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mercoledì 1 aprile 2015

ennesimo tentativo di corruzione, e false promesse ai danni del popolo libico.

In questi giorni, circolano alcuni articoli, scritti da chi ha la "soluzione" per la Libia,adesso che una delle parti, cioè il governo "eletto" di Tobruk sta facendo progressi sul terreno, ( in verità spinto dalle grandi tribù Libiche), ecco che arriva il ricatto, per carità, ti parlano di "aiuti", "formazione" ecc, altrimenti?. Altrimenti SANZIONI.

Libia, Italia in primo piano nell'ultima mediazione. Addestramento militare e "Piano Marshall", queste le nostre promesse
Umberto De Giovannangeli, L'Huffington Post Pubblicato: 23/03/2015 19:02 CET

Addestrare i quadri del “nuovo esercito nazionale”. Supportare, anche economicamente, la ricostruzione di un sistema amministrativo e istituzionale che faccia uscire la Libia dalla sua condizione attuale: quella di uno “Stato fallito”. Lavorare, in ambito europeo, perché si individuino le risorse finanziarie necessarie per dar vita a un “Piano Marshall” per i Paesi della sponda Sud del Mediterraneo, oggi nel mirino dell’Isis e di al Qaeda. Così l’Italia, confida all’Huffington Post una fonte diplomatica bene informata, intende giocare un ruolo di primo piano sullo scenario libico, a supporto dell’ "ultima mediazione” in atto a Rabat.

"Le cose progrediscono bene" e "c'è una possibilità di formare un governo di unità nazionale entro la fine della settimana". È ottimista il mediatore dell'Onu per la Libia, Bernardino Leon, arrivando all'incontro con i sindaci delle città libiche organizzato a Bruxelles dall'Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Unione europea, Federica Mogherini. "Questo incontro dà l'opportunità di mostrare ai libici che ci possono essere benefici anche prima di un accordo finale", ha detto Leon, aggiungendo che tra Misurata e Zintan "è già cominciato lo scambio di prigionieri". "In Libia – ribadisce Mogherini - "non c'è nessuna opzione militare. Risolvere la crisi in Libia è una sfida internazionale e riguarda la sicurezza non solo della Libia, ma anche dell'Europa e dell'Africa".

Ma il tempo non lavora per la pace. Tripoli è ancora un campo di battaglia, per questo occorre mettere sul tavolo proposte e non promesse, scegliendo con intelligenza gli ambiti nei quali vi può essere un interesse comune tra il “governo” di Tobruk e quello di Tripoli. “In Libia non esiste oggi l’uomo della provvidenza che può imporre con la forza una uscita dalla crisi", dice ancora la fonte diplomatica all’Hp. In Libia non è possibile importare il “modello egiziano”, il che significa che l’Italia non punta sul generale Haftar come interlocutore privilegiato, perché viene considerato un elemento di divisione in una fase in cui è necessario puntare su ciò che può unire le parti in conflitto. Un conflitto che rischia di estendersi dalla Libia alla vicina Tunisia, come testimonia la strage al Museo del Bardo di Tunisi.

Per evitare il “contagio” jihadista, il governo di Tunisi dovrà essere supportato in misura consistente sia dal punto di vista degli aiuti militari che sul piano economico, per compensare le inevitabili perdite che subirà una delle fonti più importanti per le casse dello Stato e dei suoi cittadini: il turismo. Mai come in questa fase, convergono analisti e diplomatici, esiste un nesso inscindibile tra politica, economia e strumento militare per ciò che concerne l’azione in Libia e nei Paesi del Maghreb.

D’altro canto se l’ultima mediazione tentata dall’inviato Onu in Libia non dovesse dare i risultati sperati, sarebbe inevitabile attivare il “Piano B” che prevede, tra le altre cose, il blocco marittimo, sanzioni individuali e congelamento dei ricavi del settore petrolifero, che finora sono stati redistribuiti fra tutte le milizie. Il problema in questo caso è che queste risorse, per quanto già ridotte, servono anche a far sopravvivere la popolazione civile. Per implementare il blocco navale devono essere impiegati almeno 5000 uomini sul terreno, a difesa delle struttura strategiche, 4/6 droni da media e bassa quota per la sorveglianza delle coste, una nave con funzioni di comando e capacità di appoggio aereo per la quale immaginiamo la portaerei Cavour, due cacciatorpediniere per la protezione aerea nel caso in cui un Mig libico volesse compiere un attacco contro la nostra portaerei, una decina di unità minori, corvette e pattugliatori per imporre fisicamente il blocco navale e chiare regole di ingaggio, onde evitare che i nostri uomini diventino bersagli impotenti di terroristi e scafisti, sottolinea un report del Geopolitical Center.

“La diplomazia occidentale – annota Roberto Aliboni, consigliere scientifico dell’Istituto Affari Internazionali - deve imporre sanzioni personali, esercitare pressioni affinché i suoi alleati nella regione, come l’Egitto, la Turchia e l’Arabia Saudita, limitino o cessino il loro sostegno ai duri, infine - seguendo il suggerimento che è appena venuto dall’Onu - devono mettere in pratica una forma più o meno coercitiva di sorveglianza marittima onde impedire i traffici di armi e petrolio che fanno capo, anche qui, ai duri di entrambe le parti”.

Non si tratta di scegliere una parte contro l’altra, ma al tempo stesso - annotano in un report su Limes, Karim Mezran, Senior Fellow presso il Rafik Hariri Center for the Middle East dell’Atlantic Council di Washington e Nicola Pedde, direttore dell’Institute for Global Studies e presidente della Middle East and Africa Foundation – occorre tener conto che “piaccia o meno alla comunità internazionale, la Corte Suprema libica ha dichiarato nulle le elezioni che hanno portato alla costituzione del cosiddetto governo di Tobruk, delegittimando in tal modo sia il sodalizio politico che quello militare di cui questo è espressione. Solo l’Italia e le Nazioni Unite sembrano tuttavia interessate a considerare questo fondamentale presupposto, opponendosi con decisione al sostegno unilaterale di alcune fazioni a danno di altre. L’intento dovrebbe essere quello di favorire non tanto il governo di Tripoli, quanto ciò che resta di istituzioni create in un contesto decisamente meno conflittuale e più pluralista di quello che, viceversa, ha dato vita al governo di Tobruk”.

Ma per sbarrare la strada ad un “Califfato del Grande Maghreb” occorre riavvicinare, se non unire Tobruk a Tripoli. “Senza un accordo preliminare tra le parti, sarebbe poco realistico pensare a un qualsiasi tipo di intervento militare esterno, compresa una missione di peacekeeping. Noi stiamo lavorando a un’altra ipotesi: organizzare missioni di polizia con alto contenuto di specializzazione da schierare in diverse aree molto pericolose. Penso alle montagne nella zona di Nafusa, alla costa occidentale intorno a Zawiya, a Bengasi. Si potrebbe trovare un’intesa con il futuro governo libico di unità nazionale per interventi circoscritti”, ha rimarcato, in una intervista al “Corriere della Sera”, l’inviato delle Nazioni Unite che media tra le fazioni libiche.

“C’è una misura – ha aggiunto Leon - che l’Unione europea può prendere subito: presidiare in forze il mare davanti alla Libia. L’Italia non può farlo da sola, ha bisogno di aiuto. Sono certo che il Consiglio di sicurezza dell’Onu appoggerebbe l’iniziativa”.

In questo quadro, Roma cerca di costruire un “patto euromediterraneo” sulla Libia, cercando un asse privilegiato con la Francia. Dopo un accordo per un processo di pace in Libia “in una cornice Nazioni Unite”, Italia e Francia “sono pronte a intervenire dal punto di vista del monitoraggio, dei cessate il fuoco e dei processi di pace, della sicurezza nei punti più sensibili, dell'addestramento delle forze di polizia e di sicurezza libiche”. Così si era espresso il titolare della Farnesina, Paolo Gentiloni, in occasione di un recente vertice ministeriale italo-francese a Caen, in Normandia, rimarcando come quello di Italia e Francia in quest'ambito sarà “un ruolo assolutamente cruciale”.

“La premessa - aveva aggiunto Gentiloni - è che ci sia un accordo fra la maggior parte delle fazioni che oggi si combattono in Libia. Su questa base ci potrebbe essere una cornice Nazioni Unite che decide di appoggiare questo processo di pace. All'interno di questa cornice, certamente un Paese come l'Italia e certamente un Paese come la Francia sono pronti a intervenire”. Il loro ruolo sarà “assolutamente cruciale”, si svolgerà in ambito europeo ma “non possiamo chiedere ad altri Paesi europei di avere lo stesso impegno che avranno l'Italia e la Francia”. “Nel quadro di un processo deciso dall'Onu – spiega il ministro degli Esteri - ci sarà un'attività di monitoraggio condotta da forze di polizia o militari dei due Paesi”. Il che significa costruire anche un’unità d’azione con Paesi in prima linea da tempo nel Maghreb per contrastare la penetrazione jihadista: tra questi Paesi in trincea, c’è l’Algeria.

E ad Algeri guarda anche l’Italia: “Abbiamo riaffermato il sostegno comune a una Libia unificata e al raggiungimento di una soluzione politica”, sottolinea il vice ministro degli Esteri e della Cooperazione Internazionale, Lapo Pistelli a margine della riunione odierna del Gruppo di contatto di alto livello Italia-Algeria sulla lotta al terrorismo. “Affronteremo la minaccia terroristica insieme – ha aggiunto il vice ministro - e lo faremo attraverso l'attuazione di programmi concreti nei prossimi mesi”.

In sostanza, il contributo italiano si articola su alcuni aspetti, tra cui il monitoraggio di un cessate il fuoco e il mantenimento della pace, ma anche l’addestramento delle Forze armate "in una cornice di integrazione delle milizie in un esercito regolare e per la riabilitazione delle infrastrutture". E sull’impegno, nelle sedi internazionali, perché sia tolto l’embargo di armi.

“L'Italia deve levare l'embargo imposto all'esportazione legale di armi verso la Libia". È questo l'appello di Agila Saleh, il presidente del Parlamento riconosciuto a livello internazionale di Tobruk. Per Saleh l'Italia dovrebbe inoltre "pattugliare il Mediterraneo" poiché "l'Isis e al Qaeda possono arrivare nella Penisola e ciò è un pericolo reale". Il presidente libico ha quindi auspicato che "Roma sia parte attiva nella lotta al terrorismo". E ancora: "L'Italia deve sostenere la Libia nell'addestramento del suo esercito e assicurare sostegno militare al nostro Paese", ha aggiunto il presidente del parlamento di Tobruk. "Quello che sta avvenendo in Libia non è una guerra inter-libica, ma una guerra tra l'esercito libico e il terrorismo. Il nostro è un esercito legittimo che risponde e obbedisce al Capo delle Forze armate, il quale è il presidente della Camera dei rappresentanti".

L’asse Roma-Parigi si estende a Paesi-chiave per la stabilizzazione del Vicino Oriente. In particolare, l’Egitto del presidente al-Sisi. Con l'Egitto si è parlato di un intervento militare congiunto nel recente vertice economico a Sharm El Sheik. “C’è condivisione ampia – ha affermato in quel frangente il presidente del Consiglio Matteo Renzi dopo il colloquio con il generale/presidente egiziano - sulla necessità di un intervento rilevante in Libia, da realizzare a partire dagli sforzi diplomatici dell’Onu”. Con la consapevolezza, ribadita dal nostro ambasciatore a Tripoli, Giuseppe, Buccino, che il vero punto nodale è che, in una Libia divisa e segnata da lotte fra fazioni contrapposte, la lotta al terrorismo finisce in secondo piano e non è realisticamente possibile contrastare i gruppi estremisti di ispirazione jihadista. Occorre giungere a un complesso accordo fra le parti in campo e ricostituire una Libia unita. Puntando sul Parlamento di Tobruk e sugli islamisti moderati di Misurata.

Preso da: http://www.huffingtonpost.it/2015/03/23/libia-italia-in-primo-piano-nellultima-mediazione_n_6925282.html

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