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venerdì 6 dicembre 2013

La spinta estremista di Ansar al-Sharia

In Libia e Tunisia le organizzazioni salafite stanno ponendo una grave minaccia alla stabilità dei vari Stati.
Andrea Ranelletti
Venerdì 29 Novembre 2013, 16:09

L’aggravamento del fenomeno jihadista nel Maghreb e la nascita di altri nuclei salafiti armati in conflitto con i vari Stati in cui operano sono due delle maggiori ragioni di preoccupazione per una regione alle prese con il tentativo di ricostruire tessuti sociali sfibrati e dar forma a istituzioni nuove. Così, mentre al-Qaeda nel Maghreb Islamico continua a fungere da ombrello e attore coesivo per un ampio numero di brigate e cellule estremiste attive nell’area, in Tunisia e Libia cresce per dimensioni la minaccia di Ansar al-Sharia.

Nata in Libia sotto forma di milizia islamista nella battaglia contro Gheddafi, Ansar al-Sharia in Libia si è consolidata nella regione orientale della Cirenaica, radicandosi fortemente nella cittadina di Benghazi. Ansar al-Sharia in Tunisia prende invece forma all’indomani della caduta di Ben Ali come organizzazione salafita di sostegno sociale nelle zone più povere, accentuando nel corso dei mesi la sua natura eversiva e iniziando ad attaccare le forze dell’ordine e le istituzioni tunisine man mano che Ennahda si distanziava da lei.

Lo scorso 25 novembre è giunta notizia di uno scontro serrato a Benghazi tra membri delle Forze Armate libiche e miliziani appartenenti all’organizzazione salafita Ansar al-Sharia, che avrebbe causato la morte di nove persone e il ferimento di oltre cinquanta. La decisione dei militari di intervenire contro la milizia sarebbe stata dovuta alla notizia del pestaggio da parte di membri del gruppo nei confronti di un civile che aveva rifiutato di abbandonare le proprie armi a un checkpoint organizzato da Ansar al-Sharia. Differente la versione di un probabile portavoce della milizia, Muhamad al-Enezi, che avrebbe affermato che Ansar al-Sharia ha semplicemente risposto al fuoco dell’Esercito che aveva attaccato per primo: «Non abbiamo premuto il grilletto per primi» ha affermato l’uomo. Secondo fonti dell’Esercito, i miliziani avrebbero abbandonato la città dopo gli scontri armati. Nel giorno successivo agli avvenimenti, il Premier Ali Zeidan è giunto a Benghazi per incontrare i vertici delle forze di sicurezza.

Secondo quanto riporta il 'New York Times', un membro di una cellula jihadista vicina al gruppo salafita identificatosi come Mahmoud al-Barrasi, avrebbe incolpato direttamente l’Esercito per lo spargimento di sangue, denunciando anche la cattura di Nazih Abdul-Hamed al-Ruqai, conosciuto con il nome di battaglia di Abu Anas al-Libi, da parte dell'Esercito americano: «Tutto questo dispiegamento dell’Esercito? Perché non sono intervenuti quando i cristiani hanno attaccato il nostro Paese e rapito Abu Anas?» ha affermato durante un’intervista televisiva al-Barrasi, sottolineando inoltre come i “modelli” del suo gruppo, attivo nella roccaforte islamista di Derna, siano «coloro che vogliono la Sharia di Allah», come lo sceicco Osama bin Laden.

La milizia di Benghazi è ritenuta direttamente collegata a quanto avvenuto l’11 settembre 2012, quando l’assalto di una folla inferocita presso il consolato americano nella cittadina causò la morte dell’ambasciatore Christopher Stephens e di altri tre cittadini americani. I leader del gruppo hanno smentito di aver partecipato all’assalto all’interno di un comunicato televisivo, lodando però allo stesso tempo l’azione della calca desiderosa di vendicare l’oltraggio all’Islam contenuto nel film “L’Innocenza dei Musulmani”, prodotto e realizzato negli Stati Uniti.

Ansar al-Sharia in Benghazi ha stabilito le proprie radici nella Cirenaica, regione orientale ricca di risorse ma tradizionalmente negletta dal Governo centrale. Il forte risentimento della sua cittadinanza nei confronti delle istituzioni tripoline ha fatto crescere nel corso degli anni varie forme di risentimento anti-statale. Particolarmente sviluppate sono le velleità federaliste: è notizia recente quella della formazione di un sedicente Governo regionale di Barqa (antico nome della Cirenaica), proclamato unilateralmente da Ibrahim Jadhran, già capo di un corpo di sicurezza preposto alla sorveglianza degli impianti energetici del Paese.

In questo clima di instabilità, che si colloca all’interno del più ampio panorama di illegalità diffuso nell’intero territorio libico, trova posto Ansar al-Sharia, che porta avanti la propria battaglia contro istituzioni screditate e spesso prive della forza necessaria a dar vita a una risposta utile a riportare l’ordine. L’uso delle armi, volto a scalzare definitivamente le autorità libiche dall’area per prenderne il posto e instaurare una forma di dominio teocratica, è accompagnato dall’opera di sostegno sociale svolta dal gruppo, volta a costruire reti di consenso laddove l’assenza dello Stato è più sensibile e ad effettuare proselitismo per la battaglia islamista.

Nonostante il disordine libico affondi le proprie radici nel tessuto della società in maniera ben più salda di quanto non avvenga in Tunisia, anche la nazione-culla delle Primavere arabe ha conosciuto nell’arco dell’ultimo anno un grave deterioramento della situazione di sicurezza. Al centro delle polemiche sono l’organizzazione salafita Ansar al-Sharia in Tunisia e il suo leader latitante Abu Iyadh, nome d’arte del chierico Seifullah Ben Hassine. La progressiva (e tardiva) presa di posizione del Governo di Ennahda nei confronti del gruppo salafita ha portato alla radicalizzazione dello scontro tra i suoi seguaci e le istituzioni tunisine.

La notizia di inizio novembre di un attentato suicida in una spiaggia di Sousse da parte di un individuo ritenuto legato all’organizzazione salafita ha generato grande agitazione nel cuore della Tunisia, Stato ritenuto per lungo tempo immune al rischio di una radicalizzazione. L’attentato – che non ha compiuto vittime al di fuori dell’attentatore suicida stesso – arriva a conclusione di un anno di progressivo inasprimento dello scontro, che va dall’uccisione dei politici Naguedh, Belaid e Brahmi fino al massacro degli otto soldati da parte di militanti jihadisti presso il Monte Chaambi.

«La comunità salafita in Tunisia è l’opposto del movimento in Egitto –ha scritto l’analista dal Washington Institute Aaron Y. Zelin, cercando di individuare le peculiarità tunisine rispetto a quanto accade nei Paesi vicini – dove la maggioranza dei salafiti sono stati inclusi nel sistema e sono scesi a patti con la democrazia in un maggiore o minor misura. Il trend della jihad salafita è marginale nello spettro salafita egiziano, come risultato del fallimento di Gama’a al-Islamiyya e di Egyptian Islamic Jihad (due gruppi jihadisti attivi a partire dagli anni Settanta) nel conquistare sostegno durante le loro campagne terroristiche nel corso degli anni Novanta. La Tunisia, diversamente dall’Egitto, dall’Algeria e dalla Libia, non ha mai avuto a che fare con le conseguenze della violenza jihadista negli anni Novanta dopo la jihad anti-sovietica degli anni Ottanta».
Fonte: http://www.lindro.it/politica/2013-11-29/110054-la-spinta-estremista

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