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sabato 5 novembre 2016

Dalla Libia all’Europa all’Italia: la rotta dell’hashish passa tra le mani dell’Isis

 
 
Un carico di droga e armi. (© Couperfield / Shutterstock.com)
  
TRIPOLI - Che qualcosa stesse cambiando nelle rotte del traffico di droga che collegano il Continente africano all'Europa, gli investigatori l'hanno scoperto per la prima volta nell'aprile 2013, quando due navi della Marina militare italiana fermarono nel canale di Sicilia un cargo proveniente dalla Libia, con a bordo oltre 20 tonnellate di hashish: uno dei più grossi carichi mai intercettati nel nostro Paese fino ad allora. La particolarità ulteriore, però, era che il percorso seguito dal cargo, il cui carico proveniva dai campi marocchini, si scostava di centinaia di miglia più ad Est da quello «classico» che collega il Marocco alla Spagna: perché quella droga era diretta in Libia, e da lì all’Europa.

Il nuovo percorso del traffico di droga
Gli investigatori erano quindi «inciampati» in un nuovo, redditizio percorso del traffico di droga che, percorrendo la costa orientale del Nord Africa, faceva tappa nell’instabile gigante nordafricano, in un’area contesa da diversi gruppi di milizie contrapposte, tra cui lo Stato islamico. Da lì, l’hashish raggiungeva l’Europa a bordo di navi grandi come campi da calcio, completamente vuote se non per la quantità di droga trasportata. Un carico che, prima di raggiungere il Vecchio Continente, era transitato anche per i territori controllati dall’Isis.
Un caso non isolato
Il caso non è rimasto isolato: perché quella nave è stata la prima di altre 20 intercettate di lì ai successivi 32 mesi, con un carico che ammonterebbe a più di 280 tonnellate di hashish, per un valore di 2,8 miliardi di euro: secondo il Centro di Monitoraggio Ue sulle droghe e le tossicodipendenze, si tratta della metà di quello che è stato sequestrato in tutta l’Europa continentale lo scorso anno. Un’operazione dello scorso settembre, condotta dalla Guardia civil spagnola, ha portato al sequestro di altre 15 tonnellate di hashish a bordo di una nave salpata dalle coste marocchine e diretta di nuovo verso la Libia.
Attraverso la Libia, attraverso le terre dell'Isis
Quel traffico, dunque, fa tappa in Libia, ma non si arresta lì. Seguendo le tracce dei loghi individualizzati utilizzati dai produttori di droga marocchini, come lo scorpione o il simbolo del dollaro, gli investigatori hanno scoperto che quella merce lasciava la Libia e, passando per l’Egitto, entrava in Europa attraverso i Balcani. E il fatto che la droga facesse tappa nel dilaniato gigante nordafricano ha fatto crescere il sospetto agli investigatori che lo Stato islamico avesse un ruolo nel traffico.
Le 2 ragioni del cambio di rotta
Giuseppe Campobasso, che dirige l'unità antidroga in Sicilia della Guardia di Finanza, ha spiegato al New York Times che, una volta giunto in Libia, si perde misteriosamente traccia del traffico. Difficile, dunque, ricostruire tutti i passaggi. Quel che è certo è che il cambio di rotta è stato causato da due circostanze principali: da un lato, dai crescenti investimenti effettuati dal 2007 dall’Unione europea in telecamere posizionate lungo le coste meridionali della Spagna – lungo il percorso più breve e battuto –, rendendo così più facile l’intercettazione delle imbarcazioni; dall’altro lato, dall’instabilità libica seguita allo scoppio della guerra civile, con le milizie rivali (tra cui l’Isis) bisognose di autofinanziarsi sul territorio e senza un’autorità centrale a controllarlo.
La tassa imposta dall'Isis
Secondo gli investigatori, in molti casi i gruppi terroristici che intercettavano il traffico hanno imposto una tassa in cambio del passaggio del carico di droga, pratica peraltro usuale da parte dell’Isis nelle sue roccaforti in Siria e in Iraq. Secondo uno studio dell’IHS Country Risk, lo scorso anno il 7 % delle entrate del gruppo proveniva dalla produzione, dalla tassazione e dal traffico di droga.
Contatti con la mafia
Secondo il procuratore nazionale anti-mafia Franco Roberti, alcune indagini condotte dalla Guardia di Finanza hanno attestato come i miliziani dell’Isis e alcuni componenti della mafia nostrana abbiano avuto contatti per trafficare hashish in Italia, anche se il ruolo esatto di Daesh in questo processo ancora non è del tutto chiaro (LEGGI ANCHE «La mafia ci protegge dall'Isis? No, ci fa affari»). «Il terrorismo internazionale si finanzia con attività criminali che sono tipiche della mafia, come il traffico di droga, il contrabbando di merci, olio, beni archeologici, rapimenti, estorsioni», ha spiegato Roberti. In base alle stime dell’Ufficio delle Nazioni Unite per la lotta ai narcotici e al crimine, il commercio illegale di droga vale per la malavita italiana guadagni superiori ai 32 miliardi di euro.
Dalla droga allo jihad
Negli ultimi mesi, però, il «traffico libico» sembra aver subito una battuta d’arresto. Nel 2016, nessuna nave è stata intercettata sulla rotta. Eppure, secondo gli investigatori, questa continua ad essere usata, magari utilizzando imbarcazioni più piccole che passano più facilmente inosservate. Di certo, quello della droga è un traffico estremamente remunerativo per i terroristi. Cellule operative dell’Islam radicale in Marocco, Algeria e Mauritana si arricchiscono in maniera stabile con la produzione e distribuzione di hashish. Inoltre, è noto che il mercato internazionale dell’eroina si sostenga con la produzione afghana, Irachena, siriana e pakistana. Dal canto suo, l’Isis avrebbe  il monopolio del traffico di captagon, controllando il commercio di questa droga nei Balcani, e mettendo in piedi diverse fabbriche in Turchia e in Libano. E tagliando questa e altre fonti di finanziamento, si infliggerebbe un durissimo colpo alla causa dello jihad.

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