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domenica 5 aprile 2015

Di Anniversari, Ricorrenti menzogne e Unintended consequences

27 marzo 2015

Dodici anni fa, il 20 marzo 2003, gli Stati Uniti – a capo di una coalizione di ossequienti “volenterosi” e con il mandato delle ossequienti Nazioni Unite – iniziavano l’attacco all’Iraq per distruggere le “armi di distruzione di massa” di cui quel paese era dotato, bloccarne la politica di “appoggio al terrorismo islamico”, fargli dono della democrazia.
Nel giro di quaranta giorni Baghdad fu “liberata”, la statua del dittatore immancabilmente abbattuta. Di fronte ai soldati schierati sulla portaerei Lincoln, il presidente Bush poté trionfalmente dichiarare: “Missione compiuta”.

La campagna mediatica per “vendere” alla manipolabile opinione pubblica (americana e internazionale) l’inevitabilità di quella guerra preventiva, si era appoggiata su un documento prodotto dall’Intelligence nell’ottobre del 2002 che per ovvi motivi di sicurezza doveva rimanere secretato. A detta dei vertici dell’amministrazione, il documento dimostrava oltre ogni dubbio la grave minaccia costituita dall’Iraq per la sicurezza degli Stati Uniti e del mondo occidentale: i programmi di fabbricazione degli ordigni nucleari non erano stati abbandonati, gli arsenali di armi chimiche e biologiche non erano stati distrutti, l’appoggio attivo al terrorismo alqaidista non era stato interrotto.
Condoleeza Rice, di fronte all’insaziabile e continua richiesta di prove provate che gli ispettori ONU non riuscivano a trovare, affermò stizzita e con efficace metafora che gli Stati Uniti non potevano aspettare che la “pistola fumante” si trasformasse in un fungo atomico.
La CIA consegnò copia di quel documento al Comitato per la Sicurezza del Senato – che lo aveva reclamato in base al Freedom Information Act – una prima volta nel 2004, con 72 pagine completamente censurate su un totale di 93. In seguito il Comitato poté disporre di un testo più esaustivo, in base al quale nel settembre 2006 – a disastro avvenuto e Bush rieletto – arrivò alla conclusione che Washington aveva “esagerato” la minaccia irachena e che il rapporto non confermava in alcun modo le accuse.
Il documento è stato definitivamente desecretato a fine gennaio di quest’anno.
Che i pretesti fossero inconsistenti era già risultato palese fin dai primi mesi dell’occupazione, quando nonostante le accanite ricerche sul campo non era stata trovata alcuna traccia di armi chimico-batteriologiche o di impianti per la fabbricazione di ordigni nucleari. Tuttavia le conclusioni del Comitato erano importanti, o avrebbero dovuto esserlo, perché inchiodavano i vertici della Casa Bianca alle loro reponsabilità: non erano stati indotti in errore da un rapporto sbagliato, ma ne avevano anzi deliberatamente falsificato le indicazioni per rafforzare la loro menzogna, di fatto mentendo due volte.

Migliaia di morti nella coalizione dei volenterosi, centinaia di migliaia fra gli iracheni, milioni di profughi, miliardi di dollari spesi e dodici anni più tardi le conseguenze dell’inganno sono ancora tutte da risolvere. La previsione del generale William Odom, secondo il quale l’invasione dell’Iraq si sarebbe rivelata “il più grande disastro strategico nella storia degli Stati Uniti”, si è puntualmente avverata. La rinascita irachena e il risveglio sunnita, su cui gli strateghi americani avevano contato per la normalizzazione del paese, non sono mai avvenuti. Al contrario, le violenze settarie scatenate con l’invasione hanno alimentato la crescita di al Qaida, da cui le ancora più radicali milizie dello Stato Islamico hanno origine.
In un mondo ideale, gli psicopatici che si sono resi colpevoli di un simile disastro sarebbero processati e condannati. Nel nostro mondo imperfetto, al contrario, pare che il loro sia un esempio da seguire.
Barack Obama ne prende le distanze, a parole, quando in una recente intervista ammette che l’ISIS è una derivazione di al Qaida, che a sua volta ha potuto crescere in Iraq grazie all’invasione americana. “È un esempio di conseguenze non intenzionali [unintended consequences], dice. Ed è la ragione per cui, in linea di massima, dovremmo prendere la mira prima di sparare“.
Nei fatti adotta la stessa tattica (manipolazione della realtà e noncuranza delle conseguenze umanitarie) che ha caratterizzato il suo predecessore, dal quale diventa sempre più difficile distinguerlo, per imbarcarsi anch’egli in avventure di esito catastrofico per l’intera comunità mondiale.
Libia – il bagno di sangue evitato
È il caso della Libia, di cui ricorre in questi giorni il quarto anniversario dell’inizio dei bombardamenti aeronavali a opera della NATO (19 marzo 2011). John Pilger ricorda che l’assassinio di Gheddafi e la distruzione del suo paese fu giustificato dalla solita menzogna dell’intervento umanitario: il dittatore stava pianificando un genocidio contro il suo popolo. “Sapevamo – disse Obama – che se avessimo aspettato ancora un giorno Bengasi, una città grande come Charlotte, avrebbe patito un massacro che si sarebbe ripercosso sull’intera regione e avrebbe macchiato la coscienza del mondo”.

L’autorevole fonte di questa informazione era un portavoce delle forze ribelli, che stavano subendo pesanti rovesci e spingevano per l’intervento occidentale. In un’intervista alla Reuters costui dichiarò che ci sarebbe stato “un vero bagno di sangue, un massacro come quello accaduto in Rwanda” (14/03/2011). Questo fornì la giustificazione morale all’intervento umanitario della Nato: 9700 incursioni aeree, un terzo delle quali su obiettivi civili; l’uso di uranio impoverito; Misurata e Sirte bombardate a tappeto; migliaia di morti, il paese nel caos.
“Il bagno di sangue che lui aveva promesso di infliggere alla città assediata di Bengasi è stato evitato”, affermò Obama un mese dopo. “Lui” sottintendeva Gheddafi, anche se il solo a parlare di bagno di sangue era stato il portavoce delle forze ribelli (molte delle quali, segretamente addestrate ed equipaggiate dai corpi speciali inglesi, sarebbero poi confluite nelle file dello Stato Islamico).
Il vero crimine di Gheddafi, ovviamente indicibile, era il suo progetto di una valuta africana comune, sostenuta da riserve in oro e greggio, che tramite una Banca continentale affrancasse il continente dall’egemonia finanziaria del petrodollaro. Garikai Chengu, membro del DuBois Institute for African Research Harvard University, in un articolo su Global Research, sostiene che in agosto 2011 gli Stati Uniti confiscarono alla Banca centrale libica 30 miliardi di dollari che Gheddafi aveva destinato alla creazione di di un Fondo Monetario Africano.
L’obiettivo più verosimile delle potenze occidentali era dunque quello di sbarazzarsi di un leader recalcitrante alla soggezione politica ed economica, metterne uno più docile e acquisire il controllo delle risorse del sottosuolo libico. Ma detta così non suona bene.
Siria – la linea rossa
In agosto 2012 Obama tracciò la linea rossa che il presidente siriano Bashar al Assad non avrebbe mai dovuto superare, quella dell’uso di armi chimiche: una linea rossa che di nuovo si richiamava al potente topos dell’intervento umanitario, perfetta per preparare il successivo passo verso un confronto armato contro il regime siriano. Le accuse ad Assad di averla ripetutamente superata si sprecavano, e l’eccidio avvenuto alla periferia di Damasco nell’agosto 2013 sembrò segnare il punto di non ritorno. La confusione sul campo di battaglia avrebbe consigliato prudenza nell’attribuire l’uso di armi chimiche all’una o all’altra parte; molti indizi anzi portavano a ritenere che l’uso del sarin potesse essere stato cinicamente usato dai ribelli come false flag perché l’Occidente intervenisse.


Barack Obama era perfettamente al corrente di queste riserve, espresse peraltro da buona parte degli analisti della sua stessa Intelligence; e tuttavia non perse occasione per parlarne come se fosse provata la colpevolezza del regime, fino al suo discorso davanti alle Nazioni Unite del 24 settembre 2013, quando dichiarò: “È un insulto alla ragione umana e alla legittimità di questa assemblea ipotizzare che siano stati altri e non il regime siriano a condurre questo attacco”.
Fortunatamente, la volontà di Obama di rovesciare il regime siriano si scontrò contro quella dei russi di sostenerlo, stavolta molto più determinati di quanto non avevano dimostrato con la Libia. E sfortunatamente per i falchi, un’intervista di John Kerry produsse una “unintended consequence” che inceppò il meccanismo di intervento bellico. Oggi lo stesso Kerry – dopo duecentomila vittime, 11 milioni di profughi e uno Stato Islamico che occupa buona parte del paese – è costretto ad ammettere che sì, per trovare una soluzione alla guerra in Siria, si dovrà necessariamente negoziare con il Presidente Bashar al Assad. Scusate, avevamo scherzato.
Ucraina – l’invasione russa
Il 24 settembre 2014, esattamente un anno dopo il suo discorso sulla Siria, Obama si rivolgeva di nuovo all’Assemblea delle Nazioni Unite dando la seguente personale rappresentazione della crisi in Ucraina e dell’atteggiamento geopolitico russo:
“Le recenti azioni della Russia in Ucraina mettono a repentaglio l’ordine mondiale quale si è delineato nel dopoguerra. Questi sono i fatti. A seguito delle mobilitazioni di protesta del popolo ucraino che chiedeva riforme, il loro corrotto presidente è fuggito. Contro la volontà del governo di Kiev, la Crimea è stata annessa alla Federazione Russa. La Russia ha riversato armi nell’Ucraina orientale appoggiando le violenze dei separatisti e un conflitto che ha ucciso migliaia di persone.
Quando un aereo civile è stato abbattuto da un’area controllata da questi emissari, costoro rifiutarono per giorni l’accesso ai relitti.
Quando l’Ucraina ha cominciato a riaffermare il suo controllo sul territorio, la Russia ha abbandonato ogni finzione di sostenere i separatisti e ha inviato proprie truppe oltre il confine.
Questa è una visione del mondo in cui la forza crea il diritto, un mondo in cui i confini di una nazione possono essere ridisegnati da un’altra, e per evitare che la verità sia rivelata i civili non hanno il permesso di recuperare i resti dei loro cari. L’America sostiene qualcosa di diverso.
Noi crediamo che sia il diritto a dare la forza, che le grandi nazioni non dovrebbero prevaricare quelle piccole e che ognuno dovrebbe essere in grado di scegliere il proprio futuro. Sono semplici verità, ma devono essere difese. L’America, con i suoi alleati, appoggerà il popolo ucraino nello sviluppo della loro democrazia ed economia. Noi rinforzeremo i nostri alleati nella NATO e sosterremo il nostro impegno di autodifesa collettiva. La Russia dovrà pagare il costo dell’aggressione, e contrasteremo le menzogne con la verità.
Chiediamo ad altri di unirsi a noi dalla parte giusta della storia – perché i piccoli vantaggi che si possono estorcere puntando una pistola alla fine si ritorceranno contro, se saranno abbastanza le voci che si levano per la libertà delle nazioni e dei popoli di decidere autonomamente.“
Ho già commentato altrove le affermazioni dei primi tre capoversi: alla fine del post “Il fascino discreto dei neocons” e nel post “Un Boeing insabbiato” – a cui rimando chi avesse voglia e tempo.
Quanto ai capoversi successivi mi chiedo se anche voi, come me, avvertite una sensazione di grottesca ipocrisia, o di cieca negazione della realtà come fa il proverbiale bue quando dà del cornuto all’asino.
Ecco allora un breve elenco, probabilmente incompleto, delle nazioni che direttamente o indirettamente hanno goduto della traboccante passione americana per la libertà e l’autodeterminazione dei popoli nel corso degli ultimi 35 anni:
Iran (1980, 1987-1988)
Libia (1981, 1986, 1989, 2011)
Libano (1983)
Kuwait (1991)
Iraq (1991-2011, 2014)
Somalia (1992-1993, 2007-)
Bosnia (1995)
Saudi Arabia (1991, 1996)
Afghanistan (1998, 2001-)
Sudan (1998)
Kosovo (1999)
Yemen (2000, 2002-)
Venezuela (2002)
Pakistan (2004-)
Honduras (2009)
Siria (2011-)
Ucraina (2013-)

Il filosofo Georges Santayana diceva che colui che non impara dalla Storia è condannato a riviverla. Gramsci, meno possibilista, sosteneva che la Storia è maestra, ma non ha allievi.
Se invece di dedicarsi a migliorare la mira, che comunque presuppone la volontà di sparare, Obama e chi gli succederà si preoccupassero di imparare dalla Storia, forse le ragioni per lamentarsi di unintended consequences si ridurrebbero significativamente, a tutto vantaggio dell’America e soprattutto del mondo intero.
Documenti per approfondire:
Video: Intervista di Obama https://www.youtube.com/watch?t=761&v=2a01Rg2g2Z8
https://news.vice.com/article/the-cia-just-declassified-the-document-that-supposedly-justified-the-iraq-invasion
http://www.ronpaulinstitute.org/archives/featured-articles/2015/march/22/after-a-twelve-year-mistake-in-iraq-we-must-just-march-home/
http://www.washingtonpost.com/wp-srv/nation/shoulders/senateiraqconclusions.pdf
http://www.intelligence.senate.gov/phaseiiaccuracy.pdf
http://nsarchive.gwu.edu/NSAEBB/NSAEBB129/
http://nsarchive.gwu.edu/NSAEBB/NSAEBB129/nie.pdf
http://www.americanthinker.com/articles/2014/09/the_unspoken_obama_lie_that_led_to_benghazi.html
http://www.africanews.it/gheddafi-ucciso-per-impedirgli-di-liberare-lafrica/
http://www.nytimes.com/2011/03/22/world/africa/22tripoli.html?_r=2&ref=daviddkirkpatrick&pagewanted=all&
https://consortiumnews.com/2014/09/25/obamas-propagandistic-un-address/
http://www.lrb.co.uk/v36/n08/seymour-m-hersh/the-red-line-and-the-rat-line
http://www.lastampa.it/2014/04/13/blogs/underblog/siria-ribelli-e-turchia-dietro-il-sarin-dellagosto-e-oggi-ejTxFdXPGx0toVsTmnAFLP/pagina.html
https://www.whitehouse.gov/the-press-office/2014/09/24/remarks-president-obama-address-united-nations-general-assembly


Originale, con tutti i link: https://mauropoggi.wordpress.com/2015/03/27/di-anniversari-ricorrenti-menzogne-e-unintended-consequences/

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