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sabato 9 giugno 2018

Camion bomba, kalashnikov, propaganda e Corano. Un anno da infiltrato in Libia con i miliziani dell’Isis

Si chiama Il mio nemico la docu-serie realizzata da Luigi Pelazza in onda su Sky Atlantic, per tre domeniche
3/6/2018 massimiliano peggio
Il ciak del terrore è un battito di mani che s’intravede riflesso negli occhiali di un giovane martire di Daesh, nato e cresciuto a Tripoli, morto all’età di 15 anni alla guida di un furgoncino carico di esplosivo, lanciato contro una raffineria nel Golfo della Sirte. Per mesi il regista di quel ciak, un videomaker tunisino inserito nelle cellule dello Stato Islamico attive nel Nord della Libia, tra il 2016 e i primi mesi del 2017, ha accettato di lavorare come infiltrato di una troupe televisiva occidentale. Un infiltrato nel cuore dello Stato Islamico.
Il risultato è un «backstage» del terrore. Con immagini esclusive che ritraggono il dietro le quinte dell’Isis, svelando il lato oscuro di questi attori di morte, plasmati e usati per combattere la guerra mediatica all’Occidente e conquistare nuovi adepti da trascinare sui fronti del fondamentalismo islamico.



Il progetto
Autore di questo racconto è Luigi Pelazza, torinese, volto noto delle Iene, che ha realizzato un docu-film per il ciclo «Il racconto del reale» di Sky Atlantic, che andrà in onda nelle prossime settimane. «Il progetto - racconta Pelazza - è nato quasi per caso, cercando di infiltrare un giovane marocchino nelle moschee milanesi, a caccia di fondamentalisti e imam dediti al proselitismo a favore dello Stato Islamico».
Il giovane, che ha accettato di interpretare la parte vestendo i panni di apprendista pizzaiolo, è stato così bravo da mettersi in contatto con un militante tunisino, poco più che ventenne, reclutato dall’’Isis per combattere in Cirenaica. «Ho incontrato questo ragazzo in un hotel di Tunisi. Dopo avermi dato prova di far parte dello Stato Islamico, ha accettato di diventare il “mio infiltrato”. Per farlo ha rischiato la vita».
Non un vero e proprio fondamentalista, ma un militante attratto più dai soldi che dai precetti del Corano. Come in fondo è accaduto per molti altri giovani maghrebini che si sono uniti alle cellule attive in Libia, contro i soldati del governo regolare libico, stregati dal richiamo della violenza, dall’adrenalina delle pallottole, dal fascino sinistro della guerra. E dai soldi. Quelli accumulati dall’Isis smerciando di contrabbando il petrolio raffinato negli impianti del Golfo della Sirte.

I filmati
Il materiale è stato realizzato nell’arco di mesi. Nel periodo più sanguinoso degli scontri. «I filmati che ci ha consegnato l’infiltrato sono andati al di là delle nostre aspettative», racconta la Iena, autore di innumerevoli reportage ad alto impatto che gli hanno procurato anche un’espulsione dal Marocco nel 2016 per aver cercato di documentare un giro di prostituzione minorile. I video realizzati sono uno spaccato di vita quotidiana dietro le trincee. Sono volti di ragazzi che si concedono al cameraman rispondendo alle sue domande. Sorridono mentre chiedono quanto costi la telecamera, prima di lanciarsi all’attacco con i kalashnikov in mano. Ci sono i retroscena degli attacchi alle cisterne di greggio di Ras Lanuf, a circa 650 chilometri a Est di Tripoli. Pick-up trasformati in cannoniere che bersagliano i silos provocando un disastro ambientale, con immani colonne di fumo immortalate anche dai satelliti della Nasa.


I camion bomba
Immancabili, nella liturgia del terrore, i preparativi per allestire i camion bomba, utilizzando il potere distruttivo di proiettili di artiglieria e bombole di gas. Ci sono le sequenze che ritraggono l’approccio maniacale e sapiente dei tecnici della jihad che collegano fili e inneschi, da affidare poi al martire di turno che saluta raggiante gli amici combattenti dando loro appuntamento nell’affollato aldilà dei fanatici del radicalismo religioso. «Amico, questa sera sarai in paradiso», dicono due uomini, abbracciandosi. «Sono immagini inedite - spiega Pelazza - che raccontano il prima e il dopo di molti filmati che lo Stato Islamico diffonde in rete».
Seguendo questo «backstage» si scopre anche l’esistenza di una regia, di una cura nei dettagli nella sceneggiatura del fronte. Perché la guerra va resa più avvincente, accattivante per gli spettatori che si nutrono di social. «Se riuscite ad avere una buona visuale di tutta la zona - dice il cameraman-infiltrato ad un combattente in mimetica e cappuccio nero - rimanete lì». Dà consigli per migliorare la scena finale. E aggiunge: «Se non è possibile venite davanti ok?».

La consegna
Il materiale video, contenuto in un hard disk, è stato consegnato a Tunisi. «È stata una donna, presumo un’amica del mio infiltrato - dice Pelazza - a portarmi l’hard disk in hotel. Nel darmelo non ha detto una parola». Poi, per mettere al sicuro il «bottino», si è imbarcato all’ultimo momento su una nave diretta a Palermo. «Ho dovuto improvvisare per non prendere il volo di ritorno. Se la polizia tunisina avesse scoperto quei filmati, sarebbero stati guai». Con l’aiuto di esperti e un professore islamista, si è passati alla verifica delle sequenze e alle traduzioni. «Il risultato è un docufilm reale che racconta i due volti di quella guerra a pochi chilometri dall’Italia».

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