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mercoledì 8 febbraio 2017

Italia-Libia, un accordo contro i diritti

Sostegno militare e risorse finanziarie: è la contropartita che il Governo Gentiloni si è impegnato a garantire all’esecutivo di Tripoli in cambio del “blocco” dell’immigrazione dalle coste libiche. Un salto indietro sancito il 2 febbraio che l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione giudica “vergognoso” e preoccupante
Il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e il Primo Ministro libico Fayez al-Sarraj - © Palazzo Chigi
Il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e il Primo Ministro libico Fayez al-Sarraj - © Palazzo Chigi
Negli otto articoli del “Memorandum d’intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia e la Repubblica Italiana” sottoscritto a Roma il 2 febbraio 2017, la parola “diritti” compare una sola volta. All’articolo cinque: “Le Parti si impegnano ad interpretare e applicare il presente Memorandum nel rispetto degli obblighi internazionali e degli accordi sui diritti umani di cui i due Paesi siano parte”. Esclusa la “Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati”, firmata a Ginevra nel luglio 1951 e nella quale non rientra il Paese guidato oggi da Fayez Mustafa Serraj.

La strategia italiana ha ricevuto il sostegno dell’Unione europea al Summit informale della Valletta, il 3 febbraio. Una decisione che l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (ASGI, www.asgi.it) ha definito un autentico “tradimento” dei “principi cardine della civiltà giuridica” nonché una palese violazione della “base democratica sulla quale si fonda la pacifica convivenza dei cittadini”. L’Ue e il Governo guidato da Paolo Gentiloni, pur di bloccare i “partenti” -162.895 nel 2016, 37.500 dei quali dalla Nigeria, dati UNHCR- starebbero infatti “aggirando il dovere di accogliere le persone in fuga da persecuzioni e guerre con una politica estera in materia di immigrazione in gran parte basata su accordi e partenariati stipulati con governi dittatoriali, come il Sudan, la Libia, il Niger o totalmente incapaci di garantire l’incolumità dei propri cittadini, come l’Afghanistan”. Il principio di non refoulement è calpestato “in quanto questi accordi esigono che i Paesi terzi blocchino con l’uso della forza il passaggio di persone in chiaro bisogno di protezione internazionale. Ciò in cambio di competenze e attrezzature militari oltre che dei fondi per la cooperazione, ossia di quelle risorse economiche che dovrebbero, al contrario, essere destinate alla crescita e allo sviluppo dei Paesi terzi, ignobilmente degradate a merce di scambio”.
L’accordo “vergognoso” con la Libia -sottoscritto anche per dar nuova linfa al Trattato dell’agosto 2008- impegnerebbe poi il nostro Paese, come fa notare ASGI, a “fornire strumentazione e sostegno militare, strategico e tecnologico, oltre a fondi solo teoricamente per lo sviluppo, ad un Governo sotto costante ricatto di milizie violente e armate, al fine di bloccare e controllare le partenze dei migranti in fuga”.
La missiva dell’Associazione contiene anche un appello rivolto alle Ong e all’agenzia Onu per i rifugiati: “Alle grandi e piccole Organizzazioni non governative della cooperazione internazionale chiediamo che si rifiutino di assecondare questo utilizzo strumentale dei fondi, pretendendo che l’erogazione di questi ultimi non venga condizionata alle politiche di controllo della frontiera. All’UNHCR e all’OIM, chiediamo che si rifiutino di continuare ad accettare di svolgere per la Commissione Europea incarichi apparentemente finalizzati al sostegno e alla cura dei migranti e dei rifugiati, ma che sono in realtà fondamentalmente diretti a favorire il respingimento e il controllo degli uomini e delle donne in fuga da persecuzioni e conflitti”.
Il Governo resuscita politiche già viste mentre diversi tribunali d’Italia stanno evidenziato, da tempo, un elemento interessante rispetto al riconoscimento di una qualche forma di protezione internazionale. Chi si occupa di raccogliere e classificare le ordinanze è il progetto “Melting Pot Europa” (http://www.meltingpot.org/): Lecce, Palermo, Reggio Calabria. Negli ultimi sette mesi sono state accordate forme di tutela anche a migranti che avevano subito violenze non tanto nel Paese di origine quanto in quello di provenienza. E cioè la Libia. Lo stesso Paese dove i centri governativi deputati ad “accogliere” i migranti in transito sono finiti al centro di un rapporto della “Missione di supporto” (Unsmil) delle Nazioni Unite per malattie, malnutrizione, abusi, torture, pestaggi, estorsioni, come raccontato a metà gennaio sulle pagine dell’Avvenire.
“Per superare le attuali politiche di gestione dei flussi migratori, arbitrariamente selettive e inique, -ha concluso l’ASGI- è necessario rafforzare in modo consistente le operazioni di soccorso in mare, prevedere la possibilità di rilascio, nei Paesi di origine o di transito, di un visto di ingresso in relazione a conflitti armati o a gravi violazioni dei diritti fondamentali, che consenta l’accesso sicuro nel territorio europeo a chi è costretto a fuggire”. Ma la Fortezza Europa si è chiusa.
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