di Rostislav Ishenko *
Il Ministero della Difesa della Russia ha tenuto una
conferenza sulla sicurezza internazionale il 27-28 aprile 2016. Ho
partecipato a un comitato sulle ‘rivoluzioni colorate’. Qui le mie
opinioni.
Primo punto è che il problema ha iniziato ad
interessare i militari (rappresentanti dei ministeri della Difesa di
decine di Stati hanno preso parte alle discussioni) dimostrando come le ‘
rivoluzioni
colorate’ sono ormai considerate non una minaccia interna che interessa
i servizi speciali e la polizia, ma come aggressione militare estera.
Secondo punto è che le rivoluzioni colorate sono un elemento della moderna
guerra ibrida,
di attualità dato che lo scontro tra superpotenze nucleari è
impossibile a causa della distruzione reciproca assicurata. Tuttavia,
sono ancora considerati scenari da guerra nucleare limitata o da
confronto militare senza armi nucleari. Le rivoluzioni colorate sono la
risposta allo stallo politico derivante dal principio che la guerra è
uno strumento inammissibile per risolvere i problemi politici. Le spese
politiche e morali di uno Stato che avvia l’azione militare si sono
rivelate superiori ai benefici materiali e politici nel controllare il
territorio nemico, anche se la preponderanza dei mezzi permette di
vincere nel più breve tempo possibile e quasi senza perdite. La
Blitzkrieg è inutile, per non parlare delle campagne prolungate.
Terzo punto, un cambio di regime colorato non
avviene dove c’è una situazione rivoluzionaria classica, ma dove una
potenza estera è interessata a
controllare uno Stato,
impossibile senza interferenze estere. Se il cambio di regime colorato
viene attivato, significa che il Paese è oggetto di un’aggressione.
Identificare l’aggressore di solito non è un problema, tuttavia è
impossibile dimostrarne l’intenzione aggressiva (non importa quanto
evidente) nel quadro del diritto internazionale. L’aggressore spiega il
suo intervento palese negli affari interni dello Stato vittima come
gesto umanitario per proteggere i diritti umani. Secondo gli accordi di
Helsinki (nel quadro della CSCE diventati norma per OSCE e ONU) la
protezione dei diritti umani non è esclusivamente un affare interno.
Quarto punto, l’aggressore deve legittimare le sue
azioni di fronte la comunità internazionale. Perciò di solito cerca di
avere un mandato per l’intervento occulto da Nazioni Unite e OSCE, o
almeno crea una coalizione internazionale con alcuni Paesi per
mascherare l’aggressione come rimozione di un ‘regime impopolare’.
Quinto punto, ciò impone vincoli su quale Stato
possa utilizzare le rivoluzioni colorate. Lo Stato aggressore dovrebbe
avere la superiorità militare non solo assoluta sullo Stato-vittima, ma
dovrebbe avere la capacità politica e diplomatica per garantirsi una
base giuridica internazionale per l’intervento.
Sesto punto, come ogni operazione militare, una
rivoluzione colorata va attentamente pianificata e preparata. Vi sono
diverse opzioni, a seconda del livello di resistenza dello Stato
vittima. Capitolazione o tradimento della élite sono ideali. Sono meno
costosi e le risorse dello Stato-vittima, tra cui sistema politico e
gerarchia amministrativa, possono essere utilizzate immediatamente
dall’aggressore a proprio vantaggio geopolitico. Quando le élite
nazionali non si arrendono senza condizioni, vengono utilizzate le “
proteste pacifiche”.
Le élite ostinate sono costrette a cedere il potere ai colleghi più
accomodanti quando ‘le pressioni della piazza’ creano un dilemma:
lasciare volontariamente o cercare di reprimere le proteste a rischio di
vittime innocenti ‘che fanno apparire il regime sanguinoso e
dittatoriale’, con accuse di ‘brutalità della polizia’ inducendo la
‘perdita di legittimità’.
Se la pressione pacifica non funziona, la strategia passa dopo poche
settimane o mesi (a seconda della situazione e della resistenza del
regime) al
cambio di regime armato. Il regime verrà
costretto a scegliere tra capitolazione e decine e anche centinaia di
morti inevitabili. Insieme alla possibilità di “proteste pacifiche” e
assalto armato, lo Stato aggressore organizza l’isolamento politico e
diplomatico dello Stato-vittima. Se l’occupazione armata della capitale
non riesce, si passa alla guerra civile dichiarando il regime
illegittimo, sostenendo i ‘ribelli’ fornendogli aiuti politici,
diplomatici e militari. Infine, se la guerra civile raggiunge lo stallo o
i ribelli iniziano a perdere, si passa all’aggressione palese (sotto
forma di aiuti umanitari). L’opzione morbida si limita a stabilire
no-fly zone e fornire armi ai ribelli (anche pesanti). L’opzione più
aggressiva coinvolge le forze segrete estere sul terreno, con
‘volontari’ o forze speciali.
Settimo punto, nonostante il carattere ufficialmente
pacifico della rivoluzione colorata, il successo è garantito dalla
presenza di forze armate dietro diplomatici e giornalisti, che se
necessario possono sopprimere la resistenza delle élite nazionali decise
a combattere fino alla fine.
Questa opzione è stata attuata in Iraq, Serbia, Libia, fallendo solo in Siria,
dove le risorse, anche militari, della seconda superpotenza sostengono
il governo legittimo del Paese. La situazione passa da rivoluzione
colorata a palese scontro politico e militare tra superpotenze, come
nelle guerre di Corea e Vietnam. Ciò implica l’eliminazione della
preponderanza politica, diplomatica, economica, finanziaria e militare
dell’aggressore sullo Stato vittima, con il conseguente:
Ottavo punto, le rivoluzioni colorate non possono
essere fermate consolidando l’élite dello Stato vittima o con la
disponibilità della struttura di potere a fare il proprio dovere (prima o
poi finisce), o dall’opera dei media nazionali (soffocata dalle
maggiori capacità tecnologiche dell’aggressore). La disponibilità dello
Stato vittima a resistere all’aggressione è condizione necessaria ma non
sufficiente a bloccare la rivoluzione colorata. Ciò avviene solo con il
sostegno all’élite dello Stato vittima di una seconda superpotenza in
grado di affrontare l’aggressore a parità di condizioni in tutti gli
aspetti e campi e con ogni mezzo.
Quindi, il conclusivo
nono punto, le moderne
rivoluzioni colorate sono operazioni distinte nel confronto globale tra
superpotenze. Corea, Vietnam e altre guerre coinvolsero gli stessi
elementi del confronto tra URSS e USA in territori esteri. Le moderne
rivoluzioni colorate sono un tipo di guerra ibrida che rientra nel
confronto tra Russia e Stati Uniti. Non si tratta della guerra come
estensione della politica con altri mezzi (secondo Clausewitz), ma del
sistema colorato estensione della guerra con altri mezzi. Tale guerra è
iniziata molto prima che la riconoscessimo tale, con le sconfitte degli
anni ’90. Ma abbiamo risposto con successo negli ultimi due anni.
*
L’autore è un famoso ex-analista politico e diplomatico
ucraino costretto ad emigrare in Russia dopo il colpo di Stato di
Majdan. È un editorialista dell’Agenzia di Informazioni Internazionale
“Rossija Segodnja”
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