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domenica 10 novembre 2013

Il crollo di uno stato

Proteste e attentati
Il crollo di uno Stato
L'attacco ai siti estrattivi libici e l'aumento delle proteste continuano a danneggiare l'economia libica

Andrea Ranelletti
Lunedì 4 Novembre 2013, 17:36

La storia della Libia post-Gheddafi è quella di una discesa incessante in un gorgo di instabilità che pare non aver fondo. Il progressivo indebolimento della sicurezza, delle istituzioni, dell’economia e della tenuta sociale del Paese stanno producendo una crisi in costante avvitamento che pare ormai priva di vie di uscita.<<< Le forze positive che lavorano da due anni>>>> DAVVERO ?????
per la ricostruzione di un Paese distrutto da una guerra civile devastante continuano a soccombere di fronte alla frammentazione delle fonti di potere, all’interesse personale o clanico e alle varie forme di estremismo che infestano il suo territorio nazionale. Il Presidente libico Ali Zeidan, reduce dall’onta di un sequestro-lampo ordito da miliziani che avrebbero dovuto lavorare al fianco delle forze dell’ordine nazionali, sembra oggi più che mai privo di armi per risolvere l’impasse del suo Paese e individuare una via d’uscita.

E’ sufficiente dare uno sguardo ai recenti eventi di cronaca per comprendere la portata dei problemi che stanno trasformando la transizione libica nella lunga agonia di uno Stato che non riesce a prendere forma: milizie e clan stanno mettendo sotto assedio i siti estrattivi più importanti della Libia per ottenere vantaggi personali e potere a scapito dello Stato centrale; le esportazioni di petrolio, principale fonte di ricchezza della Libia, hanno registrato negli ultimi mesi una contrazione eccezionale; il Ministro dei Martiri della Rivoluzione ha probabilmente subito un attentato negli scorsi giorni mentre era bordo della sua automobile; colpi di arma da fuoco vengono frequentemente esplosi all’indirizzo degli edifici ministeriali nella capitale Tripoli.

Un’altra recente notizia di cronaca rende l’idea del dissesto della sicurezza libica. Il 28 ottobre scorso, un commando di uomini armati ha fermato un furgone portavalori mentre questo si accingeva a entrare nella città costiera di Sirte, sottraendo l’equivalente di 54 milioni di dollari statunitensi di proprietà della Banca centrale libica. «La rapina è una catastrofe per l’intera Libia» ha detto il capo del consiglio di Sirte Abdel-Fattah Mohammed all’agenzia di stampa 'Reuters'.

Come facilmente immaginabile, l’impatto di tale instabilità sull’economia di un Paese in ricostruzione è estremamente deleterio. L’impossibilità di riportare il controllo sulle principali fonti di ricchezza del Paese e la debolezza delle istituzioni del Paese stanno riducendo gli introiti libici e mettendo in difficoltà il Governo nel far quadrare conti e bilancio statale, nonostante l’indomani della fine della guerra civile l’economia libica sembrasse destinata a ripartire con forte slancio.

Tra febbraio e marzo 2013, l’economista Ralph Chami – a capo di una missione del Fondo Monetario Internazionale - mise in luce i punti di forza (ma anche le debolezze) della nuova Libia. Dopo il tracollo economico dei giorni della guerra civile, la Libia ha messo insieme una crescita con numeri eccezionali, consentendo ottime previsioni anche per gli anni a venire. Gli investimenti legati alle spese per la ricostruzione del Paese e la ripresa della spesa privata sembravano destinati a trainare un nuovo boom libico, destinato a ricostruire su basi più solide l’economia libica.

Nonostante l’alta dipendenza dagli idrocarburi – il settore contribuisce al 60% del PIL e al 95% degli introiti nazionali – mettesse il Paese a rischio di fronte a possibili shock petroliferi, si era previsto che i settori non legati agli idrocarburi avrebbero fatto registrare una crescita media del 15% tra il 2013 e il 2018. Notevole la crescita del PIL, passato dai -18 punti percentuali del 2011 al surplus del 24% per il 2012 e del 20% nel 2013. Due i sostanziali problemi dell’economia libica, entrambi comuni ai Paesi vicini: l’elevata spesa in sussidi sui beni alimentari ed energetici, destinata a deprimere la crescita nel corso degli anni; l’assenza di uno sviluppo industriale che svincolasse il Paese dalla necessità di importazione di beni di primaria importanza e garantisse la creazione di posti di lavoro.

Nel giro di alcuni mesi, tale solidità è venuta meno. Nel tentativo di stringere la corda attorno al Governo centrale e di garantirsi un controllo su una delle maggiori fonti di ricchezza del Paese, miliziani e organizzazioni di varia natura attive nelle varie aree della Libia hanno iniziato a dar vita a una serie di attacchi e assedi ai principali siti estrattivi, rendendo più complicate le operazioni di approvvigionamento e ledendo il livello di output di petrolio e idrocarburi. Le difficoltà delle forze dell’ordine nel mettere in sicurezza gli impianti estrattivi impedisce di riportare l’ordine nel Paese e ripristinare gli attesi livelli di estrazione.

Nelle ultime settimane, Amazigh in protesta hanno posto sotto assedio l’impianto di Mellitah, compartecipato anche dalla italiana Eni, cercando di bloccare l’attività estrattiva di gas naturale. Non è chiaro il livello del danno portato ai ritmi estrattivi, né se vi siano trattative in atto per interrompere la protesta. Al campo di Western Sharara sarebbe invece in corso una trattativa con i lavoratori in sciopero, per raggiungere possibili accordi su un aumento di paga. Le sole piattaforme attualmente operative a pieno regime sarebbero quelle offshore, tra cui Bouri e Al Jurf.

Secondo quanto riporta la 'Reuters', le proteste e le azioni hanno fatto cadere la capacità estrattiva libica al 10% delle sue possibilità, a un totale di 90mila barili al giorno. Il Ministro libico per l’Energia Abdelbari Arusi avrebbe smentito, sostenendo che il ritmo è di poco sotto i 300mila barili al giorno. Un cifra comunque irrisoria se comparata ai livelli di fine 2012, quando la Libia esportava 1 milione e 400mila barili di crudo al giorno.

«Il Governo libico ha il denaro, ma non la possibilità di spenderlo» scrive su 'Foreign Policy' l'analista James Traub. «Il Congresso Generale nazionale, un’assemblea costituzionale che non ha fatto né progressi sulla costituzione né una legislazione avanzata, si pone principalmente dietro le iniziative di Zeidan. I Ministeri centrali sono privi di aiuto […] I libici devono imparare tutto – come fare un budget, come gestire un ministero, come creare un esercito nazionale».

Preso da: http://www.lindro.it/politica/2013-11-04/106513-il-crollo-di-uno-stato

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