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domenica 8 dicembre 2013

La situazione sempre più precaria della Libia

novembre 18, 2013
“I guerrafondai sono coloro contrari all’intervento internazionale in Libia, e non certo noi che siamo dei costruttori di pace.”
Enrico Letta, assistente del segretario del Partito Democratico, marzo 2011

Il 15 novembre, a Tripoli, una manifestazione contro la milizia di Misurata è stata repressa dai terroristi golpisti misuratini, causando 43 morti e oltre 500 feriti. Il premier Ali Zaidan ordinava alle milizie di lasciare Tripoli. Le violenze erano esplose nel quartiere di Ghargur, dove davanti la locale sede della milizia misuratina si era riunito un centinaio di persone per protestare. I manifestanti marciarono da una moschea alla sede della milizia, scandendo slogan come “Vogliamo un esercito, vogliamo la polizia.”
I miliziani misuratini, comandati da Tahir Basha Agha, aprirono il fuoco sulla folla, utilizzando anche un cannone antiaereo. I dimostranti superstiti, dopo aver ripiegato, ritornarono armati tentando di assaltare la sede dei terroristi per incendiarla. L’esercito e la polizia intervennero cercando di frapporsi tra i due gruppi. Il 16 novembre, migliaia di persone, guidate da Sadat al-Badri, presidente del consiglio comunale di Tripoli, si riunirono dichiarando tre giorni di lutto per i manifestanti uccisi. Successivamente, i residenti locali organizzatisi nella milizia di Ghargur, assaltarono assieme alla milizia Scudo della Libia la sede della brigata di Misurata, riuscendo ad incendiarla, mentre altri edifici appartenenti alla milizia misuratina furono attaccati dai manifestanti armati. Gli scontri quindi si allargarono a Tajura, un sobborgo di Tripoli, dove le milizie locali attaccarono i rinforzi inviati da Misurata che tentavano di entrare nella capitale. In questi scontri rimasero uccise altre tre persone e 20 vennero ferite. ITAR-TASS riferiva “Dopo una pausa nei combattimenti, si sentivano colpi sparati a Tripoli. Gli ospedali ricevono altri morti e feriti. Non si vedevano cose del genere a Tripoli dall’inizio del conflitto nel 2011“.
Mentre il ministro della Difesa libico, Abdullah al-Thani, rientrava di corsa dalla sua visita in Giordania, a Tripoli il 17 novembre Mustafah Nuh, vicecapo dell’intelligence libica, anch’egli di ritorno da un viaggio in Turchia, veniva rapito nell’aeroporto della capitale libica.
La milizia di Misurata, un esercito privato dotato di armi pesanti e organizzato dai francesi nel 2011, è un’eredità di Sarkozy, della NATO, della Turchia, del sionismo e anche di Gino Strada, che scelse, o gli fu indicato, proprio questa città per svolgere un suo ennesimo ‘intervento mediatico umanitario’, in un chiaro e netto sostegno al golpismo islamo-atlantista e all’intervento della NATO contro la Jamahiriya libica. Giova ricordarsi che Strada e la sua ONG ‘Emergency‘ arrivarono a Misurata a bordo dello stesso battello utilizzato dai mercenari e dai terroristi islamisti che supportavano il golpe-invasione contro la Libia socialista, per alimentare l’insurrezione taqfirista a Misurata. Strada e i suoi collaboratori affermano anche di aver curato indistintamente golpisti e governativi prigionieri feriti nei combattimenti. Sarebbe un bene sapere, da Gino Strada e dai suoi dipendenti presenti sul posto, cosa ne sia stato dei soldati governativi prigionieri, una volta curati e consegnati ai terroristi islamisti. Strada potrebbe essere colpevole di crimini di guerra. Inoltre, non è un caso che ‘Emergency‘ in Libia sia intervenuto sempre al fianco di una parte, quella dei gruppi terroristici di Bengasi e a Misurata i cui feriti curava, mentre non aveva installato alcuna infrastruttura medica a Tripoli e nelle regioni leali alla Jamahiriya, che pure erano sottoposte a intensi bombardamenti dalla NATO. Così facendo, di fatto supportava militarmente il golpe e l’invasione-distruzione della Libia. Un avventurismo non nuovo e già osservato in Afghanistan e Repubblica Centrafricana, che come Misurata, sono aree oggetto degli interessi della Francia. Massud, il grande amico di Strada, non solo era uno dei più potenti narcotrafficanti dell’Afghanistan, ma era anche un agente degli interessi francesi.
A Bengasi, capitale della sovversione del 2011, oggi agiscono l’Unione dei musulmani, il braccio politico di Ansar al-Sharia, un gruppo terrorista salafita finanziato direttamente da al-Qaida; la brigata Martiri del 17 febbraio, una forza mercenaria finanziata dal Qatar, e l’Esercito dello Stato islamico di Libia guidato da Yusif bin Tahir, che ha la sua base a Derna. Inoltre, i 3000 detenuti liberati dalla ribellione dalle carceri di Bengasi, restano ancora in circolazione. “Gli ex prigionieri avrebbero perpetrato gli attacchi alle stazioni di polizia per vendetta“, affermava Usama al-Sharif, portavoce del Consiglio di Bengasi, riferendosi alle decine di attacchi contro la polizia locale avutisi in questi ultimi due anni. Dopo l’assassinio del capo della sicurezza cittadina, Colonnello Fraj al-Darsi, il Colonnello Mustafah Raqiq, che l’aveva sostituito, venne licenziato tre mesi dopo; incolpava gli islamisti per la serie di violenze. “Questi bombaroli sono organizzati”, dichiarava riferendosi agli attentati alle stazioni di polizia, “sono organizzazioni criminali che vogliono impedirci di controllare la sicurezza.” Il fallimento del governo centrale nel ripristinare la sicurezza a Bengasi, ha portato alla richiesta dell’indipendenza per la Cirenaica. Difatti, dopo che il ministro degli Interni libico, Muhammad Qalifa al-Shaiq, aveva accusato il primo ministro Zaidan di rifiutarsi di reprimere il furto di petrolio dimettendosi per protesta, le autorità di Barqa (il governo autonomo di Aghedabia) ne approfittavano per imporre il proprio monopolio sull’esportazione di petrolio della regione “in segno di protesta contro la corruzione di Tripoli“, creando la Libya Oil and Gas Corp., in concorrenza con la National Oil Corp. (NOC) di Tripoli. Il primo ministro del governo di Barqa, Abdel Rabo al-Barasi, dichiarò il 10 novembre che la nuova compagnia petrolifera avrebbe avuto sede a Tobruq, dove dei ‘manifestanti’ avevano impedito che una petroliera noleggiata dal governo imbarcasse 600000 barili di greggio per l’Italia. “Abbiamo creato la Libya Oil and Gas Corp. e aspetteremo una risposta da Tripoli e dal Fezzan, nella speranza di accordarci. Ma abbiamo la ferma volontà di vendere petrolio e ne conserveremo una quota per Tripoli e Fezzan senza usarla“. Il 18 ottobre, secondo CNBC, Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’ENI, primo partner straniero della Libia, avrebbe detto: “Tutti saranno ricchi” in Libia, “Cinque milioni di persone e 2 milioni di barili di petrolio (al giorno), significano che questo Paese può essere un paradiso, e sono certo che i libici non perderanno l’opportunità di diventare la nuova Abu Dhabi, il nuovo Qatar o il nuovo Quwayt“. Nel 2011 Scaroni fu in prima linea nella distruzione della ricca e socialmente equa Jamahiriya Libica. La Libia oggi rappresenterebbe circa il 14% della produzione totale dell’ENI, che prevedeva perfino di raddoppiare la quota investendo 30-35 miliardi di dollari nella produzione di idrocarburi in Libia. Ma secondo il gruppo svizzero Petromatrix, “attualmente assistiamo al crollo dello Stato libico, il Paese è sempre più vicino alla guerra per i proventi del petrolio“. Secondo il giornalista Patrick Cockburn “i libici sono sempre più in balia delle milizie e l’autorità del governo si disintegra in tutto il Paese.” Sul Tripoli Post del 31 ottobre, Karen Dabrowska scriveva che “notabili locali, gruppi tribali, islamisti e milizie sono tutti in concorrenza con il centro per estendere l’autorità dei loro feudi, così spiegando perché gruppi eterogenei si uniscono temporaneamente evitando che il centro s’imponga su di essi.”
Infine, le tribù berbere occupavano la città portuale di Melitah, a 100 km ad ovest di Tripoli, che ospita il terminale del gasdotto libico diretto a Gela e che le autorità hanno dovuto chiudere. Il ripristino delle forniture di gas verso l’Italia è una questione di vita o di morte per Tripoli, che sta perdendo il controllo sulle risorse libiche. Il premier Zaidan aveva dichiarato che “Il bilancio dello Stato si basa sulle previsioni sui proventi del petrolio. Ma nei prossimi mesi potrà esservi il problema di coprire le spese, a causa del ritardo delle esportazioni di petrolio, lo Stato è di fronte a un grave deficit. L’Italia è oggi il più grande partner della Libia. Sarebbe grave se le esportazioni di gas venissero bloccate, perché importa tra il 23 e il 25 per cento del suo fabbisogno energetico“. Nel 2012, la Libia esportò 379,5 milioni di barili di petrolio, di cui in Italia 139,8 milioni di barili (36,8% del totale delle esportazioni), in Cina 48,2 milioni di barili (12%) e in Francia 46,8 milioni di barili (11%). I principali acquirenti furono le italiane ENI e Saras, la svizzera Glencore, la spagnola Repsol e la cinese Unipec. Ma la produzione del 2012 era già inferiore di 60 milioni di barili a quella dell’anno precedente. Il ministro delle Finanze Qailani Abdulqarim al-Jazi aveva detto che c’erano problemi nel redigere il bilancio per il 2014, mentre il ministro del Petrolio Ali Abdulbari al-Arusi affermava che l’interruzione della produzione e dell’esportazione del petrolio erano costate al Paese oltre un miliardo di dollari solo nei primi cinque mesi del 2013. Quindi il governo non è in grado di provvedere ai servizi di base, mentre almeno un terzo della forza lavoro è disoccupata, un milione di sostenitori di Gheddafi è sfollato e altre centinaia di migliaia di persone si sono rifugiate all’estero. Ciò nonostante dall’autunno del 2011 la Germania abbia speso 25 milioni di dollari in Libia, di cui 3,2 per le ONG che “supportano la democrazia e la società civile“, mentre la Francia ha preso in considerazione l’addestramento di 2500 poliziotti libici. Il nuovo mini “esercito libico” è stato creato a sostegno delle forze filo-occidentali guidate da due agenti della CIA, Zaidan e Magariaf. Magariaf è a capo del Fronte nazionale libico, una formazione della destra neo-conservatrice, nucleo del “partito americano” in Libia. Il loro esercito è integrato da numerosi mercenari occidentali, a loro volta collegati alle forze speciali della NATO, tra cui i Navy Seal imbarcati sulle navi della Sesta Flotta, di stanza al largo della Libia.
A Misurata, a circa 200 km a est di Tripoli, e a Zintan, 170 km a sud ovest di Tripoli, vi sono le milizie islamiste addestrate e armate dai francesi nel giugno-luglio 2011. Queste milizie sono dotate di armi pesanti ed organizzate dalla NATO per la presa di Tripoli. Le qatiba misuratine si sono installate a Tripoli. Mustafah Nuh, il vicecapo dei servizi segreti è un islamista di Misurata. La qatiba misuratina di Gharour è la sua milizia. Il ministro della Difesa è della milizia di Zintan. Saif al-Islam Gheddafi è prigionieri di Ajmi al-Atiri, il comandante della brigata di Zintan e membro del CNT, ottenendo così posizioni di comando nell’esercito fantoccio del CNT, ricevendo finanziamenti da Qatar, NATO e Francia, (fondi segreti dell’Eliseo e del premier francesi). Vi è poi il partito islamista al-Watan di Abdelhaqim Belhadj. Struttura politico-militare finanziata dal Qatar e sostenuta dai francesi, controlla i campi di addestramento dell’ELS installati dalla NATO in Libia. Abdelhakim Belhadj, affiliato ad al-Qaida, è il governatore di Tripoli e il suo braccio destro è Mahdi al-Harati, comandante della brigata Tripoli ed ex numero due del ‘Consiglio militare rivoluzionario’ nella capitale libica. Una qatiba jihadista, la ‘milizia di Tripoli’, è in realtà un’organizzazione dei servizi segreti francesi, installata nel luglio 2011 nel Jebel Nafusa, ad ovest di Tripoli. La milizia di Bengasi guidata dal figlio del defunto generale fellone Yunis, agente del servizio segreto inglese, e rivale di Hifter nella leadership militare del CNT. Yunis fu assassinato nel luglio 2011 in un complotto ordito da Habdelhaqim Belhadj e Mustafah Abdeljalil (il capo del CNT fino al 2012). La milizia è formata da disertori e traditori dell’esercito della Jamahirya e dalle tribù ‘federaliste’ senussite della Cirenaica. Le altre milizie islamiste si trovano a Tripoli, nel quartiere Suq al-Juma, a Zlitan, a Bengasi vi è la milizia Scudo della Libia, le Cellule rivoluzionarie in Libia al servizio dei ministeri dell’Interno e della Difesa, che rivendicarono il rapimento del primo ministro Zaidan, e infine a Derna la milizia di Yusif bin Tahir, che il 31 ottobre aveva annunciato la creazione dell”Esercito dello Stato islamico della Libia’ su al-Naba TV, una televisione finanziata dal Qatar. “Mi ci sono voluti sei mesi per annunciare la creazione dell’Esercito dello Stato islamico della Libia. Gli uomini sono stati addestrati a Derna, in quel periodo, da ex veri rivoluzionari come me. Il nostro obiettivo è semplice: la sicurezza negli edifici pubblici, per le strade e per le aziende private. Prima a Derna, poi in altre città come Bengasi e Sirte, e infine in tutta la Libia, perché l’Islam dice che è nostro dovere di musulmani proteggere le persone. In realtà, in questo momento posso garantire l’intera area da Derna a Bengasi“. Poi parlava di un “gruppo speciale” che opera nel deserto e su barche, che ha l’ordine di catturare i clandestini africani. Sostiene che i suoi hanno arrestato dei clandestini su una barca, a fine ottobre: “sono sotto il nostro controllo. Facciamo indagini su di loro“, dichiarava aggiungendo che “la maggior parte di loro ha malattie come l’HIV“. “Facciamo un lavoro diverso rispetto alle brigate di Abu Salim o di Ansar al-Sharia. Riceviamo donazioni dai nostri soci. Soprattutto, vi spendo tutti i miei soldi, la mia famiglia è di Derna, ma ci siamo trasferiti a Bengasi dove abbiamo nostri affari, come ad esempio la vendita di auto.” “Non so quanto siano ricchi, ma i bin Tahir di Derna è una grande famiglia“, affermava il deputato di Bengasi Sulaiman Zubi. “Ma per quanto ricco sia, nessuno può disporre di una brigata con solo il proprio denaro. Se il gruppo è davvero forte, riceve soldi dal governo, o dall’estero.” Bin Tahir affermava inoltre che “Non abbiamo alcun legame con il governo. Non siamo schierati anche se rimarrò con le autorità contro il federalismo, se necessario“.
Il Movimento 9 Novembre aveva indetto manifestazioni di protesta a Tripoli, chiedendo che il mandato del Consiglio generale nazionale (il governo nazionale) non andasse oltre il 7 febbraio 2014, come invece aveva indicato Zaidan, e invocando le elezioni anticipate. Zaidan minacciò in risposta l’”intervento delle forze di occupazione straniere“, perché “la comunità internazionale non può tollerare uno Stato nel Mediterraneo fonte di violenza, terrorismo e omicidi.” Zaidan vuole dal Pentagono armi e addestramento, tramite l’Africom, per formare un nuovo esercito libico. Ma gli Stati Uniti si erano impegnati soltanto a creare una piccola unità antiterrorismo libica, e l’assenza di una vera autorità pone il timore che tale unità finisca per essere usata per fini diversi dalla lotta ai terroristi. Tra l’altro ad agosto, delle milizie compirono un raid nel campo di addestramento di questa unità, sottraendo una grande quantità di materiale militare statunitense, tra cui componenti sensibili. Gli Stati Uniti così decisero di interrompere il programma e i loro istruttori furono ritirati. Ahmad Muharib, presidente dell’Unione del lavoro politico per la Libia, dichiarava a RIA Novosti, il 30 ottobre 2013, che il Qatar è all’origine di ciò che è successo in Tunisia, Egitto e Libia, ma che l’affermazione in Egitto del Generale al-Sisi ha sconvolto i piani islamo-atlantisti per la regione. Prima della ‘primavera araba’, Washington voleva imporre le basi dell’Africom nei Paesi nordafricani, ma Gheddafi, Mubaraq, Ben Ali e Butefliqa si opposero. Dopo la “primavera araba” gli statunitensi si sono installati nella Libia meridionale e nel sud della Tunisia con l’accordo dei governi dei Fratelli musulmani. Inoltre, affermava Muharib, uno degli obiettivi della guerra contro la Libia era depredarla dei beni all’estero. Secondo Muharib, l’evoluzione della situazione in Egitto ha sventato il piano occidentale e svegliato il sentimento nazionalista libico organizzando la resistenza per la liberazione del Paese dal colonialismo e da al-Qaida. Per questo scopo è stata fondata l’Unione del lavoro politico per la Libia (Majmuat al-Amal al-Siyasi min Ajli Libiya) che terrà il suo primo congresso a fine novembre a Cairo.

Alessandro Lattanzio, 21/11/2013

Riferimenti:
Le numero 2 des renseignements libyens enelevè à Tripoli: la “dekadhafisation” au coeur du chaos libyen!, Luc Michel, 18.11.2013
Libya almost Imploding, Status Quo Unsustainable: Oil Industry Target of Violent Attacks, Nicola Nasser, 13.11.2013
Libyan autonomy group forms oil firm, challenges government, Ulf Laessing e Feras Bosalum, 10.11.2013
Libyan oil and its future. Part 1, Eldar Kasayev, 20.09.2013
The Army of Islamic State of Libya: Derna’s mystery militia, Mathieu Galtier, 7.11.2013
Tug of war over Benghazi could decide control of Libya, Mathieu Galtier, 23.04.2013
Un haut responsable libyen déclare que le Qatar est à l’origine des événements en Tunisie, en Egypte et en Libye, 17.11.2013
Washington’s puppet regime in Libya teeters on the brink, Jean Shaoul, 18.11.2013

Fonte: http://aurorasito.wordpress.com/2013/11/18/la-situazione-sempre-piu-precaria-della-libia/

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