Translate

sabato 5 luglio 2014

Dopo Soros: “Lobby Ebraica”, un tabù infranto? - 3

AUTORE: Mauro Manno, Aprile 2007

Tradotto da Originale





II. Il dibattito è iniziato

Abbiamo già detto che non c’è nessun complotto segreto ebraico. Non c’è complotto ma c’è la LESPI. Basterebbe seguire la stampa ebraica in America o in Israele per trovare tutte le notizie che la riguardano. Si può anche chiedere a Jeffrey Blankfort di essere inseriti nella sua mailing list e ricevere interessanti articoli della stampa ebraica americana. L’indirizzo di Blankfort è: jblankfort@earthlink.net

Dopo aver analizzato la fondamentale ammissione di Soros, possiamo tentare di ricostruire il dibattito iniziato dopo l’apparizione del già citato libro di M&W, di cui ovviamente la lettura. Gli esponenti della LESPI hanno subito capito (correttamente) che “M&W sono avversari pericolosi. Non sono ebrei (…); sono figure accademiche rispettate; e non hanno profili politici chiaramente delineati”. [17]

La posizione dei due studiosi è semplice e chiara: essi sostengono che l’attuale allineamento degli USA con Israele non è nell’interesse nazionale americano, e che la sua continuazione può spiegarsi solo con il successo conseguito dalla lobby israeliana nel bloccare qualsiasi dibattito serio al riguardo. La prima risposta che il loro studio ha ricevuto è stata una bordata di insulti, calunnie e negazioni. Si è particolarmente distinto negli attacchi al libro dei due studiosi “realisti” dell’Università di Chicago il professore di giurisprudenza di Harward Alan Dershowitz, notorio sionista, che non si perita di negare a tutta voce l’esistenza della LESPI allorché egli stesso ne è un importante esponente. Si tratta quindi di un negazionista. Si dà il caso però che la gatta a forza di andare al lardo, ci lascia lo zampino.

Nel suo libro Chutzpah (faccia tosta) [18], la sua autobiografia, scritta per dimostrare quanto di successo egli sia stato come ebreo americano e come egli sia sempre stato prima americano e poi ebreo, il nostro sionista commette un piccolo errore. A pag. 16 troviamo:

“La mia generazione di ebrei era troppo giovane per combattere il nazismo o per sostenere l’indipendenza di Israele, era troppo americana per fare l’Aliyah (emigrare in Israele), troppo comoda per portare i nostri corpi in prima linea nella lotta a favore di ogni cosa che sia ebraica. Invece,capimmo, contribuimmo …. Diventammo parte di quello che è forse lo sforzo più efficiente di lobbying e raccolta di denaro nella storia della democrazia.”

L’ipocrita sionista, oggi negazionista della lobby, ieri ne era un esaltatore e ne parlava come del più efficiente sforzo di lobbying e raccolta di denaro della STORIA della democrazia!!

Oltre a Dershowitz, numerosissimi e ben più intelligenti attacchi negazionisti della LESPI sono piombati sulla stampa, alla televisione e sul net. Ne riportiamo uno malizioso e malevolo di una certa Micelle Goldberg, la quale finge di apprezzare per meglio demolire. Essa dice che abbattere il tabù della LESPI è un “obiettivo degno ma che gli argomenti maldestri e rozzi (clumsy and crude) dei due studiosi potrebbero ritorcersi contro di loro” [19]. Le argomentazioni di M&W non sarebbero solo maldestre ma, vedi un po’, coinciderebbero (ahimé) anche con la posizione di un noto dirigente della destra razzista, David Duke, il quale afferma - non manca di ricordacelo la Goldberg - che “allo stesso modo in cui i sostenitori di ‘Israele al primo posto’ dominano i Mass Media, così il Congresso e il presidente sono afflitti dalla lobby israeliana”. Questo non è scandaloso, lo dicono in tanti e anche Blankfort che è ebreo. Ci troviamo davanti a un tentativo della Goldberg di equiparare posizioni che riflettono la realtà dei fatti con l’antisemitismo. Il problema da porsi è: È vero ciò che dicono Soros, Blankfort, M&W e David Duke sulla lobby? Che c’entra allora l’antisemitismo?

Altra accusa della Goldberg a M&W è di aver fatto ricorso a generalizzazioni riguardo ad un punto particolare: l’usa del denaro ebraico per influenzare la politica. Per chi critica la LESPI e il suo potere, questo è un punto centrale e non è un caso che la Goldberg cerchi di sminuirlo. Non ci riesce però, perché quando accusa i due studiosi di affrontare il tema del denaro ebraico “come se esso fosse un fattore monolitico” e quindi di usare argomenti “brutti e fuorvianti” è proprio lei che si dimostra ingannevole perché sa benissimo che monolitico o non questo è un fattore reale (non quindi brutto o fuorviante). Ella vorrebbe in realtà che ci si rifiutasse di tener conto degli stessi dati dettagliati che la stampa ebraica in America fornisce a chi vuole studiare il problema dei finanziamenti ebraici alla politica. Sono dati che tra l’altro provano il finanziamento multiforme e diversificato a vari candidati, Democratici o Repubblicani o anche terzi se si presentano con posizioni filo-israeliane contro avversari critici dello Stato ebraico. L’Ultima accusa, scontata, a M&W è che essi “sembrano stranamente dimentichi delle ragioni per cui l’argomento è così sensibile per gli ebrei”. E giù tutto il vittimismo ebraico, l’olocausto, la paura dell’antisemitismo. Ma che cosa c’entra tutto ciò con una spassionata e obiettiva disanima di fatti riguardante la lobby ebraica in America nei nostri giorni?

Il libro di Jimmy Carter

Il dibattito è poi proseguito con l’apparizione del libro di Jimmy Carter, Palestine: Peace not Apartheid,[20] che ha suscitato uno scandalo. Gli attacchi della lobby contro di lui sono stati numerosi. Non solo verbali, per aver osato attaccare la politica di Israele nei territori occupati Carter si è visto ritirare i finanziamenti dati al suo Centre for Peace da ricchi ebrei. Evidentemente i finanziamenti avevano l’obiettivo di condizionare anche questo ex-presidente, inoltre alcuni suoi collaboratori ebrei sono usciti dal Centro. In America si può agire per la pace nel mondo ma non in Palestina. Carter non si è scomposto più di tanto, confortato dal grande successo del suo libro, ha continuato la sua battaglia e ha risposto alle numerose calunnie e attacchi della lobby.

In un’intervista [21] chiarisce, senza ancora accusare la lobby di questo, quale sia la situazione del dibattito sul conflitto Israele-Palestina:

“Mai in questo paese, puoi sentire parlare di un qualsiasi argomento (tre quelli che Carter espone nel suo libro, ndt) pubblicamente da parte di un membro eletto della Camera dei Rappresentanti o del Senato o da parte di qualcuno della Casa Bianca o da parte della NBC o ABC o CBS, o del New York Times, del Washington Post, Los Angeles Times. Mai”.

Si direbbe che l’ESPI controlli la Camera dei Rappresentanti, il Senato, la Casa Bianca, i principali media della carta scritta e della televisione. Così almeno sembra voler dire quell’antisemita di Carter. Alla richiesta se alle future elezioni politiche qualcuno dei candidati potrebbe assumere una posizione equilibrata, Carter ha risposto così:

“La parola «equilibrio» è una parola quasi del tutto inaccettabile nel nostro paese. Se ci fosse un candidato, democratico o repubblicano, che si presentasse alle elezioni del Congresso e dicesse al pubblico degli elettori, «Assumerò una posizione equilibrata tra gli israeliani e i palestinesi» ebbene, non sarebbe mai eletto, È una cosa impossibile nel nostro paese”

Affermazioni perentorie.

In un’altra intervista [21] ha accennato a due fattori che in America operano contro una giusta pace in Medio Oriente: i cristiano sionisti e l’AIPAC. Riguardo a quest’ultimo, Carte afferma:

“L’altro fattore è dovuto ad un’organizzazione, un gruppo di azione politica, chiamato American Israel Political Action Committee o AIPAC (qui non si capisce se Carter non conosce il significato dell’acronimo o se volutamente cambia le parole, in realtà AIPAC sta per American Israel Public Affairs Committee, ndt). È la lobby più efficiente che io ho mai visto all’opera, come presidente e da allora ad oggi. Ed è del tutto legittima. Fanno solo il loro lavoro e sono estremamente potenti in questo paese. Il loro scopo non è di promuovere la pace nel Medio Oriente. Il loro scopo è spiegare le politiche del governo di Israele in un particolare momento e raccogliere il massimo sostegno possibile a queste politiche in America, cosa del tutto legittima. E sono molto ben informati ed estremamente ferventi ed efficaci”

Che l’AIPAC sia legittima , è dovuto all’anomalia americana che ha fatto sì che una lobby che ha nel programma la difesa degli interessi di un paese straniero possa operare apertamente negli Stati Uniti, sfuggendo quindi al Foreign Agents Registration Act, solo perché i suoi membri sono americani. Sono ebrei in realtà e sionisti e difendono gli interessi di Israele e della loro comunità. Sostengono però che questi interessi coincidono con quelli americani, il che può anche essere vero qualche volta ma non certo sempre. La LESPI ha comunque un raggio di possibilità di operare in America che supera di gran lunga le possibilità concesse ad altre lobby, di qualsiasi sorta. Il primo emendamento della Costituzione americana che consacra il potere del denaro (e il denaro non ha colore né nazionalità) lo prevede.

Chi si aspetta dagli Stati Uniti una soluzione equa al conflitto israelo-palestinese, è destinato ad aspettare a lungo. Non perché, ripetiamolo, gli Stati Uniti non hanno interesse alla costituzione di un piccolo stato palestinese sui territori occupati, al contrario. La ragione è che a causa del controllo dell’AIPAC e della LESPI sulle istituzioni americane e sui media, gli Stati Uniti non possono farlo.


James Petras ed altri

La reazione dell’AIPAC ai libri di M&W e a quello di Carter ha aperto le porte ad un vero dibattito a tutto campo in cui sono intervenuti contro la LESPI un certo numero di personaggi importanti.

In primo luogo ha preso la parola James Petras, già emeritus professore di sociologia presso la Binghamton University di New York, professore aggiunto alla Saint Mary's University, di Halifax, Nova Scotia,Canada, con laurea ad honorem della Boston University e vari altri titoli della University of California di Berkeley. Un calibro da novanta. In una serie di articoli ha demolito le posizioni dei difensori della LESPI e dei denigratori di Carter.

Un suo articolo [23], inizia con una citazione dal Forward:

“Non è un gran segreto la ragione per cui le agenzie ebraiche continuino a strombazzare il loro sostegno alle screditate politiche di questa amministrazione fallimentare. Considerano la difesa di Israele il loro scopo principale, al di sopra di ogni altro argomento in programma. Questa fissazione li lega ancora più strettamente ad una Casa Bianca che ha fatto della lotta al terrorismo islamico l’argomento centrale della sua campagna. Gli esiti di questa campagna sul mondo sono stati catastrofici. Ma questo non preoccupa le agenzie ebraiche.” [24]

Petras, passa in seguito a sottolineare come la lobby (egli usa il termine Struttura del Potere Sionista, o SPS) agisca in modo sfacciato e aperto e come delle sue malefatte ci sia ormai una ampia documentazione (per chi ha occhi per vedere o per chi non usa paraocchi ideologici).

“Basta guardare soltanto ai documenti, alle testimonianze e ai rapporti dell’AIPAC e della Conferenza dei Presidenti delle Principali Organizzazioni Ebraiche d’America per notare come i sionisti si vantano dei successi ottenuti nel promuovere una determinata legislazione, nel fornire (false) pubbliche dell’ex senatore Joseph McCarthy [25] e nel consegnare informazioni segrete ai servizi segreti israeliani (cosa che i sionisti di sinistra chiamano «libertà di espressione»)”.

Afferma quindi che la documentazione accumulata dimostra che gli obiettivi della lobby sono due: la guerra americana globale contro il mondo islamico per rafforzare Israele nel Medio Oriente e la limitazione della democrazia per rafforzare il suo potere in America. Sul primo obiettivo così si esprime, senza mezzi termini:

“Se è vero, come dimostra l’enorme quantità di prove accumulate, che l’SPS ha svolto un ruolo fondamentale nello scatenamento delle principali guerre dei nostri giorni, conflagrazioni che possono provocare nuovi conflitti armati, allora vuol dire che è ormai indispensabile indebolire la capacità della lobby sionista/ebraica nel promuovere ulteriori guerre. Considerando l’approccio di tipo militaristico-teocratico israeliano alla sua politica di espansione territoriale e i suoi piani già chiaramente annunciati di nuove guerre alla Siria o all’Iran, e considerando il fatto che la SPS agisce come una cinghia di trasmissione altamente disciplinata in favore dello Stato israeliano e non si pone domande di sorta, i cittadini americani contrari a impegni militari presenti e futuri in guerre mediorientali devono opporsi alla SPS e ai suoi mentori israeliani. Inoltre, dati gli estesi legami esistenti tra le nazioni islamiche, le «nuove guerre» proposte dalla SPS/Israele contro l’Iran si trasformeranno inevitabilmente in guerre globali. Per questo la posta in gioco nella lotta contro la SPS è ben più ampia del processo di pace tra Israele-Palestina, o perfino degli stessi conflitti in Medio Oriente: riguarda il grande problema della Pace o della Guerra Mondiale”.

Sul secondo obiettivo della lobby, afferma:

“Senza le sfuriate liberticide e le audizioni pubbliche dell’ex senatore Joseph McCarthy [26], la lobby ebraica ha sistematicamente attaccato i pilastri fondamentali della nostra fragile democrazia. Mentre il Congresso USA, i media, gli accademici, i militari in pensione e altre figure pubbliche sono libere di criticare il Presidente, qualsiasi critica ad Israele e molto meno di una critica alla lobby ebraica vengono contrastate con rabbiosi attacchi in tutti gli editoriali dei principali giornali da parte di un esercito ‘esperti’ o propagandisti pro-israeliani, con richieste che chi ha osato criticare sia subito licenziato, purgato o espulso dal posto che occupa o che per lo meno al malcapitato venga negata qualsiasi promozione o nuovo incarico. Di fronte a qualsiasi importante personaggio che osa mettere in discussione il ruolo della lobby nel plasmare la politica americana nell’interesse di Israele, l’intero apparato sionista (dalle federazioni ebraiche locali, l’AIPAC, la Conferenza dei Presidenti delle Principali Organizzazioni Ebraiche d’America, ecc.) entra in azione – insultando, diffamando e stigmatizzando con l’accusa di ‘antisemitismo’. Negando ad altri la libertà d’espressione e uccidendo sul nascere il dibattito pubblico col ricorso a campagne di calunnie gravide di vere o pretese conseguenze, la lobby ebraica ha negato agli americani una delle loro più importanti libertà e uno dei fondamentali diritti costituzionali. Le massicce campagne di odio, perduranti e ben finanziate, dirette contro qualsiasi candidato critico verso Israele elimina realmente la libertà d’espressione tra le elites politiche. L’influenza dominante di ricchissimi finanziatori ebraici a entrambi i partiti – ma soprattutto ai Democratici – è riuscita ad ottenere l’eliminazione effettiva di qualsiasi candidato che potrebbe ostacolare anche solo una parte del programma pro-israeliano della lobby. La conquista del controllo della campagna di finanziamento del partito democratico da parte di due zeloti ultra-sionisti, il senatore Charles Schumer e il congressista israelo-americano Rahm Emanuel, ha fatto in modo che tutti i candidati alle elezioni hanno dovuto sottomettersi totalmente al sostegno incondizionato della lobby per Israele. Il risultato è che non ci sono indagini nel Congresso, men che mai c’è dibattito, sul ruolo chiave di quegli importanti sionisti che nel Pentagono hanno operato nella fabbricazione dei famosi rapporti sulle «armi di distruzione di massa» irachene, nell’elaborazione e nell’esecuzione della politica della guerra e della disastrosa invasione dell’Iraq. Gli ideologi della lobby, facendosi passare per «esperti» del Medio Oriente, prevalgono negli editoriali e nelle prime pagine dei maggiori giornali (Wall Street Journal, New York Times, Los Angeles Times, Washington Post). Presentandosi come «esperti» del Medio Oriente, propagandano in realtà la linea israeliana sulle principali reti televisive (CBS, NBC, ABC, Fox, and CNN) e sui canali radio ad esse affiliati. I sionisti hanno svolto un ruolo preminente nel sostenere e mettere in pratica una legislazione altamente repressiva come il Patriot Act e il Military Commission Act, così come pure nel modificare la legislazione anti-corruzione esistente perché la lobby potesse finanziare viaggi ‘educativi’ in Israele per membri del Congresso. Il capo della Homeland Security (Sicurezza Interna), con 150.000 funzionari alle sue dipendenze e un bilancio multimiliardario non è altro che il fanatico sionista Michael Chertoff, pubblico accusatore capo delle istituzioni di carità islamiche, delle organizzazioni di soccorso ai palestinesi ed altri gruppi etnici mediorientali o musulmani negli Stati Uniti, che potrebbero, potenzialmente, sfidare il programma della lobby pro-israeliana. La più grande minaccia alla democrazia nel senso più pieno del termine – cioè il diritto di dibattere, eleggere e legiferare senza costrizioni di sorta – consiste proprio negli sforzi organizzati della lobby sionista tesi a reprimere il dibattito pubblico, controllare la selezione dei candidati e i temi della campagna elettorale, attuare una legislazione repressiva diretta e utilizzare le agenzie di sicurezza dello Stato contro gruppi elettorali che si oppongono al programma pro-israeliano. Nessun’altra lobby o gruppo di azione politica diverso dalla Struttura organizzata del Potere Sionista (SPS) e i suoi portavoce indiretti alla testa di posizioni chiave nel Congresso possiede una simile influenza diretta e consistente sul processo politico – cioè sui media, sul dibattito e le votazioni in Congresso, sulla selezione e il finanziamento dei candidati, nonché sull’ultima parola in merito alla distribuzione degli aiuti all’estero del Congresso e ai programmi mediorientali. Il primo passo verso il rovesciamento del processo di erosione delle nostre libertà democratiche consiste nel riconoscere ed esporre pubblicamente le nefande attività organizzative e finanziarie della SPS e quindi procedere verso la neutralizzazione dei suoi sforzi”.

Ma il colpo più duro che Petras mena alla LESPI si trova in un articolo intitolato significativamente Who Rules America del gennaio 2007 [27]. Non sostiene come qualcuno vorrebbe farci credere che ‘gli ebrei governano il mondo’ ma dati alla mano ci spiega che a causa del potere della lobby e del peso economico di gruppi finanziari ebraici quali Goldman Sachs, Stern, Lehman Brothers ed altri, il Segretario al Tesoro dell’attuale Amministrazione, Paulson, non è riuscito a “formulare una strategia coerente del capitale finanziario verso il Medio Oriente”. Sarebbe nell’interesse del capitale finanziario americano iniziare in Medio Oriente, una politica diversa dalla situazione confusa e totalmente a favore di Israele che regna adesso. Ma ciò non è possibile.

“Paulson deve lavorare duro con la Lobby se si vuole concentrare nelle trattative con le monarchie delle città-stato del Golfo e con l’Arabia Saudita al fine di evitare una disastrosa ripetizione della vendita del Management del porto di Dubai. Sopra ogni altra cosa Paulson vorrebbe evitare l’interferenza politica sionista con il flusso nei due sensi del capitale finanziario tra i complessi bancari finanziari del petrolio nei paesi del Golfo e Wall Street. Vorrebbe facilitare l’accesso del capitale finanziario USA al vasto surplus di dollari nella regione. Non è sorprendente che il regime israeliano ha fatto un gran piacere ai suoi influenti sostenitori finanziari di Wall Street tracciando una linea di distinzione tra i ‘moderati’ (stati del Golfo)con i quali essi rivendicano interessi comuni e gli ‘estremisti islamici’. Il primo ministro israeliano Olmert ha chiesto ai suoi fanatici sostenitori negli Stati Uniti e alla lobby ebraica di prendere come linea guida le sottigliezze della linea del suo partito nel momento in cui si tratta delle relazioni Americano-Arabe”.

L’accusa alla lobby di svuotare o limitare la democrazia americana è rimbalzata su vari siti. Il professore universitario in pensione Paul Balles, che ha vissuto per 34 anni in Medio Oriente e oggi fa lo scrittore freelance, afferma che “la lobby pro-israeliana svuota di significato la democrazia statunitense”[28]

Glenn Greenwald, sul rispettabile sito Solon.com, il 12 aprile 2007, lancia un durissimo attacco al settimanale Weekly Standard, portavoce della lobby e dei neoconservatori sionisti accusandoli di lavorare per giustificare e facilitare l’assunzione da parte di Bush di poteri “dittatoriali”[29]

Grant F. Smith su Antiwar.com, il 23 aprile, [30]se la prende con l’AIPAC e i giornali di proprietà ebraica in America (i più importanti) accusandoli di sabotare il processo alle spie dell’AIPAC colte in flagrante nel momento in cui pagavano informazioni riservate sull’Iran ad un funzionario del Dipartimento della Difesa (vedi nota 25)

Un attacco molto violento, sia per la riduzione della democrazia sia per la sua politica guerrafondaia viene mosso alla LESPI dall’ex-ispettore ONU Scott Ritter, già noto per aver smascherato le menzogne di Bush relative alle pretese armi di distruzione di massa di Saddam. Ritter sottolinea che riduzione della democrazia effettiva, menzogne e guerra marciano di pari passo. Intervistato da Nathan Guttman di Forward, [31] a proposito del suo nuovo libro Target Iran, Scott accusa la lobby ebraica di “doppia lealtà” e di “spionaggio vero e proprio” a favore di Israele. Per l’ex-ispettore l’AIPAC dovrebbe essere registrata come “agente straniero” al pari delle lobby cinese e indiana ed essere quindi privata dei suoi privilegi come lobby nazionale. Dopo aver sottolineato l’uso strumentale dell’olocausto ogni volta che si accusano le organizzazioni ebraiche di fare gli interessi di una nazione straniera, Ritter accusa Israele e la lobby di ridurre le possibilità di una discussione democratica e seria sulla cosiddetta ‘minaccia iraniana’. Israele e la sua lobby “attraverso una combinazione di ignoranza, paura e paranoia, hanno elevato l’Iran ad uno status di inaccettabilità” tale che sia impossibile “imboccare qualsiasi soluzione diplomatica alla crisi”.

La ‘minaccia imminente iraniana’ è, per Ritter, una montatura bella e buna e aggiunge “Che non ci siano dubbi al riguardo: se ci sarà una guerra americana contro l’Iran, sarà una guerra costruita in Israele e da nessuna altra parte”.

Il giornalista Scott McConnel dell’American Conservative, un settimanale legato all’ala ‘realista’ e non interventista del partito Repubblicano, [32] ricorda che fu Benjamin Netanyahu a invocare, nel primo giorno del 2007, la costruzione di un “intenso fronte di pubbliche relazioni” per persuadere gli americani della necessità di attaccare subito l’Iran. Sottolinea la complicità con la politica di Israele e della lobby da parte dei maggiori media (definiti “la fortezza della propaganda israeliana” [Israel’s propaganda fortress]) ma mette in evidenza come, in mancanza di una opposizione politica o mediatica ufficiale, si stia sviluppando un poderoso dibattito critico sul web.

Segnaliamo il bell’articolo del professore universitario palestinese-americano Mazin Qumsiyeh, tradotto anche in italiano, il quale ricostruisce la storia della “lobby israeliana/sionista” delle sue numerose vittorie ma anche delle sue ( sfortunatamente rare) sconfitte.[33]

Anche il noto giornalista e scrittore Michael Massing è intervenuto nel dibattito.[34] Egli scrive per la Columbia Journalism Review, ha ricevuto il Bachelor of Arts da Harvard ed una laurea Honoris Causa dalla London School of Economics and Political Science. La sua firma si può leggere anche in calce ad articoli del New York Review of Books del New York Times, The New Yorker e del Atlantic Monthly. È l’autore di The Fix (2002), e del più recente Now They Tell Us: The American Press and Iraq. Massing si schiera contro la campagna di denigrazione di M&W e dei critici di Israele, che ritiene “vociferous” (rumorosa), “furious” (furiosa), “scurrilous” (scurrile), “nasty” (schifosa). Tuttavia, in parte come la Goldberg, Massing cerca di dare una mano ad Israele e alla lobby e lo fa trascurando il punto centrale dell’argomentazione contro la lobby e disquisendo su punti secondari (i quali sono toccati da M&W solo di passata, perché non riguardano il loro obiettivo principale) che però sono altamente sensibili e fanno compattare la comunità ebraica. Uno di questi punti è il “terrorismo”. M&W, da buoni conservatori, non giustificano affatto il “terrorismo” palestinese ma fanno notare che il sionismo ha praticato il terrorismo contro i britannici già prima del 1948 e che Israele è nato con un atto di terrorismo, i massacri e l’espulsione dei palestinesi dalla loro terra nel 1948. Massing scrive: “il ragionamento (di M&W) non convince, fa dipendere eccessivamente il giudizio su fatti attuali da avvenimenti degli anni ’40 e può essere usato per giustificare gli attentati suicidi oggi. (…) minimizzare la violenza contro Israele è argomento dubbio moralmente e vulnerabile”. Su questo non v’è dubbio che tutta la comunità ebraica si ritrovi compatta e anche gran parte del pubblico americano, tanto ignorante esso è dei problemi del sionismo e del Medio Oriente. Massing, questo “minimizer” del terrorismo israeliano contro i palestinesi (dal 1948 ad oggi) si dilunga su argomenti ‘facili’ come il terrorismo ma non si vergogna di accusare i due studiosi di ricorrere a documentazioni vecchie (come se col tempo perdessero la loro validità) e male interpretate (è questione di opinione). Ma sempre senza entrare nel merito del dibattito che M&W intendono suscitare.

Alla fine il non poco funambolico Massing è però costretto ad ammettere che “molte persone ne hanno abbastanza della lobby” e che tutto sommato, malgrado le pecche, “sul punto centrale – cioè il potere della lobby israeliana e l’effetto negativo che essa ha sulla politica USA – M&W hanno del tutto ragione”. Massing conclude il suo scritto esponendosi ulteriormente e parlando dello “sforzo della lobby di intimidire e tacitare gli oppositori”; si spinge fino a dire:

“La vergognosa campagna condotta contro M&W ha fornito un esempio eccellente delle tattiche da bullo usate dalla lobby e dai suoi sostenitori. L’ampia attenzione che il loro saggio ha ricevuto dimostra che, in questo caso, gli sforzi della lobby non hanno prodotto il successo a cui puntavano. Malgrado le molte pecche, il saggio dei due studiosi ha fatto un servizio molto utile ad aprire un dibattito su un argomento che è rimasto per troppo tempo un tabù”.

Ma allora il problema non è di dare ragione a tutti, il classico colpo al cerchio e alla botte, ma aggiungere argomenti alla giusta tesi dei due studiosi, contribuire cioè con nuovi fatti e analisi, laddove l’argomentazione dei due può essere lacunosa.

Un altro calibro da novanta ad aver attaccato la lobby è stato il giornalista e scrittore Nicholas Kristoff, premio Pulitzer e columnist non ebreo in forza al sionista New York Times.[35] Con la dovuta cautela dovuta nei riguardi del suo datore di lavoro, Kristoff punta il dito nella piaga della mancanza di dibattito sulla politica mediorientale americana (non potrebbe scrivere lui un bell’articolo?), Ma non osa entrare nel vivo del dibattito. Da parte sua lo scrittore Gary Kamiya invita gli ebrei a “unplug the Israel Lobby”, cioè staccare la spina della Lobby pro-israeliana e “alzarsi in piedi e dire ‘non in mio nome’”.[36]

Considerando tutti questi articoli ed altri, il prestigioso The Economist [37] registra il cambiamento di clima (“changing climate”) riguardo alla Lobby e accusa l’AIPAC (non è un’accusa da poco, venendo dal settimanale della finanza internazionale) di “bloccare la porta ad una uscita dall’Iraq e di mantenere invece aperta quella della guerra all’Iran”.

Segnaliamo un altro fiero oppositore, da anni della LESPI in America, il bravo e coraggioso giornalista Justin Raimondo i cui articoli si possono leggere sul sito da lui fondato www.Antiwar.com ; una grande risorsa.

La quasi assenza della sinistra

In questo importante frangente la voce della sinistra antimperialista è flebile e timida. L’accusa di essere antisemiti si fa sentire su una parte politica che ha accettato passivamente la narrativa sionista dell’olocausto e della seconda guerra mondiale. Non mancano certo le voci dei soliti ebrei antisionisti, anche se timorosi di “suscitare l’antisemitismo” come se dire il vero significa fare il gioco del “male assoluto”. Il male cresce sulla menzogna, sull’ignoranza o sul silenzio.

Il giornale di sinista americano Counterpunch dà qualche spazio a Kathleen e Bill Christison, ex analisti della CIA, che scrivono un bell’articolo sulla nascita della lobby. [38] Il pezzo offre l’opportunità ai due direttori del giornale, Alexander Cockburn e Jeffrey St. Clair di dire la loro.

Un altro Cockburn, Andrew Cockburn, autore del libro Rumsfeld: An American Disaster che sta per uscire, scrive un bel pezzo sul Guardian in cui ci racconta il passato di un importante rappresentante della LESPI e della banda dei neoconservatori sionisti[39]. Si tratta di Paul Wolfowitz, Passato per volere di Bush, dopo il disastro iracheno, dal Pentagono alla Banca Mondiale. Egli è il responsabile in questa istituzione di uno scandalo di favoritismi che speriamo porti alla sua estromissione. Nell’articolo, “Wolfo” è accusato di aver lavorato in combutta con tutta la LESPI, con Richard Perle, alias «Prince of Darkness», con Lewis “Scooter” Libby, ex capo personale di Dick Cheney e noto neocon, oggi in carcere per aver mentito ai giudici sull’affare di spionaggio Plame, al fine di preparare la guerra all’Iraq e la sua distruzione. Altra notizia importante contenuta nell’articolo è quella relativa alla stretta collaborazione (negli anni ’70) di Wolfo con il guerrafondaio Paul Nitze. “Nitze – ci dice l’autore dell’articolo – funse da padrino al movimento neoconservatore negli anni ’70, calcolando correttamente che una fusione della lobby pro-israeliana con la lobby militare-industriale USA avrebbe creato un’alleanza dal potere incontenibile”. E non è forse quest’alleanza che vediamo all’opera ai nostri giorni?

Garry Leupp, sul già citato giornale Counterpunch,[40] ci informa sulla costituzione dell’Office of Iranian Affairs, sulle ceneri dell’ormai inutile Office of Special Plans, responsabile della maggior parte della disinformazione preparatoria alla guerra all’Iraq. Inutile dire che entrambe le organizzazioni sono emanazione della lobby ebraica americana. Il personale dell’Office of Iranian Affairs è, più o meno, lo stesso della precedente organizzazione disinformativa. Si fanno i nomi: Abraham Shulsky, Douglas Feith, John Hannah, David Wurmser, ed ebraici neocon continuando.

Complessivamente però la sinistra, salvo lodevoli eccezioni, si dimostra timida e reticente sulla lobby e questo fa indignare Joseph Anderson che in Indymedia [41] critica alcuni personaggi importanti della sinistra americana, primo tra i quali Noam Chomsky, che minimizzano (minimize) il ruolo della Lobby e ritengono che l’imperialismo americano è molto cattivo (non lo sapevamo?) e non ha bisogno della lobby per essere nemico dei popoli del Medio Oriente. Secondo i minimizers, sostenere che la pessima politica mediorientale è determinata dalla Lobby sarebbe come dire che l’imperialismo da solo agirebbe con meno prepotenza e che tutta questa storia equivale alla posizione antisemita che gli ebrei dominano il mondo o che la coda (Israele) muove il cane (gli USA). La posizione dei sinistri (o sarebbe meglio dire sionistri) minimizers ebraici ha fatto presa su molta sinistra americana e europea ed ha impedito che nelle manifestazioni pacifiste Israele e la lobby venissero messe sul manco degli accusati.

La risposta di Anderson a queste critiche chomskiane è precisa e efficace:

“Essi persistono a dipingerci la Lobby come una struttura che opera in favore di una entità completamente esterna, interamente estranea all’establishment politico ed economico statunitense, e così cercano di convincere la Sinistra che una simile entità separata non potrebbe mai convincere una superpotenza imperialista come gli Stati Uniti ad agire contro i propri interessi. Si tratta tuttavia di una semplificazione ridicola, che dimostra una profonda incapacità di comprensione su come funziona il nostro sistema di governo. In verità, la lobby israeliana opera simultaneamente come un interesse esterno e come un interesse interno “speciale”, rappresentato in una fazione della classe dirigente e dell’establishment americani che vogliono vedere gli Stati Uniti impegnati in una politica mediorientale inequivocabilmente israelocentrica. Questa fazione o interesse speciale ha un enorme potere a causa della sua base politica interna (specialmente in termini di condizionamento di voti): qualcosa che nessun altro interesse esterno terzo è in grado di fare.In questi termini si può dire che Israele e la sua lobby in America rappresentino una particolare tendenza dell’imperialismo americano”.

Anderson dà una lezione di marxismo ai sionistri americani e nostrani.

Da parte sua, John Walsh si chiede “Perché il movimento pacifista tace sull’AIPAC?” [42] Dopo aver citato due voci coraggiose nella rappresentanza Democratica del Congresso che hanno riconosciuto il ruolo negativo dell’AIPAC, le voci di Michael Capuano e di Dennis Kucinich, Walsh ci informa che il ruolo negativo della lobby ebraica si fonda su forti contributi (direi ‘investimenti’) soprattutto al Partito Democratico. “Con fino a 60 % dei suoi contributi che provengono direttamente o indirettamente dalla lobby israeliana, - scrive Walsh - i congressisti democratici non sono liberi di rispondere alla loro base che si esprime contro la guerra”. Comunque, malgrado le affermazioni di Capuano e Kucinich, i due rappresentanti della sinistra pacifista del Partito Democratico, malgrado le voci che anche nella sinistra si iniziano a farsi sentire contro la lobby, il movimento pacifista non pronuncia parola contro di essa. “Non c’è traccia di campagna contro l’AIPAC nelle principali organizzazioni pacifiste, come l’UFPJ( la Jewish Union for Peace) o Peace Action”. Alla domanda del perché l’assenza della guerrafondaia lobby tra gli obiettivi da combattere, i dirigenti del movimento affermano che “la lotta all’AIPAC costituirebbe una distrazione dagli obiettivi principali del movimento pacifista”. Walsh invece ribadisce che

“se il movimento pacifista vuole contare qualcosa, allora deve iniziare a lottare contro l’AIPAC. ( É la stagione delle maratone qui a Boston e il mio amico, l’espatriato israeliano Joshua Ashenberg, mi dice che il pensiero sottostante al movimento racchiude un errore logico. Riporto le sue parole: «Un ‘Movimento’ che non opera contro l’AIPAC Non è un movimento pacifista per definizione. Non serve a niente dire di essere un maratoneta e poi non correre mai una maratona»”.

Gli ebrei antisionisti

Altri commentatori di sinistra che affrontano la Lobby sono gli ebrei antisionisti Neumann, Lenni Brenner e naturalmente Jeff Blankfort che ci riserviamo per la fine

Michael Neumann, professore di filosofia alla Trent University dell’Ontario, Canada, sceglie un approccio minimalista alla questione della lobby.[43] Egli condivide il senso del documento M&W ma propone un metodo di lotta che consiste nel convincere gli americani che, dopo la fine della guerra fredda

“l’America non ha più ragioni serie per sostenere Israele, mentre ne ha di molto buone per non farlo. Si immagini solo per un attimo se gli Stati Uniti cessassero di sostenere Israele e dessero anche un moderato sostegno ai palestinesi. Di colpo l’islam e l’America si troverebbero fianco a fianco. La guerra al terrore diventerebbe una passeggiata. La credibilità degli Stati Uniti nel Medio Oriente salirebbe al cielo. E tutto diventerebbe molto meno costoso”.

Il professore Neumann non crede affatto che l’ostilità degli Stati Uniti verso il mondo islamico è causata dalla volontà americana di controllare le fonti petrolifere mediorientali.

“Al contrario, gli Stati Uniti hanno relazioni eccellenti con le nazioni degli Stati petroliferi del Golfo, e queste nazioni hanno da sempre insistito, con enfasi crescente, sul loro controllo del petrolio. Lo stesso si può dire delle compagnie petrolifere americane, che ovviamente preferiscono la cooperazione all’uso della forza quando si tratta del Medio Oriente. Si sono tenute a questa scelta anche quando ciò ha significato una considerevole riduzione dei loro profitti. Per ragioni simili, le grandi compagnie petrolifere USA non hanno appoggiato l’invasione dell’Iraq: i più importanti economisti del mondo del petrolio come Daniel Yergin e Fareed Mohamedi hanno fornito argomenti convincenti in questo senso”.

Siamo d’accordo e la strategia di Neumann potrebbe anche funzionare ma si scontrerebbe con la Lobby e la lotta contro di essa deve essere presa in considerazione, non si può pensare di evitarla.
Lenni Brenner [44] da parte sua, ritiene che “da soli, né il petrolio, né la lobby né il fanatismo protestante dei born-again possono spiegare la debacle” mediorientale degli Stati Uniti. Il vero problema per Brenner è interno al sistema politico americano. Egli non nega affatto l’esistenza di una lobby sionista, ancor meno nega il potere del denaro di alcuni ricchi ebrei sionisti ma insiste che è il sistema politico americano che è corrotto, che non è una vera democrazia perché la gente comune non conta; conta solo il denaro dei potenti che corrompe i rappresentanti eletti che finiscono per rappresentare solo ed esclusivamente gli interessi dei loro finanziatori. Questo è certamente vero e vale per ogni democrazia borghese anche se in America le lobby possono agire alla luce del sole e altrove no. Non bisogna poi trascurare che la lobby ebraica pur operando a favore di un paese straniero sfugge al Foreign Agents Registration Act. Se solo quest’ultimo punto potesse essere evitato molte cose cambierebbero nella politica estera USA, e questo non è un fatto da trascurare. Per Brenner anche la stampa è colpevole perché nasconde la realtà dell’inganno della democrazia. La grande stampa pro-israeliana, soprattutto il New York Times e il Washington Post, essendo diretta al grande pubblico non ebraico si rifiuta di affrontare il problema e

“non menziona mai i contributi sionisti. Questi non sono un segreto di Stato. I principali giornali della comunità ebraica invece, il Forward e il Jewish Week, ne riportano resoconti dettagliati. Gli ebrei sono solo il 2 % degli americani. I sionisti ammettono di essere una minoranza in via di riduzione di quel 2 %, e i ricchi che versano denaro nelle tasche dei politicanti sono un minoranza tra gli stessi sionisti. Quanto serio può essere il Times riguardo alla campagna per riformare (il sistema politico americano, ndt) che dice di voler lanciare se non affronta mai editorialmente questo egregio esempio di una ricca minoranza di una minoranza di una minoranza che corrompe entrambi i partiti?”

Si nota in Brenner la paura che l’attacco alla lobby possa in qualche modo sviluppare l’antisemitismo. Brenner da rivoluzionario troskista pensa alla soluzione definitiva che, secondo lui, è la rivoluzione e trascura obiettivi che se realizzati farebbero fare un gran passo in avanti alla pace. De minima non curat Praetor. Ricordiamo comunque che egli è l’autore di due libri fondamentali sul sionismo. Il primo è Zionism in the Age of the Dictators (1983), un resoconto lucido e esauriente della collaborazione dei sionisti con tutti i regimi antisemiti del periodo tra le due guerre, il secondo è 51 Documents of the Collaboration of Zionism with Nazism (2003). I libri non sono stati tradotti in italiano.

Tra gli ebrei antisionisti, Jeff Blankfort, il più coerente, ha certamente un posto di rilievo. Abbiamo già visto la sua lunga esposizione sulla lobby. Ora vediamo come ci spiega, in un’intervista, [45]la vera ragione per cui il movimento pacifista americano non riesce a vedere e denunciare il ruolo della lobby ebraica. Essa risiede nel fatto che gli ebrei, per vari motivi, si mettono alla testa del movimento pacifista per deviarne il corso e non orientarlo contro la lobby e Israele:

Sono propenso - dice Blankfort - a dire che il problema da superare per un vero movimento politico negli Stati Uniti è che fin dall’inizio esso non deve farsi bloccare né dai sionisti né dal rifiuto, come fa Chomsky, di parlare apertamente del sionismo e del ruolo che esso svolge, qui, negli Stati Uniti. (…).Questa è una delle ragioni per cui sono contro tutte le organizzazioni specificamente ebraiche che si dichiarano all’avanguardia nella lotta a fianco della Palestina. Sapete cosa succede? Ci sono tanti ebrei antisionisti, o che pretendono di essere tali, i quali dicono: «Noi, in quanto ebrei antisionisti, dobbiamo prendere la direzione del movimento affinché gli altri vedano che non tutti gli ebrei sostengono Israele». (…).Cosa c’entra essere ebrei o meno con il fatto di denunciare ciò che gli israeliani fanno subire ai palestinesi? In realtà, gli ebrei dovrebbero essere estremamente prudenti in relazione al ruolo di leadership. Non sono ruoli che spettano a quegli ebrei che si identificano come ebrei. L’ironia è che le persone di cui più si parla, quelle che si esprimono più di altri su questa questione negli Stati Uniti, sono tutti ebrei, i quali in fondo, vogliono proteggere Israele. Chomsky, beninteso, è il più importante fra questi. Essi criticano Israele, perché è importante, è qualcosa di cui non si può fare a meno. Ma poi stornano la responsabilità principale sugli Stati Uniti e con ciò, pur non assolvendo Israele, riescono a proteggerlo contro ogni tipo di ritorsione, sotto forma di sanzioni, di boicottaggi e di disinvestimenti”

In un articolo più recente Blankfort [46] critica aspramente Stephen Zunes, che pure in passato aveva dato un buon contributo alla lotta contro la LESPI, ma che negli ultimi mesi ha assunto una posizione chomskiana. Stabilito chiaramente che “non ci sono scuse per il silenzio del movimento pacifista sul tema della lobby e ancor meno per genuflettersi alle «sensibilità ebraiche» riguardanti la lotta generale”, Blankfort ridicolizza alcune posizioni (che si auto-presumono marxiste) e vogliono far credere alla gente di sinistra che:

“Israele è costretto a svolgere per gli Stati Uniti lo stesso ruolo che gli ebrei svolgevano durante il feudalesimo quando fungevano da intermediari tra i signori e i servi”. Posizione ridicola continua Blankfort, perché “con quest’analisi ci vorrebbero far credere che Israele e i suoi sostenitori ebraici oggi si trovino, in qualche modo, nella posizione precaria in cui si trovavano gli ebrei europei alcune centinaia di anni fa. Questo è assurdo. La prima delle due situazioni era caratterizzata da una posizione di debolezza ebraica. Oggi invece, gli ebrei dominano più di quanto abbiano fatto in qualsiasi periodo della loro storia. [Si]… ignora il fatto che i sostenitori di Israele sono di gran lunga i principali finanziatori del Partito Democratico e dominano ogni settore dei Media: la TV, la radio, e la stampa”.

Alcuni importanti documenti storici recentemente pubblicati

Molto interessanti sono un libro su Kissinger e una serie di verbali di commissioni governative o senatoriali che riguardano anche la lobby. Il periodo di riferimento va dal 1965 al 1975. Il libro, scritto dallo storico Robert Dallek, riguarda il ruolo di Kissinger come Segretario di Stato dell’Amministrazione Nixon, in particolare nell’anno della guerra del Kippur, il 1973. Il titolo è, significativamente: Nixon and Kissinger: Partners in Power . Tutte le informazioni del libro sono tratte da “documenti recentemente pubblicati” dagli archivi presidenziali, “tra i quali 20.000 pagine di trascrizioni telefoniche di Kissinger e centinai di ore di registrazioni su nastro di Nixon” [47] i quali “mostrano che l’ex segretario di Stato americano Henry Kissinger comunicò in ritardo al presidente Nixon l’inizio della guerra dello Yom Kippur per impedirgli di interferire. Il libro ci racconta come il 6 ottobre, Kissinger, al telefono con il capo del personale del presidente, Alexander Haig, il quale gli chiedeva se avesse svegliato il presidente e gli avesse comunicato l’inizio delle ostilità tra Egitto e Siria da una parte e Israele dall’altra, gli rispose “Non, non l’ho svegliato. Partirebbe subito alla carica….. Non penso che dobbiamo infastidire il presidente”. Vi era ovviamente il pericolo di un confronto con i sovietici e Kissinger, da solo, decise di trattare con loro senza avvertire il presidente. Il 7 ottobre, Nixon chiese al Segretario di Stato (che è solo un ministro degli esteri, lo ricordiamo) se vi erano stati messaggi da Brezhnev riguardanti la guerra in corso. “si, lo abbiamo sentito” fu la risposta di Kissinger. Il povero Nixon , dice Dallek, “dovette insistere, chiedendo debolmente, ‘cosa ha detto?’”

Ma la storia non finisce qui, infatti il 23 ottobre, Kissinger, sempre senza consultare il presidente, solo in combutta con Haig, riunì “un gruppo di dirigenti della Sicurezza Nazionale (non l’intero Consiglio quindi, ndt) per decidere una risposta a Brezhnev. Senza suggerimento o conoscenza del presidente, dice Dallek, essi decisero di elevare il livello militare mondiale di allerta a Def Con 3, un livello raggiunto una sola volta in precedenza” probabilmente durante la cosiddetta crisi dei missili di Cuba, nel 1960. A conclusione di tutto, Dallek ci informa che “i documenti rivelano che (…) il crescente potere di Kissinger derivava dall’aggravarsi dell’incapacità del presidente dovuta allo scandalo Watergate”. Lo storico afferma anche che “Nixon non credeva che Kissinger avrebbe dovuto gestire la politica Mediorientale e cita le seguenti parole dell’ex presidente: «Nessun ebreo dovrebbe gestire» la politica mediorientale degli Stati Uniti”

Cosa ha a che fare tutto ciò con la lobby? È presto detto (la mia è naturalmente una interpretazione maliziosa, anzi malevola e «antisemita»): Kissinger, al Dipartimento di Stato, quando si trattava di questioni mediorientali si consultava prima con Tel Aviv e cercava di mettere il Presidente degli Stati Uniti davanti a fatti compiuti nell’interesse di Israele. Nixon giustamente non si fidava di lui. Ma c’era un rapporto tra LESPI e Kissinger?
Si. Un rapporto profondo e pluridecennale. Se qualcuno vuole informarsi gli consigliamo il ben documentato libro di Seymour Hersh, The Price of Power, Kissinger in the Nixon White House. [48]

Il secondo riferimento che vogliamo fare è ai verbali della Commissione Fulbright (1967) in cui si dibatté del già forte potere della lobby. Una parte del testo è stata pubblicata dal capo redattore di Haaretz in America, Shmuel Rosner.[49]

Il senatore Fulbright è stato una delle prime vittime della lobby. Nel 1963, in una audizione del Comitato Senatoriale sulle Relazioni Estere, “un periodo in cui l’assistenza finanziaria e il sostegno politico a Israele da parte degli Stati Uniti erano insignificanti se paragonati a ciò che sarebbero diventati, ed era ancora possibile che per lo meno un legislatore eletto criticasse pubblicamente Israele dalla tribuna del Congresso”, [50] egli mostrò come il denaro, tax free, donato a Israele da ebrei americani venisse riciclato per pagare la propaganda israeliana negli Stati Uniti. Il senatore J. William Fulbright, Democratico dell’Arkansas, poi presidente del suddetto Comitato Senatoriale sulle Relazioni Estere si batteva per far registrare l’AIPAC come agente straniero secondo la legge denominata Foreign Agents Registration Act. Che il vecchio senatore avesse capito che delle due l’una sola è vera: o le istituzioni controllavano l’AIPAC o l’AIPAC avrebbe finito per controllare le istituzioni? Io credo di sì. Comunque nel 1967 lo stesso senatore Fulbright nella medesima Commissione di cui era diventato presidente, esattamente il 9 giugno, aprì una discussione sui possibili modi di fare pressione su Israele ed evitare le pressioni di Israele sugli Stati Uniti. Riportiamo un brano della discussione:

“Segretario di Stato Dean Rusk (favorevole a Israele): ebbene, non voglio sottovalutare l’influenza (di Israele sull’America, ndt) in questa situazione, voglio solo dire che essa non è necessariamente decisiva quando parlate con paesi circa ciò che loro ritengono una questione di vita o di morte per loro.

Senatore Bourke Hickenlooper dell’Iowa: Ma non esentiamo dalle tasse i denari che vengono donati a Israele, cosa piuttosto inusuale? Potremmo fermare questo provvedimento.

Segretario di Stato Dean Rusk: Credo che i contributi all’United Jewish Appeal sono esentasse, si.

Il presidente, J. William Fulbright dell’Arkansas: Si, è proprio così. È l’unico paese che gode di questo beneficio. Lei crede che ci siano i voti in Senato per revocare questo provvedimento?

Senatore Clifford Case del New Jersey: E lei sarebbe a favore della revoca?

Senatore Bourke Hickenlooper: Io credo che dovremmo trattare tutte le nazioni allo stesso modo.

Senatore Clifford Case: Giusto, ma lei è a favore del provvedimento?

Senatore Bourke Hickenlooper: Se non diamo questo provvedimento alle altre nazioni, io non …

Il presidente: Il problema è che essi sono sicuri che hanno il controllo del Senato e che possono fare come vogliono.

Senatore Stuart Symington del Missouri:Cosa ha detto?

Il presidente: Ho detto che essi sanno di avere il controllo del Senato politicamente, e qundi qualsiasi cosa il Segretario di Stato dice loro, gli possono ridere in faccia. Dicono «Si va bene, ma tu non controlli il Senato»

Senatore Stuart Symington : Sono stati molto solerti a chiedere che ogni senatore si pronunciasse apertamente se il Senato doveva agire unilateralmente su questa questione e solo due o tre senatori hanno osato farlo.

Il presidente: Sanno benissimo che una volta che la legge è passata non puoi revocare questa esenzione delle tasse più di quanto tu possa volare. Non è possibile far approvare un simile provvedimento dal Senato.

Senatore Bourke Hickenlooper: non penso proprio.”

L’immagine di un’America superpotente che nel 1967 non riesce a far approvare una legge sulla revoca dell’esenzione tasse per il denaro ebraico, è qualcosa a cui pochi avevano pensato doversi un giorno confrontare.


A mo’ di conclusione

La lobby pro-israeliana dunque esiste e la si può chiamare ‘ebraica’ perché tale essa è di fatto in quanto costituita da ebrei, alcuni dei quali ricchissimi, e controlla o influenza la quasi totalità degli ebrei. Essa è anche sionista perché appoggia la strategia sionista dello stato ebraico. Gli ebrei che coerentemente si oppongono alla lobby sono gli ebrei antisionisti. Oggi, a causa della disfatta americana in Iraq la cui invasione la lobby, i neoconservatori sionisti e Israele hanno voluto, organizzato, propagandato e appoggiato, questi agenti guerrafondai sono nella tempesta. Dopo M&W, Carter, e Soros, il tabù è crollato in America (non ancora da noi) e si assiste ad una liberazione degli spiriti e allo sviluppo della critica. La presa della lobby ebraica e dell’AIPAC in particolare sul Congresso, sull’amministrazione e sui due partiti maggiori in America è però più forte che mai. L’alleanza della lobby ebraica con il complesso militare industriale (Nitze), e con i cosiddetti cristiano-sionisti (o crociati protestanti o born-again), la sua formidabile forza economica ne fanno un nemico potentissimo della democrazia e della pace. Sconfiggere un tale mostro non sarà cosa facile. Ma la lotta adesso è aperta anche se non ad armi pari. Anche in Italia è venuto il momento di dare battaglia.



Note


17 - Norman Birnbaum, Israel on the Potomac: power under pressure, Open democracy, 25-1-2007, vedi:
http://www.opendemocracy.net/democracy-americanpower/israel_potomac_4285.jsp#
18 - Alan Dershowitz, Chutzpah, New York, Touchstone Books, 1992.
19 - Michelle Goldberg, Is the “”Israel Lobby”” distorting America’s Mideast Policies?, Salon.com, vedi:
http://www.salon.com/news/feature/2006/04/18/lobby/
20 - Jimmy Carter, Palestine: Peace not Apartheid, Simon & Schuster, New York, 2006. Traduzione nostra.
21 - Democracy now: Palestine: Peace Not Apartheid...Jimmy Carter In His Own Words, 30 novembre 2006, vedi:
http://www.democracynow.org/article.pl?sid=06/11/30/1452225
22 - The Seattle Times: Local News: An interview with former President Jimmy Carter, 13 dicembre 2006.
23 - James Petras, Perché è così importante condannare Israele e la lobby sionista, 22 dicembre 2006, vedi:
http://www.dissidentvoice.org/Dec06/Petras25.htm.
24 - Dichiarazione di J.J. Goldberg, direttore di Forward, 8 dicembre 2006. Si noti come gli ebrei di Forward, quando decidono di farlo, usano la parola ‘ebraico’ e non ‘sionista’ o ‘pro-israeliano’, cosa che però, per la loro ‘sensibilità’ superiore, proibiscono ai goyim i quali se la usano sarebbero antisemiti.
25 - Recentemente due dirigenti dell’AIPAC, Steve Rosen e Keith Weissman, sono stati indagati e sono sotto processo per aver corrotto un funzionario americano del Ministero degli Esteri, un tale Lawrence Anthony Franklin, analista del Dipartimento della Difesa, al fine di ottenere informazioni riservate sull’Iran per passarle ad agenti israeliani in America. Franklin si è dichiarato colpevole e sta scontando una condanna in prigione.
26 - Iniziatore del cosiddetto periodo del «Maccartismo» durante il quale, negli anni Cinquanta si procedette ad una vera e propria caccia alle streghe contro comunisti, socialisti e democratici, nell’amministrazione, i media e la società.
27 - Who Rules America del gennaio 2007
28 - Paul Balles, Pro-Israel lobby robs US democracy of Meaning, vedi:
http://www.wakeupfromyourslumber.com/node/1073 .
29 - Glenn Greenwald, Weekly Standard: Bush has “near dictatorial power, Salon.com, 12 aprile 2007,
http://www.salon.com/opinion/greenwald/2007/04/12/weekly_standard/index.html
30 - Grant F. Smith, Is the Media sabotaging the AIPAC spy trial?
http://www.antiwar.com/orig/gsmith.php?articleid=10853
31 - Nathan Guttman, Book: Israel, lobby pushing Iran War, Forward, 29 dicembre 2006,
http://www.forward.com/articles/book-israel-lobby-pushing-iran-war/ .
32 - Scott McConnel, Bloggers vs. the Lobby, Israel’s propaganda fortress faces a surprising new challenge, The American Conservative, 12 marzo, 2007, vedi: http://www.nowpublic.com/bloggers_vs_the_lobby, ed anche: http://www.handsoffiran.org/news/2007/jbloggers.htm.
33 - Mazin Qumsiyeh, La lobby israeliana/sionista in America e la sua influenza sulla politica statunitense, Tlaxcala, tradotto da Manno Mauro, http://www.tlaxcala.es/section.asp?section=4&lg=it .
34 - Michael Massing, The storm over the Israel Lobby, New York Review of books, Vol. 53, N° 10, 8 giugno 2006. Vedi: http://www.nybooks.com/articles/19062
35 - Nathan Guttmann, Soros and Media Heavyweights attack Pro-Israel Lobby’s Influence on U.S. Policy, Forward, 23 marzo, 2007. Vedi: http://www.forward.com/articles/soros-and-media-heavyweights-attack-pro-israel-lob/
36 - Gary Kamiya Can America Jews unplug the Israel Lobby?, Salon.com, 20, marzo 2007. Vedi:
Http://www.salon.com/opinion/kamiya/2007/03/20/aipac/print.html .
37 - Vedi l’articolo al sito web: http://gorillaintheroom.blogspot.com/2007/03/economist-on-aipac.html
38 - Kathleen e Bill Christison, The Rise of the Israel lobby, Counterpunch, 16 6 2006, vedi:
39 - Andrew Cockburn, The Puppet who cleared the way for Iraq’s destruction, The Guardian, 26 aprile, vedi:
http://www.guardian.co.uk/Iraq/Story/0,,2065605,00.html .
40 - Garry Leupp, Embedded Journalism and the Disinformation Campain for war on Iran,
41 - Joseph Anderson, The Left and the Israel Lobby, 18 giugno 2006, Indymedia, http://www.indymedia.ie/article/76750
42 - John Walsh, Why is the peace movement silent about AIPAC?, Counterpunch, 17/04/07, vedi:
http://www.counterpunch.org/walsh04172007.html .
43 - Michael Neumann, The Israel Lobby and Beyond, Counterpunch, 4 aprile 2006, vedi:
http://www.counterpunch.org/neumann04042006.html .
44 - Lenni Brenner, The lobby and the great protestant crusader, Counterpunch, 17 maggio 2006. vedi:
http://www.counterpunch.org/brenner05172006.html .
45 - Silvia Cattori, Intervista a Jeff Blankfort, I movimenti contro la guerra hanno fallito completamente, Voltairenet.org, http://www.voltairenet.org/article136126.html .
46 - Jeff Blankfort, Breaking the silente on the Israel lobby, The palesatine Chronicle, 26 marzo 2007, vedi:
http://www.palestinechronicle.com/story-03260790433.htm
47 - Reuters, Book says Kissinger delayed telling Nixon about Yom Kippur War, Haaretz.com, 3 aprile 2007, vedi:
http://www.haaretz.com/hasen/spages/845041.html.
48 - Seymour Hersh, The Price of Power: Kissinger in the Nixon White House, Summit Books, reprint 1984.
49 - Shmuel Rosner, Senator Fulbright, 1967: The trouble is that the Jews think they have control of the Senate, Ha’aretz,29 aprile 2007 vedi: http://www.haaretz.com/hasen/pages/rosnerBlog.jhtml?itemNo=847472&contrassID=25&subContrassID=0&sbSubContrassID=1&listSrc=Y&art=1 . Per chi vuole vedere le centinaia di pagine pubblicate dal Senate Foreign Relations Committee, basta vedere il sito: http://www.fas.org/irp/congress/2007_hr/1967executive.html .
50 - Vedi: Discorso tenuto da Jeffrey Blankfort alla conferenza della Commissione Islamica per i Diritti Umani, presso la Scuola di Studi Orientali e Africani, Londra, 2 Luglio 2006, sopra riportato, nella sezione La struttura della Lobby.







Illustrazioni di Carlos Latuff, Brasile

Il ritratto di James Petras è di Ben Heine, Tlaxcala

Mauro Manno è professore di lingua e letterature straniere, scrittore, specialista del Medio Oriente e traduttore membro di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità lingistica. Ha fatto questo intervento al convegno “La storia imbavagliata. Il Medio Oriente e l’Olocausto” tenutosi nell’ambito del master “Enrico Mattei”, coordinato da Claudio Moffa, all’Università degli Studi di Teramo, dal 17 al 19 Aprile 2007.
URL di questo articolo: http://www.tlaxcala.es/pp.asp?reference=2547&lg=it

Preso da: http://www.radioislam.org/islam/italiano/potere/lobby.htm

Nessun commento:

Posta un commento