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sabato 30 giugno 2018

Gamal Abd Al-Nasser: dalla rivoluzione egiziana al sogno infranto del panarabismo

di Roberto Cascio
http://www.istitutoeuroarabo.it/DM/wp-content/uploads/2017/04/copertina-Gamal-Abd-el-Nasser.jpg 
Nella storia contemporanea, risulta particolarmente complesso trovare un personaggio così controverso e discusso come il presidente egiziano Gamal Abd Al-Nasser. Sebbene siano ormai trascorsi più di 40 anni dalla sua morte, avvenuta nel 1970, Nasser divide tutt’oggi gli studiosi sulla reale portata delle sue politiche non solo in terra egiziana, ma nell’intero mondo arabo. Se da una parte si sostiene che Nasser «ha segnato la storia dei popoli arabi, per i quali ha rappresentato la “loro ora più bella”» (Bagozzi, 2011: 6), dall’altra parte, non sono pochi coloro che ritengono il presidente egiziano come colui «che ha collezionato soltanto sconfitte nella propria vita» (Minganti, 1979:109).
Da tali premesse, un tentativo di comprensione dell’opera e delle politiche del presidente egiziano non può fare a meno di ripercorrere i tratti biografici più salienti e i temi principali delle ideologie da lui abbracciate, in modo da sfuggire, per quanto possibile, a quel desiderio di incasellare e classificare l’intera politica di Nasser come quella, a seconda dei diversi punti di vista, di un «demagogo … bolscevico … militarista … anarchico … fascista …» (Daumal e Leroy, 1970: 9), mostrando invece, oggettivamente, l’evoluzione delle idee e dell’agire nasseriano.
La rivoluzione e l’avanguardia: il lungo cammino di Nasser 
Gamal Abd Al-Nasser nasce il 15 gennaio 1918 ad Alessandria d’Egitto; la sua famiglia è originaria di Beni-Morr, un piccolo paese non lontano da Assiout, da dove suo padre si spostò trasferendosi ad Alessandria per lavorare lì come funzionario delle poste. Durante la sua infanzia, Nasser cambia spesso città di residenza, fino a tornare nella sua città natale nel 1929, dove, giovanissimo, viene a contatto con le manifestazioni nazionaliste dell’estate 1930, duramente represse dalla monarchia egiziana. Il trasferimento al Cairo, nel 1933, vede il giovane Nasser ancora coinvolto nelle agitazioni studentesche e sempre più convinto della necessità di affrontare l’imperialismo britannico in nome di una patria libera e indipendente; notevoli sono le parole cariche di speranza rivolte ad un compagno di scuola in una lettera: «Dove sono coloro che offrivano la loro vita per liberare il Paese?…Dov’è la dignità? Dov’è la giovinezza ardente? (…) Scuoteremo la nazione, risveglieremo le energie nascoste nel cuore degli uomini …» (Daumal e Leroy, 1970: 32).

venerdì 29 giugno 2018

Circuito di morte nel «Mediterraneo allargato»

È uno strano traffico quello che solca il Mediterraneo: in una direzione, armi che vanno verso l’Africa e il Medio Oriente; nell’altra, rifugiati vittime di quelle armi. Stranamente, i responsabili politici europei fingono di ignorare la causa principale di queste migrazioni.
| Roma (Italia)
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I riflettori politico-mediatici, focalizzati sui flussi migratori Sud-Nord attraverso il Mediterraneo, lasciano in ombra altri flussi: quelli Nord-Sud di forze militari e armi attraverso il Mediterraneo. Anzi attraverso il «Mediterraneo allargato», area che, nel quadro della strategia Usa/Nato, si estende dall’Atlantico al Mar Nero e, a sud, fino al Golfo Persico e all’Oceano Indiano.
Nell’incontro col segretario della Nato Stoltenberg a Roma, il premier Conte ha sottolineato la «centralità del Mediterraneo allargato per la sicurezza europea», minacciata dall’«arco di instabilità dal Mediterraneo al Medio Oriente». Da qui l’importanza della Nato, alleanza sotto comando Usa che Conte definisce «pilastro della sicurezza interna e internazionale». Completo stravolgimento della realtà.

giovedì 28 giugno 2018

Droni, svelati 550 raid americani in Libia. Quasi tutti da Sigonella

Posted by on 21,Giu,2018

Il numero degli attacchi supera quelli lanciati nel resto del mondo. Nel 2016 Sirte usata come laboratorio delle guerre robotizzate con 300 missioni tra le case

di GIANLUCA DI FEO
Partono quasi ogni notte, con un sibilo silenzioso. Sagome spettrali confuse nell’oscurità prendono il volo dalla pista di Sigonella, dirette verso le coste dell’Africa. Sono i droni da combattimento americani, diventati i protagonisti più discussi della guerra contemporanea. Ma nessuno finora aveva scoperto che il campo di battaglia principale di questo conflitto tecnologico è la Libia, epicentro delle incursioni teleguidate statunitensi. Adesso un’inchiesta condotta da Repubblica in collaborazione con la testata investigativa The Intercept è in grado di rivelare che dal 2011 i bombardieri robot Usa hanno lanciato almeno 550 attacchi sul suolo libico.
È un numero altissimo, che apre uno squarcio sul lato più oscuro della sfida globale al terrorismo e mette in discussione la contabilità fornita dalla Casa Bianca di fronte alle richieste dei parlamentari Usa e delle associazioni per i diritti civili di tutto il mondo. Le autorità di Washington infatti non hanno mai presentato dati sulle incursioni dei droni in territorio libico. Ma gli attacchi lanciati in Libia durante la presidenza Obama sono superiori al totale dei raid scagliati nello stesso periodo in Pakistan, Yemen e Somalia. E, secondo le fonti interpellate da Repubblica, la quasi totalità di queste 550 missioni killer è stata realizzata usando la base italiana di Sigonella.
Obiettivo Gheddafi
Proprio nell’installazione siciliana il 25 marzo 2011 è stato attivato il 324th Expeditionary Reconnaissance Squadron, un reparto dell’aviazione statunitense dotato di Predator, i primi velivoli da combattimento senza pilota.

mercoledì 27 giugno 2018

Papa Francesco Soros

25 agosto 2017
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M’INQUIETA
Lo dico con la morte nel cuore, ma questo Papa m’inquieta.
M’inquieta il suo estremismo ideologico, l’assenza di profondità con cui sembra affrontare temi epocali che scuotono dalle fondamenta la nostra società. M’inquieta la sua puntuale strategia mediatica, perfettamente coerente con le esigenze del mainstream da cui sembra golosamente attratto. M’inquieta il fatto che lui dica esattamente quello che le élite mondiali vogliono sentir dire. M’inquieta, su alcuni temi, vedere la Chiesa di Roma succube dello Spirito del Tempo, in linea col peggior mondialismo tecnocratico la cui deriva stiamo scontando sulla nostra pelle. M’inquieta, sull’immigrazione, sentire un Papa parlare come un documento della Open Society.
E se il vicario di Cristo, capo della Chiesa romana, sembra il replicante di Soros forse dovremmo inquietarci tutti. Se ottiene il plauso di Emma Bonino e fai fatica a distinguere il suo messaggio da un articolo di Roberto Saviano, vuol dire che la Chiesa ha cessato di essere “incredibile” per diventare banalmente credibile.

martedì 26 giugno 2018

PAPASOROS

posted by
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Che c’azzecca il gesuita Bergoglio con il gesuitico Soros? Anzi, facciamo un passo indietro. Se Bergoglio è un gesuita di nome e di fatto, per scelta di gioventù, perché Soros è gesuitico? Semplice, perché – dello spirito gesuitico, inteso come ipocrita attitudine alla manipolazione del vero a beneficio di un presunto ‘bene’ superiore – egli è l’incarnazione suprema. Il multimiliardario che ama i poveri del mondo, lo speculatore internazionale che supporta i movimenti democratici e le rivoluzioni ‘colorate’, l’apolide senza terra per il quale la terra dev’essere unica per tutti: un succulento mercato senza confini. Notate come ciascuna delle proposizioni di cui sopra gronda contraddizione? Ecco, in ciò sta la quintessenza gesuitica di Soros che, però, si accompagna a un altro fattore: il secondo fine.

lunedì 25 giugno 2018

Frotterist Bilderberg’s House, la forma del contatto

Grazie ad una giornalista infiltrata, abbiamo scoperto una cosa sensazionale: non c’è nulla da scoprire di particolarmente interessante, osservando dall’interno il gruppo Bilderberg.

17 giugno 2018beppegrillo.it
di Beppe Grillo e il suo Neurologo Marco Sarà.
Club Bilderberg


Quando studiate il comportamento di una formica, non riuscirete a distinguerlo dalle altre. Quello che cambia nel tempo, spesso in modo non facile a replicarsi, è il formicaio. E’ la summa di tutte le formiche a comportarsi in un certo modo, piuttosto che un altro, al fine di perseguire il suo scopo essenziale di organismo vivente: sopravvivere.

Grazie ad una giornalista infiltrata del Daily Mail Online, Sian Boyle, abbiamo scoperto una cosa sensazionale: non c’è nulla da scoprire di particolarmente interessante, osservando dall’interno il gruppo Bilderberg. Proprio come se guardaste tante formiche: non sono interessanti come il formicaio, e ciò che fa il formicaio –a parte sopravvivere- non è a dato sapersi; non sappiamo cosa farà di diverso o di particolare quest’anno per sopravvivere insomma.

domenica 24 giugno 2018

Due cose sul Franco CFA (e sull’Euro e l’Africa)

1 settembre 2017, Giuseppe Masala.
Il colonialismo è ancora un fenomeno reale e pervasivo che tarpa le ali di qualsiasi opportunità per i paesi africani. Il caso del Franco CFA, un mezzo per depredare immense risorse

Kemi Seba

L’arresto in Senegal del militante panafricano Kemi Seba (nella foto), di nazionalità francese, reo di aver bruciato, durante una manifestazione, alcune banconote di franchi CFA, ha riaperto il dibattito su questa moneta considerata da molti lo strumento principale con il quale la Francia (ma ora tutti i paesi della zona euro) esercitano il neo colonialismo nell’Africa francofona.


Il Franco CFA nasce nel 1945 con gli accordi di Bretton Woods; infatti all’epoca si chiamava Franco delle Colonie Francesi Africane. Successivamente nel 1958 cambia nome e diventa Franco della Comunità Francese dell’Africa.


Fino a qui tutto normale se non per due piccoli particolari.


1) il Franco CFA è una moneta ancorata a un cambio fisso, prima con il Franco Francese e ora con l’Euro.