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venerdì 11 novembre 2016

Terrorismo, «Occidente complice perché è migliore amico dei migliori amici dei terroristi»

3/11/2016
ROMA - Terrorismo islamico e responsabilità occidentali. E ancora, Siria, presidenza Obama, Trump vs. Clinton. Ci siamo fatti una chiacchierata con Fulvio Scaglione, già vicedirettore e attuale editorialista di «Famiglia Cristiana», fondatore dell'edizione online del giornale, che è stato a lungo corrispondente da Mosca e ha seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l’Afghanistan, l’Iraq e i temi del Medio Oriente. Nel suo ultimo libro «Il patto con il diavolo», testo per molti aspetti drammaticamente illuminante e quantomai attuale, Scaglione mette a fuoco il controverso ruolo dell'Occidente nella proliferazione del terrorismo islamico. Ed è proprio da qui che siamo partiti nella nostra intervista.

Scaglione, nel suo libro «Il patto con il diavolo» lei descrive le responsabilità occidentali nella proliferazione del jihadismo nelle terre mediorientali. Oltre e prima che vittime, siamo insomma complici?
Io penso assolutamente di sì, e per una ragione molto semplice: siamo i migliori amici dei migliori amici dei terroristi. In altre parole, tutto ciò che noi sappiamo della gran parte del terrorismo islamico ci dice che il luogo da cui escono le strategie e i soldi per tenere in attività i terroristi è il Golfo Persico e le sue petromonarchie. Lo dicono un'infinità di studi e di prove. Per chi non fosse convinto, invito a andare a vedere il documento pubblicato da Wikileaks nel 2010 del Dipartimento di Stato allora diretto da Hillary Clinton, catalogato con il numero 131.801, in cui Hillary Clinton afferma che l'Arabia Saudita è la principale finanziatrice del terrorismo, da Al Qaeda ad Hamas. Nel documento, la Clinton accusa le autorità saudite di far finta di nulla. Gli Usa sono i primi amici delle petromonarchie del Golfo Persico. Nel 2010, Barack Obama e Hillary Clinton controfirmarono una colossale vendita di armi, la più grande singola vendita di armi nella storia degli Usa, da 62 miliardi, indirizzate all'Arabia Saudita. Ma gli Stati Uniti sono in buona compagnia: l'Inghilterra ha 200 joint ventures con l'Arabia Saudita, l'esercito saudita è il primo cliente dell'industria delle armi britannica; Hollande nel 2015 è andato due volte in Arabia Saudita, tre volte il suo primo ministro Valls; nel marzo di quest'anno Hollande ha addirittura conferito la legione d'onore al ministro dell'Interno e principe ereditario al trono dell'Arabia Saudita; il premier Renzi è andato in Arabia Saudita a vendere la tecnologia italiana, e dall'Italia partono i rifornimenti di armi che l'Arabia Saudita usa in Yemen. Se noi siamo in amicizia e in affari da decenni con i Paesi che sono i principali sponsor del terrorismo, è ovvio che finiamo per essere complici del terrorismo.
Lei ha definito gli Stati del Golfo Persico, Arabia Saudita in primis, il «pozzo di San Patrizio» dei jihadisti. L'Occidente continua a sanzionare con severità la Russia, mentre non si è vista traccia di sanzioni verso chi finanzia il terrore. Come se lo spiega?
Questa è una storia che risale a quando, dopo il crollo del muro di Berlino, gli Usa, presieduti da George Bush padre, con segretario di Stato James Baker, proclamarono la politica della «esportazione della democrazia». Questa strategia è stata applicata ovunque ci fosse un interesse strategico. Quindi contro i nemici e gli avversari, non certo contro gli amici che pure erano totalmente non democratici. Dopo gli attentati del 2001, George Bush jr. fece l'elenco dei Paesi canaglia, che erano Iran, Siria e Iraq: nessuno che avesse qualcosa a che fare con gli attentati delle Torri Gemelle. Il che significa che la teoria dell'esportazione della democrazia è una truffa dove la democrazia c'entra ben poco.
Barack Obama ha ereditato dal suo predecessore una situazione mediorientale molto complicata e compromessa. Come lascia oggi quelle terre al suo successore? Qual è il bilancio di 8 anni di presidenza?
Sulla politica estera, credo che gli 8 anni di presidenza Obama siano costellati di scarse riuscite quando non di fallimenti. Il risultato positivo è l'accordo sul nucleare con l'Iran. Per il resto, il bilancio è negativo. Si era molto impegnato, con il discorso del Cairo nel 2009, per una risoluzione del problema tra israeliani e palestinesi  e la situazione semmai è peggiorata, e Obama è stato anche pubblicamente umiliato dal premier israeliano Netanyhau. In Afghanistan, quest'anno c'è stato il record di morti civili; in Iraq e in Siria abbiamo visto cos'è successo; nel 2011 gli Usa di Barack Obama parteciparono a quella disgraziatissima guerra per buttare giù Gheddafi, guerra che tanti danni ha fatto al Medio Oriente e all'Europa. Temo che non lascerà di sè un buon ricordo.
Sulla Siria, i media occidentali sono allineati su un'unica narrazione, che è poi quella che riassume la posizione statunitense. Accanto a questa, però, ce ne sono altre, meno note, come quella dei cristiani in Siria. Quali considerazioni si sente di fare su questo, e che ruolo ha avuto, a suo avviso, la Russia nello scenario?
La narrazione sulla Siria è influenzata dal fatto che siamo ancora addentrati nella mentalità dell'esportazione della democrazia, ed è quindi molto comodo prendersela con un personaggio come Bashar al Assad, che ha responsabilità evidenti. Va ricordato però che, se certamente non erano tipi simpatici né Gheddafi né Saddam Hussein, dopo le guerre cosiddette «democratizzatrici» la vita in quei Paesi è nettamente peggiorata o addirittura non è più degna di essere chiamata tale. Per il bene dei popoli del Medio Oriente, a volte è bene scegliere il meno peggio, e non il peggio sperando che poi arrivi il meglio, come è stato fatto in Iraq, Libia e ora in Siria. I cristiani, poi, sono in una posizione tragicamente paradossale: sono gli abitanti originari di quelle terre, e conoscono il Medio Oriente meglio di chiunque altro, anche dei musulmani. Da 1400 anni, i cristiani del Medio Oriente si barcamenano, riuscendo a sopravvivere e raggiungendo anche ruoli di livello, nonostante l'Islam sia una religione esclusivista. E poi sono i mediorientali più vicini a noi, perché hanno un set di valori molto simile ai nostri. Nonostante ciò, essi sono totalmente ignorati in Occidente, e questo perché la loro narrazione delle crisi mediorientali contrasta profondamente con la vulgata che circola da noi.

In America è tempo di elezioni. Che cosa dobbiamo aspettarci in caso di vittoria di Hillary Clinton o di Donald Trump?
Con Trump le previsioni sono molto difficili. Trump viene deriso e criticato, spesso anche giustamente, ma è un'incognita. Molti lo paragonano a Berlusconi: i due personaggi non c'entrano nulla se non per un aspetto, che anche Berlusconi veniva deriso quando scese in campo. Poi, abbiamo visto com'è andata. Della Clinton sappiamo di più, perché è un personaggio navigato, sulla scena da molti anni, ha ricoperto cariche importanti tra cui quella di segretario di Stato di Barack Obama: e quello che dobbiamo aspettarci, temo, è una politica americana ancora più aggressiva e muscolare.

Originale con audio: http://esteri.diariodelweb.it/esteri/audio/?nid=20161103_394968

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