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martedì 28 febbraio 2017

Nube radioattiva attraversa l’Europa

di C. alessandro Mauceri
Da gennaio a pochi giorni fa una nube radioattiva ha attraversato tutta l’Europa da est a ovest, dalla Russia fino alla Spagna. E senza che nessuno dicesse niente.
A dare la notizia che una nuvola di radiazioni nucleari prodotte da iodio 131 hanno interessato quasi tutta l’Europa è stato il giornale britannico Daily Mirror, che ha sottolineato che non ci sarebbero pericoli per la popolazione. A ribadirlo è stata Astrid Liland, della Norwegian Radiation Protection Authority, che ha affermato che “Le misure di radioattività rilevate durante il mese di gennaio, pur essendo al di sopra della media, erano a valori estremamente bassi e non creavano alcuna preoccupazione per l’uomo o per l’ambiente”. Anche l’autorità francese per la sicurezza nucleare ha reso noto che il livello di radioattività in atmosfera e, in particolare, in prossimità del suolo “non sollevava alcuna preoccupazione per la salute, e che dagli inizi di febbraio la situazione è tornata alla normalità”.

lunedì 27 febbraio 2017

Boldrini, flop #BastaBufale. 40mila chiedono le sue dimissioni




22 febbraio 2017




Petizione Boldrini anti-bufale: flop. Petizione contro la Boldrini: successone.  Questa la sintesi. La presidentA della Camera, sulla sua pagina Facebook, si vanta delle 14.000 adesioni alla petizione #BastaBufale da lei lanciata per combattere le cosiddette “Fake News”: ennesima manifestazione di debolezza ed incompetenza.
Dubitando pregiudizievolmente della bontà e della veridicità di tali notizie, oltre a fare la figura della perdente (perché chi censura lo è a prescindere) la Boldrini dimostra di non avere solidi argomenti con i quali controbattere e di dare ragione a chi, con cognizione di causa, pensa che si tratti di un mezzo per soppiantare la pluralità di informazione in favore di una narrazione dei fatti funzionale solamente alla propaganda.

domenica 26 febbraio 2017

Vergognoso attacco Usa al Venezuela: ‘La Stampa’ megafono delle fake news statunitensi


 MaduroTarik    

14 febbraio 2017



La fake news quotidiana sul Venezuela è quella riguardante le sanzioni comminate dal governo degli Stati Uniti al vicepresidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela, Tareck El Aissami, perché secondo l’ufficio OFAC del Dipartimento del Tesoro statunitense avrebbe favorito il trasporto e il trasferimento di sostanze stupefacenti dal 2008, anno in cui ricopriva il ruolo di Ministro degli Interni nel governo guidato dal Comandante Hugo Chavez.

sabato 25 febbraio 2017

Una democrazia ridotta a bocciofila. I responsabili: i partiti e i giornali

De hoc satis dicevano i latini nella loro lingua ellittica, insuperabile nella sintesi. Letteralmente: “di questo abbastanza”. Che può essere tradotto senza forzature in “di questo ne abbiamo pieni i coglioni”. Di quale hoc abbiamo pieni i coglioni? In prima battuta dei nostri quotidiani (dei settimanali cosiddetti politici non vale nemmeno la pena parlare, solo l’Espresso, nella sua spocchia radical chic, crede ancora di esistere) che ogni giorno ci ammanniscono dalle sei alle otto pagine sui fatti interni dei partiti, queste associazioni private, queste bocciofile, i cui ruminamenti non dovrebbero avere alcun interesse né rilevanza pubblica (a meno che, naturalmente, non riguardino fatti penali). Prendiamo per esempio, a caso, qualche titolo del Corriere di un giorno qualsiasi, o di più giorni, e come partito, in particolare, il Pd. Ma il discorso vale per qualsiasi giornale e, a seconda delle evenienze, per qualsiasi partito. “Congresso Pd, rischio scissione”; “Un partito che si aggroviglia”; “Sfida a D’Alema (senza dirlo); “Pd, sì al congresso tra le tensioni”; “Il leader: li seppelliremo con le loro regole. In bilico le urne a giugno”; “Il ‘nemico numero uno’ seduto muto in platea. E Matteo lo provoca (senza mai nominarlo)”; “Il rebus urne. I tre partiti dem”; “Una velocità che strappa l’unità del Nazareno”. Questo il Corriere del 14 febbraio. Dopo è stato un crescendo fino all’apogeo di questi giorni in cui pare (nel momento in cui scrivo nulla è ancora certo) si scinda.

venerdì 24 febbraio 2017

I veri Libici festeggiano la RATSvoluzione del 17 febbraio alzando le bandiere verdi

Le celebrazioni della RATSvoluzione, opera della NATO, quella del 17 febbraio 2011 sono state sospese a Beida ed a Tobruk, per timori di attentati, da parte dei "terroristi" salafiti e RATTI vari.

intanto  a Bani Walid il popolo festeggia a suo modo: https://www.facebook.com/abdo.tlib/posts/1857304387818114?pnref=story
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giovedì 23 febbraio 2017

I Mezzi di Comunicazione in mano all’elite mondialista – Dr. William Pierce


Per giovare al nostro piano mondiale, che si avvicina al termine desiderato, dobbiamo impressionare i Governi dei Gentili mediante la cosiddetta Pubblica opinione, che in realtà viene dovunque preparata da noi per mezzo di quel massimo fra i poteri che è la stampa, la quale, fatte insignificanti eccezioni di cui non è caso di tenere conto, è completamente nelle nostre mani. In breve: per dimostrare che tutti i Governi dei Gentili sono nostri schiavi, faremo vedere il nostro potere ad uno di essi per mezzo di atti di violenza, vale a dire, con un regno di terrore, e qualora tutti i governi insorgessero contro di noi, la nostra risposta sarà data dai cannoni americani, cinesi e giapponesi.
Protocollo VII tratto da: I “PROTOCOLLI” dei Savi Anziani di Sion.
Distruggere i media del regime usurocratico, è un obbiettivo primario per tutti coloro che stanno intraprendendo la grande battaglia del nostro tempo.
La morsa velenifera dei loro media si sta esaurendo; sempre più  gente comincia a capire che l’informazione mainstream è falsa, completamente manipolatoria, completamente corrotta e con lo scopo di distruggere e avvelenare la mente dei nostri giovani, per non trovare resistenza al compimento del loro progetto di dominio dell’Europa e del mondo intero.

Questi vili criminali dell’informazione dovranno rispondere di reati contro l’umanità intera che non sono neanche elencabili in migliaia di pagine.

mercoledì 22 febbraio 2017

La schiavitù del debito pubblico, ecco come gli usurai internazionali ricattano i popoli

Bisogna capire che tutta la moda letteraria e tutto il sistema giornalistico controllato dall’usurocrazia mondiale è indirizzato a mantenere l’ignoranza pubblica del sistema usurocratico e dei suoi meccanismi.” 

(Ezra Pound, 1933)

E’ un bene che il popolo non comprenda il funzionamento del nostro sistema bancario e monetario, perché se accadesse credo che scoppierebbe una rivoluzione prima di domani mattina.
(Henry Ford)
“Di tutti i modi per organizzare l’attività bancaria, il peggiore è quello che abbiamo oggi” 
(Sir Mervyn King, ex governatore Banca d’Inghilterra)
Da sempre strumento di supporto dell’economia capitalistica, con l’avvento del neoliberismo la finanza si è tramutata da servitore a padrone dell’economia mondiale, fagocitandola e riproducendosi a ritmi vertiginosi.

martedì 21 febbraio 2017

Si muore prima. Nonostante il progresso? No, a causa sua

Di Massimo Fini

Secondo uno studio frutto dell’indagine di 180 ricercatori, in Italia diminuisce per la prima volta l’aspettativa di vita che attualmente è di 78 anni per gli uomini e di 82 e spiccioli per le donne.
Io sono da sempre convinto che la generazione che è nata intorno agli anni Sessanta e ancor più quelle successive abbasseranno la media della lunghezza della vita. Com’è possibile con gli straordinari progressi della medicina che è capace di allungare esistenze (anche se spesso la qualità di queste vite è vicino allo zero) ben aldilà del limite naturale contro il quale si sarebbero infrante? In Italia noi abbiamo avuto e abbiamo straordinari vecchi che hanno vissuto fino a novant’anni, come Dario Fo, Umberto Veronesi, Margherita Hack o addirittura fino a 102 come Rita Levi Montalcini o 106 come l’ancora vivissimo Gillo Dorfles. Per citare solo alcuni di quelli famosi. E di vecchi di questo genere, lucidi e in discreta salute, ce ne sono in giro parecchi. Ma sono tutti uomini e donne forgiati, fisicamente e moralmente, dalla guerra. Chiunque abbia conosciuto e frequentato persone di quelle antiche generazioni avrà notato la saldezza di nervi con cui affrontano i problemi. Non si mettono a fare il ponte isterico per qualsiasi sciocchezza come i giovani di oggi.

lunedì 20 febbraio 2017

Gheddafi aveva previsto la cecità dell'Occidente

di Massimo Fini

Martedì sera su Rai Storia nell’ambito della sezione Grandi discorsi della storia curata da Aldo Cazzullo, sono stati esaminati i discorsi di alcuni importanti leader contemporanei da Georges W. Bush a Hollande a Khomeini ad Al Baghdadi ad Arafat. A commentarli Domenico Quirico, Fausto Biloslavo, Gad Lerner e io stesso. Per esaminarne il linguaggio e la gestualità c’era la linguista ed esperta di comunicazione Flavia Trupia.
Una gran bella trasmissione, come del resto è nella tradizione di Rai Storia. Peccato che, suppongo per motivi di spazio, sia rimasto fuori un discorso che Muammar Gheddafi tenne all’Assemblea delle Nazioni Unite il 23 settembre 2009. Un discorso estremamente interessante. Innanzitutto perché, a differenza di quelli di Al Baghdadi e, parzialmente, di Khomeini, è un discorso assolutamente laico espresso con linguaggio laico come farebbe un qualsiasi leader occidentale. Poi per i contenuti. Gheddafi parte dal fatto che nonostante le solenni premesse della Carta dell’ONU gli Stati non sono affatto uguali. “Il Preambolo della Carta afferma che tutte le nazioni, piccole o grandi, sono uguali. Sono uguali quando si tratta di seggi permanenti? No, non sono uguali. Abbiamo il diritto di veto, siamo uguali? I seggi permanenti contraddicono la Carta”

domenica 19 febbraio 2017

Le menzogne occidentali sul terrorismo islamico



12 febbraio 2017
Qui un articolo ben documentato e molto chiaro in merito all’andamento delle vicende che riguardano il cosiddetto Stato islamico negli ultimi tempi. Purtroppo sono un disordinato e non mi riesce facile trovare quanto vado scrivendo (a volte non so bene nemmeno dove ho cacciato lunghi articoli di carattere teorico, figuriamoci gli altri).

sabato 18 febbraio 2017

2011: La Libia soffre il furto di 10.000 antichità di valore incalcolabile

1 novembre 2011

La Libia ha perso una collezione unica di patrimonio culturale e storico, i chiamati ‘Tesori di Bengasi ‘. Alcuni delinquenti sono riusciti ad introdursi nella Banca Commerciale Nazionale della Libia e rubare migliaia di monete d’oro ed argento che risalgono all’epoca greca, ed altre antichità che potrebbero essere l’orgoglio di qualsiasi museo del mondo.
Si sa che i criminali hanno sottratto 7.700 monete d’oro, argento e bronzo, molte delle quali sono state coniate nell’epoca di Alessandro Magno (IV secolo a.C.). Ugualmente, sparirono statuette ed altri oggetti di bronzo, avorio e vetro, braccialetti, medaglioni, collane, anelli, pendenti ed altri adornamenti: circa 10.000 opere d’arte in totale elaborate dai maestri dell’antichità.
La maggioranza dei tesori sono stati incontrati tra gli anni 1917 e 1922 durante gli scavi del tempio di Artemide a Cirene, che è stata una colonia greca nella costa settentrionale dell’Africa.

venerdì 17 febbraio 2017

I dieci miti che hanno più inciso sulla guerra contro la Libia

3 ottobre 2011

Di Maximilian C. Forte *
Dal momento che il colonnello Gheddafi ha perso il suo potere militare nella guerra contro la NATO e contro gli insorti / ribelli / nuovo regime, numerosi mezzobusti televisivi hanno preso a celebrare questa guerra come un “successo”.
Costoro ritengono che questa sia una “vittoria del popolo libico” e che tutti dovremmo festeggiare. Altri si gloriano della vittoria esaltando la “responsabilità di proteggere”, “l’interventismo umanitario”, e condannano la “sinistra antimperialista”.
Alcuni di coloro che affermano di essere “rivoluzionari”, o che credono di sostenere la “rivoluzione araba”, in qualche modo reputano opportuno porre su un piano secondario il ruolo della NATO nella guerra, invece esaltano le virtù democratiche degli insorti, magnificano il loro martirio, e assegnano un’importanza al loro ruolo oltre ogni limite.
Vorrei dissentire da questa cerchia di acclamanti, e ricordare ai lettori il ruolo di invenzioni di “verità” ideologicamente motivate, che sono state utilizzate per giustificare, motivare, attivare, rendere più efficace la guerra contro la Libia, e per sottolineare quanto dannosi sono stati gli effetti pratici di questi miti contro i Libici, e contro tutti coloro che favorivano soluzioni pacifiche, non-militariste.
Questi dieci miti più cruciali rientrano in alcune delle affermazioni maggiormente reiterate dagli insorti, e/o dalla NATO, dai leader europei, dall’amministrazione Obama, dai media di più alta diffusione, e perfino dalla cosiddetta “Corte penale internazionale”, i principali attori che hanno recitato nel corso della guerra contro la Libia.
D’altro canto, andiamo ad analizzare alcuni dei motivi per cui queste affermazioni sono considerate più giustamente come folklore imperiale, come miti pilastri del mito massimo – che questa guerra è stata scatenata come “intervento umanitario”, destinato soprattutto a “proteggere i civili”.
Ancora, l’importanza di questi miti risiede nella loro larga riproduzione, con scarsi interrogativi, fino a mortali conseguenze. Inoltre, essi minacciano di falsare gravemente per il futuro gli ideali dei diritti umani e la loro invocazione, aiutando così la costante militarizzazione della cultura e della società occidentale.

giovedì 16 febbraio 2017

Libia 2011. B. Obama e H. Clinton si rivelano in due video

8 agosto 2016


Sirte: gli aerei da guerra degli Stati uniti tornano per così dire sul cielo del delitto. Sono passati quasi cinque anni da quando i bombardieri Usa/Nato facevano da copertura aerea al feroce assedio guidato dai «ribelli di Misurata» e altre forze islamiste. Il pretesto per la guerra aerea della Nato contro la Jamahiriya, iniziata il 19 marzo 2011, era stato la «protezione dei civili libici». Di fatto, Nato, Usa, Francia, Regno unito e Italia fecero da forza aerea di gruppi criminali e jihadisti, responsabili di crimini contro l’umanità: ad esempio omicidi e deportazioni della popolazione nera della città di Tawergha e di diversi cittadini sub-sahariani. 
Pochi mesi fa, il presidente uscente e pluriNobel per la guerra Barack Obama ha dichiarato in un’intervista a Fox News che il più grande errore della sua carriera alla Casa bianca fu probabilmente «non aver pianificato il day after dell’intervento in Libia».

mercoledì 15 febbraio 2017

Breve storia di un disastro chiamato Obama


 


26 gennaio 2017

Barack Obama sarà ricordato come il peggiore presidente degli Stati Uniti d’America. La storia è un giudice severo, senza pietà alcuna e che – a differenza di questa società globalizzata in cui la capacità di pensiero è stata completamente inibita – non guarda in faccia a nessuno.
Per la storia, che vive d’oggettività e non di sensazionalismo, che non si lascia turlupinare dai dogmi del nostro tempo, dalla distopia rappresentata dalla globalizzazione, dal multiculturalismo e da tutti quei falsi ideali che abbraccia il mondo “radical chic”, non basta essere il primo presidente afro-americano degli Stati Uniti per essere meritevole di lode, o più semplicemente per aggiudicarsi automaticamente un premio Nobel per la pace, ma c’è bisogno di fatti concreti, di risultati conclamati.

martedì 14 febbraio 2017

Il “regime change” per John Mearsheimer


 

2 febbraio 2017

Nel mondo accademico americano, e più in generale quello occidentale, è raro trovare voci dissidenti con quella che è stata la pratica dell’esportazione della democrazia a stelle e strisce all’esterno del “mondo libero”. Una di queste voci è quella di John Mearsheimer, professore dell’Università di Chicago e padre della teoria delle relazioni internazionali del realismo offensivo, che ha avuto il coraggio di ammettere, senza alcuna vergogna o remora, che la politica statunitense del “regime change” (cambio di regime) si è rivelata un fallimento su tutti i fronti, dalla destabilizzazione di governi prima solidi, all’impossibilità di democratizzare i paesi vittima della loro politica, fino all’aver aggravato la minaccia terroristica dando vita allo Stato Islamico.
L’argomento è stato trattato, in particolare, in una serie di conferenze che il professore ha tenuto a MGIMO, l’Istituto Statale di Mosca di Relazioni Internazionali nell’ottobre del 2016. Dal 2011, ha spiegato, la politica estera statunitense nel Medio Oriente è stata caratterizzata da “un disastro dopo l’altro”, fallendo praticamente ogni volta che la pratica del regime change è stata applicata.

lunedì 13 febbraio 2017

Quel sogno chiamato Panafricanismo


 

11 gennaio 2017

“L’imperialismo è un sistema di sfruttamento che non si presenta solo nella forma brutale di coloro che con dei cannoni vengono ad occupare un territorio, ma più spesso si manifesta in forme più sottili, un prestito, un aiuto alimentare, un ricatto. Noi stiamo combattendo il sistema che consente ad un pugno di uomini sulla terra di dirigere tutta l’umanità.” Con queste semplici parole, il soldato rivoluzionario Thomas Sankara, parlò al popolo del Burkina Faso poche settimane prima di essere ucciso il 15 ottobre 1987, insieme a dodici suoi ufficiali, in un colpo di Stato organizzato dall’ex compagno d’armi Blaise Compaoré; un assassinio molto probabilmente – per non dire con assoluta certezza – commissionato dai francesi, dagli americani e da mercenari liberiani, contro un politico africano troppo lontano da quei vizi propri di quell’attuale classe dirigente burkinabè, ultra provincialista e completamente asservita al colonizzatore di sempre.

domenica 12 febbraio 2017

Nel pasticcio Libia troppi protagonisti e l’Italia nel mezzo

31 gennaio 2017

L’autobomba esplosa il 21 gennaio vicino all’ambasciata italiana appena riaperta ancora in cerca di autore e di bersaglio. La milizia islamista Rada che gestisce le indagini di polizia a Tripoli accusa la Cirenaica di Haftar. Più probabile un attentato islamista.
L’Italia sempre più schierata, al centro di tensioni tra le parti libiche e non soltanto.
E quello strano bombardamento Usa a firma Obama che l’ultimo giorno della sua presidenza manda i bombardieri da Guerre Stellari B2 contro kalashnikov nel deserto per avvertire Mosca.



sabato 11 febbraio 2017

Libia-Italia, se questo è un accordo

4/2/2017

Nel summit di Malta l'Unione Europea appoggia il patto siglato da Gentiloni e Sarraj
Libia-Italia, se questo è un accordo
Ma la situazione nel paese è tutt'altro che stabile. E i dubbi sono tanti... 

L’Unione Europea ha scelto da che parte stare. Per combattere la crisi migratoria si appoggia l’accordo Italia-Libia, siglato dal Premier Paolo Gentiloni e da quello libico Fayez al-Sarraj. 
È quanto emerge dal summit di Malta che ha riunito i ventisette leader del Vecchio Continente. “L’Unione europea accoglie con favore ed è pronta a sostenere lo sviluppo dell’accordo firmato tra Italia e Libia il 2 febbraio” si legge nella dichiarazione congiunta in cui si spiega inoltre che occorre “continuare a sostenere gli sforzi e le iniziative dei singoli Stati membri direttamente impegnati con la Libia”.
Il documento approvato sottolinea la necessità di sostenere il governo di Accordo Nazionale per aumentare la cooperazione e l’assistenza alle comunità locali regionali e libiche, così come le organizzazioni internazionali attive nel paese, in cambio di collaborazione nella gestione dell’immigrazione illegale.
Il piano, articolato su 10 priorità,  prevede lo stanziamento di fondi per l’addestramento, l’equipaggiamento ed il sostegno alla guardia costiera libica ed una maggior cooperazione con alcune agenzie delle Nazioni Unite. Per coprire le “necessità più urgenti” gli stati membri accolgono la proposta della Commissione di “mobilitare, come primo passo, ulteriori 200 milioni di euro per la parte del fondo riguardante il Nord Africa”. “Alcune delle azioni possono essere finanziate nell'ambito di progetti già in corso, in particolare i progetti finanziati dal Fondo fiduciario Ue per l’Africa, che mobilita1,8 miliardi dal bilancio dell’Ue e 152 milioni da contributi degli Stati membri”.
Ancora, le priorità includono l’aumentare gli sforzi per distruggere il modello di business dei trafficanti e migliorare le condizioni socio-economiche delle comunità locali in Libia.
Tutto bene? In realtà la situazione non è così semplice. In Libia non c’è un governo stabile. Da una parte c’è la fazione vicina a Fayez Al Serraj, il premier del governo di unità nazionale libico insediatosi lo scorso marzo a Tripoli e riconosciuto dall’Unione Europea, dall’altra il governo insidiato da Kalifa Haftar, il capo delle milizie di Tobruk sostenuto da Russia, Egitto e paesi del Golfo.
In questo quadro pare assai difficile essere certi di poter fermare il flusso di migranti attraverso il Mediterraneo centrale cooperando con una sola parte in causa, quella di Al Serraj.
È proprio la situazione politica ed economica nel Paese, resa instabile dallo scellerato intervento anti-Gheddafi, a favorire il traffico di esseri umani su una rotta che è ormai diventata il principale ingresso di clandestini in Europa. Ben 181.000 gli arrivi, per ricordare i numeri, principalmente attraverso l'Italia, di cui il 90% partiti proprio dalle coste libiche. 
La soluzione dei leader europei vorrebbe insomma ricalcare il modello utilizzato da Bruxelles con Ankara: finanziamenti in cambio di un filtro alle frontiere, ma sulla quarta sponda non è uno solo, come nel caso di Erdogan, a comandare.  Non solo, sulla questione dei fondi Fayez al-Sarraj ha detto dopo l’incontro con Tusk: “L’ammontare destinato dall’Europa è una piccola cifra”. Per arginare il flusso di migranti sul Mediterraneo la Commissione Ue ha finora stanziato 200 milioni di euro per il 2017, come detto, mentre nell’accordo siglato nel 2016 con il governo turco Bruxelles investì ben tre miliardi.
C’è poi un altro interrogativo, quello proprio sulla crisi migratoria. La nota congiunta parla dei rimpatri. “Individueremo potenziali ostacoli – si legge dopo il summit a Malta – ad esempio in relazione alle condizioni da soddisfare per i rimpatri, e rafforzeremo le capacità di rimpatrio dell'Ue, nel rispetto del diritto internazionale”. E punta a “promuovere lo sviluppo socio-economico delle comunità locali per migliorare la loro capacità di accoglienza”. 
Sarraj però su questo punto è stato preciso: “La Libia è un Paese di transito dei migranti, non abbiamo nessuna intenzione di trattenerli o di reinsediarli in Libia”.
La questione pare tutt’altro che risolta. Al momento sembra ci sia tanto fumo, come dice il detto, ma niente arrosto. E a pagarne maggiormente le spese sarà proprio l’Italia.
L’Unione Europea ha scelto da che parte stare. Per combattere la crisi migratoria si appoggia l’accordo Italia-Libia, siglato dal Premier Paolo Gentiloni e da quello libico Fayez al-Sarraj. 
È quanto emerge dal summit di Malta che ha riunito i ventisette leader del Vecchio Continente. “L’Unione europea accoglie con favore ed è pronta a sostenere lo sviluppo dell’accordo firmato tra Italia e Libia il 2 febbraio” si legge nella dichiarazione congiunta in cui si spiega inoltre che occorre “continuare a sostenere gli sforzi e le iniziative dei singoli Stati membri direttamente impegnati con la Libia”.

venerdì 10 febbraio 2017

Libia, fatto l'accordo ma serve un Gheddafi


 
Da una parte un re travicello come il premier libico Fayez Serraj incapace persino di controllare il marciapiede al di là del proprio palazzo.
Dall'altra un primo ministro a scadenza limitata come il nostro Paolo Gentiloni. In mezzo un accordo tra Italia, Unione europea e Libia per fermare i trafficanti d'uomini.

Cinque anni e un milione di profughi dopo Italia ed Europa sarebbero anche pronti a far marcia indietro. Il problema però si chiama Serraj. Berlusconi firmò un'intesa con un leader controverso, ma in grado di controllare le coste, il territorio ed i confini della Libia. Gentiloni deve vedersela con un premier fantasma, incapace di garantire il blocco dei migranti all'interno delle proprie acque territoriali e far rispettare le due opzioni su cui si basa l'accordo.
Partiamo dal limite delle acque territoriali.

giovedì 9 febbraio 2017

Gheddafi: "L`Islam moderato sono io" - Giovanni Minoli intervista il leader libico


10 luglio 2009: il leader libico incontra il presidente americano Obama durante il G8 a L'Aquila.Come sono maturati i presupposti per l'apertura della Libia all'antico nemico occidentale?

Bengasi 30 agosto 2008  - Firmato il Trattato di amicizia e cooperazione tra Roma e Tripoli: l'Italia verserà alla Libia cinque miliardi di dollari nei prossimi 25 anni a titolo di risarcimento per il passato coloniale. Lo ha detto il premier Silvio Berlusconi arrivando a Bengasi, in Libia. "L'accordo si baserà su una somma di 200 milioni di dollari all'anno per i prossimi 25 anni sotto forma di investimenti in progetti infrastrutturali in Libia", ha detto il presidente del Consiglio.

mercoledì 8 febbraio 2017

Italia-Libia, un accordo contro i diritti

Sostegno militare e risorse finanziarie: è la contropartita che il Governo Gentiloni si è impegnato a garantire all’esecutivo di Tripoli in cambio del “blocco” dell’immigrazione dalle coste libiche. Un salto indietro sancito il 2 febbraio che l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione giudica “vergognoso” e preoccupante
Il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e il Primo Ministro libico Fayez al-Sarraj - © Palazzo Chigi
Il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e il Primo Ministro libico Fayez al-Sarraj - © Palazzo Chigi
Negli otto articoli del “Memorandum d’intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia e la Repubblica Italiana” sottoscritto a Roma il 2 febbraio 2017, la parola “diritti” compare una sola volta. All’articolo cinque: “Le Parti si impegnano ad interpretare e applicare il presente Memorandum nel rispetto degli obblighi internazionali e degli accordi sui diritti umani di cui i due Paesi siano parte”. Esclusa la “Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati”, firmata a Ginevra nel luglio 1951 e nella quale non rientra il Paese guidato oggi da Fayez Mustafa Serraj.

martedì 7 febbraio 2017

PARLA MUAMMAR GHEDDAFI


intervista tratta da: Panorama, 12 ottobre 2000
di STELLA PENDE fotografie di PIGI CIPELLI
Amsa'd (deserto del Sahara), 2/3 ottobre 2000
L'automobile corre nel buio da un'ora. Nessuno sa dove andiamo. Il silenzio nero del deserto è rotto solo da qualche lampeggio del mare che appare e scompare come una cartolina strappata. Lasciamo a cento chilometri Tobruk, piccolo porto libico che nell'ultima guerra è stato la sconfìtta del generale Erwin Rommel. Posto di blocco. Qualche minuto d'attesa e l'apparizione: d'improvviso davanti a noi: il Sahara è attraversato da un serpente luminoso di macchine che muove la coda dentro la strada ondulata. «È la fila delle auto per la frontiera con l'Egitto» mente uno degli accompagnatori, tenuto, come tutti, al pegno del silenzio. Una voce, un nome, cade come un sasso fra noi: «E' Gheddafi». «E' lui che si muove con i suoi Caravan e più di cento Toyota al seguito». «Gli ultimi in coda sono due pullman: il primo, immenso, è una casa viaggiante. L'altro porta i generatori». Per fare cosa? «Per illuminare la sua tenda. La pianta dovunque.

lunedì 6 febbraio 2017

L’offensiva dei gate keepers

Giulietto Chiesa 30/1/2017
La recente decisione di Google-Adsense di cancellare Byoblu, il sito diretto da Claudio Messora, dalla lista di quelli che possono ospitare inserzioni pubblicitarie a pagamento è la conferma definitiva della grande offensiva censoria che sta investedo il web e tutta l’informazione alternativa al mainstream.
Il recentissimo caso della decisione di Google-Adsense di cancellare Byoblu, il sito diretto da Claudio Messora, dalla lista di quelli che possono ospitare inserzioni pubblicitarie a pagamento (seppure secondo i criteri giugulatori del colosso americano) è la conferma definitiva della grande offensiva censoria che sta investedo il web e tutta l'informazione/comunicazione alternativa al mainstream.
La natura di questa offensiva è chiara: i poteri che detengono la proprietà di tutti i principali organi di comunicazione del mondo occidentale (radio-televisivi, tele-cinematografici, giornali e riviste) stanno registrando una evidentissima crisi di consenso. La Grande Fabbrica dei Sogni e delle Menzogne non ha smesso di produrre e riprodurre l'inganno globale per cui è stata costruita. Ma perde colpi a grande rapidità. Bastano tre esempi clamorosi che sono sotto gli occhi di tutti: il Brexit, la vittoria elettorale di Trump e il "no" plebiscitario alla cancellazione della Costituzione italiana.

domenica 5 febbraio 2017

ISIS E ANTI-TRUMP: STESSO MANDATO STESSI MANDANTI – Mentre utili idioti e amici del giaguaro marciano contro Trump, Obama avvelena i pozzi in Siria

30/1/2017

“Molte delle celebrità che dicono di non andare (all’insediamento) non erano mai state invitate. Non voglio le celebrità, voglio il popolo, è lì che abbiamo le più grandi celebrità”. (Donald Trump)
 
“E’ stupefacente e anche un po’ disgustoso vedere quanti cagnetti profumati da salotto si sono messi con il branco di rottweiler a sbranare un botolo che aveva appena cominciato ad abbaiare”. (Ernesto bassotto)
 
Mercenari professionisti
Titolo spiazzante, anzi scandaloso? Vediamo. A cosa vengono impegnati i jihadisti delle varie formazioni mercenarie impiegate in Medioriente (ora anche in Asia e Africa e individuati come attentatori in Occidente)? A mantenere e allargare il dominio, a fini di controllo e sfruttamento, su zone del mondo ricche di risorse, e/o di importanza strategica, e/o la cui sovranità e autodeterminazione costituiscono ostacolo alla globalizzazione Usa, UE e Israele e rispettivi clienti, a volte collusi a volte collidenti, perché ne spuntano gli strumenti armati e/o economici. E, a parte la logica del cui prodest, a chi riconducono, con mille documenti, prove, ammissioni, queste formazioni? Le hanno pagate e rifornite sauditi, turchi, qatarioti, giordani; le hanno armate turchi, israeliani, Usa e Stati Nato; le hanno rastrellate in giro per il mondo i servizi di intelligence e le Forze Speciali di queste entità. Senza questo retroterra e i cordoni ombelicali ad esso connessi per vitto, mezzi, armamenti, soldo, la Jihad non durerebbe e non si espanderebbe dal 2011, ma si sarebbe estinta nel giro di settimane. Ve lo dicono Von Klausewitz e Sun Tsu.
 
Mo’ chi ha pensato, elaborato, spinto ed esasperato tutto questo a partire dall’11 settembre 2001? Chi, da un lato, aveva stabilito in piani ufficiali (Oded Yinon, Israele 1981) che, per il Grande Israele, occorreva frantumare in bantustan etnocentrici e settari gli Stati-Nazione arabi. E chi, dall’altro, ma in consonanza, nel cammino verso un dominio mondiale unipolare, di Stati-Nazione progettava di farne fuori tutti, tranne il suo e quello dei più stretti parenti. Si chiama, dai tempi di Lenin, imperialismo, fase suprema del capitalismo. Ma di mezzo c’erano Russia e Cina, ammazzate che schiacciamento di minchia.

sabato 4 febbraio 2017

L’IMPERO ATLANTICO DELLA MENZOGNA. LA PAROLA AL PENTITO ULFKOTTE

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di Marcello D’Addabbo
In Germania il caso Ulfkotte è ormai esploso in tutta la sua enormità. Nei talk show risuonano le parole del corrispondente esteri del più prestigioso quotidiano tedesco, “Frankfurter Allgemeine Zeitung” «per diciassette anni sono stato pagato dalla CIA, io e altri centinaia abbiamo lavorato per favorire la Casa Bianca». Questo è l’inquietante quadro descritto nel libro che Udo Ulfkotte ha da poco pubblicato in patria dal titolo eloquente: Giornalisti comprati. Il libro descrive il controllo dei media tedeschi, e occidentali in genere, attraverso una fitta rete di corruzione e di pressioni esercitate da parte degli americani mediante apparati di intelligence, ambasciate Usa, fondazioni, lobby e istituzioni atlantiste (sono citate tra le tante il Fondo Marshall, l’Atlantic Bridge e l’Istituto Aspen). Il fine di tale incessante attivismo operato nelle retrovie dei mass media, secondo le rivelazioni dell’autore, è quello di costruire una interpretazione degli accadimenti internazionali sempre unilaterale e compiacente verso Washington.

venerdì 3 febbraio 2017

Controstoria di Saddam Hussein e Muammar Gheddafi

12 agosto 2014

Senza la minima volontà di "assolvere" o peggio "mitizzare" due Leader , possiamo sicuramente affermare che l'immagine che hanno di loro i cittadini occidentali - costruita attraverso la propaganda mediatica - è senza dubbio peggiore di quella reale.

Premesso che per giudicare un governo è necessario 'contestualizzare', cioè tenere in considerazione la situazione socio-politica, culturale ed economica del posto, possiamo affermare con tranquillità che le condizioni di vita in Iraq e in Libia, quando i paesi erano gestiti dai due Leader erano molto migliori di quanto comunemente ed erroneamente creduto. In entrambi i paesi c'era un certo grado di benessere ed era presente un discreto welfare; infatti erano benvoluti dalla maggioranza dei cittadini.

giovedì 2 febbraio 2017

Democrazia, ovvero NON FAR CONTARE PIU' NIENTE IL POPOLO ITALIANO

24 gennaio 2017

Io credo che se la democrazia è morta non è per colpa dei partiti, dei cittadini indifferenti, delle costituzioni imperfette, dei corrotti o delle lobbies. Io credo che la democrazia è morta perché non poteva essere altrimenti, perché contiene in sé stessa il germe dell’autodistruzione.
C’è una ragione molto profonda che è alla radice del fallimento inesorabile del sistema chiamato democrazia.
Non ci credete, eppure ritengo che sia proprio così. Non sono le ragioni esterne alla democrazia a tradirla ma al contrario è la democrazia – per definizione – a non poter soddisfare i bisogni delle persone.

Giuseppe De Renzi
QUANTO CONTA IL POPOLO NELLA NOSTRA DEMOCRAZIA? MOLTO SUL PIANO TEORICO (“LA SOVRANITÀ APPARTIENE AL POPOLO”, NON SI POTEVA DIR MEGLIO); SUL PIANO PRATICO, INVECE, NELLA POLITICA E NEI GIOCHI DI PALAZZO, NULLA, IL POPOLO NON CONTA NULLA. Questa orribile dicotomia mostra – più di ogni cosa – la crisi in cui viviamo. Il popolo non conta nulla 1. Perché diritti, bisogni, proteste – e i movimenti che li rappresentano – sono tacciati di populismo e ghettizzati nell’irrilevanza: nell’universo politico delle oligarchie che affossano il paese non c’è posto per il demos. 2. Perché dopo la vittoria del 4 dicembre – per dirla in breve – resta al governo chi ha perso e ha provato (maldestramente) a riformare la Costituzione. 3. Perché, nonostante milioni di cittadini vogliano pronunciarsi sul Jobs Act, otto membri politicizzati della Consulta glielo impediscono: qualcuno può giurare, per dire, che Amato – l’amico di Craxi – non abbia espresso un voto politico dietro lo schermo (ipocrita) del neutralismo giuridico?

mercoledì 1 febbraio 2017

CHI VOLEVA LA MORTE DI GHEDDAFI?

14/6/2013

Chi voleva Gheddafi morto? Noi, cioè la Nato, ovvero l’aggregazione dei Paesi democratici che esporta la libertà e la civiltà coi bombardamenti e le esecuzioni mirate. Portatori di droni di pace in ogni angolo del pianeta.
L’Italia, che fino al primo raid, in quel fatidico marzo del 2011, era stata amica e partner della Libia, in un interessante quadrangolare geopolitico nel mediterraneo, con Russia ed Algeria (e in un secondo momento anche la Turchia, interessata al progetto di gasdotto South Stream, di cui Roma era titolare con una partecipazione maggioritaria) si schierò con francesi, inglesi ed americani (in ordine inverso di aggressività) per eliminare il dittatore.
Perché lo fece avendo tutto da perdere e niente guadagnare?  Perché rimettere in discussione i profittevoli accordi e la strategia vincente, tanto commerciale che diplomatica, concordata col leader arabo-africano, peraltro, dopo aver ammesso le proprie responsabilità coloniali risarcendo i libici?