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domenica 29 settembre 2013

Lo "stato fallito" libico

15/5/2013
Ripropongo tre articoli pubblicati a notevole distanza uno dall’altro, la cui lettura comparata offre però la possibilità di comprendere come gli Stati Uniti e i loro alleati membri della NATO abbiano gettato i semi da cui è “fiorito” l’attuale disastro geostrategico che ha consegnato la Libia al caos, ponendola sotto il controllo di bande di guerriglieri islamisti che fanno del settarismo tribale e religioso il proprio marchio distintivo.


Al-Qaeda: pedine dell’insurrezione della CIA dalla Libia allo Yemen
Di Webster Griffin Tarpley


Dopo due settimane di attacchi imperialistici, la Libia viene ora straziata dai terroristi di al-Qaeda, dalla guerra civile, dai raid aerei della NATO, dai missili Cruise, dai droni Predator e dagli aerei da combattimento C-130, tutte cose rese possibili dai ribelli della Cirenaica sostenuti dalla CIA. Commandos statunitensi, britannici, francesi e olandesi hanno assunto la leadership delle forze ribelli e le stanno armando con armamenti moderni in flagrante violazione dell’embargo sulle armi specificato nella risoluzione ONU 1973. Inoltre al-Qaeda, per conto suo, sta già rubando armi pesanti, come ha riferito il presidente del Ciad. La fatua retorica delle rivoluzioni colorate di matrice angloamericana si è dissolta, per mostrare alla luce del sole l’orrenda realtà di una cinica e brutale furia imperialistica volta a distruggere lo stesso Stato-nazione moderno.





I ribelli: il Triumvirato del Terrore al comando di Derna


Second il “Daily Telegraph” londinese del 26 marzo, Derna, città chiave nel cuore dell’area dei ribelli, fra Bengasi e Tobruk, è comandata da al-Hasidi, un capofila di terroristi di al-Qaeda che si è addestrato e si è intrattenuto amichevolmente con Osama bin Laden presso il campo di addestramento di terroristi di Khost, in Afghanistan. Hasidi si vanta di aver inviato 25 miliziani a combattere contro le forze NATO e statunitensi in Afghanistan; viene da chiedersi quante persone siano riusciti a uccidere. Hasidi è stato un prigioniero di guerra degli Stati Uniti dopo essere stato catturato dai pakistani, ma il “Wall Street Journal” del 2 aprile racconta che egli oggi odia gli Stati Uniti per “meno del 50%”, con ciò suggerendo che gli americani possono redimersi compiacendo al-Qaeda e quindi fornendole armi, denaro, potere politico e supporto diplomatico. Al suo fianco nella leadership della città c’è Sufian bin Komu, lo chauffeur di Osama bin Laden, un altro terrorista che è stato in carcere a Guantanamo per 6 anni. Inoltre, fra i pezzi grossi della città di Derna c’è al-Barrani, un devoto membro del Libyan Islamic Fighting Group, che si era fuso con al-Qaeda nel 2007.
Questo branco di fanatici, psicotici e criminali è annunciato dai media della CIA come una classe dirigente capace di garantire un futuro di democrazia alla Libia. In realtà, il consiglio dei ribelli di Bengasi, pesantemente disseminato di terroristi di al-Qaeda, non può far altro che presiedere alla discesa del Paese nel caos del tribalismo, dei signori della guerra e di associazioni a delinquere che determinerebbero la fine della stessa civiltà in quell’area. Questo sembra essere esattamente l’obiettivo delle politiche statunitensi, e non solo in Libia.




Derna, Nordest della Libia: capitale mondiale del reclutamento di terroristi


E queste persone non sono neppure atipiche. Uno studio del dicembre 2007 da parte dell’accademia militare statunitense di West Point ha mostrato che la Libia (che conta una popolazione di 7 milioni di abitanti) ha fornito il 20% di tutti i combattenti di al-Qaeda che attraversavano il confine con l’Iraq dalla Siria. Questa stessa città di Derna (60.000 abitanti) era il più grande centro per il reclutamento di terroristi al mondo e superava perfino Riyadh, in Arabia Saudita (4,5 milioni di abitanti); la città ribelle di Bengasi rientrava fra le prime quattro in classifica. La Libia ha inviato il doppio dei terroristi in Iraq pro capite rispetto all’Arabia Saudita e l’85% dei libici che ha indicato una specialità, ha scelto quella di kamikaze.
L’“Economist” londinese, la BBC Newsnight e un numero crescente di trombetti accademici pro-Obama stanno tentando di nascondere questi semplici fatti. Essi argomentano che questi ora sono terroristi maturi, pluralisti, democratici. Quell’operazione di desecretazione limitata di informazioni della CIA, nota come Wikileaks, ha contribuito fornendo alcuni cablogrammi manipolati i quali erano tesi a mostrare che in realtà era il supporto degli Stati Uniti a Gheddafi che aveva spinto questi fanatici alla disperazione e al terrorismo, e questo fa anche parte della posizione assunta dalla CIA.
Il primo aprile, gli stessi ribelli di Bengasi hanno usato la presenza mediatica alle preghiere del venerdì per innalzare cartelli dove si negava che la ribellione era diretta da al-Qaeda. Se è così, allora che espellano il triumvirato del terrore che regge Derna e che rivelino i nomi delle decine e decine di membri anonimi del consiglio dei ribelli, di cui si sospetta l’appartenenza ad al-Qaeda.
Hillary Clinton ammette di non avere “sotto gli occhi il 100%” di ciò che sono i ribelli, e l’ammiraglio statunitense Stavridis, comandante della NATO, ha riferito al Comitato dei Servizi Armati del Senato che egli vede solo “deboli segnali” di al-Qaeda. In realtà, il ruolo centrale di al-Qaeda non si mostra affatto con “deboli segnali”, ma è chiaro come la luce del sole a mezzogiorno nel Mediterraneo.




Quattro piaghe della Libia: tribù monarchiche e razziste, al-Qaeda, la CIA, i generali traditori


L’insurrezione libica ha quattro componenti. La prima è fornita dai britannici e consiste nelle tribù monarchiche e razziste degli Harabi e degli Obeidat del corridoio di Bengasi-Derna-Tobruk, la cui cultura tradizionale è quella oscurantista dell’Ordine dei Senussi. Durante la resistenza al colonialismo italiano, queste tribù si erano alleate con i britannici ed erano state ricompensate vedendo il capo dell’Ordine dei Senussi posto al trono nella persona di re Idris I, detronizzato da Gheddafi nel 1968. Privati del loro ruolo come classe dirigente monarchica, queste tribù odiano le tribù filogheddafi nere o di pelle scura dei Fezzan, che occupano l’area Sudovest della Libia, e quest’odio è sfociato nel linciaggio e nel massacro di molti africani neri del Ciad, del Mali e del Sudan che lavoravano in Libia e che i media occidentali hanno ignorato.
Enan Obeidi, la donna che sostiene di essere stata stuprata dalle forze armate di Gheddafi, è una Obeidat di Bengasi, e questo induce a sollevare qualche dubbio sulla sua storia. Per i media si tratta di una riedizione della bufala delle incubatrici del Kuwait nel 1990: la vicenda potrebbe essere stata creata ad arte per alimentare l’isteria bellica contro Gheddafi.
Due ingredienti vengono dalla CIA. Si tratta della stessa al-Qaeda, fondata come Legione Araba della CIA contro l’URSS dal vicedirettore della CIA Robert Gates – attuale Segretario alla Difesa – in Afghanistan nel 1981-82. Un altro ingrediente della CIA è il Libyan National Salvation Front, che aveva sede prima in Sudan e poi nella Virginia, e che si presume invii la risorsa della CIA Khalifa Hifter a dirigere i militari ribelli, molto probabilmente anche per nascondere la presenza di membri di al-Qaeda.
Una quarta componente proviene dai francesi, che lo scorso autunno hanno organizzato la defezione di un socio di Gheddafi di alto livello, Nouri Mesmari, come ha riferito il “Maghreb Confidential”. Una cricca di generali che circondano Mesmari l’ha aiutato a fomentare gli ammutinamenti militari contro Gheddafi nel Nordest della Libia.
E la Libia non è la sola. Nello Yemen, gli agenti di al-Qaeda sono componenti decisive del tentativo di golpe della CIA contro il presidente Saleh, che viene oggi promosso dagli Stati Uniti al fine di frammentare lo Yemen in due o più Stati superstiti. Qui il leader di al-Qaeda è al-Shihri, un saudita che era stato liberato insieme ad altri prigionieri di Guantanamo e inviato nello Yemen dall’amministrazione Bush, con un gesto pubblicizzato come “umanitario” ma che in realtà aveva fornito il capo della futura destabilizzazione. Sempre nello Yemen c’è Anwar Awlaki, nato negli Stati Uniti e noto agli addetti ai lavori come “Awlaki the CIA lackey” (Awlaki il lacchè della CIA), chiaramente un doppio agente, che è stato usato per bollare come membri di al-Qaeda per scopi propagandistici dozzine di terroristi, inclusi i sei di Fort Dix, il Maggiore Hasan di Fort Hood, e Mutallab della Nigeria, il kamikaze con l’esplosivo nelle mutande salito all’onore della cronaca nel Natale 2009.
In Siria, l’obiettivo della CIA è di privare l’Iran di un alleato, isolare Hezbollah, cacciare la Russia dalla base navale di Tartus e aumentare il potere dei Fratelli Musulmani, che oggi è la principale forza in grado di promuovere l’insurrezione al servizio di Washington.




Si chieda al Dipartimento di Stato di spiegare perché gli USA stanno armando i terroristi di al-Qaeda


Il Primo Ministro turco Erdogan ha giustamente messo in guardia contro le politiche NATO sulla fornitura di armi ai ribelli libici, poiché ciò “gioverebbe al terrorismo.” Anche il Ministro degli Esteri russo Lavrov ha condannato qualunque fornitura di armi ai ribelli da parte della NATO. Il richiamo di Papa Benedetto XVI a un cessate il fuoco va nella stessa direzione. Russia, Turchia, Cina e altri governi devono ora chiedere formalmente spiegazioni al Dipartimento di Stato e chiedere loro perché gli Stati Uniti forniscono armamenti moderni e addestramento ai più pericolosi terroristi internazionali e propongono al tempo stesso di donare loro ampie porzioni dei 32 miliardi di risorse congelate del governo libico, più una quota dei futuri proventi del petrolio. Questo basta per portare il Mediterraneo, il mondo arabo e l’Europa meridionale all’ebollizione, fra rifugiati, pirateria, al caos e alla guerra.
Sotto Bush e Cheney, la presunta presenza di al-Qaeda era usata come pretesto per bombardamenti e invasioni. Sotto Obama, l’imperialismo angloamericano, moribondo e spinto oltre le proprie capacità, sta servendosi di al-Qaeda come infanteria irregolare nello sforzo di perseguitare e paralizzare gli Stati-nazione del mondo, inducendoli a disintegrarsi nel caos tribale, settario, criminale dei signori della guerra. Nella fase attuale, al-Qaeda è tornata ad assumere il suo status originale di ente preposto alla guerriglia per conto della CIA. Di conseguenza, la stessa civiltà è minacciata in vaste aree del globo. Se siete scettici, vi basta dare un’occhiata al consiglio della città di Derna, in Libia.




FONTE


http://tarpley.net/2011/04/03/al-qaida-pedine-dell-insurrezione-della-cia-dalla-libia-allo-yemen/




Il terrorista libico amico di Washington
Di Manlio Dinucci


Gli oltre 700 documenti classificati sui detenuti di Guantanamo, pubblicati dal “New York Times” che li ha ottenuti attraverso WikiLeaks, confermano quanto in generale già sapevamo. Tra i 600 prigionieri trasferiti in altri paesi e i 172 che ancora restano nel centro di detenzione vi sono sia militanti della Jihad e altri oppositori, sia persone assolutamente estranee; sia anziani, come l’afghano Haji Faiz Mohammed, internato all’età di 70 anni quando era affetto da demenza senile; sia ragazzi, come il pachistano Naqib Ullah internato a Guantanamo all’età di 14 anni e per di più affetto da tubercolosi, o il canadese Omar Khadr, internato all’età di 15 anni, con l’accusa di aver ucciso in combattimento un soldato delle forze speciali Usa in Afghanistan, e detenuto per nove anni. Ma sono passati da Guantanamo anche personaggi di diverso tipo.
Emblematica è la storia del libico Abu Sufian Ibrahim Ahmed Hamuda bin Qumu. Nato a Derna nel 1959, si arruolò nell’esercito come carrista, ma fu in seguito condannato a 10 anni per assassinio e traffico di droga. Fuggito nel 1993, andò in Egitto e quindi in Afghanistan. Dopo essere stato addestrato nel campo Torkham di Osama bin Laden, partecipò all’organizzazione della milizia taleban. Fu quindi trasferito in Sudan, dove venne assunto dalla Wadi al-Aqiq, una delle compagnie di bin Laden. Costretto a lasciare il Sudan, si traferì a Peshawar, in Pakistan, e quindi a Kabul nel 2001, sempre con un ruolo dirigente nella milizia taleban. Catturato, fu portato a Guantanamo nel 2002.
Nel documento classificato della Joint Task Force Guantanamo del Dipartimento Usa della difesa, datato 22 aprile 2005, è scritto che «il governo libico indica Qumu, detenuto a Guantanamo, come uno dei capi estremisti degli Arabi Afghani (i mujaheddin restati in Afghanistan e Pakistan dopo la jihad anti-sovietica), collegato con i taleban e Al Qaeda». Tripoli lo considera quindi «un elemento pericoloso, senza scrupoli nel commettere atti terroristici». In sintonia con tale giudizio, il Dipartimento USA della difesa conclude che «il detenuto Qumu costituisce un elemento di rischio medio/alto, una probabile minaccia per gli Usa, i loro interessi e i loro alleati».
Appena due anni dopo, nel 2007, Qumu è trasferito da Guantanamo in Libia, dove l’anno seguente viene amnistiato e liberato. Oggi, riporta il New York Times, egli costituisce «una figura di spicco nella lotta dei ribelli libici per rovesciare Gheddafi», a capo di «una banda di combattenti nota come Brigata Derna», dal nome della città natale di Qumu dove è nato il Gruppo combattente islamico libico (di cui lo stesso Qumu ha fatto parte). «L’ex-nemico e prigioniero degli Stati uniti è ora un alleato», commenta il New York Times. Non c’è da stupirsi: il caso Qumu è emblematico di come, sotto la copertura della lotta al terrorismo, Washington recluti e manovri gruppi terroristici a seconda degli interessi del momento. Dimenticando però il vecchio detto che chi semina vento raccoglie tempesta.




FONTE


“Il Manifesto”, 26/05/2011




La Libia è ormai in mano ad al-Qaeda
Da Analisidifesa.it




Dopo l’intervento francese in Mali che ha costretto molti miliziani di al-Qaeda a lasciare il Paese africano, la Libia è diventata la principale base dell’organizzazione terroristica nella regione. E’ quanto ha dichiarato un alto funzionario dell’intelligence libica al “Daily Beast”. «La Libia è diventato il quartier generale di Al Qaida nel Maghreb islamico (AQMI)», ha detto la fonte, riferendo di tre nuovi campi dei terroristi aperti nelle ultime settimane nel sud del Paese. Fonti occidentali non hanno voluto commentare la minaccia posta dai jihadisti, sottolinea oggi il quotidiano Usa, ricordando però come la scorsa settimana sia stato invece il Presidente del Ciad, Idriss Deby, a denunciare l’inerzia del governo di Tripoli contro i combattenti, accusati di usare la Libia come terreno di addestramento delle nuove reclute, minacciando così la sicurezza della regione. Accuse respinte dal governo libico, che ha smentito l’arrivo dal Mali dei jihadisti. Sempre secondo una fonte dell’intelligence libica, dopo l’attacco dello scorso settembre al consolato USA di Bengasi, un numero crescente di jihadisti libici sarebbe passato proprio sotto il comando di AQMI. Secondo la fonte, lo stesso attacco contro il consolato americano non sarebbe stato ordinato o progettato direttamente da AQMI, ma l’organizzazione terroristica avrebbe avuto un ruolo nella decisione di colpire l’obiettivo statunitense. Decisione presa da un comitato di leader jihadisti egiziani e libici e che ha visto coinvolte «cellule radicali di diverse milizie rivoluzionarie di Bengasi».
Il Paese nordafricano è del resto in preda al caos. Cirenaica e Fezzan sono da tempo fuori controllo e anche la Tripolitania è in mano alle milizie tribali che da settimane assediano il Parlamento e i più importanti ministeri. La vicenda, che si protrae da settimane, era collegata all’approvazione della legge che sancisce l’esclusione dalla vita politica dei dirigenti che abbiano avuto ruoli di responsabilità nel regime del defunto rais Muammar Gheddafi. Ma, nonostante la legge sia stata approvata domenica, gli ex ribelli hanno continuato l’assedio, chiedendo le dimissioni del premier Ali Zeidan. Questa mattina erano arrivate le dimissioni del ministro della Difesa Mohamed al-Barghati che poi, accettando il forte invito del premier a rimanere al suo posto, le ha ritirate. Le motivazioni del gesto le aveva spiegate lo stesso al-Barghati, quando si era detto costretto, nonostante il parere contrario dei suoi colleghi di governo, alle dimissioni. Quel che appare evidente è la resa dello Stato alle milizie. Cosa testimoniata dalle parole dello stesso ministro della Giustizia, Salah al-Marghani, che rivela come ancora questa mattina due pick-up dei miliziani, con tanto di cannoni antiaerei puntati contro le finestre, erano nel cortile interno del palazzo che ospita gli uffici del guardasigilli. E le sue parole sono l’ennesima conferma di una impotenza evidente: «Se questa situazione continuerà, saremo costretti a studiare la possibilità di spostarci in un altro quartiere, forse anche in un’altra città più sicura».




FONTE


http://www.analisidifesa.it/2013/05/la-libia-e-ormai-in-mano-ad-al-qaeda/
PRESO DA: http://polemos-war.blogspot.it/2013/05/lo-stato-fallito-libico.html

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