“Commissione d’inchiesta! Golpe! Convocate l’ambasciatore
americano!” gridano i fedelissimi di Silvio Berlusconi, dopo la
pubblicazione dei cablo segreti sul sito Wikileaks che dimostrano quanto
Washington seguisse da vicino le trame che portarono nel novembre 2011
alla caduta del Cavaliere. Il golpe bianco del 2011 fu in realtà il
coronamento degli sforzi avviati con l’elezione di Barack Obama alla
Casa Bianca, protratti per tutti il 2009 ed il 2010: anzi, già nel 1994,
la prematura fine del primo governo Berlusconi è riconducibile a
quell’establishment angloamericano che considerava il parvenu della
politica italiana come un ostacolo all’agenda di privatizzazioni ed
integrazioni europea. Il golpe del 2011, attuato con la complicità
internazionale di Angela Merkel e Nicolas Sarkozy e quella interna di
Mario Draghi e Giorgio Napolitano, è da allora rinvangato di tanto in
tanto: una prima volta in vista dell’insediamento di Matteo Renzi a
Palazzo Chigi, poi oggi. Perché? E chi si nasconde dietro Wikileaks?
Terminata la Guerra Fredda, logica avrebbe voluto che il partito destinato all’estinzione fosse quello Comunista, lasciando il campo libero alla Democrazia Cristiana ed al Partito Socialista che, nel bene e male, avevano governato il Paese durante la contrapposizione tra i due blocchi: al contrario, in ossequio al principio per cui gli sconfitti ed i ricattabili sono i migliori scherani, la DC ed il PSI sono spazzati via da Mani Pulite e gli angloamericani decidono di puntare sugli ex-comunisti, riverniciati come Partito Democratico di Sinistra. L’establishment atlantico ha infatti in mente un’agenda di lacrime e sangue per l’Italia che, venuta meno la necessità di ingraziarsela data la sua posizione strategica rispetto al Mediterraneo ed ai Balcani, è degradata al livello di prospera colonia da sfruttare.
Con il termine “establishment atlantico” (la precisazione è indispensabile ai fini della nostra analisi) intendiamo in questa sede quel milieu anglofono e liberal, noto anche come “Round Table”, che ha nei pensatoi Council on Foreign Relations, Chatham House, Carnegie Endowment for International Peace, etc., la sua massima espressione politica, nella banche della City ed il Wall Street il suo braccio armato e nei clan Clinton/Obama la sua manovalanza tra gli anni ’90 e 2000; l’amministrazione di Bush Junior, i neocon e gli israeliani del Likud (le fazioni su cui si appoggiano sia Silvio Berlusconi che Matteo Renzi) hanno altre priorità rispetto agli ambienti liberal. I primi perseguono infatti l’integrazione dell’Europa, la nascita degli Stati Uniti d’Europa ed un mondialismo spinto; i neocon sono invece fautori dell’unilateralismo americano e sono pronti ad allearsi con chiunque lo assecondi ed a combattere chiunque lo ostacoli: tutto il resto passa per loro in secondo piano.
Mentre negli USA regna Bill Clinton (presidente dal 1993 al 2001), esponente di quell’establishment finanziario che ha come priorità l’integrazione europea, in Italia si tengono le prime elezioni dopo il terremoto di Tangentopoli: grande favorita, grazie all’azione della magistratura che si ferma al compagno Primo Greganti, senza scavare oltre, è la sinistra, su cui gli angloamericani hanno riposto tutte le speranze per la massiccia ondata di privatizzazioni e salassi fiscali, propedeutica all’ingresso nell’euro (il Trattato di Maastricht è del febbraio 1992). C’è un però: un imprenditore, tale Silvio Berlusconi, teme che gli ex-comunisti, una volta conquistato il potere, abroghino o modifichino1 quella legge Mammì sul sistema radiotelevisivo che è alla base delle sue fortune: scende così in politica, scombussolando i piani dell’establishment atlantico che contava sulla vittoria facile dei PDS, rapidamente riconvertitisi alla causa europeista dopo averla a lungo osteggiata su indicazione di Mosca.
Sia ben chiaro, nessuno è più “americaneggiante” di Silvio Berlusconi nella campagna e nel programma elettorale, ma a Londra e Washington nutrono fortissimi dubbi che il Cavaliere voglia adottare il piano lacrime e sangue per agganciare Roma alla moneta unica: è sufficiente dire che il ministro degli Esteri del primo governo Berlusconi sarà Antonio Martino, un convinto euroscettico2. Il Cavaliere, sicuro che sia sufficiente ripetere il mantra “sono amico di Israele” per ottenere il placet degli ambienti atlantici, si avvicina a Giuliano Ferrara, suo “precettore politico” e trait d’union con gli ambienti della destra americana ed israeliana. Vince le elezioni del 1994 e si installa a Palazzo Chigi, accolto con sollievo anche da quel milieu che ruota attorno all’ENI, spaventato dal possibile smantellamento/alienazione dell’azienda energetica avviato da Franco Bernabè nel 1992.
Lo scudo di cui si è dotato Silvio Berlusconi è però troppo debole, considerato che negli Stati Uniti governano i liberal pro-euro e pro-Unione Europea di Bill Clinton: nel luglio del 1994, mentre il Cavaliere attende a Napoli l’arrivo del presidente americano per il G7, riceve dalla procura di Milano un invito a comparire e, con la complicità del presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, si consuma il famoso “ribaltone”. Solo otto mesi dopo, Berlusconi è accompagnato alla porta, per essere sostituito dall’ex-FMI Lamberto Dini.
Comincia così la lunga serie di governi (Prodi I, D’Alema I, D’Alema II, Amato II) che agganceranno l’Italia alla moneta unica a suon di inasprimenti fiscali, vendita delle partecipate pubbliche e “contributi straordinari per l’Europa”: sarebbe avvenuto lo stesso con Berlusconi al governo? Molto Difficile.
La sintonia tra Berlusconi e Bush è grande e, durante i due mandati del presidente repubblicano, il Cavaliere gode di un discreto margine di manovra: riesce ad evitare il cambio di regime angloamericano in Libia sull’onda dell’Undici settembre3 e, in cambio dell’invio di uomini in Afghanistan ed Iraq, ha mano libera per incrementare i rapporti con la Russia di Vladimir Putin, avvalendosi delle entrature che gli offre l’ENI: il lavorio tra il colosso italiano ed il gigante russo Gazprom, avviato nel 2007, è coronato ad Ankara nel luglio 2009 dalla firma dell’accordo per la costruzione del South Stream. Presenziano Silvio Berlusconi, Recep Erdogan e Vladimir Putin4.
Sfortunatamente, alla Casa Bianca non è più insediato il neocon, filo-Likud, George W. Bush: nel gennaio del 2009 si è installato Barack Hussein Obama, esponente di quella oligarchia finanziaria liberal costruita sull’asse Londra-Washington. Per Silvio Berlusconi e l’Italia termina l’ora d’aria e si torna sotto l’opprimente gestione coloniale anglofona. Si notino le date: il 20 gennaio Obama entra ufficialmente nello Studio Ovale ed il 26 gennaio l’ambasciata americana di via Vittorio Veneto invia a Washington un cablo classificato “segreto”5, contenente una relazione sui rapporti tra Mosca e Roma e sul ruolo svolto da Silvio Berlusconi. Si legge nel cablo:
Tra maggio e giugno 2009 sono vibrati i primi, violenti, colpi: il caso Noemi cui seguono le famose “10 domande” de La Repubblica7, la pubblicazione sul sito di El Pais di alcuni bollenti scatti che ritraggono le fanciulle ospiti di Villa Certosa in Sardegna8, il caso di Patrizia D’Addario e delle escort ruotanti attorno Giampaolo Tarantini (-La D’Addario al Sunday Times “La mia notte nell’harem”- scrive La Repubblica il 22 giugno 2009).
In tutti e tre i casi è probabile il coinvolgimento di quelle frange dei servizi segreti italiani che non rispondono all’esecutivo, ma direttamente alla NATO: gli scatti di Villa Certosa sono effettuati, sfruttando un’opportuna breccia nella sicurezza, dal fotografo sardo Antonello Zappadu, amico9 del celebre bandito Graziano Mesina, la cui contiguità al mondo dei servizi segreti è ormai certificata in sede storica. Nel dicembre del 2009, infine, è la volta del pentito mafioso Gaspare Spatuzza che, nell’aula bunker di Torino, afferma: “Graviano mi fece il nome di Berlusconi e mi disse che grazie a lui e al compaesano nostro ci eravamo messi il Paese tra le mani”10. Come nota subito l’ex-presidente Francesco Cossiga, uno che di complotti massonico-atlantici se ne intende, “non è importante se Spatuzza ha detto o meno il vero. Il fatto grave è quel che ha detto, e l’impatto che provocherà nelle cancellerie di tutto il mondo”11.
In contemporanea c’è un primo abbozzo di rivoluzione colorata, attraverso il No Berlusconi Day “ideato da un gruppo di blogger, incubato nella Rete, alimentato su Facebook”12 . Poi è la volta del settimanale inglese The Economist, megafono di quelle oligarchie finanziarie che si nascondono dietro i clan Clinton/Obama e l’Unione Europea, con l’articolo “Italy’s troubled prime minister. Under attack from all sides”. Il pezzo rappresenta un attacco frontale al premier, attraverso una meticolosa e certosina elencazione di tutto l’arsenale con cui Londra e Washington stanno martellando Palazzo Chigi: il movimento di Beppe Grillo, i pentiti mafiosi, gli scandali sessuali e le proteste della rete, amplificate e sponsorizzate dai grandi media:
Alle procure ed ai media si affianca così un nuovo campo di battaglia, il Parlamento, dove Gianfranco Fini opererà sino al novembre 2011 in stretta collaborazione con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, tra i massimi esponenti italiani della consorterie massonico-finanziarie poggianti sull’asse Londra-Washington.
Nell’estate 2010 nasce in Parlamento il gruppo finiano Futuro e Libertà, presieduto in Senato15 da Mario Baldassarri (dottorato al Massachusetts Institute of Technology e partecipe insieme a Romano Prodi alla famosa seduta spiritica dove il “piattino” indicò il nascondiglio di Aldo Moro): l’obbiettivo è quello di racimolare un numero di parlamentari sufficienti per provocare la caduta governo. Il quadro politico si deteriora nel corso dell’estate e dell’autunno. Il 9 dicembre 2010 Mario Baldassari vola negli Stati Uniti per partecipare16, ufficialmente, ad una conferenza sui ricercatori italiani nel mondo: torna giusto in tempo per presenziare al fatidico voto di fiducia del 14 dicembre (“Berlusconi si gioca tutto il 14 dicembre” titola il Fatto Quotidiano17), con cui gli angloamericani sperano di archiviare definitivamente il Cavaliere. Nella gestione del pallottoliere, però, è più abile Silvio Berlusconi che, con 314 contrari e 311 favorevoli, supera le forche caudine della mozione di sfiducia alla Camera18: nel frattempo a Roma si consuma un secondo tentativo di rivoluzione colorata, questa volta in stile “Euromaidan”, con “gruppi di violenti” che mettono a ferro e fuoco il centro della città (“Guerriglia urbana nel centro di Roma, 40 feriti negli scontri con la polizia”19 titola ancora il Fatto Quotidiano)
Fallito il blitz in Parlamento accompagnato dalla guerriglia in piazza in stile “Bengasi 2011” o “Kiev 2014”, non resta che tornare agli scandali mediatico-giudiziari, accanendosi su un Silvio Berlusconi via via più debole: il caso Ruby Rubacuori, già esploso nell’autunno del 2010, raggiunge lo zenit a metà del gennaio successivo, quando al premier è notificato un invito a comparire alla procura di Milano20.
Silvio Berlusconi, la cui autorevolezza è ormai dimezzata dopo 24 mesi di gossip, inchieste giudiziarie e congiure parlamentari, deve incassare tra febbraio e marzo il cambio di regime in Libia, che rovescia l’amico ed ottimo alleato Muammur Gheddafi. Già in questo scellerato capitolo della storia italiana vediamo in azione gli stessi attori che, entro pochi mesi, trameranno per la cacciata di Silvio Berlusconi da Palazzo Chigi: Nicolas Sarkozy (primi bombardamenti aerei in Libia), David Cameron (SAS ed MI6 per coordinare l’insurrezione di Bengasi21), Barack Obama (operazione Odyssey Dawn) e Giorgio Napolitano (con una pressione determinante per convincere il riluttante esecutivo ad imbarcarsi in un’azione suicida per gli interessi italiani22).
L’establishment euro-atlantico è sazio dopo aver allungato i propri tentacoli sulla Libia? Non gli conviene tenere a Palazzo Chigi un Berlusconi ormai docile e remissivo?
No, perché il 2011 è anche l’anno in cui la City e Wall Street hanno programmato di portare l’eurozona al punto di ebollizione, con un duplice obbiettivo: taglieggiare l’europeriferia con l’imposizione di austerità e privatizzazione e fornire alle colluse classi dirigenti l’assist decisivo per procedere con la federazione del Continente. In quest’ottica Silvio Berlusconi è di grande impiccio perché, sostanzialmente euroscettico sin dal 1994, difficilmente accetterebbe di sottoporre il Paese ad un’impopolare e letale dose di austerità per mantenere Roma agganciata all’euro: più probabile, come effettivamente accade, che gli baleni in testa l’idea di abbandonare l’euro23. Già all’inizio dell’estate 2011, quando il differenziale tra i Btp ed i Bund è ancora attorno ai 120 punti base, Giorgio Napolitano sonda24 il massone mondialista Mario Monti, membro del gruppo Bilderberg ed ex-consulente di Goldman Sachs, per una sua eventuale investitura a presidente del Consiglio.
L’azione congiunta di agenzie di rating, speculazione sui titoli di Stato e manipolazione dei credit default swap (di cui Golman Sachs è la maggiore manovratrice25), mandano alle stelle i rendimenti dei Btp italiani (che arrivano a rendere quasi il 7,5% in prossimità della cacciata di Silvio Berlusconi) ed affossano Piazza Affari (FTSE MIB a 13.000 punti nell’ultima decade di settembre): le oligarchie euro-atlantiche già pregustano la cacciata del Cavaliere e questa volta, a differenza del 1994, sarà definitiva.
Il golpe del novembre 2011 è, non a caso, un’operazione molto più complessa ed articolata del (fallimentare) intrigo di palazzo con cui Gianfranco Fini ha tentato, neppure un anno prima, di provocare la caduta dell’esecutivo, sfilandogli i deputati di Futuro e Libertà.
A monte c’è la direzione di Londra e Washington che, attraverso gli assalti speculativi ed il FMI, dettano l’agenda ed i suoi tempi; a livello di tecnocrazia brussellese interviene l’ex-Goldman Sachs Mario Draghi, già governatore in pectore della BCE nella bollente estate 2011; a livello europeo c’è la complicità di Nicolas Sarkozy ed Angela Dorothea Kasner, in arte “Merkel”, espressioni, al pari di Mario Draghi e Mario Monti, delle oligarchie finanziarie anglofone di cui eseguono le direttive; a livello nazionale, c’è infine la regia di Giorgio Napolitano ed, in posizione defilata, tanto che alla fine gioca un ruolo marginale, Giulio Tremonti, ministro delle Finanze del governo Berlusconi e già allora presidente del pensatoio Aspen Institute Italia.
Si comincia con la famosa lettera del 5 agosto 2011, firmata dall’ancora governatore della BCE Jean-Claude Trichet e da quello (uscente) di Bankitalia, Mario Draghi: il documento, in principio “strettamente confidenziale”, rappresenta un vero intervento a gamba tesa sull’esecutivo italiano, chiedendo una dose di austerità persino più forte di quella imposta al Paese dal successivo governo Monti (“L’obiettivo dovrebbe essere un deficit migliore di quanto previsto fin qui nel 2011, un fabbisogno netto dell’1% nel 2012 e un bilancio in pareggio nel 2013, principalmente attraverso tagli di spesa”27). Il governo Berlusconi, pressato dalle borse in caduta libera e dal rendimento dei Btp che inanella un record dopo l’altro, vara a metà agosto una manovra da 65 miliardi che si somma a quella da 80 miliardi di un mese prima: non resta a quel punto che rendere noto che l’aggiustamento lacrime e sangue è stato imposto dalla BCE che, de facto, ha sfiduciato il governo italiano, commissariandolo. Capita così che sul Corriere della Sera del 29 settembre si legga “in esclusiva”, la lettera “strettamente confidenziale” inviata ad agosto: il gruppo RCS sta preparando l’ingresso del suo uomo, Mario Monti, a Palazzo Chigi.
A questo entrano i campo la cancelliera tedesca Angela Merkel ed il presidente francese Nicolas Sarkozy che, muovendosi all’unisono con l’FMI basato a Washington, si prodigano per la capitolazione dell’esecutivo italiano. Si comincia con il Consiglio europeo di Bruxelles del 23-26 ottobre, un vertice speciale convocato appositamente per la crisi del debito: durante la conferenza congiunta, a suggellare il totale discreto di cui gode l’Italia, Merkel e Sarkozy, interrogati sull’affidabilità di Silvio Berlusconi, si scambiano una risata sprezzante, quasi che il premier italiano fosse un cadavere (politico) che cammina. Anche Washington, e veniamo alle rivelazioni di questi giorni di Wikileaks, segue da vicinissimo gli sviluppi, intercettando il telefono del consigliere di Berlusconi, Valentino Valentini28:
Ci avviciniamo agli ultimi giorni del Cavaliere.
Il primo novembre 2011 il FTSE MIB chiude a -6,8% ed il rendimento dei Btp sfiora il 7%, soglia che “viene ritenuta dagli esperti un livello di non ritorno per la sostenibilità del debito che aprirebbe drammatici scenari di tipo greco”29. Pochi giorni, il 3 e 4 novembre, si svolge a Cannes il drammatico G20 dov’è sferrato l’attacco risolutivo: come ricostruisce l’allora premier spagnolo Luis Zapatero, Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti sono sottoposti ad enormi pressioni perché accettino il salvataggio del FMI che sancirebbe la fine del governo. “Io mi limito a raccontare quello che ho visto: gli Usa e i sostenitori dell’austerità volevano decidere al posto dell’Italia, sostituirsi al suo governo.” dirà Zapatero a distanza di quattro anni30.
Berlusconi e Tremonti “applicano un catenaccio all’italiana” e resistono, mentre “nei corridoi si comincia a parlare di Monti”: il rapporto tra i due si è però già deteriorato, tanto che, secondo alcuni osservatori, Tremonti sta già lavorando per la caduta del Cavaliere, sabotando, in comune accordo con Giorgio Napolitano, l’approvazione di decreti economici più urgenti che mai. “Tremonti si è messo in testa di sostituirmi e pensa così di costringermi a fare un passo indietro, ma si sbaglia di grosso: se io cado si va alle elezioni” sono le parole attribuite a Silvio Berlusconi31 in quei giorni crepuscolari.
Il 9 novembre Giorgio Napolitano nomina Mario Monti senatore a vita. Il 10 novembre il Sole 24 ore esce con il drammatico titolo a caratteri cubitali “FATE PRESTO”: il giorno prima, infatti, Piazza Affari ha chiuso con un crollo del -5%, il differenziale tra Btp e Bund di è portato ai massimi storici (525 punti base, dopo aver toccato i 575) e Mediaset si è avvitata, con un -12%32.
Le aziende della galassia Fininvest, per la cui difesa il Cavaliere scese in campo nel lontano 1994, si rivelano nell’ora decisiva il suo tallone d’Achille: è quasi sicuramente il timore che il suo impero economico sia distrutto a ricondurlo a più miti consigli, desistendo dalle “trattative per far uscire l’Italia dall’Euro”33.
Il 9 novembre infatti Berlusconi si intrattiene a colloquio per un’ora a Palazzo Grazioli con Fedele Confalinieri34, presidente di Mediaset, ed in serata arriva l’annuncio che è pronto alle dimissioni, dando il nulla osta all’investitura di Mario Monti come premier. Il 12 novembre la Camera approva ancora la legge di stabilità, poi alle ore 21 il Cavaliere è ricevuto da Giorgio Napolitano e rassegna le dimissioni: “Silvio Berlusconi si è dimesso, la piazza in festa grida ‘Buffone’” scrive Repubblica35, annotando come davanti al Quirinale si sia riunita una folla che lancia monetine al grido di “dimissioni, dimissioni, vergogna, fuori la mafia dallo Stato”.
Ecco servito il golpe del 2011, la cui causa scatenante, è importante ricordarlo per il proseguo dell’analisi, è il venir meno alla Casa Bianca di George W. Bush e dei neocon che, in cambio delle benevolenza di Berlusconi sui dossier mediorientali, e su quello israeliano in particolare, avevano chiuso un occhio sull’attivismo di Berlusconi tra Mosca e Tripoli.
L’elezione di Barack Obama, espressione delle oligarchie finanziarie liberal, pro-euro, pro-Unione Europea e piuttosto fredde verso il Likud israeliano, è la vera origine delle disgrazie di Berlusconi. L’Italia, finita l’epoca dell’unilateralismo di Bush junior che consentiva un minimo di margine di libertà a Roma, in cambio dell’acquiescenza ai disegni imperiali neoconservatori, torna ad essere un mero protettorato angloamericano, cui è proibita qualsiasi iniziativa in politica estera.
Da quel momento sino ai nostri giorni, il golpe del 2011 sarà rivangato all’occorrenza, secondo esigenze sempre diverse, ma mai, sia ben chiaro, per l’amore della verità: ce ne occuperemo nella seconda, ed ultima, parte dell’analisi.
CONTINUA QUI.
Una discesa in campo, quella del 1994, non prevista
Sono trascorsi più di quattro anni dall’estromissione di Silvio Berlusconi da Palazzo Chigi e, interrogato su quale sia la sua eredità politica, nessuno saprebbe dare un risposta: il Cavaliere infatti mancò proprio in quell’autunno 2011 l’appuntamento con la storia che, donna crudele, lo ha già relegato ai margini. Trascorreranno ancora una decine di anni e l’unico ricordo che rimarrà di lui sarà la presidenza del Milan e la passione per le belle figliole: non è quindi nostro interesse fare un’apologia del “berlusconismo”. Eppure, studiare la parabola politica di Silvio Berlusconi è utile per afferrare pienamente la condizione di subordinazione dell’Italia, a distanza di 70 anni dalla Conferenza di Jalta che attribuì il nostro Paese alla sfera di influenza angloamericana.Terminata la Guerra Fredda, logica avrebbe voluto che il partito destinato all’estinzione fosse quello Comunista, lasciando il campo libero alla Democrazia Cristiana ed al Partito Socialista che, nel bene e male, avevano governato il Paese durante la contrapposizione tra i due blocchi: al contrario, in ossequio al principio per cui gli sconfitti ed i ricattabili sono i migliori scherani, la DC ed il PSI sono spazzati via da Mani Pulite e gli angloamericani decidono di puntare sugli ex-comunisti, riverniciati come Partito Democratico di Sinistra. L’establishment atlantico ha infatti in mente un’agenda di lacrime e sangue per l’Italia che, venuta meno la necessità di ingraziarsela data la sua posizione strategica rispetto al Mediterraneo ed ai Balcani, è degradata al livello di prospera colonia da sfruttare.
Con il termine “establishment atlantico” (la precisazione è indispensabile ai fini della nostra analisi) intendiamo in questa sede quel milieu anglofono e liberal, noto anche come “Round Table”, che ha nei pensatoi Council on Foreign Relations, Chatham House, Carnegie Endowment for International Peace, etc., la sua massima espressione politica, nella banche della City ed il Wall Street il suo braccio armato e nei clan Clinton/Obama la sua manovalanza tra gli anni ’90 e 2000; l’amministrazione di Bush Junior, i neocon e gli israeliani del Likud (le fazioni su cui si appoggiano sia Silvio Berlusconi che Matteo Renzi) hanno altre priorità rispetto agli ambienti liberal. I primi perseguono infatti l’integrazione dell’Europa, la nascita degli Stati Uniti d’Europa ed un mondialismo spinto; i neocon sono invece fautori dell’unilateralismo americano e sono pronti ad allearsi con chiunque lo assecondi ed a combattere chiunque lo ostacoli: tutto il resto passa per loro in secondo piano.
Mentre negli USA regna Bill Clinton (presidente dal 1993 al 2001), esponente di quell’establishment finanziario che ha come priorità l’integrazione europea, in Italia si tengono le prime elezioni dopo il terremoto di Tangentopoli: grande favorita, grazie all’azione della magistratura che si ferma al compagno Primo Greganti, senza scavare oltre, è la sinistra, su cui gli angloamericani hanno riposto tutte le speranze per la massiccia ondata di privatizzazioni e salassi fiscali, propedeutica all’ingresso nell’euro (il Trattato di Maastricht è del febbraio 1992). C’è un però: un imprenditore, tale Silvio Berlusconi, teme che gli ex-comunisti, una volta conquistato il potere, abroghino o modifichino1 quella legge Mammì sul sistema radiotelevisivo che è alla base delle sue fortune: scende così in politica, scombussolando i piani dell’establishment atlantico che contava sulla vittoria facile dei PDS, rapidamente riconvertitisi alla causa europeista dopo averla a lungo osteggiata su indicazione di Mosca.
Sia ben chiaro, nessuno è più “americaneggiante” di Silvio Berlusconi nella campagna e nel programma elettorale, ma a Londra e Washington nutrono fortissimi dubbi che il Cavaliere voglia adottare il piano lacrime e sangue per agganciare Roma alla moneta unica: è sufficiente dire che il ministro degli Esteri del primo governo Berlusconi sarà Antonio Martino, un convinto euroscettico2. Il Cavaliere, sicuro che sia sufficiente ripetere il mantra “sono amico di Israele” per ottenere il placet degli ambienti atlantici, si avvicina a Giuliano Ferrara, suo “precettore politico” e trait d’union con gli ambienti della destra americana ed israeliana. Vince le elezioni del 1994 e si installa a Palazzo Chigi, accolto con sollievo anche da quel milieu che ruota attorno all’ENI, spaventato dal possibile smantellamento/alienazione dell’azienda energetica avviato da Franco Bernabè nel 1992.
Lo scudo di cui si è dotato Silvio Berlusconi è però troppo debole, considerato che negli Stati Uniti governano i liberal pro-euro e pro-Unione Europea di Bill Clinton: nel luglio del 1994, mentre il Cavaliere attende a Napoli l’arrivo del presidente americano per il G7, riceve dalla procura di Milano un invito a comparire e, con la complicità del presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, si consuma il famoso “ribaltone”. Solo otto mesi dopo, Berlusconi è accompagnato alla porta, per essere sostituito dall’ex-FMI Lamberto Dini.
Comincia così la lunga serie di governi (Prodi I, D’Alema I, D’Alema II, Amato II) che agganceranno l’Italia alla moneta unica a suon di inasprimenti fiscali, vendita delle partecipate pubbliche e “contributi straordinari per l’Europa”: sarebbe avvenuto lo stesso con Berlusconi al governo? Molto Difficile.
La primavera del “berlusconismo”, George W. Bush imperante, e l’autunno, Barack Obama imperante
Siamo nel giugno 2001, quando mancano poco più che sei mesi all’introduzione dell’euro: Silvio Berlusconi torna a Palazzo Chigi, a distanza di sei mesi dall’insediamento alla Casa Bianca di George W. Bush, esponente di quei neocon, accesi sostenitori d’Israele, per cui l’integrazione europea e l’Unione Europea sono marginali rispetto al muscolare unilateralismo americano.La sintonia tra Berlusconi e Bush è grande e, durante i due mandati del presidente repubblicano, il Cavaliere gode di un discreto margine di manovra: riesce ad evitare il cambio di regime angloamericano in Libia sull’onda dell’Undici settembre3 e, in cambio dell’invio di uomini in Afghanistan ed Iraq, ha mano libera per incrementare i rapporti con la Russia di Vladimir Putin, avvalendosi delle entrature che gli offre l’ENI: il lavorio tra il colosso italiano ed il gigante russo Gazprom, avviato nel 2007, è coronato ad Ankara nel luglio 2009 dalla firma dell’accordo per la costruzione del South Stream. Presenziano Silvio Berlusconi, Recep Erdogan e Vladimir Putin4.
Sfortunatamente, alla Casa Bianca non è più insediato il neocon, filo-Likud, George W. Bush: nel gennaio del 2009 si è installato Barack Hussein Obama, esponente di quella oligarchia finanziaria liberal costruita sull’asse Londra-Washington. Per Silvio Berlusconi e l’Italia termina l’ora d’aria e si torna sotto l’opprimente gestione coloniale anglofona. Si notino le date: il 20 gennaio Obama entra ufficialmente nello Studio Ovale ed il 26 gennaio l’ambasciata americana di via Vittorio Veneto invia a Washington un cablo classificato “segreto”5, contenente una relazione sui rapporti tra Mosca e Roma e sul ruolo svolto da Silvio Berlusconi. Si legge nel cablo:
“Italy’s relationship with Russia is complex, encompassing historical ideological sympathies, geostrategic calculations, commercial pressure, energy dependence, and personal relationships between top leaders. The combination of these factors creates a strong tendency for Italy’s foreign policy to be highly receptive to Russian efforts to gain greater political influence in the EU and to support Russia’s efforts to dilute American security interests in Europe. (…) A not insignificant concomitant factor is PM Berlusconi’s desire to be seen as an important European player on foreign policy, leading him to go where others dare not. (…) Berlusconi believes that Putin is his close and personal friend and continues to have more contact with Putin than with any other world leader. (…) Some in the PdL have begun to approach us privately to say that they would like greater dialogue with us on the Russia issue, and have indicated their interest in challenging Berlusconi’s giddiness about Putin. (…) We can help get him back on the right track by sending him a clear signal that the U.S. does not need an interlocutor for its important bilateral relationship with Russia.”L’ambasciatore Ronald Spogli, su pressione della nuova amministrazione Obama, si attiva per “riportare Berlusconi sulla retta via”, potendo contare anche “su qualcuno del PDL che li ha contattati in privato”, dicendosi pronto a una più stretta collaborazione con Washington per contenere le simpatie putiniane di Silvio Berlusconi. Gli sforzi di Spogli per addomesticare l’esuberante Cavaliere hanno buon esito? Non si direbbe, a giudicare dalla piega che prendono gli eventi: a distanza di pochi mesi dall’insediamento di Barack Obama e dall’invio del cablo di Ronald Spogli, parte un’articolata operazione che, indebolendo progressivamente il Cavaliere (attorno al 70% dei consensi nell’aprile 20096), terminerà con la sua cacciata da Palazzo Chigi nell’autunno 2011.
Tra maggio e giugno 2009 sono vibrati i primi, violenti, colpi: il caso Noemi cui seguono le famose “10 domande” de La Repubblica7, la pubblicazione sul sito di El Pais di alcuni bollenti scatti che ritraggono le fanciulle ospiti di Villa Certosa in Sardegna8, il caso di Patrizia D’Addario e delle escort ruotanti attorno Giampaolo Tarantini (-La D’Addario al Sunday Times “La mia notte nell’harem”- scrive La Repubblica il 22 giugno 2009).
In tutti e tre i casi è probabile il coinvolgimento di quelle frange dei servizi segreti italiani che non rispondono all’esecutivo, ma direttamente alla NATO: gli scatti di Villa Certosa sono effettuati, sfruttando un’opportuna breccia nella sicurezza, dal fotografo sardo Antonello Zappadu, amico9 del celebre bandito Graziano Mesina, la cui contiguità al mondo dei servizi segreti è ormai certificata in sede storica. Nel dicembre del 2009, infine, è la volta del pentito mafioso Gaspare Spatuzza che, nell’aula bunker di Torino, afferma: “Graviano mi fece il nome di Berlusconi e mi disse che grazie a lui e al compaesano nostro ci eravamo messi il Paese tra le mani”10. Come nota subito l’ex-presidente Francesco Cossiga, uno che di complotti massonico-atlantici se ne intende, “non è importante se Spatuzza ha detto o meno il vero. Il fatto grave è quel che ha detto, e l’impatto che provocherà nelle cancellerie di tutto il mondo”11.
In contemporanea c’è un primo abbozzo di rivoluzione colorata, attraverso il No Berlusconi Day “ideato da un gruppo di blogger, incubato nella Rete, alimentato su Facebook”12 . Poi è la volta del settimanale inglese The Economist, megafono di quelle oligarchie finanziarie che si nascondono dietro i clan Clinton/Obama e l’Unione Europea, con l’articolo “Italy’s troubled prime minister. Under attack from all sides”. Il pezzo rappresenta un attacco frontale al premier, attraverso una meticolosa e certosina elencazione di tutto l’arsenale con cui Londra e Washington stanno martellando Palazzo Chigi: il movimento di Beppe Grillo, i pentiti mafiosi, gli scandali sessuali e le proteste della rete, amplificate e sponsorizzate dai grandi media:
“For No Berlusconi Day comes after a week in which the billionaire politician has been under relentless attack. This could even prove a turning-point. Italy’s most popular blogger, the comedian Beppe Grillo, thought so. “The countdown has already begun for Berlusconi,” he wrote. “Prepare the bubbly.” (…) The sex scandals have taken only a limited toll on Mr Berlusconi’s popularity. But he is also a figure in two court cases that could do him more damage. (…) In the second case a former mobster, Gaspare Spatuzza, will say in court what he has already reportedly told prosecutors: that Mr Berlusconi did a deal with the Mafia around the time that he entered politics in 1994. Mr Fini was overheard calling this an “atomic bomb””.Mister Gianfranco Fini, “the president of the Camera”, definisce le rivelazioni di Gaspare come una vera e propria “atomic bomb”: già perché, come nota seccato lo stesso The Economist, gli scandali mediatico-giudiziari spargono fango a destra e manca, ma falliscono l’obbiettivo di rovesciare l’esecutivo. Si apre quindi un secondo fronte, più prettamente politico, in cui gli angloamericani sfruttano Gianfranco Fini, eterno secondo convinto di essere sprecato alla presidenza della Camera, per minare il governo Berlusconi. Il giudizio di Fini sulle dichiarazione di Spatuzza, un fuori onda carpito durante il Premio Borsellino ed immediatamente rilanciato da Repubblica13, risale al primo di dicembre; il 3-4 febbraio 2010 Fini vola negli Stati Uniti, dove è accolto come una celebrità dal portavoce della Camera dei Rappresentanti Nancy Pelosi e dal vicepresidente Joe Biden, ricevendo probabilmente la rassicurazione di essere il premier in pectore; il 22 aprile si arriva allo strappo definitivo tra Berlusconi e Fini che, davanti alla direzione nazionale del PDL, sbotta col celebre “che fai, mi cacci?”14.
Alle procure ed ai media si affianca così un nuovo campo di battaglia, il Parlamento, dove Gianfranco Fini opererà sino al novembre 2011 in stretta collaborazione con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, tra i massimi esponenti italiani della consorterie massonico-finanziarie poggianti sull’asse Londra-Washington.
Nell’estate 2010 nasce in Parlamento il gruppo finiano Futuro e Libertà, presieduto in Senato15 da Mario Baldassarri (dottorato al Massachusetts Institute of Technology e partecipe insieme a Romano Prodi alla famosa seduta spiritica dove il “piattino” indicò il nascondiglio di Aldo Moro): l’obbiettivo è quello di racimolare un numero di parlamentari sufficienti per provocare la caduta governo. Il quadro politico si deteriora nel corso dell’estate e dell’autunno. Il 9 dicembre 2010 Mario Baldassari vola negli Stati Uniti per partecipare16, ufficialmente, ad una conferenza sui ricercatori italiani nel mondo: torna giusto in tempo per presenziare al fatidico voto di fiducia del 14 dicembre (“Berlusconi si gioca tutto il 14 dicembre” titola il Fatto Quotidiano17), con cui gli angloamericani sperano di archiviare definitivamente il Cavaliere. Nella gestione del pallottoliere, però, è più abile Silvio Berlusconi che, con 314 contrari e 311 favorevoli, supera le forche caudine della mozione di sfiducia alla Camera18: nel frattempo a Roma si consuma un secondo tentativo di rivoluzione colorata, questa volta in stile “Euromaidan”, con “gruppi di violenti” che mettono a ferro e fuoco il centro della città (“Guerriglia urbana nel centro di Roma, 40 feriti negli scontri con la polizia”19 titola ancora il Fatto Quotidiano)
Fallito il blitz in Parlamento accompagnato dalla guerriglia in piazza in stile “Bengasi 2011” o “Kiev 2014”, non resta che tornare agli scandali mediatico-giudiziari, accanendosi su un Silvio Berlusconi via via più debole: il caso Ruby Rubacuori, già esploso nell’autunno del 2010, raggiunge lo zenit a metà del gennaio successivo, quando al premier è notificato un invito a comparire alla procura di Milano20.
Silvio Berlusconi, la cui autorevolezza è ormai dimezzata dopo 24 mesi di gossip, inchieste giudiziarie e congiure parlamentari, deve incassare tra febbraio e marzo il cambio di regime in Libia, che rovescia l’amico ed ottimo alleato Muammur Gheddafi. Già in questo scellerato capitolo della storia italiana vediamo in azione gli stessi attori che, entro pochi mesi, trameranno per la cacciata di Silvio Berlusconi da Palazzo Chigi: Nicolas Sarkozy (primi bombardamenti aerei in Libia), David Cameron (SAS ed MI6 per coordinare l’insurrezione di Bengasi21), Barack Obama (operazione Odyssey Dawn) e Giorgio Napolitano (con una pressione determinante per convincere il riluttante esecutivo ad imbarcarsi in un’azione suicida per gli interessi italiani22).
L’establishment euro-atlantico è sazio dopo aver allungato i propri tentacoli sulla Libia? Non gli conviene tenere a Palazzo Chigi un Berlusconi ormai docile e remissivo?
No, perché il 2011 è anche l’anno in cui la City e Wall Street hanno programmato di portare l’eurozona al punto di ebollizione, con un duplice obbiettivo: taglieggiare l’europeriferia con l’imposizione di austerità e privatizzazione e fornire alle colluse classi dirigenti l’assist decisivo per procedere con la federazione del Continente. In quest’ottica Silvio Berlusconi è di grande impiccio perché, sostanzialmente euroscettico sin dal 1994, difficilmente accetterebbe di sottoporre il Paese ad un’impopolare e letale dose di austerità per mantenere Roma agganciata all’euro: più probabile, come effettivamente accade, che gli baleni in testa l’idea di abbandonare l’euro23. Già all’inizio dell’estate 2011, quando il differenziale tra i Btp ed i Bund è ancora attorno ai 120 punti base, Giorgio Napolitano sonda24 il massone mondialista Mario Monti, membro del gruppo Bilderberg ed ex-consulente di Goldman Sachs, per una sua eventuale investitura a presidente del Consiglio.
L’azione congiunta di agenzie di rating, speculazione sui titoli di Stato e manipolazione dei credit default swap (di cui Golman Sachs è la maggiore manovratrice25), mandano alle stelle i rendimenti dei Btp italiani (che arrivano a rendere quasi il 7,5% in prossimità della cacciata di Silvio Berlusconi) ed affossano Piazza Affari (FTSE MIB a 13.000 punti nell’ultima decade di settembre): le oligarchie euro-atlantiche già pregustano la cacciata del Cavaliere e questa volta, a differenza del 1994, sarà definitiva.
“Vogliamo i Colonnelli”, regia Giorgio Napolitano, produttori Londra e Washington, attori Nicolas Sarkozy e Angela Merkel
Silvio Berlusconi, anche i suoi più acerrimi detrattori saranno costretti ad ammetterlo, è stato uno osso duro: grazie all’elevato patrimonio iniziale di popolarità (vedi l’aurea di “padre della patria” in occasione del discorso di Onna del 25 aprile 200926), il suo ruolo indiscusso di leader del centrodestra, la pochezza degli sfidanti interni ed esterni (Gianfranco Fini e Pierluigi Bersani), il controllo di una corazzata mediatica e cospicue risorse finanziarie con cui irretire i peones del Parlamento (Antonio Razzi, Domenico Scipoliti & co.), l’uomo dimostra una capacità di resistenza impensabile per qualsiasi altro esponente politico italiano.Il golpe del novembre 2011 è, non a caso, un’operazione molto più complessa ed articolata del (fallimentare) intrigo di palazzo con cui Gianfranco Fini ha tentato, neppure un anno prima, di provocare la caduta dell’esecutivo, sfilandogli i deputati di Futuro e Libertà.
A monte c’è la direzione di Londra e Washington che, attraverso gli assalti speculativi ed il FMI, dettano l’agenda ed i suoi tempi; a livello di tecnocrazia brussellese interviene l’ex-Goldman Sachs Mario Draghi, già governatore in pectore della BCE nella bollente estate 2011; a livello europeo c’è la complicità di Nicolas Sarkozy ed Angela Dorothea Kasner, in arte “Merkel”, espressioni, al pari di Mario Draghi e Mario Monti, delle oligarchie finanziarie anglofone di cui eseguono le direttive; a livello nazionale, c’è infine la regia di Giorgio Napolitano ed, in posizione defilata, tanto che alla fine gioca un ruolo marginale, Giulio Tremonti, ministro delle Finanze del governo Berlusconi e già allora presidente del pensatoio Aspen Institute Italia.
Si comincia con la famosa lettera del 5 agosto 2011, firmata dall’ancora governatore della BCE Jean-Claude Trichet e da quello (uscente) di Bankitalia, Mario Draghi: il documento, in principio “strettamente confidenziale”, rappresenta un vero intervento a gamba tesa sull’esecutivo italiano, chiedendo una dose di austerità persino più forte di quella imposta al Paese dal successivo governo Monti (“L’obiettivo dovrebbe essere un deficit migliore di quanto previsto fin qui nel 2011, un fabbisogno netto dell’1% nel 2012 e un bilancio in pareggio nel 2013, principalmente attraverso tagli di spesa”27). Il governo Berlusconi, pressato dalle borse in caduta libera e dal rendimento dei Btp che inanella un record dopo l’altro, vara a metà agosto una manovra da 65 miliardi che si somma a quella da 80 miliardi di un mese prima: non resta a quel punto che rendere noto che l’aggiustamento lacrime e sangue è stato imposto dalla BCE che, de facto, ha sfiduciato il governo italiano, commissariandolo. Capita così che sul Corriere della Sera del 29 settembre si legga “in esclusiva”, la lettera “strettamente confidenziale” inviata ad agosto: il gruppo RCS sta preparando l’ingresso del suo uomo, Mario Monti, a Palazzo Chigi.
A questo entrano i campo la cancelliera tedesca Angela Merkel ed il presidente francese Nicolas Sarkozy che, muovendosi all’unisono con l’FMI basato a Washington, si prodigano per la capitolazione dell’esecutivo italiano. Si comincia con il Consiglio europeo di Bruxelles del 23-26 ottobre, un vertice speciale convocato appositamente per la crisi del debito: durante la conferenza congiunta, a suggellare il totale discreto di cui gode l’Italia, Merkel e Sarkozy, interrogati sull’affidabilità di Silvio Berlusconi, si scambiano una risata sprezzante, quasi che il premier italiano fosse un cadavere (politico) che cammina. Anche Washington, e veniamo alle rivelazioni di questi giorni di Wikileaks, segue da vicinissimo gli sviluppi, intercettando il telefono del consigliere di Berlusconi, Valentino Valentini28:
“A 22 October meeting attended by German Chancellor Angela Merkel, French President Nicolas Sarkozy, and Italian Prime Minister (PM) Silvio Berlusconi was later described by the Italian’s personal adviser on international relations, Valentino Valentini, as tense and very harsh toward the Rome government. Merkel and Sarkozy, evidently brooking no excuses with respect to Italy’s current predicament, pressured the PM to announce strong, concrete palliatives and then to implement them in order to show that his government is serious about its debt problem”.L’identità della persona intercettata è particolarmente significativa: Valentini è infatti il “pontiere” tra Silvio Berlusconi e Vladimir Putin. Sorvegliando lui, Washington e Londra intendono monitorare le relazioni tra Italia e Russia durante questa drammatica e cruciale fase: che Silvio Berlusconi sia tentato dall’idea di chiedere soccorso all’amico del Cremlino?
Ci avviciniamo agli ultimi giorni del Cavaliere.
Il primo novembre 2011 il FTSE MIB chiude a -6,8% ed il rendimento dei Btp sfiora il 7%, soglia che “viene ritenuta dagli esperti un livello di non ritorno per la sostenibilità del debito che aprirebbe drammatici scenari di tipo greco”29. Pochi giorni, il 3 e 4 novembre, si svolge a Cannes il drammatico G20 dov’è sferrato l’attacco risolutivo: come ricostruisce l’allora premier spagnolo Luis Zapatero, Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti sono sottoposti ad enormi pressioni perché accettino il salvataggio del FMI che sancirebbe la fine del governo. “Io mi limito a raccontare quello che ho visto: gli Usa e i sostenitori dell’austerità volevano decidere al posto dell’Italia, sostituirsi al suo governo.” dirà Zapatero a distanza di quattro anni30.
Berlusconi e Tremonti “applicano un catenaccio all’italiana” e resistono, mentre “nei corridoi si comincia a parlare di Monti”: il rapporto tra i due si è però già deteriorato, tanto che, secondo alcuni osservatori, Tremonti sta già lavorando per la caduta del Cavaliere, sabotando, in comune accordo con Giorgio Napolitano, l’approvazione di decreti economici più urgenti che mai. “Tremonti si è messo in testa di sostituirmi e pensa così di costringermi a fare un passo indietro, ma si sbaglia di grosso: se io cado si va alle elezioni” sono le parole attribuite a Silvio Berlusconi31 in quei giorni crepuscolari.
Il 9 novembre Giorgio Napolitano nomina Mario Monti senatore a vita. Il 10 novembre il Sole 24 ore esce con il drammatico titolo a caratteri cubitali “FATE PRESTO”: il giorno prima, infatti, Piazza Affari ha chiuso con un crollo del -5%, il differenziale tra Btp e Bund di è portato ai massimi storici (525 punti base, dopo aver toccato i 575) e Mediaset si è avvitata, con un -12%32.
Le aziende della galassia Fininvest, per la cui difesa il Cavaliere scese in campo nel lontano 1994, si rivelano nell’ora decisiva il suo tallone d’Achille: è quasi sicuramente il timore che il suo impero economico sia distrutto a ricondurlo a più miti consigli, desistendo dalle “trattative per far uscire l’Italia dall’Euro”33.
Il 9 novembre infatti Berlusconi si intrattiene a colloquio per un’ora a Palazzo Grazioli con Fedele Confalinieri34, presidente di Mediaset, ed in serata arriva l’annuncio che è pronto alle dimissioni, dando il nulla osta all’investitura di Mario Monti come premier. Il 12 novembre la Camera approva ancora la legge di stabilità, poi alle ore 21 il Cavaliere è ricevuto da Giorgio Napolitano e rassegna le dimissioni: “Silvio Berlusconi si è dimesso, la piazza in festa grida ‘Buffone’” scrive Repubblica35, annotando come davanti al Quirinale si sia riunita una folla che lancia monetine al grido di “dimissioni, dimissioni, vergogna, fuori la mafia dallo Stato”.
Ecco servito il golpe del 2011, la cui causa scatenante, è importante ricordarlo per il proseguo dell’analisi, è il venir meno alla Casa Bianca di George W. Bush e dei neocon che, in cambio delle benevolenza di Berlusconi sui dossier mediorientali, e su quello israeliano in particolare, avevano chiuso un occhio sull’attivismo di Berlusconi tra Mosca e Tripoli.
L’elezione di Barack Obama, espressione delle oligarchie finanziarie liberal, pro-euro, pro-Unione Europea e piuttosto fredde verso il Likud israeliano, è la vera origine delle disgrazie di Berlusconi. L’Italia, finita l’epoca dell’unilateralismo di Bush junior che consentiva un minimo di margine di libertà a Roma, in cambio dell’acquiescenza ai disegni imperiali neoconservatori, torna ad essere un mero protettorato angloamericano, cui è proibita qualsiasi iniziativa in politica estera.
Da quel momento sino ai nostri giorni, il golpe del 2011 sarà rivangato all’occorrenza, secondo esigenze sempre diverse, ma mai, sia ben chiaro, per l’amore della verità: ce ne occuperemo nella seconda, ed ultima, parte dell’analisi.
CONTINUA QUI.
1http://www.radioradicale.it/scheda/62113/62180-il-referendum-per-labrogazione-della-legge-mammi-le-preoccupazione-espresse-da-a
2http://antoniomartino.org/tornare-indietro-per-andare-avanti/
3http://tv.ilfattoquotidiano.it/2014/11/26/berlusconi-avevamo-addomesticato-gheddafi-avevo-fatto-mettere-bidet-nei-bagni/315804/
4http://www.repubblica.it/2009/07/sezioni/economia/eni-gas/turchia-berlusconi/turchia-berlusconi.html
5https://search.wikileaks.org/plusd/cables/09ROME97_a.html
6http://www.corriere.it/politica/09_dicembre_05/verderami_assedio_e2fbedc0-e179-11de-95f6-00144f02aabc.shtml
7http://temi.repubblica.it/repubblicaspeciale-dieci-domande-a-berlusconi/2009/05/12/dieci-domande-a-berlusconi/
8http://elpais.com/elpais/2009/06/05/album/1244183868_910215.html#1244183868_910215_0000000000
9http://www.repubblica.it/2009/05/sezioni/politica/berlusconi-divorzio-4/parla-fotografo/parla-fotografo.html
10http://www.repubblica.it/2009/12/dirette/sezioni/cronaca/spatuzza-processo/spatuzza-processo/
11http://www.corriere.it/politica/09_dicembre_05/verderami_assedio_e2fbedc0-e179-11de-95f6-00144f02aabc.shtml
12http://www.repubblica.it/2009/11/sezioni/politica/giustizia-16/nob-day1/nob-day1.html
13http://tg24.sky.it/tg24/politica/2009/12/01/gianfranco_fini_fuorionda.html
14http://www.repubblica.it/politica/2010/04/22/news/fini-berlusconi-3540161/
15http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2010-08-02/senato-futuro-liberta-dieci-155911.shtml?uuid=AYIzIVDC
16http://newsite.mariobaldassarri.it/Pubblicazioni/Pubblicistica/Mario-Baldassarri/A-Houston-la-sesta-Conferenza-dei-ricercatori-italiani-nel-mondo
17http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/11/16/napolitano-dopo-lincontro-con-fini-e-schifani-priorita-alla-finanziaria/77199/
18http://tg24.sky.it/tg24/politica/2010/12/14/governo_diretta_dichiarazioni_di_voto_fiducia_sfiducia.html
19http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/12/14/roma-centro-blindato-per-il-voto-della-fiducia/81836/
20http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/01/14/ruby-berlusconi-indagato-per-prostituzione-minorile/86412/
21http://www.theguardian.com/world/2011/mar/07/sas-mi6-released-libya-rebels
22http://www.ilgiornale.it/news/politica/napolitano-rivendica-sua-guerra-1096059.html
23http://www.huffingtonpost.it/2013/11/22/silvio-berlusconi-volevo-uscire-euro-sinn_n_4322353.html
24http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/02/10/napolitano-gia-nel-giugno-del-2011-il-colle-voleva-monti-premier/875357/
25http://www.huffingtonpost.com/2011/01/26/goldman-sachs-aig-backdoor-bailout_n_814589.html
26http://www.repubblica.it/2009/04/sezioni/cronaca/berlusconi-25-aprile/berlusconi-25-aprile/berlusconi-25-aprile.html
28https://wikileaks.org/nsa-italy/intercepts/
29http://www.corriere.it/economia/11_novembre_01/spread-record-borse_9df18602-045b-11e1-89f9-a7d4dc298cd1.shtml
30http://www.lastampa.it/2015/03/23/esteri/zapatero-macch-populisti-sono-dei-socialdemocratici-Q6zRYhcGp9a1Jaa0LkEIlL/pagina.html
31http://www.repubblica.it/politica/2011/11/03/news/tremonti-24330829/
32http://www.corriere.it/economia/11_novembre_09/btp-borsa-mercati_be547e7c-0aaa-11e1-8371-eb51678ca784.shtml
33http://www.huffingtonpost.it/2013/11/22/silvio-berlusconi-volevo-uscire-euro-sinn_n_4322353.html
34http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/11/09/napolitano-delicate-difficili-lopposizione-approvare-entro-lunedi/169461/
35http://www.repubblica.it/politica/2011/11/12/news/dimissioni_berlusconi_approvata_legge_stabilit-24911363/
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