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martedì 21 febbraio 2017

Si muore prima. Nonostante il progresso? No, a causa sua

Di Massimo Fini

Secondo uno studio frutto dell’indagine di 180 ricercatori, in Italia diminuisce per la prima volta l’aspettativa di vita che attualmente è di 78 anni per gli uomini e di 82 e spiccioli per le donne.
Io sono da sempre convinto che la generazione che è nata intorno agli anni Sessanta e ancor più quelle successive abbasseranno la media della lunghezza della vita. Com’è possibile con gli straordinari progressi della medicina che è capace di allungare esistenze (anche se spesso la qualità di queste vite è vicino allo zero) ben aldilà del limite naturale contro il quale si sarebbero infrante? In Italia noi abbiamo avuto e abbiamo straordinari vecchi che hanno vissuto fino a novant’anni, come Dario Fo, Umberto Veronesi, Margherita Hack o addirittura fino a 102 come Rita Levi Montalcini o 106 come l’ancora vivissimo Gillo Dorfles. Per citare solo alcuni di quelli famosi. E di vecchi di questo genere, lucidi e in discreta salute, ce ne sono in giro parecchi. Ma sono tutti uomini e donne forgiati, fisicamente e moralmente, dalla guerra. Chiunque abbia conosciuto e frequentato persone di quelle antiche generazioni avrà notato la saldezza di nervi con cui affrontano i problemi. Non si mettono a fare il ponte isterico per qualsiasi sciocchezza come i giovani di oggi.

Quelli che erano bambini nell’immediato dopoguerra non hanno dovuto fare i conti con l’inquinamento industriale e le polveri sottili emesse dai tubi di scarico delle macchine. Io nei primi Cinquanta abitavo in una via periferica di Milano, via Washington, una strada molto larga. Mettevamo le cartelle a fare da pali e quando passava una macchina ci scansavamo (anche se il problema era sempre lo stesso: il tiro era troppo alto o era il portiere a essere troppo piccolo?). Milano allora era una città di tram più che di automobili. Un dossier dell’Agenzia della UE ha calcolato che in Europa lo smog è causa di 467 mila morti ‘premature’ l’anno.
Nei Cinquanta si mangiava poco, si tirava la cinghia. L’obeso era un’assoluta eccezione. Osservate, se volete, i funerali di Fausto Coppi nel 1960. La folla accorsa ad onorare in silenzio il suo campione, vestita modestamente ma dignitosa, ha volti asciugati e persin belli nella loro asciuttezza. Eppoi quando l’auto era ancora privilegio di pochi se non si prendeva il tram o il filobus si andava di bici o a piedi. E tutti i giochi, a qualsiasi età, erano quasi sempre giochi di movimento. Il ‘personal trainer’ non era stato ancora inventato.
Si mangiava poco ma si mangiava sano. Oggi i vitelli, le mucche, i polli, stabulati, sotto le luci dei riflettori 24 ore su 24 perché crescano più in fretta, sviluppano le malattie degli umani: pressione alta, scompensi cardiocircolatori, infarto, diabete, depressione. E mangiar carni di un animale malato ci fa ammalare.
I ‘baby boomers’ sono cresciuti nella bambagia. Vaccinati praticamente su tutto. Ma basta che si affacci un bacillo o un virus nuovo e sconosciuto che van subito kappaò. Facciamo un esempio modesto. Quest’inverno c’è stata un’influenza nuova e particolarmente pesante. Tutti i miei amici giovani se la sono beccata, quelli vecchi no. Probabilmente vivendo nella loro infanzia nella sporcizia e senza tante precauzioni si sono, come dire, autovaccinati.
La droga falcia migliaia di giovani vite l’anno.
C’è poi un fenomeno parzialmente nuovo e inquietante che riguarda soprattutto i lavori impiegatizi e manageriali: le morti per ‘eccesso di lavoro’ che i giapponesi, che l’hanno studiato, chiamano karoshi. In una società sempre più competitiva, globalizzata, dove le aziende si fanno una lotta feroce, chi lavora è costretto a dare sempre il massimo e qualcuno finisce per lasciarci la pelle. I ‘furbetti del cartellino’, l’ho già scritto, non hanno poi tutti i torti anche se a spese altrui: “primum vivere deinde laborare” (Che del resto in latino vuol dire ‘soffrire’ e San Paolo chiama il lavoro “quello spiacevole sudore della fronte”). E’ solo con l’Illuminismo, con i suoi derivati sia capitalisti che marxisti – Stachanov è un eroe dell’Unione Sovietica- che il lavoro diventa un valore, prima lo era il tempo, l’’otium’.
In epoca moderna, fino a non molto tempo fa, in famiglia lavorava uno solo: l’uomo. Non voglio con questo sminuire il mestiere della casalinga che insieme a tante altre cose ha il compito di accudire i figli e anche quello stronzo del marito. Ma certo è un lavoro meno stressante e un po’ più appagante che stare alla catena di montaggio o fare la cassiera di un supermarket. E così molte donne che lavorano cominciano ad avere patologie, come l’infarto, che una volta erano una sinistra prerogativa maschile. Peraltro molte di loro fanno un doppio lavoro: quello propriamente detto e quello in casa.
C’è un’unica categoria che riesce a sfuggire alla falce della Nobile Signora per delle eternità: sono i politici. Bella forza: non hanno fatto una sola ora di lavoro in vita loro.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 2 febbraio 2017

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