla transizione pacifica del
potere”. Sotto, i morti di Bengasi