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mercoledì 29 aprile 2015

Lo scafista aiutato dalla Libia: «Così i soldati ci danno i barconi»

«Lo scafo si è guastato, i militari ci hanno soccorso e portato in acque internazionali. Ho dato ai poliziotti 40 mila dollari per liberare i clandestini arrestati: devono risarcirmi»

di Giovanni Bianconi e Ilaria Sacchettoni

Hanno complicità istituzionali importanti - per quanto possano ancora valere le istituzioni, laggiù - i mercanti che dalla Libia spediscono ogni giorno carne umana verso l’Italia. In ogni caso influenti. Militari che, dietro lauto compenso, favoriscono gli affari dei nuovi «negrieri», addirittura scortando i barconi fino alle acque internazionali. A svelare questo sostegno è uno dei trafficanti più attivi sull’altra sponda del Mediterraneo: Yehdego Medhane, eritreo di 34 anni con moglie e figlio con lo status di rifugiati i in Svezia, identificato dai poliziotti del Servizio centrale operativo e ora ufficialmente latitante dopo l’arresto ordinato dalla Procura di Palermo. Su di lui s’erano concentrati anche gli accertamenti della Procura di Roma, nell’ambito di un’altra inchiesta; gli investigatori del Nucleo speciale d’intervento della Guardia costiera l’avevano individuato attraverso una telefonata in cui lui stesso ammetteva la corruzione dei militari libici.

«Medhane riferisce di avvalersi della collaborazione di alcuni appartenenti alla locale Guardia costiera - si legge nel riassunto di una conversazione dell’1 agosto dello scorso anno -. In diverse occasioni infatti, pagando questi ultimi, ha ottenuto in cambio la liberazione di alcune imbarcazioni. Altre volte la stessa Guardia costiera ha fornito maggiore attenzione alle unità in difficoltà». La stessa telefonata fu ascoltata anche dalla polizia, secondo la quale Medhane vantava conoscenze tra i soldati, e raccontava che «due volte sono stati fermati in mare dalle navi militari, e sono stati lasciati andare via pagando. Medhane aggiunge che un giorno un loro barcone si è guastato in mare, e questi militari li hanno soccorsi e li hanno accompagnati fino alle acque internazionali».
In quell’occasione il mercante di stanza a Tripoli svelò al suo interlocutore di avere a disposizione due mezrha (termine che definisce i cortili o i capannoni dove vengono rinchiusi i migranti arrivati dal centro dell’Africa, finché pagano la tratta successiva e vengono imbarcati alla volta dell’Italia), uno in città e l’altro sulla spiaggia. Aggiunse che «sul posto quattro pescatori forniscono la situazione del mare, sono bravi a capire le condizioni meteo per poter affrontare eventuali viaggi», ma lui controlla anche le previsioni del tempo in tv. A conclusione del colloquio Medhane spiegò che «fino adesso abbiamo lavorato bene e non ci sono stati incidenti... Delle 750 persone 500 sono partite, altre 135 che hanno pagato in ritardo saranno trasferite al mezrha vicino al mare». Qualche mese prima il trafficante parlava di un altro tipo di corruzione istituzionale: mazzette per liberare profughi detenuti nelle prigioni di Stato, da caricare sulle barche. Gli inquirenti riferiscono che «in molte conversazioni si è ascoltato come Medhane sia impegnato nel fare uscire dal carcere i migranti clandestini arrestati in Libia, dietro pagamento di cospicue somme di denaro a personaggi corrotti, in servizio presso le carceri libiche».


Una di queste intercettazioni risale al 24 maggio 2014: «Medhane spiega all’altro che sta facendo uscire i migranti che erano stati arrestati e facevano parte del gruppo dei 150. Prosegue raccontando che li sta facendo uscire poco alla volta (20 al giorno) e che al momento ne sono rimasti in carcere 83. Poiché impegnato in tale faccenda, spiega che non ha potuto fare partire migranti». Cinque giorni più tardi, in una conversazione con l’Olanda, «Medhane informa che per “quelle persone” che erano state arrestate ha pagato 40.000 dollari ai poliziotti per farli uscire». Sono spese che intende farsi rimborsare, come sovrapprezzo sul costo della traversata verso le coste italiane: «Medhane dice all’altro che si sono accordati con le persone fatte scarcerare che appena in mare, oltre al viaggio pagheranno anche per l’avvenuta scarcerazione».
Nel decreto di fermo emesso dalla Procura di Palermo contro Medhane e 23 presunti complici, viene sottolineato che «sono evidenti anche i contatti con miliziani e poliziotti libici corrotti»; si fa l’esempio di un’intercettazione in cui è coinvolto Ermias Ghermay, presunto complice di Medhane, sospettato di aver organizzato il viaggio conclusosi con la strage di Lampedusa dell’ottobre 2013: «Uomo di nome Kibron con Ermias chiede informazioni su due donne, poi continua dicendo che hanno pagato 4.300 per farle uscire dal carcere e farle partire, uomo è preoccupato perché da un mese non hanno notizie. Ermias lo rassicura per risolvere il problema». Ancora Medhane è protagonista di conversazioni in cui si parla della compravendita dei migranti fra bande. Come quella registrata dal Nucleo della Guardia costiera il 31 luglio. L’uomo chiede all’interlocutore se «ha migranti» e quello risponde che ne ha sette «tra quelli sequestrati e altri 24 che ha consegnato ad Amir (altro trafficante, ndr ), e che quest’ultimo li ha venduti all’organizzazione di Rafu». Medhane risponde che «dei 60 migranti che gli ha mandato in precedenza gli lascia il pagamento di 2 per un importo di 6.000, e che ogni volta che gli manda i migranti gli lascerà il pagamento di uno o due».
24 aprile 2015 | 07:31
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Preso da: http://www.corriere.it/cronache/15_aprile_24/scafista-aiutato-libia-cosi-soldati-ci-danno-barconi-cf0d8bbc-ea41-11e4-850d-dfc1f9b6f2f5.shtml

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