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mercoledì 20 aprile 2016

Isis in Libia: voci dall’inferno di Sirte

di Stefano Magni 16 aprile 2016
 
C’è un grande assente nei media italiani: la Libia. Entra nelle notizie solo quando si discute di un possibile intervento militare. Tuttavia, della Libia in sé, noi sappiamo poco o nulla. In parte perché è difficile seguire il percorso politico e militare di circa 140 clan e tribù in guerra, in parte perché le aree controllate dallo Stato Islamico sono ormai tagliate fuori dal mondo. Forse non ci rendiamo conto, per questi motivi, che alle porte del nostro paese è nato un regime totalitario degno degli orrori della Cambogia di Pol Pot, con esecuzioni in pubblico, controllo capillare dei cittadini e delle loro coscienze, campi di “rieducazione” e terrore diffuso a tutti i livelli.

La Bbc, lo scorso febbraio, ha raccolto le testimonianze di chi è riuscito a fuggire dall’inferno di Sirte, ex roccaforte di Muhammar Gheddafi e attuale “capitale” dello Stato Islamico in Libia. Si tratta di testimonianze di prima mano, dal vivo (anche se anonime, per motivi di sicurezza personale dei testimoni), poiché nella città non vi sono più collegamenti telefonici e la connessione Internet, che funziona solo con ponti satellitari, è ancor meno accessibile. Un pediatra, intervistato dai giornalisti inglesi, parla di una “quantità incredibile di esecuzioni. Io ho perso quattro cugini per parte di padre, cinque cugini per parte di madre, altre tre parenti e due miei vicini di casa. Uno dei miei cugini è stato crocifisso nei dintorni di Zaafran. Un altro è stato assassinato nei dintorni di Gharbiyat e un terzo decapitato. Un quarto cugino è stato ucciso con un missile anti- carro. Un mio amico ha perso tre dei suoi fratelli; dopo essere fuggito da Sirte, si è rifugiato a Zliten. Ma la situazione, anche lì, è drammatica. Un altro suo fratello è stato ucciso nell’esplosione di un attentatore suicida il 7 gennaio. Si era appena diplomato alla scuola militare. Un’occasione di festa si è così trasformata in lutto”. I motivi per essere perseguitati sono tanti, ma soprattutto sono presi di mira gli ex funzionari e poliziotti. “Mio padre era un poliziotto veterano e a Sirte era minacciato. Chiunque abbia lavorato con la polizia può essere rapito o ucciso, almeno finché non ti unisci a loro (ai miliziani dello Stato Islamico, ndr)”.
Un testimone chiamato “Al Warfali” spiega con quanta rapidità sia stato imposto il nuovo ordine islamista: “In agosto (cinque mesi dopo la presa di Sirte, ndr) il codice islamico per i vestiti e il comportamento delle persone è entrato pienamente e visibilmente in vigore. È sempre in quel periodo che sono iniziate le crocifissioni e le fustigazioni in pubblico di tutti coloro che erano stati incarcerati. Avvengono soprattutto di venerdì, dopo la preghiera”. Per conformarsi al nuovo ordine, “volantini e messaggi scritti sono stati diffusi a tutti i negozianti e ai lavoratori del settore pubblico, invitandoli a seguire i corsi di rieducazione tenuti dallo Stato Islamico. L’Is ha la sua sede di comando vicino al palazzo, lastricato di marmo e con la sua grande cupola, che era la sede del Centro Ouadougou, costruito per volontà di Gheddafi per tenervi i vertici pan- africani. Quella sede è ora usata dall’Is per i suoi corsi di rieducazione, con cui istruiscono gli impiegati sull’importanza di aderire alla loro versione della legge coranica. Il loro messaggio avverte: “chiunque non frequenti il corso, può essere sottoposto a interrogatorio’”. E non è difficile immaginare come quegli interrogatori vadano a finire.
“Hanno iniziato a crocefiggere la gente all’ingresso della città, due mesi dopo il loro insediamento – spiega alla Bbc il testimone chiamato Ibrahim – Il ‘crimine’ di cui erano accusati era spionaggio per Alba di Libia (la coalizione che governa Tripoli, ndr). Io ho assistito ad almeno una crocefissione. Più tardi, ho sentito e letto di altre 17 esecuzioni sulla croce, compresa quella del mio amico Sharaf Aldin e di suo fratello, lo sceicco Meftah Abu Sittah. Entrambi sono stati uccisi e poi appesi alla croce”.
Il controllo è capillare nella città, ma non in tutti i quartieri: “Le forze di Daesh (lo Stato Islamico, ndr) sono soprattutto nel centro cittadino. Un amico mi ha detto che stanno requisendo le nostre case abbandonate, così come tutti i principali edifici pubblici, come la sede del comune, l’ospedale in cui lavoravo, l’università e le moschee”. Secondo un’altra testimonianza le truppe dello Stato Islamico sono costituite soprattutto da stranieri. Per Ismail Shukri, uno dei leader della milizia di Misurata, nonché responsabile della sua intelligence, l’Is è costituito al 70 per cento da jihadisti stranieri, giunti soprattutto dalla Siria e dall’Iraq.
Il testimone “Al Warfali”, che ha subito più di un anno di vita sotto il nuovo regime, “Vi sono altre nazionalità nelle file dell’Is, li abbiamo notati dai loro diversi accenti e dal loro aspetto fisico. Ci sono tunisini ed egiziani. E non solo arabi: nell’aprile del 2015 abbiamo assistito a una speciale parata di benvenuto di quelli che ci hanno detto essere combattenti di Boko Haram, dalla Nigeria”.
Tutto ciò avviene alle porte di casa. E non sembra smuovere troppo le coscienze degli italiani.

Adattamento dall' originale: http://www.opinione.it/esteri/2016/04/16/magni_esteri-16-04.aspx

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