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venerdì 18 ottobre 2013

Libia, la terra senza legge ora è l'incubo dell'Italia

Gian Micalessin - Lun, 07/10/2013 - 07:43

Senza di me ve la vedrete con Al Qaida e con gli immigrati di tutta l'Africa. La nemesi di Gheddafi è realtà. La cattura a Tripoli di Anas Al Libi, ex sodale di Bin Laden e mente delle stragi del 1998 alle ambasciate Usa in Africa, ne è l'ultima prova.


Preceduta dal naufragio a Lampedusa del barcone salpato dal porto libico di Misurata. Quella tragedia e la cattura di Al Libi sembrano i prodomi di una nemesi destinata a travolgere la Libia e a mettere in ginocchio l'Italia. Il primo a saperlo è l'amministratore delegato di Eni Paolo Scaroni, alle prese con la drastica riduzione delle forniture di greggio libico precipitate dai 270mila barili giornalieri del dopo Gheddafi ai meno di 60mila di oggi.
 Tre quarti del petrolio destinato all'Italia, quello che con Gheddafi garantiva il 23 per cento delle nostre importazioni, e oggi circa il 15 per cento, sembra dunque svanito. Una perdita non da poco per un'Italia perennemente sull'orlo della crisi energetica e costretta ora a rifornirsi altrove pagando più caro il greggio acquisito sui nuovi mercati. Più perniciosa della carenza di petrolio e dell'inevitabile, ma in fondo consueto aumento della benzina, sarebbe l'eventuale blocco delle forniture di gas. Un'eventualità da incubo, soprattutto alle porte del periodo invernale quando il gas libico garantisce - con quello russo e algerino - il tepore delle nostre abitazioni. Un'eventualità che nessuno è in grado di escludere.
La paralisi d'intere zone del paese causata dagli scontri tra milizie rivali, le infiltrazioni di Al Qaida arrivata a minacciare i pozzi petroliferi, l'emergere di signori della guerra decisi a riscuotere tasse di «protezione» sempre più ingenti sulle risorse sotto il loro controllo mettono a rischio anche i gasdotti essenziali per il nostro fabbisogno. Il caos libico, l'impotenza e la mancanza d'autorità dei governi del dopo Gheddafi sono anche la causa della nuova ondata di sbarchi sulle nostre coste. Misurata, il porto da dove è salpato il barcone naufragato a Lampedusa, è da due anni il capoluogo di una regione dove il governo non controlla né polizia, né esercito, né autorità portuali. Banchine e approdi sono nelle mani di chi paga le milizie locali o se ne garantisce il controllo con la forza delle armi. Lo stesso vale sia per Tripoli, dove le milizie si contendono il controllo delle varie zone della città, sia per Bengasi, sia per gli altri porti. Da luglio Brega e Ras Lanuf, due terminali essenziali per le esportazioni del greggio, sono alla mercé di Ibrahim al-Jathran, un ex-galeotto 33 enne tirato fuori di galera alla caduta di Gheddafi e messo alla testa di una milizia pagata, in teoria, per garantire la protezione delle installazioni petrolifere governative. Una milizia usata ora da Jahtran per occupare i terminali, ricattare il governo e farsi riconoscere il controllo di una buona fetta della Cirenaica. Risultato: blocco delle forniture, perdite per oltre cinque miliardi di dollari e una situazione di anarchia in cui si rischia la guerra civile.
In un simile frangente immaginare d'arginare la minaccia di Al Qaida, contrastare i signori della guerra e fermare i contrabbandieri di esseri umani implorando l'intervento dell'impotente governo centrale di Tripoli è pura utopia. E tra le nebbie dell'utopia emerge sempre più concreto il profilo di una Libia nel caos. Una Libia da cui non pomperemo più greggio, ma solo disordine, pericoli e insicurezza. Una Libia molto simile alla Somalia, ma distante, stavolta, meno di 400 chilometri dalle nostre coste.

Fonte: http://www.ilgiornale.it/news/esteri/libia-terra-senza-legge-ora-lincubo-dellitalia-956267.html

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