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martedì 12 marzo 2013

Libia, o Iraq o Jamahiriya nessun futuro per il Cnt

Pubblicato il: 28 gennaio, 2012
Analisi / Esteri | Di Filippo Bovo

Libia, o Iraq o Jamahiriya nessun futuro per il Cnt

C’è da scommettere che quanto avvenuto in Libia nell’ultima settimana abbia lasciato di stucco ben più d’una persona, non soltanto tra i (ma lo saranno ancora?) galvanizzati sostenitori del CNT e della guerra “buona e giusta” della NATO e di “mamma America”, ma anche tra coloro che a difesa della sovranità della Jamahiriya e della verità su quanto realmente vi stava accadendo s’erano onorevolmente mobilitati nelle forme più varie e (a partire da agosto, dopo la caduta di Tripoli, e ancor più da ottobre, dopo la morte di Muammar Al Gheddafi) persino disperate. Sembrava che anche per la Libia, ormai, dovessero valere i principi della “fine della storia” e del “pensiero unico”: finita per sempre la Jamahiriya; consegnata al dimenticatoio la quarantennale rivoluzione delle masse; sepolto o addirittura cremato chissà dove il corpo del Qaid; e celebrata trionfalmente la nuova era del CNT e della “Repubblica di Libia” col vessillo monarchico e capitanata dai peggiori elementi del fondamentalismo nordafricano; davvero non sembrava proprio più possibile poter credere alla continuazione della guerriglia di resistenza popolare.

E invece, a dimostrazione che tanto fuoco covava sotto la cenere, quando tutti meno se l’aspettavano il popolo s’è scosso e le fantasie retoriche che mesi di propaganda avevano elevato alla concretezza di fatti sono ritornate ad essere ciò che erano e sempre sono state: semplici e banali fantasie, niente di più e niente di meno. Perchè, a dispetto dell’immane cappa mediatica instaurata dal monopolio dei media occidentali e panarabi coalizzati nel costruirsi una vittoria virtuale con cui rimpiattare una disfatta reale, in Libia si continuava comunque a combattere. Una lunga, lenta e silenziosa (almeno per noi occidentali, depistati e disorientati dai nostri media di propaganda) guerra di logoramento ha sfaldato sempre di più il CNT, col preciso scopo di rafforzarne ed esasperarne le tendenze centrifughe interne, fino al punto di frustrare e vanificare il prezioso sostegno che la NATO offriva alla sua élite coloniale di golpisti e collaborazionisti bengasini e misuratini. Sono ben noti gli scontri a fuoco fra le varie fazioni cirenaiche e tripolitane, il crescente malcontento di quest’ultime verso gli atteggiamenti sempre più spavaldamente colonizzatori degli elementi esterni e allo stesso tempo l’analogamente crescente apatia mista ad ostilità della popolazione delle grandi città e delle tribù insoddisfatte, deluse, vessate e spogliate dal nuovo regime. Un regime che è percepito come illeggittimo e d’occupazione e pertanto ricambiato, al primo segnale di debolezza, con tutti i tentativi possibili ed immaginabili di scacciarlo ed eliminarlo. E così è stato, infatti, nel Fezzan dove di fatto mai il CNT è riuscito a mettere solide radici, accontentandosi solamente di rapide incursioni col supporto aereo ed operativo della NATO e delle compagnie di ventura; e del pari a Tripoli, a Bengasi, a Misurata ed in altre città in cui da giorni infuria la rivolta contro i nuovi padroni; una rivolta vera, non la patacca antigheddafiana di qualche mese fa, costruita a suon di set cinematografici a Doha e riprese di repertorio provenienti da tutt’altre parti del Mondo Arabo.
Adesso Bani Walid è ritornata nelle mani della Resistenza; vedremo per quanto tempo e con quali conseguenze sul resto del paese. Ciò che è invece dimostrato da un tale avvenimento in maniera difficilmente obiettabile è il progressivo indebolimento del CNT e delle sue milizie, una vera e propria malattia degenerativa che porterà anche alla paralisi delle milizie NATO e mercenarie attualmente operanti nel paese per presidiare i giacimenti petroliferi e garantire così alle potenze imperialiste di perseguire i propri progetti di depredamento neocolonialista. Nessuna forza e potenza occupante può infatti garantirsi il controllo del territorio senza dell’efficiente collaborazionismo: ciò che attualmente manca in Libia, com’è mancato in Iraq, in Afghanistan, in Vietnam e in tanti altri teatri che videro lo scontro fra imperialismi e popoli in lotta. Volendo, potremmo persino allargarci alla storia nemmeno poi così tanto lontana dell’Europa occupata dal Nazismo durante la Seconda Guerra Mondiale, dall’Italia alla Francia, dalla Jugoslavia all’Unione Sovietica. Vale sempre il detto “ride bene chi ride ultimo” e le effimere vittorie del mostro atlantico e qatariota, attorniato da colaborazionisti del Libyan Islamic Fighting Group e di altra ciurmaglia consimile, ben ricordano quelle del Reich tutt’altro che millenario, affiancato da fascisti repubblicani, Squadre di Ferro, Croci Frecciate, Cosacchi della ROA e svendipatria vari. A buon intenditor, poche parole.
Non a caso la NATO, lentamente, si defila. Ufficialmente l’avrebbe già fatto fin dal 31 ottobre, ma solo per i gonzi che s’imbevono delle brutture calate dai nostri giornali e telegiornali. Nella realtà, infatti, continua a presidiare il paese più o meno occultamente, coordinando di concerto col Qatar l’operato dei contractors e perlustrando il paese, soprattutto nelle aree meridionali dove si concentra la Resistenza, con i droni. Droni che non a caso sono apparsi anche sopra Bani Walid non appena è giunta la notizia della sua liberazione, mentre nei pressi della città s’appostavano squadre militari col chiaro intento d’indurre e costringere la locale tribù dei Warfallah a piegare una volta per tutte la testa e tagliare i ponti coi resistenti. Ma se fra i generali NATO e i loro luogotenenti e Quisling in zona è forte la pervicacia, altrettanto forti sono la rassegnazione e la disperazione. A Bengasi la popolazione infuriata, domenica scorsa, ha fatto irruzione nella sede del CNT mettendola a soqquadro ed affrontando direttamente il leader Al Jalil, con una violenza che ha superato tutte le dimostrazioni precedenti e che lo ha lasciato sconvolto. Anche perchè stavolta i suoi miliziani non sono stati in grado di sedarla, come invece era quasi regolarmente avvenuto in passato, sebbene a fatica; e di conseguenza il suo cuor di coniglio ne ha fortemente risentito. Di fronte al rischio di restar travolti dalle macerie di un regime collaborazionista la cui appartenenza diviene sempre più compromettente, sono in tanti a defilarsi: non solo tra i guerriglieri, dove aumentano i casi di passaggi nelle fila dei gheddafiani, ma anche tra i dirigenti e gli ambasciatori che rimettono il loro mandato. Del resto anche lo stesso Jalil è dimissionario e così anche i suoi vice.
Viene da chiedersi allora cosa ci sia andato a fare a Tripoli, all’Hotel Rixos, il nostro Mario Monti. Forse a garantire nuovi aiuti al CNT o, nel peggiore dei casi, addirittura il supporto per evacuare i compagni di sventura libici ormai destinati a venire reietti e deietti, in un modo o nell’altro, dalla Libia che non li vuole? Stando agli ultimi avvenimenti, è quanto di più probabile. Certamente, tanto per cominciare, ad assicurarsi uno speranzoso e difficile controllo dei giacimenti petroliferi tramite l’invio di nuovi aiuti militari, mercenari compresi. Non ce lo vogliono dire, ma è la logica che ce lo suggerisce. Anche perchè, senza petrolio iraniano a causa di un embargo voluto da altri, ci dobbiamo accanire in un modo o nell’altro per avere almeno un po’ di petrolio libico: costi quel che costi. Almeno finchè le tribù non avranno ristabilito la Jamahiriya, argomento su cui esse discutono e al quale sempre più evidentemente mirano, malgrado l’ostilità di chi ha fatto di tutto per imporre alla Libia ben altro regime e ben altro governo. Può darsi che ci metteranno anche degli anni, ma prima o poi c’arriveranno, si trattasse anche solo d’una restaurazione parziale, limitata a parte del paese. C’è, a Washington, a Londra, a Bruxelles, a Parigi, a Doha, e persino a Bengasi, chi s’accontenta, come opzione di riserva, di vedere una Libia in fiamme e spezzettata vista l’impossibilità d’averla per sé tutt’intera. Basta che non torni ad essere la Libia di prima, o peggio ancora una Libia tutta in mano ai cinesi. Brucia agli americani, agli europei e agli arabi del Golfo l’esperienza dell’Iraq, sfuggito di mano e finito (anche ma non solo) nelle braccia degli iraniani e dei cinesi. Purtroppo per loro pare che anche la Libia sia destinata a sorte analoga.

Fonte:http://www.statopotenza.eu/2055/libia-o-iraq-o-jamahiriya-nessun-futuro-per-il-cnt

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