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martedì 23 luglio 2019

I Fratelli Mussulmani membri del Consiglio di Sicurezza Nazionale della Casa Bianca

Continuiamo la pubblicazione del libro di Thierry Meyssan, Sotto i nostri occhi. In questo episodio l’autore riesamina il primo semestre 2011 quando, con il sostegno di Stati Uniti e Regno Unito, i Fratelli Mussulmani si avvicinarono o ebbero accesso al potere in Tunisia, Egitto e Libia.
| Damasco (Siria)
Questo articolo è estratto dal libro Sotto i nostri occhi.
Si veda l’indice.
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Ben Ali (Tunisia), Gheddafi (Libia) e Mubarak (Egitto), nel 2011 erano tre capi di Stato agli ordini di Washington (Gheddafi dopo il voltafaccia del 2003, gli altri da sempre). Nonostante i servizi resi, furono spazzati via a vantaggio dei Fratelli Mussulmani.

L’INIZIO DELLA “PRIMAVERA ARABA” IN TUNISIA

Il 12 agosto 2010 il presidente Barack Obama firma la Direttiva presidenziale per la sicurezza n. 11 (PSD-11). Avvisa tutte le ambasciate statunitensi del Medio Oriente Allargato di prepararsi a «cambiamenti di regime» [1]. Per coordinare sul campo le operazioni segrete nomina, quali membri del Consiglio di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti, dei Fratelli Mussulmani. Washington sta per mettere in atto il piano britannico della “Primavera araba”. È il momento di gloria della Fratellanza.

Il 17 dicembre 2010 un fruttivendolo ambulante, “Mohamed” Bouazizi (Tarek), si dà fuoco in Tunisia dopo che la polizia gli ha sequestrato il carretto. La Fratellanza coglie la palla al balzo e fa circolare false notizie secondo cui il giovane, uno studente disoccupato, sarebbe stato schiaffeggiato da una poliziotta. Subito gli uomini del National Endowment for Democracy (NED, la falsa ONG dei servizi segreti dei cinque Stati anglosassoni) pagano la famiglia del defunto per non svelare l’inganno e scatenano la ribellione nel paese. Mentre esplodono le proteste contro la disoccupazione e la violenza della polizia, Washington esorta il presidente Zine El-Abidine Ben Ali a lasciare il paese, mentre l’MI6 organizza il rientro trionfale da Londra della Guida dei Fratelli tunisini, Rashid Ghannushi.
È la “rivoluzione dei Gelsomini” [2]. Il piano di tale cambio di regime rimanda a quello dello Scià di Persia, seguito dal ritorno dell’imam Khomeini, e a quello delle rivoluzioni colorate.
Rashid Ghannushi, che ha istituito la filiale locale dei Fratelli musulmani, ha già tentato il colpo di Stato nel 1987. Arrestato e imprigionato più di una volta, si ritira in esilio in Sudan, dove riceve il sostegno di Hasan al-Turabi, poi in Turchia, dove si avvicina a Recep Tayyip Erdoğan (allora capo del Millî Görüs¸). Nel 1993 ottiene asilo politico nel Londonistan, dove vive con le sue due mogli e i figli.
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Due personaggi che si presentano come “antiamericani”: Moncef Marzouki (di estrema sinistra, al servizio del NED – USA) e Rashid Ghannushi (membro dei Fratelli Mussulmani che lavora per la Westminster Foundation – UK).
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La Lega per la Protezione della Rivoluzione (LPR) è l’equivalente tunisino dell’Apparato Segreto egiziano. Il capo della LPR, Ihmed Deghij, riceve da Rashid Ghannushi istruzioni sulle personalità da eliminare.
Gli anglosassoni contribuiscono a migliorare l’immagine del suo partito, il movimento di tendenza islamica chiamato Movimento della Rinascita (“al-Nahda”). Per placare i timori della popolazione nei confronti della Fratellanza, il NED utilizza i suoi agenti di estrema sinistra. Moncef Marzouki, presidente della Commissione araba per i diritti umani, si gioca la carta dell’etica, assicurando che i Fratelli sono parecchio cambiati, diventando “democratici”. Viene così eletto presidente della Tunisia. Ghannushi vince le elezioni politiche e guida il governo dal dicembre 2011 all’agosto 2013, introducendo altri agenti del NED come Ahmed Najib Chebbi, ex maoista e trotskista convertito da Washington. Seguendo l’esempio di Hasan al-Banna, Ghannushi crea quindi la milizia del partito – la Lega per la protezione della rivoluzione – che commette diversi assassini politici, tra cui quello del leader dell’opposizione Chokri Belaid.
Tuttavia, nonostante il supporto innegabile di una parte della popolazione tunisina al suo ritorno, il partito al-Nahda viene presto messo in minoranza. Prima di lasciare la carica, Rashid Ghannushi fa approvare alcune leggi fiscali volte a rovinare la borghesia laica, nella speranza di trasformare l’assetto sociale del suo paese e ritornare presto sulla scena.
Nel maggio 2016 il decimo congresso di al-Nahda viene inscenato da Innovative Communications & Strategies – una società creata dall’MI6 – per assicurare che il partito è diventato “civile”, separando le attività politiche da quelle religiose. Ma questa evoluzione non ha nulla a che fare con la laicità; viene semplicemente richiesto ai funzionari di condividere il lavoro e non farsi contemporaneamente eleggere imam.

LA “PRIMAVERA ARABA” IN EGITTO

Il 25 gennaio 2011, ossia una settimana dopo la fuga del presidente tunisino Ben Ali, la festa nazionale egiziana si trasforma in una manifestazione contro il potere. Le proteste sono guidate dal “collaudato” sistema statunitense delle rivoluzioni colorate: i serbi formati da Gene Sharp – teorico della NATO specializzato in delicate transizioni di regime, ovvero senza il ricorso alla guerra [3]– e uomini del NED. Fin dal primo giorno vengono ampiamente distribuiti i loro libri e opuscoli, tradotti in arabo, tra cui le disposizioni per le manifestazioni (la maggior parte delle spie sarà successivamente arrestata, processata, condannata ed espulsa). I manifestanti vengono mobilitati principalmente dai Fratelli musulmani – che hanno il supporto del 15-20% del paese – e da Kifaya (Basta!), gruppo creato da Gene Sharp. È la “Rivoluzione del Nilo” [4]. Le proteste si svolgono principalmente in piazza Tahrir, al Cairo, ma anche in altre sette città principali. Tuttavia, la loro entità resta molto lontana rispetto all’ondata rivoluzionaria che ha fatto insorgere la Tunisia.
Fin dall’inizio, i Fratelli usano le armi e conducono i loro feriti a piazza Tahrir, in una moschea attrezzata a pronto soccorso. Le reti televisive delle petro-dittature del Qatar – Al Jazeera – e dell’Arabia Saudita – Al Arabiya – invitano al rovesciamento del regime e trasmettono informazioni strategiche in diretta. Gli Stati Uniti nominano l’ex direttore dell’Agenzia per l’energia nucleare, il premio Nobel per la Pace Muhammad al-Baradei, presidente dell’Associazione nazionale per il cambiamento. Al-Baradei ha il grandissimo merito di aver placato l’ardore di Hans Blix che ha denunciato, per conto delle Nazioni Unite, le bugie dell’amministrazione Bush per giustificare la guerra contro l’Iraq. Presiede per oltre un anno una coalizione creata sul modello della Dichiarazione di Damasco: un testo ragionevole, con firmatari di ogni dove oltre ai Fratelli musulmani, il cui programma, in realtà, è completamente opposto.
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Per il portavoce dei Fratelli Mussulmani in Egitto, Essam Elarian, gli Accordi di Camp David hanno poca importanza, urge invece criminalizzare l’omosessualità.
In sostanza, la Fratellanza è la prima organizzazione egiziana a chiedere la caduta del regime. Le reti TV di tutti gli Stati membri della NATO o del Consiglio di cooperazione del Golfo prevedono la fuga del presidente Hosni Mubarak, mentre l’inviato speciale del presidente Obama, l’ambasciatore Frank G. Wisner – patrigno di Nicolas Sarkozy –, finge dapprima di sostenere Mubarak per poi allinearsi alla folla ed esortarlo a ritirarsi. Infine, dopo due settimane di disordini e una manifestazione di un milione di persone, Mubarak riceve l’ordine da Washington di cedere e si dimette. Tuttavia, gli Stati Uniti intendono cambiare la Costituzione prima di mettere la Fratellanza al potere, che quindi resta momentaneamente nelle mani dell’esercito. Il maresciallo Mohammed Hoseyn Tantawi presiede il Comitato militare che gestisce gli affari urgenti del momento, nominando una commissione costituzionale di sette membri, tra cui due Fratelli musulmani: uno di loro, il giudice Tarek El-Bishr, presiede i lavori.
Tuttavia, la Fratellanza porta avanti le dimostrazioni ogni venerdì, all’uscita dalle moschee, perpetrando linciaggi di cristiani copti senza che la polizia intervenga.

NESSUNA RIVOLUZIONE IN BAHREIN E YEMEN

Anche se la cultura yemenita non ha alcuna relazione rispetto a quella del Nord Africa – a parte la stessa lingua – un’importante manifestazione scuote per diversi mesi Bahrein e Yemen. La concomitanza con gli eventi in Tunisia e in Egitto rischia di confondere le carte in tavola: il Bahrein ospita la base della V Flotta degli Stati Uniti e regola il traffico marittimo nel Golfo Persico, mentre lo Yemen controlla – con il Gibuti – l’ingresso e l’uscita per il Mar Rosso e il Canale di Suez.
La dinastia regnante teme che la rivolta popolare possa rovesciare la monarchia e, di riflesso, ritiene l’Iran il principale responsabile. In effetti, nel 1981 un ayatollah (sciita) iracheno ha cercato di esportare la rivoluzione dell’imam Khomeini e di rovesciare il regime fantoccio istituito dagli inglesi al momento dell’indipendenza, nel 1971.
Il segretario della Difesa, Robert Gates, si reca sul posto e consente all’Arabia Saudita di stroncare sul nascere queste rivoluzioni. La repressione è guidata dal principe Nayaf, del clan dei Sudayri, come il principe Bandar – suo nipote – anche se Nayaf è più anziano e Bandar è figlio di una schiava. La divisione dei ruoli tra i due è ben definita: lo zio mantiene l’ordine reprimendo i movimenti popolari, mentre il nipote destabilizza gli Stati con l’arma del terrorismo. Resta fondamentale distinguere bene i paesi in cui operare [5].

LA “PRIMAVERA ARABA” IN LIBIA

Se Washington ha pianificato di rovesciare i governi alleati a Ben Ali e Mubarak senza ricorrere alla guerra, diverso è il caso della Libia e della Siria, governati dai rivoluzionari Gheddafi e al-Assad.
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Dopo aver insegnato il linguaggio democratico ai petro-dittatori, dopo aver riorganizzato Al-Jazeera e installato società USA in Libia, il Fratello Mahmud Gibril diventa il capo della “rivoluzione” contro il regime di cui, sino alla vigilia, era al servizio.
I primi di febbraio del 2011 – quando Mubarak è ancora presidente dell’Egitto – la CIA organizza al Cairo l’inizio di ulteriori operazioni. Un incontro riunisce varie parti interessate, tra cui il NED (rappresentato dal senatore repubblicano John McCain e dal senatore democratico Joe Lieberman), la Francia (rappresentata da Bernard-Henri Lévy) e i Fratelli musulmani. La delegazione libica è guidata dal Fratello Mahmud Gibril, che ha addestrato i capi del Golfo e riorganizzato Al Jazeera. Gibril entra nella sala da numero 2 del governo della Jamahiriya libica e ne esce… capo dell’opposizione alla “dittatura”. Non tornerà nel suo lussuoso ufficio di Tripoli, ma finirà a Bengasi, in Cirenaica. La delegazione siriana comprende Anas al-Abdah (fondatore dell’Osservatorio siriano per i Diritti dell’Uomo) e suo fratello, Malik al-Abdah (direttore di Barada TV, televisione antisiriana finanziata dalla CIA e dal Dipartimento di Stato). A questo punto, Washington ordina di iniziare la guerra civile in Libia e in Siria.
Il 15 febbraio Fathi Terbil, avvocato delle famiglie delle vittime della strage del carcere di Abu Salim nel 1996, attraversa la città di Bengasi per accertarsi che la prigione locale sia stata incendiata e per chiedere quindi di liberare i prigionieri. Viene arrestato e rilasciato il giorno stesso. Il giorno dopo, il 16 febbraio, sempre a Bengasi, i rivoltosi attaccano tre stazioni di polizia, gli uffici della sicurezza nazionale e quelli del pubblico ministero. Difendendo l’arsenale della Sicurezza interna, la polizia uccide sei aggressori. Nel frattempo, a Beida – tra Bengasi e il confine con l’Egitto –, altri rivoltosi attaccano i commissariati di polizia e gli uffici della sicurezza nazionale. Occupano la caserma Husayn al-Juayfi e la base aerea di Al-Abrag, sequestrano una grande quantità di armi, picchiano le guardie e impiccano un soldato. Altri incidenti si verificano in maniera coordinata in altre sette città [6].
Gli aggressori rivendicano la loro appartenenza al Gruppo dei combattenti islamici libici (LIFG-Al Qaida) [7], tutti membri o ex membri della Fratellanza musulmana. Due dei loro capi sono stati sottoposti a lavaggio del cervello a Guantánamo secondo le tecniche dei professori Albert D. Biderman e Martin Seligman [8].
Alla fine degli anni novanta, il LIFG tentò per quattro volte di assassinare Muammar Gheddafi su richiesta dell’MI6 e di scatenare la guerriglia sulle montagne del Fezzan. Duramente combattuto dal generale Abdul Fatah Iunis, fu costretto ad abbandonare il paese. A seguito degli attentati del 2001 il LIFG compare sulla lista delle organizzazioni terroristiche del Comitato 1267 delle Nazioni Unite, ma ha un ufficio a Londra, protetto dall’MI6.
Il nuovo capo del LIFG, Abdelhakim Belhadj – che ha combattuto in Afghanistan al fianco di Osama bin Laden e in Iraq – viene arrestato in Malesia nel 2004 e poi trasferito in una prigione segreta della CIA in Thailandia, dove viene torturato e interrogato. Un accordo tra Stati Uniti e Libia ne consente il rimpatrio nella nazione libica, dove subisce nuovamente torture – ma questa volta da parte di agenti inglesi – nel carcere di Abu Salim. Nel 2007, LIFG e Al Qaida si fondono.
Tuttavia, nel corso dei negoziati con gli Stati Uniti tra 2008 e 2010, Saif al-Islam Gheddafi propone la tregua tra la Jamahiriya e il LIFG (Al Qaida). Pubblica un ampio documento, Les Études correctrices, in cui ammette di aver commesso un errore nell’invocare il jihad contro altri musulmani in un paese musulmano. In tre diverse fasi tutti i membri di Al Qaida vengono graziati e rilasciati a condizione che rinuncino, mettendolo per iscritto, alla violenza. Su 1.800 jihadisti, solo un centinaio rifiutano l’accordo e preferiscono rimanere in carcere. Dopo il rilascio, Abdelhakim Belhadj abbandona la Libia e si trasferisce in Qatar, ma tutti riescono a tornare in Libia senza destare sospetti.
Il 17 febbraio 2011 la Fratellanza organizza una manifestazione a Bengasi in memoria delle 13 vittime della manifestazione contro il consolato d’Italia nel 2006: secondo gli organizzatori, sarebbe presumibilmente Muammar Gheddafi ad aver montato il caso delle “caricature di Maometto” con l’aiuto della Lega Nord italiana. La manifestazione degenera, causando 14 morti tra manifestanti e poliziotti.
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I Fratelli Mussulmani distribuiscono la nuova bandiera da loro scelta per la Libia: quella di re Idris e della colonizzazione britannica.
È l’inizio della “rivoluzione”. In realtà i manifestanti non cercano di rovesciare la Jamahiriya, ma di proclamare l’indipendenza della Cirenaica; così, a Bengasi, vengono distribuite decine di migliaia di bandiere di re Idris (1889-1983). La moderna Libia – soltanto dal 1951 – racchiude tre province dell’Impero ottomano che formano un solo Stato. La Cirenaica è stata governata, tra il 1946 e il 1969, dalla monarchia dei Senussi, una famiglia wahhabita supportata dai sauditi, che ha esteso il dominio su tutta la Libia.
Muammar Gheddafi promette di “versare fiumi di sangue” per salvare il popolo dagli islamisti. A Ginevra un’associazione creata dal NED – ossia la Lega libica per i diritti umani – estrapola dal contesto queste dichiarazioni presentandole alla stampa occidentale come minacce al popolo libico con l’eventuale bombardamento di Tripoli. In realtà, la Lega è una facciata che raccoglie i futuri ministri del paese dopo l’invasione della NATO.
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Nel 2005 Mahmud Gibril ha riorganizzato Al-Jazeera e ne ha fatto la rete televisiva dei Fratelli Mussulmani. Al-Jazeera ha alimentato il mito di Bin Laden ancora in vita. Il suo consigliere spirituale, sceicco Yusuf al-Qaradawi, tiene una trasmissione settimanale su Al-Jazeera in cui esorta ad assassinare Muammar Gheddafi.
Il 21 febbraio lo sceicco Yusuf al-Qaradawi lancia su Al Jazeera la fatwa che ordina ai militari libici di salvare il popolo assassinando Muammar Gheddafi.
Il Consiglio di sicurezza, sulla base dei lavori del Consiglio per i diritti umani di Ginevra – che ha già consultato la Lega e l’ambasciatore libico – e su richiesta del Consiglio di cooperazione del Golfo, autorizza l’uso della forza per proteggere la popolazione dal dittatore.
Il sangue del comandante dell’AFRICOM – il generale Carter Ham – comincia a scaldarsi quando il Pentagono gli ordina di coordinarsi con il LIFG (Al Qaida): come si può collaborare in Libia con gli individui che si sono combattuti in Iraq e che hanno ucciso dei GI’s? Ovviamente, Ham viene immediatamente rimosso dall’incarico a favore del comandante dell’EUCOM e della NATO, l’ammiraglio James Stavridis.
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Ben 30 dei 38 soldati dei Navy Seals che hanno preso parte alla pretesa uccisione di Osama bin Laden in Pakistan nelle settimane successive all’operazione sono morti in incidenti vari. (Nella foto: durante un addestramento)
Intermezzo: il 1° maggio 2011 Barack Obama annuncia che ad Abbottabad (Pakistan) il commando 6 dei Navy Seals ha eliminato Osama bin Laden, di cui non si hanno notizie credibili da quasi 10 anni. L’annuncio consente di chiudere il dossier Al Qaida e rinnovare l’alleanza dei jihadisti con gli Stati Uniti, come ai bei tempi delle guerre in Afghanistan, Bosnia-Erzegovina, Cecenia e Kosovo. Il corpo di “bin Laden” – secondo le fonti ufficiali statunitensi – viene scaricato in alto mare [9].
Per sei mesi il fronte libico rimane invariato. Il LIFG controlla Bengasi e proclama l’Emirato islamico di Derna – la città di origine della maggior parte dei membri – terrorizzando i libici con rapimenti di persone a caso. Di essi vengono rinvenuti i corpi smembrati sparsi per le strade. I jihadisti sono persone normali cui viene somministrata una miscela di droghe naturali e sintetiche che intorpidiscono completamente, rendendoli in grado di commettere atrocità senza rendersene conto. All’improvviso la CIA ha bisogno di grandi quantità di Captagon – un derivato dell’anfetamina –, quindi sollecita il primo ministro bulgaro, il capo mafia Bojko Borisov, che sarà presidente del Consiglio dell’Unione Europea nel 2018. È un’ex guardia del corpo che si è unita alla Security Insurance Company, una delle due grandi organizzazioni mafiose dei Balcani. La compagnia possiede laboratori clandestini per la produzione di tale droga per gli atleti tedeschi. Borisov fornirà pilloline magiche a tonnellate, da assumere fumando hashish [10].
Il generale Abdul Fatah Iunis diserta passando ai “rivoluzionari”, o almeno questo è ciò che si racconta in Occidente. In realtà resta al servizio della Jamahiriya, diventando il capo delle forze della Cirenaica indipendente. Gli islamisti, memori delle sue azioni contro di loro risalenti a un decennio prima, non ci mettono molto a scoprire che è ancora in contatto con Saif al-Islam Gheddafi. Gli tendono una trappola uccidendolo, bruciandolo e sbranandone parte del cadavere.
L’emiro del Qatar, Hamad, spera di porre fine alla Jamahiriya per installarvi un nuovo potere, come ha già fatto con il presidente incostituzionale del Libano. Mentre la NATO si limita a intervenire per via aerea, il Qatar crea un aeroporto nel deserto presso il quale sbarcano uomini e materiali. Il popolo del Fezzan e della Tripolitania rimane però fedele alla Jamahiriya e alla sua Guida.
Quando in agosto la NATO fa precipitare una pioggia di fuoco su Tripoli, il Qatar invia forze speciali e fa sbarcare blindati in Tunisia. Queste migliaia di uomini, naturalmente, non sono qatarioti, ma principalmente mercenari, soprattutto colombiani, addestrati dall’Academi (ex Blackwater/Xe) negli Emirati Arabi Uniti. Si uniscono ad Al Qaida – diventata nuovamente “buona”, anche se considerata sempre un’organizzazione terroristica da parte delle Nazioni Unite – a Tripoli, vestiti e incappucciati di nero in modo che non si possano vedere che gli occhi.
Solo due gruppi di libici vengono coinvolti nella presa di Tripoli: i combattenti di Misurata, che obbediscono alla Turchia, e il LIFG. La brigata di Tripoli (Al Qaida) è controllata dall’irlandese-turco-libico Mahdi al-Harati e inquadrata da ufficiali regolari dell’esercito francese.
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Su proposta della NATO, Abdelhakim Belhaj (al centro), capo del LIFG (ramo libico di Al Qaida) diventa governatore militare di Tripoli. Mahdi al-Harati (a sinistra), che a Gaza aveva ricevuto le felicitazioni del presidente turco Erdogan per la vicenda della Flottiglia della Libertà, diventa il suo vice.
Ancor prima che Muammar Gheddafi venga linciato, da Washington si forma un governo provvisorio che comprende tutti gli eroi di questa storia: è presieduto da Mustafa Abdel Gelil (che ha coperto le torture alle infermiere bulgare e al medico palestinese), Mahmud Gibril (che ha formato gli emiri del Golfo, riorganizzato Al Jazeera e partecipato alla riunione di febbraio del Cairo) e Fathi Terbil (che ha avviato la “rivoluzione” a Bengasi). Il capo del LIFG ed ex numero 3 di Al Qaida, Abdelhakim Belhaj – coinvolto negli attentati alla stazione di Atocha, a Madrid –, viene nominato “governatore militare di Tripoli”.
(segue…)
La traduzione italiana del libro è disponibile in versione cartacea.
[1] “Obama’s low-key strategy for the Middle East”, David Ignatius, Washington Post, March 6, 2011. “Identifiying the enemy: radical islamist terror”, Statement by Peter Hoekstra, House Committe on Homeland Security, United States House of Representatives, September 22, 2016.
[2] “Washington affronta l’ira del popolo tunisino”, di Thierry Meyssan, Traduzione di Alessandro Lattanzio, Rete Voltaire, 24 gennaio 2011.
[3] “L’Albert Einstein Institution: la versione CIA della nonviolenza”, di Thierry Meyssan, Traduzione Matteo Bovis, Rete Voltaire, 4 giugno 2007.
[4] The International Dimensions of Democratization in Egypt: The Limits of Externally-Induced Change, Gamal M. Selim, Springer (2015).
[5] “La contro-rivoluzione in Medio Oriente”, di Thierry Meyssan, Traduzione di Alessandro Lattanzio, Komsomolskaïa Pravda (Russia) , Rete Voltaire, 13 maggio 2011.
[6] Rapport de la Mission d’enquête sur la crise actuelle en Libye, FFC (2011).
[7] “Once NATO enemies in Iraq and Afghanistan, now NATO allies in Libya”, by Webster G. Tarpley, Voltaire Network, 24 May 2011.
[8] “Il segreto di Guantanamo”, Traduzione di Alessandro Lattanzio, di Thierry Meyssan, Оdnako (Russia) , Rete Voltaire, 28 ottobre 2009.
[9] “Riflessioni sull’annuncio ufficiale della morte di Osama bin Laden”, di Thierry Meyssan, Rete Voltaire, 5 maggio 2011.
[10] “Ecco come la Bulgaria ha fornito droga e armi ad Al-Qa’ida e a Daesh”, di Thierry Meyssan, Traduzione Matzu Yagi, Megachip-Globalist (Italia) , Rete Voltaire, 4 gennaio 2016.
 

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