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giovedì 31 dicembre 2015

DOPO PARIGI …..CONTINUIAMO A FARCI DEL MALE

di Gianandrea Gaiani
8 dicembre 2015, 
av8 Nonostante il clamore suscitato dalla strage di Parigi, dai killer giunti in Europa coi barconi accolti come “rifugiati” e dal dibattito su come rispondere alla sfida del terrorismo islamico sul fronte della sicurezza interna come su quello bellico, italiani ed europei continuano ad arricchire criminali e terroristi islamici che gestiscono i traffici di esseri umani.

mercoledì 30 dicembre 2015

Cosa facevano le forze speciali dei marines in Libia?

26 dicembre 2015

Un commando di forze speciali americane è giunto in Libia lunedì  scorso ma è stato subito “invitato” a lasciare il Paese a causa di un equivoco tra aviazione ed esercito libici (quelli legati al governo di Tobruk). Interpellate dalla Nbc, fonti della Difesa statunitense hanno confermato la presenza del commando in Libia dopo che l’aeronautica libica aveva pubblicato sulla propria pagina Facebook le fotografie dei militari americani, a quante pare membri del MARSOC  (Marine Special Operations Command) provenienti dalle basi di Sigonella (Sicilia) o Moròn (Spagna).
I militari americani sono atterrati nella base di al-Wattiya, a Sud-Ovest di Tripoli, una delle più grandi della Libia e oggi quartier generale  delle forze di Tobruk presenti in Tripolitania impegnate nelle operazioni contro le milizie islamiste del governo di Tripoli.

martedì 29 dicembre 2015

Terrorismo, ricercatrice libica fermata a Palermo, faceva propaganda per la jihad

24/12/2015
La polizia, su ordine della Procura, ha fermato a Palermo una cittadina libica di 45 anni, ricercatrice universitaria nell'Ateneo siciliano, per istigazione a commettere reati di terrorismo. Era in contatto con diversi foreign fighters e faceva propaganda per Al Qaeda sul web. Khadgia Shabbi vive a Palermo da tre anni. E' ricercatrice in Economia e riceve un assegno di duemila euro al mese dall'ambasciata libica.
I pm le contestano l'istigazione a delinquere in materia di terrorismo aggravata dalla transnazionalità. La polizia l'ha monitorata per mesi, dopo alcune segnalazioni, accertando i suoi contatti con due foreign fighters, uno in Belgio, l'altro in Inghilterra. La donna avrebbe anche cercato di pianificare l'arrivo in Italia di un suo cugino, poi morto in Libia in uno scontro a fuoco e avrebbe mandato diverse somme di denaro in Turchia. La ricercatrice sarebbe imparentata con esponenti di una organizzazione terroristica coinvolta nell'attentato all'ambasciata americana in Libia nel 2012 e avrebbe fatto propaganda sui social ad Al Qaeda. Gli inquirenti hanno trovato molto materiale investigativo interessante.

lunedì 28 dicembre 2015

Stati Uniti e Europa preparano nuovi colpi contro la Libia


Stati Uniti e Europa preparano nuovi colpi contro la Libia
DI | |

domenica 27 dicembre 2015

Libia, Europa studia piano militare

Pubblicato il da Andrea Turco

Lo aveva anticipato Il Foglio, ora lo conferma anche Bloomberg. L’Europa sta lavorando ad un piano per risolvere il puzzle libico. A studiarlo sono quattro paesi: Italia, Regno Unito, Francia e Germania. “La forza internazionale – spiegano due fonti anonime italiane a Bloomberg – si concentrerebbe soprattutto sul sostegno logistico e addestramento delle forze armate e di sicurezza libiche e includerebbe anche un contingente dei carabinieri e forze speciali”. Niente missioni di peace enforcing dunque.
libia

sabato 26 dicembre 2015

Libia: nuovo governo travolto dalle polemiche tra Isis e corsa al petrolio

di Teresa Potenza
  Libia: nuovo governo travolto dalle polemiche tra Isis e corsa al petrolio
(Il Ghirlandaio) Roma, 21 dic. - L'accordo che tutti si aspettavano dalla Libia – ma in molti mettevano ormai in dubbio – è stato firmato: i due parlamenti rivali hanno firmato, la settimana scorsa a Skhirat (Marocco), un patto che prevede la formazione di un governo di unità nazionale. Accordo che l'Onu ha definito come il “primo passo” verso la fine del conflitto nel Paese, a dispetto delle opposizione sempre presenti all'interno delle due parti principali.

venerdì 25 dicembre 2015

Nove risposte sull’accordo in Libia

19 dicembre 2015
Aiuterà a combattere l'ISIS? Fermerà il flusso dei migranti verso l'Italia? Ci sarà un intervento militare internazionale? Una guida per capire una delle crisi più gravi del 2015
Accordo in Libia







Giovedì  17 dicembre i due parlamenti che si dividono il controllo della Libia hanno firmato un accordo per formare un governo di unità nazionale mediato dall’ONU, con l’appoggio dell’Italia e di altri 16 paesi. L’accordo è stato accolto con ottimismo dai leader politici che l’hanno promosso, ma secondo molti esperti, come Mattia Toaldo, ricercatore dell’ECFR e uno dei principali esperti di Libia, rischia di essere difficile da implementare. Abbiamo messo insieme nove domande – e nove risposte – per capire qualcosa di più dell’accordo e delle sue possibilità di successo. 1. Com’era la Libia prima dell’accordo?
Dalla primavera del 2014, la Libia è divisa tra due governi rivali che competono per la supremazia nel paese. L’assenza di un forte potere centrale ha permesso a molte milizie e gruppi terroristici di conquistare e amministrare diversi territori in autonomia rispetto ai due governi. Uno dei gruppi che più si è imposto è lo Stato Islamico (o ISIS), che nella città di Sirte ha la sua base più forte fuori da Siria e Iraq. Il caos in Libia ha anche direttamente influenzato il numero di migranti che dalle coste libiche arrivano in Italia e ha danneggiato la produzione libica di petrolio e gas naturale, di cui l’Italia è uno dei principali importatori. La vicinanza tra l’Italia e la Libia e i molti interessi italiani hanno fatto sì che il governo di Matteo Renzi fosse uno dei più forti sostenitori dell’accordo di giovedì.
2. Cosa prevede l’accordo?
La formazione di un “consiglio presidenziale” formato da nove persone, ognuna esponente delle molte fazioni che si dividono il potere. Il “consiglio presidenziale” svolgerà collettivamente le funzioni di capo di governo e dovrà, a sua volta ed entro i prossimi 40 giorni, nominare i singoli ministri.
3. Chi ha firmato l’accordo?
Qui cominciano i problemi. Alla cerimonia della firma erano presenti circa 200 tra deputati dei due parlamenti, sindaci e leader tribali. Erano assenti i presidenti dei due parlamenti, che si sono entrambi dichiarati contrari all’accordo e i capi di molte milizie. In sostanza l’accordo è stato firmato soltanto da alcuni dei leader politici che detengono effettivamente il potere in Libia.
4. Il “consiglio presidenziale” riuscirà ad insediarsi a Tripoli?
Il “consiglio presidenziale” dovrà cominciare le difficili trattative per nominare i singoli ministri. Il passo successivo sarà cercare un modo per insediarsi a Tripoli, la capitale del paese. Non è affatto semplice, perché la città è nelle mani di molte milizie armate, alcune delle quali sono esplicitamente contrarie all’accordo. Nell’ultima settimana, a Tripoli ci sono stati scontri tra gruppi armati che fanno presagire quanto sarà difficile l’insediamento del nuovo governo. Al momento, il generale italiano Paolo Serra sta conducendo per conto delle Nazioni Unite dei colloqui con i leader delle milizie per cercare di trovare un accordo che permetta l’insediamento del governo.

5. L’accordo aiuterà a combattere l’ISIS?

Un governo unitario e non più paralizzato dagli scontri tra fazioni potrebbe affrontare l’ISIS con maggiore efficacia. Secondo le stime più diffuse, lo Stato Islamico in Libia dispone di appena tremila combattenti sparsi su un territorio molto ampio. Al momento, però, le priorità del nuovo governo sono altre: la prima è insediarsi a Tripoli e riunificare le varie fazioni libiche, un processo che potrebbe durare ancora mesi. Soltanto dopo sarà possibile affrontare l’ISIS.

6. L’accordo aiuterà a combattere l’immigrazione?

Vale lo stesso discorso: al momento il governo libico ha altre priorità.

7. Ci sarà un intervento militare internazionale?

Subito dopo la firma degli accordi, il governo britannico ha detto che è pronto a inviare fino a mille uomini in Siria come parte di una spedizione internazionale composta da seimila militari. Ha anche lasciato intendere di essere pronto a iniziare degli attacchi aerei contro l’ISIS. Anche il governo italiano, e in particolare il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, ha spesso ribadito che l’Italia è pronta a inviare militari in Libia e negli ultimi mesi sono filtrate anche delle cifre: circa quattromila militari.
Non sembra però che un intervento militare possa iniziare a breve. C’è bisogno innanzitutto di una richiesta ufficiale da parte del governo libico che in questi giorni è già stato accusato di essere poco più di una pedina delle potenze europee. Richiedere l’aiuto occidentale per insediarsi a Tripoli rischia di alimentare la propaganda delle fazioni ostili all’accordo. Mandare truppe a Tripoli senza un accordo con le milizie locali, inoltre, significherebbe inviare i militari in una missione di combattimento che potenzialmente potrebbe causare molte perdite.
8. Qual è lo scenario migliore?
Nella migliore delle ipotesi, il “consiglio di presidenza” riuscirà a nominare un governo abbastanza inclusivo da soddisfare una fetta significativa delle varie fazioni libiche e il generale Serra riuscirà a raggiungere un accordo con le milizie di Tripoli per permettere al nuovo governo di insediarsi nella capitale. A quel punto, Italia e altri paesi europei potrebbero inviare in Libia una missione con compiti di addestramento militare e per mettere in sicurezza i porti, contribuendo così agli sforzi del governo locale per combattere l’ISIS e controllare il flusso dei migranti.
9. E quello peggiore?
Nello scenario peggiore, gli accordi di giovedì non cambieranno la situazione attuale. Se il nuovo governo non riuscisse a insediarsi a Tripoli è probabile che le fazioni contrarie all’accordo nominino un loro nuovo governo. A quel punto ci saranno nuovamente due governi che si dividono il paese e, sostanzialmente, sarà necessario ricominciare tutto daccapo.

Preso da: http://www.ilpost.it/2015/12/19/accordo-libia/

giovedì 24 dicembre 2015

Forze speciali Usa in borghese in Libia: un blog pubblica le FOTO

Gli americani sarebbero atterrati senza avvertire le autorità locali e per questo sono stati invitati a ripartire.
AL WATIYA (LIBIA) – Un aereo delle forze speciali Usa atterra nella base di al Watiya in Libia. Dal velivolo scendono alcuni uomini in abiti civili che vengono fotografati. Gli scatti finiscono sull’account twitter di Oryx Blog, famoso blogger che segue questioni militari e che averebbe scritto appunto che queste persone apparterrebbero alle forze speciali Usa, ed anche sulla pagina Facebook del comando dell’aviazione libica.

mercoledì 23 dicembre 2015

Un esponente USA getta la maschera e rivela il piano di spartizione degli USA per il Medio Oriente


Bolton John speaks 
 
L’ex ambasciatore di Washington alle Nazioni Unite, John Bolton, ha dichiarato ieri, Domenica 24. 05 che il suo paese dovrebbe approfittare del caos creato dalla banda terrorista dell’ISIS (Stato Islamico) per creare un “nuovo Stato sunnita”.
Credo che il nostro obiettivo dovrebbe essere quello di costituire un nuovo stato sunnita a partire dalla regione occidentale dell’Iraq e che comprenda la parte orientale della Siria che dovrebbe essere diretto da moderati, o per lo meno, autoritario che non siano islamisti radicali”, ha dichiarato Bolton nel corso di una intervista con la rete TV Fox News.
L’esponente politico USA, neoconservatore in materia di politica estera, ha criticato inoltre il Presidente Barack Obama, per il fallimento della sua politica di fronte al terrorismo takfiri. “Stiamo perdendo questa guerra di questo non c’è alcun dubbio”, ha aggiunto.

martedì 22 dicembre 2015

L’accusa di Donald Trump: il disastro in Siria e Libia opera di Obama e Clinton

15 dicembre 2015

Il candidato alla Casa Bianca Donald Trump ha accusato direttamente Obama e la Hilary Clinton di aver causato centinaia di migliaia di vittime con le guerre sporche in medio Oriente dirette dall’Amministrazione USA.
Nel corso di una intervista alla rete TV Fox News, registrata nella scorsa Domenica, il candidato repubblicano Donald Trump, personaggio discutibile ma che viene guadagnando molti consensi nei sondaggi, parlando a proposito del conflitti in Medio Oriente, ha incolpato la Hilary Clinton, quale precedente segretario di Stato, ed il presidente Obama come responsabili del conflitto in Siria e per l’ascesa del gruppo terrorista dello Stato Islamico nella stessa Siria ed in Iraq.
Inoltre Trump ha segnalato che l’Amministrazione Obama è responsabile della morte di centinaia di migliaia di siriani e di libici avvenuta nel corso di questi due conflitti.

lunedì 21 dicembre 2015

Le milizie armate e i gruppi jihadisti in Libia


Libyan General Khalifa Haftar, chief of army loyal to internationally recognized government, speaks during news conference in Amman, Jordan 
5ottobre 2015
Sono oltre 1.700 i gruppi armati attivi in Libia dalla caduta di Gheddafi. Ecco chi si contende quel che resta del futuro di questo Paese.
di Marco Giaconi
Dalla caduta di Gheddafi nel 2011, la Libia è teatro di scontri tra centinaia di fazioni armate. Oltre l’esercito regolare che risponde al governo di Tobruk guidato dal premier Abdullah Al Thinni, ci sono più di 1.700 tra gruppi autonomi e milizie attivi nel Paese.

L’esercito regolare libico è ben armato ma non molto organizzato e con poca voglia di combattere. È formato da più di 35 brigate, alcune stanziali, altre multiuso. Il comando è nelle mani del generale Khalifa Haftar, ( uomo della CIA) ,Haftar emigrò successivamente negli USA, prendendo in affitto una villetta sul Potomac vicinissima sia alla CIA che al dipartimento di Stato. Il che la dice lunga sui suoi rapporti con Washington.

domenica 20 dicembre 2015

DROGA E ALCOOL PER I PILOTI DI DRONI

Postato Domenica, 13 dicembre @ 06:55:00 GMT di davide

DI ANDREW BUNCOMBE
The Independent
Degli informatori provenienti dal segreto mondo statunitense dei droni affermano che gli operatori “sono sotto stress e spesso fanno ricorso a droghe ed alcool” in un raro sguardo all'interno del programma.

Quattro uomini si sono fatti avanti per consentire uno sguardo senza precedenti all'interno del programma statunitense dei droni.

Il programma americano dei droni, secondo alcuni degli uomini che hanno passato anni a pilotare da remoto le missioni, è privo di regole, controproducente e condotto da personale sotto stress, il quale spesso fa abuso di droghe ed alcool.
Fornendo un panorama senza precedenti del funzionamento interno del programma controllato dalla CIA, tanto segreto quanto controverso, quattro ex operatori hanno espresso la loro preoccupazione sul fatto che siano stati regolarmente uccisi dei civili innocenti, indicati poi come “nemici combattenti”.

sabato 19 dicembre 2015

IN CHE MODO ISRAELE E L'ISIS SONO CULO E CAMICIA

Postato Domenica, 13 dicembre @ 23:10:00 GMT di davide

DI F. WILLIAM ENGDAHL
darkmoon.me
Quest’articolo è un altro pezzo del rompicapo. Ci fornisce informazioni cruciali che ci rendono in grado di vedere attraverso la nebbia che circonda le connessioni tra gli USA, Israele, Turchia e l’organizzazione più fanatica a livello mondiale: ISIS, ISIL, Stato Islamico o Daesh.
Il cosiddetto Stato Islamico non è ciò che afferma di essere. Così come la Federal Reserve, che non è federale e nemmeno ha riserve, lo Stato Islamico non è Islamico e nemmeno è uno Stato. È un gruppo terrorista che è stato creato dall’intelligence americana e da mercenari alleati dei sionisti, addestrati presso le basi CIA in Giordania e lasciati a dare libero sfogo sulla popolazione di Siria e Irak, per destabilizzare quei Paesi, in assistenza a Israele.

venerdì 18 dicembre 2015

GUERRA DI LIBIA, GUERRA D’AFRICA

Scritto da: Alfredo Musto (06/10/2011)

Il conflitto in Libia ripropone sulla scena internazionale l’importanza di un quadrante geopolitico, quale quello nordafricano, di per sé non scindibile dalle dinamiche che attengono ai delicati equilibri internazionali. Eppure, esso non è solo parte delle fibrillazioni in atto sulle sponde del Mediterraneo e nella vasta area arabo-mussulmana fino al Golfo Persico.
La guerra di Libia è un’altra guerra d’Africa. Geograficamente, ma ancor di più strategicamente.

giovedì 17 dicembre 2015

Libia, un pentito racconta: ecco come funziona l'Isis a Sirte

10/12/2015

Quanti sono, come si muovono e chi è il loro capo?

Libia, un pentito racconta: ecco come funziona l'Isis a Sirte
Roma, 10 dic. (askanews) - Come è organizzato lo Stato Islamico (Isis) a Sirte, ultima roccaforte jihadista in Libia; chi è il capo dei militanti, quanti sono e da dove vengono, cosa guadagnano dai traffici di migranti che partono per l'Europa e soprattutto quali sono gli obbiettivi dei jihadisti in questa città strategica della Libia. C'è tutto questo nel racconto fatto al portale libico "Al Wasat", uno degli uomini del Califfato nero catturato nei giorni scorsi.
L'uomo è un egiziano che si chiama "Abu Obeidah al Masry", ed afferma di essere partito per Sirte sette mesi fa proprio per unirsi all'Isis che aveva preso il controllo della città agli inizi dello scorso giugno.

mercoledì 16 dicembre 2015

Libia: i gruppi armati segregano le donne accusate di "sostenere il regime di Gheddafi."

Occidente e NATO hanno distrutto Gheddafi e tutta la Libia


10/12/2015

La Libia è stato il primo Paese ad aver vissuto la "primavera araba". Più velocemente di qualunque altro Stato che ha subito lo stesso fenomeno è piombata nel caos. Che cosa ha ottenuto la Libia, un tempo tra i Paesi più ricchi dell'Africa, dopo l'uccisione di Muammar Gheddafi da parte dei ribelli con il supporto dell'Aviazione della NATO?

L'impunità di molti gruppi armati, ciascuno dei quali si definisce formato da "veri rivoluzionari". Apparsi dopo l'uccisione di Muammar Gheddafi, non solo combattono tra di loro per territori e il controllo delle infrastrutture, ma allo stesso tempo uccidono su commissione ed effettuano sequestri di persona. L'esempio è il rapimento nel 2013 del primo ministro Ali Zeidan.
Se il primo ministro può essere rapito, cosa può attendere la gente comune della Libia?

martedì 15 dicembre 2015

L’Italia in Libia esportò democrazia. Lo dice(va) il PD!

libiaNelle ultime ore in Libia le ventate di democrazia non si contano più. Esplosioni un po’ ovunque, terroristi che passeggiano per le città come se niente fosse, disastri ambientali come se piovesse e tanto altro.
Ma portiamo l’orologio indietro di poco più di tre anni. Qualcuno ricorda Veltroni? Si, quello che voleva sfidare da solo Berlusconi? Ecco, lui su Facebook, il 6 marzo 2011, scrisse (link): “Perchè nessuno scende in piazza al fianco dei patrioti libici? […] Oltre ad un piccolo sit in del pd a Roma e ad uno delle associazioni, solo silenzio. […] Perchè i partiti democratici , i sindacati, le associazioni di massa non promuovono una grande manifestazione e una campagna di solidarietà? […] Se non ora quando?“.

lunedì 14 dicembre 2015

Sarkozy, BHL, NATO dietro gli attacchi terroristi in Tunisia e Mali


gheddafidi Olivier Ndenkop 7 dic2015.- Martedì 24 novembre 2015,
 un attacco terroristico, il terzo del genere rivendicato dal Daesh, ha preso di mira un autobus della guardia presidenziale, uccidendo 12 persone in Tunisia. 24 ore dopo l’attacco kamikaze, il governo tunisino ha deciso di chiudere il suo confine con la Libia. Per il presidente Beji Caid Essebsi, le cose sono chiare: i colpevoli di questa barbarie, qualunque sia la loro nazionalità, provengono dalla Libia, dove, dopo l’assassinio di Gheddafi, migliaia vengono addestrati ed equipaggiati, per andare a seminare la morte in tutto il Nord Africa e oltre. Quando Gheddafi era vivo, nessuno poteva azzardarsi a montare una base di addestramento per la jihad in questo eldorado particolarmente sicuro e sorvegliato giorno e notte da un esercito che era tra i più attrezzati del continente. Gli assassini di Gheddafi sono dunque responsabili dell’aumento della Jihad che colpisce il Nord dell’Africa.

domenica 13 dicembre 2015

LIBIA: VA TUTTO A PUTTANE

Scritto da: Gianni  Petrosillo (21/06/2011)

Nota: SI era il 2011 quando usciva questo articolo, ancora oggi è tremendamente attuale.


In Libia siamo andati per proteggere i civili. Li abbiamo difesi a puntino mettendoli sotto cumuli di macerie e con qualche metro di terra sulla testa. Adesso sono più che al sicuro, sono praticamente in una botte di ferro, un barile simile ad una bara. Con siffatte imposture globali l’Onu, la Nato, la coalizione dei volenterosi ed il nostro governo vendono mediaticamente ad una pubblica opinione distratta e distaccata il pacco umanitarista Occidentale.

sabato 12 dicembre 2015

NOTE A MARGINE DI ALCUNI ARTICOLI SUI CONFLITTI MEDIORIENTALI E SULL’ISIS

Scritto da: Mauro Tozzato (03/12/2015)

Interessanti alcune osservazioni di Alberto Negri (1) in un articolo sul Sole 24 ore (del 25.11.2015):
<< Se nel Levante ognuno fa la sua guerra Al Baghdadi potrebbe persino dire la sua nella spartizione dell’Iraq e della Siria, un’ipotesi improponibile adombrata dalla Bbc ma non così remota se ciascuno vuole portarsi a casa un pezzo di Medio Oriente. Non sarebbe la prima volta: gli inglesi con Lawrence fomentarono una celebre rivolta araba per poi spartirsi la regione con i francesi. Ma questa volta né gli arabi anti-Isis né gli iraniani sono disposti a fare la fanteria dell’Occidente>>.

venerdì 11 dicembre 2015

Dietro chi si nasconde l'Isis in Libia

Fusione, coabitazione, sopportazione, conflitto: come interagiscono Stato islamico e Ansar al-Sharia, i gruppi più pericolosi del Paese, e perché ci deve interessare
Daniele Raineri* | venerdì 4 dicembre 2015
Ansar al-Sharia in Libya Foto: Prima News
Ansar al-Sharia in Libya Foto: Prima News
 
Misurata - L'ascesa dello Stato islamico in Libia pone il problema dei suoi rapporti con il gruppo jihadista più forte del Paese, Ansar al-Sharia. Questa è una fazione nata durante i mesi della rivolta contro il rais Muammar Gheddafi nel 2011 e salita alla ribalta l'anno seguente, grazie all'ostentazione di forza militare in pubblico e all'assalto mortale contro i diplomatici americani dell'11 settembre 2012.

giovedì 10 dicembre 2015

Agenzia di Intelligence tedesca avvisa sui rischi di destabilizzazione provocati dall’Arabia Saudita

Principi sauditi della Casa dei Saud 
 

mercoledì 9 dicembre 2015

Con la scusa del terrorismo, vogliono reinvadere la Libia

Lo ripeto per l' ennesima volta, lo schema è semplice, prima si creano i terroristi, li mandano a distruggere il paese di turno, come nel 2011, quando RATTI, psicopatici, drogati, ed assassini, di Al qaeda, ISIS ecc sono stati portati in Libia, contro il popolo libico, e contro il solo ed unico legittimo governo. Questi assassini vengono presentati come giovani ribelli, rivoluzionari, in cerca di "libertà".
Si interviene in loro aiuto, bombardando il paese, quando questi ratti "vincono" allora immancabilmente si scopre che sono tutti dell' ISIS e sigle varie.

Quindi bisogna combattere l' ISIS, ecco la soluzione, bombardamenti, truppe di terra, ecc.

martedì 8 dicembre 2015

I convogli dei terroristi della NATO fermati ai confini della Siria

30 novembre 2015

Per anni la NATO ha concesso l’impunità ai convogli dei rifornimenti diretti a SIIL e al-Qaida. I raid aerei russi li hanno interrotti per strada.
Tony Cartalucci 29 novembre 20151030647328 
Se un legittimo e ben documentato convoglio di aiuti umanitari che trasportava rifornimenti ai civili in Siria è stato veramente distrutto dagli attacchi aerei russi, è probabile che il mondo non avrebbe mai smesso di sentirne. Invece, in gran parte del mondo se n’è sentito poco o nulla del convoglio di “aiuti” presunti, distrutto nei pressi di Azaz, Siria, alla fine del corridoio Afrin-Jarabulus attraverso cui i rifornimenti del cosiddetto Stato islamico (SIIL) e dei resti di al-Qaida passano, dove la NATO ha da tempo cercato di creare una “zona cuscinetto” più accuratamente descritta come trampolino della NATO nella Siria occupata da cui lanciare il terrorismo nel territorio siriano.

lunedì 7 dicembre 2015

Gli USA conniventi con il traffico di petrolio dello Stato islamico

30 novembre 2015
MK Bhadrakumar, Indian Punchline, 28 novembre 20151627996
L’ultimo giro di vite del presidente turco Recep Erdogan su due personaggi di spicco della stampa del Paese sottolinea l’acuta sensibilità alle accuse a cascata sul sostegno segreto di Ankara allo Stato islamico (SI). La posta in gioco è alta per Erdogan, dato che, apparentemente, alcune persone molto potenti vicine al presidente fanno milioni vendendo petrolio inviato in Turchia dallo SI. Sarebbe un doppio smacco per chiunque fare affari con lo SI, perché con i soldi generati dalle vendite di petrolio, il gruppo terroristico si procura armi dalla Turchia.

domenica 6 dicembre 2015

Gli sporchi trucchi di Erdogan con il SIIL

25 agosto 2015
F. William Engdahl New Eastern Outlook 24/08/2015156873_600 
La Turchia è una terra bellissima, ricca di risorse, con molte persone intelligenti e amichevoli. Capita anche che abbia un presidente intenzionato a distruggere la nazione una volta orgogliosa. Sempre più dettagli emergono rivelando che lo Stato islamico in Iraq e Siria, conosciuto come SIIL, SI o Daish, sia mantenuto in vita da Recep Tayyip Erdogan, il presidente turco, e dal suo servizio d’intelligence turco, il MIT, la CIA turca. La Turchia, come risultato della volontà di Erdogan di aver ciò che alcuni chiamano fantasie neo-ottomane su un impero che si estende dalla Cina a Siria e Iraq, minaccia non solo di autodistruggersi, ma gran parte del Medio Oriente se continua tale percorso. Nell’ottobre 2014 il vicepresidente statunitense Joe Biden disse a una riunione ad Harvard che il regime di Erdogan sostiene il SIIL con “centinaia di milioni di dollari e migliaia di tonnellate di armi...” Biden poi chiese scusa, chiaramente per ragioni tattiche per avere il permesso da Erdogan di usare la base aerea di Incirlik per gli attacchi aerei contro il SIIL in Siria, ma le dimensioni del sostegno di Erdogan al SIIL si rivelano molto, molto più grandi di quanto accennato da Biden. I terroristi del SIIL sono stati addestrati da Stati Uniti, Israele e anche dalle forze speciali turche nelle basi segrete nella provincia di Konya, in Turchia al confine con la Siria, nel corso degli ultimi tre anni. Il coinvolgimento di Erdogan nel SIIL è molto profondo. Nel momento in cui Washington, Arabia Saudita e Qatar addirittura sembrano aver tolto il sostegno al SIIL, incredibilmente persiste. Il motivo appare il grande sostegno di Erdogan e del suo compare neo-ottomano, il primo ministro Ahmet Davutoglu.

sabato 5 dicembre 2015

Libia, caos dimenticato alle porte di casa

di Stefano Magni
29 novembre 2015
 
Il grande gioco diplomatico seguito alla strage di Parigi sta ridefinendo le alleanze contro l’Isis (nuovo asse fra Russia e Francia, tensioni fra Russia e Turchia), sta costringendo la diplomazia internazionale a trovare nuove soluzioni per la Siria, ma lascia un tassello pericolosamente scoperto: la Libia.
Nella ex colonia italiana, a due passi dalle nostre coste, lo Stato Islamico è radicato ormai da un anno. Risale all’inizio del 2015 la strage di egiziani copti, quello dopo la quale l’Isis avvertì che la sua prossima tappa sarebbe stata l’Italia.

venerdì 4 dicembre 2015

Italia - Libia, il rebus degli ambasciatori

27 novembre 2015 Paolo Crecchi

Roma - Due governi in Libia, due ambasciatori a Roma: uno psicodramma diplomatico, con l’aggravante che ventisei ragazzini iscritti alla scuola libica in Italia sono stati espulsi e intere famiglie sono dovute tornare in patria.
Storia complicata. Il 4 dicembre 2014 il governo di Tobruk, riconosciuto dalla comunità internazionale, informa il nostro ministero degli Esteri che l’ambasciatore a Roma non è più Ahmed Safar ma Ezzedine Al Awami, con il grado provvisorio di «incaricato d’affari». Safar è stato nominato sette mesi prima, quando la Libia era ancora un Paese relativamente unito, ed è sospettato di simpatie eccessive verso il governo di Tripoli che la comunità internazionale non riconosce ma l’Italia, anche se informalmente, sì: per tutelare i propri interessi economici legati a petrolio e gas, per arginare o illudersi di farlo l’immigrazione via mare, persino per difendersi dalla malevolenza dei fondamentalisti islamici. Tra l’altro i quattro dipendenti dell’azienda di montaggi industriali Bonatti, rapiti a luglio, sono sempre in mani ignote ma sicuramente prigionieri nel deserto della Tripolitania.

giovedì 3 dicembre 2015

Dividere Siria e Iraq in quattro stati: è la fine di Sykes-Picot

23 novembre 2015 - 14:45

Sempre più voci si uniscono al coro di chi punta alla divisione etnica e confessionale di due paesi nati dalla fine dell’impero ottomano senza tener conto di questi elementi imprescindibili per la stabilità

di Luciano Tirinnanzi
@luciotirinnanzi
Senza riforme veloci e importanti saremo tutti trascinati verso la spartizione del Paese, che Allah non voglia” ha sentenziato per la prima volta in pubblico la guida sciita dell’Iraq, il Grande Ayatollah Ali Sistani, rivelando quali sono le reali paure del suo popolo e confessando quali potrebbero essere le probabili conseguenze di questa guerra, senza più infingimenti o capriole politiche. Segno che qualcosa si sta davvero muovendo ai più alti livelli politico-diplomatici.

mercoledì 2 dicembre 2015

Armi: la tratta che collega Haftar ai ribelli siriani

26 novembre 2015 - 11:00


Da un’inchiesta del New York Times emerge un accordo tra una società degli Emirati e un’azienda nordcoreana per la fornitura di razzi e fucili alle milizie anti-Assad. A svolgere il ruolo di intermediario il generale libico

A trainee soldier from the Libyan army speaks with a commander in front of a shooting target during his graduation exam in Geminis


martedì 1 dicembre 2015

Chi pilota l’Isis ha il terrore che smettiamo di avere paura

21 novembre 2015
«Non c’è un solo governo, al mondo, che non sia controllato da quei poteri»: per Fausto Carotenuto, già analista strategico-militare dei servizi segreti, è deprimente assistere alla farsa dei media mainstream, che si affannano a presentare “la mente”, “il basista” e “l’ottavo uomo” della strage di Parigi, come se si trattasse delle indagini per una normale rapina alle Poste. In compenso, su voci alternative come “Border Nights”, può capitare di avere – in appena un paio d’ore, grazie a semplici collegamenti Skype – informazioni e analisi di altissima qualità, capaci di superare centinaia di ore di infotainment e chilometri di carta stampata. E’ accaduto anche martedì 17 novembre, a quattro giorni dalla mattanza: ospiti della trasmissione, oltre a Carotenuto, un indagatore come Paolo Franceschetti (delitti rituali, Rosa Rossa, Mostro di Firenze), il regista Massimo Mazzucco (11 Settembre), Gioele Magaldi (“Massoni, società a responsabilità illimitata”) e un secondo massone, Gianfranco Carpeoro, esperto di codici simbolici: «Scordatevi qualsiasi altra pista, quello di Parigi è stato un attentato progettato da menti massoniche o para-massoniche e destinato innanzitutto ad altri massoni, i soli in grado di cogliere immediatamente il significato di quella data, 13 novembre».