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martedì 1 luglio 2014

I flussi finanziari nelle mani jihadiste

26 giugno 2014
Loretta Napoleoni
È dall'indomani dell'11 settembre che la Jihad si alimenta con il contante ed i corrieri del denaro. Quando nel 2006 al Zarqawi fu avvistato vicino al confine tra Iraq e Siria - crocevia importantissimo per il contrabbando e da almeno due anni in mano dell'Isis - nella vettura dove viaggiava venne ritrovata una valigetta con più di 300 mila dollari in contante.
La lotta contro il terrorismo e la crisi economica hanno prodotto una giungla di legislazioni dove diventa sempre più difficile procedere. Molte banche internazionali sono state duramente tassate per aver infranto, a volte senza rendersene conto, le regole del Patriot Act, la legislazione anti-riciclaggio statunitense applicata dovunque ed a tutte le transazioni in dollari. In materia di riciclaggio ed evasione fiscale, poi, nazioni come la Svizzera si sono spesso ritrovate nell’occhio di un ciclone normativo creato dal legislatore straniero.

Tutto ciò ha rallentato il funzionamento del sistema finanziario ed aperto nuove opportunità per quello bancario informale, costituito da istituzioni ad hoc che operano al di fuori di quello tradizionale, tra le quali ci sono anche gli hedge funds ed i family office. Ma soprattutto, l’eccessiva regolamentazione ha influito negativamente sull’accesso al credito da parte dei piccoli e medi investitori. Sotto questo punto di vista è giusto affermare che nei Paesi più colpiti dalla crisi economica, questa ha tagliato le gambe alla ripresa.

Mentre il mondo era impegnato nel pattugliamento dei flussi monetari e finanziari, un gruppo di jihadisti ispirati dalle gesta di Abu Musad al Zarqawi creava, nel giro di quattro anni, un’economia oggi valutata tra uno e due miliardi di dollari e lo faceva nella più assoluta illegalità, anzi commettendo reati di indescrivibile atrocità in seno al conflitto siriano. Tutto ciò è passato inosservato fino a qualche settimana fa, quando sono state sequestrate più di cento chiavette usb contenenti le finanze ed i resoconti militari dell’Islamic State of Iraq and the Levant, meglio noto come Isis.
Come mai al sistema di controllo è sfuggita l’ascesa spettacolare di questa organizzazione? La risposta è semplice: l’Isis usa solo contante, solo cash.

Seguendo quasi passo passo il piano d’azione tracciato da al Zarqawi, Abu Bakr al Baghdadi, leader dell’Isis, ha agganciato l’organizzazione all’economia di guerra siriana. Con i soldi degli sponsor ha conquistato territori strategici lungo il confine con l’Iraq impossessandosi dei pozzi petroliferi del governo di Damasco e rivendendogliene alcuni a caro prezzo. Con i capi delle tribù locali ha messo in piedi un sistema di contrabbando import-export intascando percentuali in entrata ed in uscita. A questo va aggiunto il sistema di tassazione nei confronti di chiunque conduca un’attività economica sul proprio territorio, solo a Mosul questo sistema ha prodotto otto milioni di dollari.

Il modello finanziario è quello classico dello “Stato guscio”, simile alla gestione dell’Olp in Libano, all’enclave delle Farc in Colombia ed alle regioni controllate dai narco-talebani. Il gruppo armato usa la guerra per arricchirsi e rafforzarsi militarmente ma, a differenza delle Farc o dei narco-talebani dipendenti dal contrabbando di droghe, le fonti di reddito sono diverse e quindi più solide. Prima della conquista di Mosul si stima che il fatturato dell’Isis si aggirasse intorno ai 500- 600 milioni di dollari; dopo il saccheggio della Banca nazionale di Mosul e degli armamenti abbandonati dall’esercito iracheno si parla di uno o due miliardi di dollari. Soldi che i jihadisti trasportano in contanti all’interno dello Stato guscio. Impossibile, quindi intercettarli con i sistemi di sicurezza a disposizione.

È dall’indomani dell’11 settembre che la Jihad si alimenta con il contante ed i corrieri del denaro. Quando nel 2006 al Zarqawi fu avvistato vicino al confine tra Iraq e Siria – crocevia importantissimo per il contrabbando e da almeno due anni in mano dell’Isis – nella vettura dove viaggiava venne ritrovata una valigetta con più di 300 mila dollari in contante. Tuttavia, poco o nulla si è fatto per bloccare questo tipo di finanziamento, anzi a giudicare dal successo dell’Isis in Siria il problema è stato rimosso. Oggi che l’Islamic State of Iraq and the Levant si trova a meno di cinquanta chilometri da Baghdad e minaccia la stabilità dell’Iraq, è praticamente impossibile farlo.

Le conseguenze di una sua, si spera improbabile, vittoria sarebbero disastrose per l’economia mondiale. Il prezzo del petrolio tornerebbe a salire alle stelle ed i mercati piomberebbero nel panico come avvenne nel 2003, la fragilissima ripresa economica scomparirebbe e non è da escludere che la deflazione potrebbe trasformarsi in depressione. Di fronte a questi scenari apocalittici è giusto domandarsi se la lotta contro il finanziamento del terrorismo islamico ha fallito perché è stata combattuta su fronti sbagliati e con strumenti inadatti, come il Patriot Act che ha fatto gravitare i costi di sicurezza delle banche con scarsissimi risultati. Domande, queste, alle quali bisognerà dare una risposta veloce se si vuole evitare un’altra ondata di terrorismo globale.

Fonte: il Caffè.ch

preso da: http://www.lintellettualedissidente.it/flussi-finanziari-nelle-mani-jihadiste-loretta-napoleoni/

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