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sabato 10 novembre 2018

Saif, il figlio di Gheddafi che ancora condiziona la politica in Libia

Su di lui pende un mandato di arresto internazionale per «crimini contro l’umanità» ma intercetta simpatie e voti. E molti pensano che è meglio averlo come alleato che come nemico

4 novembre 2018.
 Saif al Islam Gheddafi ritratto su un manifesto con il padre in una foto d’archivio (Afp)
Certamente non sarà al summit di Palermo sulla Libia tra una settimana. Ed è quasi assodato che non verrà neppure menzionato nelle sessioni ufficiali. Di Saif al Islam Gheddafi al momento si sa poco. Il suo nascondiglio resta segreto: è in Libia? Il suo avvocato, Khaled Zaidi, scrive sui social che non intende affatto lasciare il Paese, nonostante i russi gli abbiano offerto asilo politico. Forse è a Bani Walid o Tarhouna, le città roccaforti dei fedelissimi di suo padre, oppure dagli zii ad Al Beida? A Tripoli gira voce sia stato visto a Tunisi, però anche ad Algeri e al Cairo tra i circoli di fuoriusciti libici dopo il collasso della Jamahiriya sconfitta dalla rivolta assistita dalla Nato nel 2011. La madre Safia, la sorella Aisha e il fratellastro maggiore Mohammed sono nell’Oman. Non è neppure da escludere che lui sia rimasto sotto la protezione delle milizie di Zintan, le stesse che lo catturarono sette anni fa e lo liberarono nel 2016, nonostante la condanna a morte promulgata dal tribunale di Tripoli. Dalla parte di Zintan stanno buona parte dei parlamentari di Tobruk, che lo hanno amnistiato, e Khalifa Haftar, l’uomo forte della Cirenaica. Il calcolo è evidente: Saif può intercettare simpatie e voti. Meglio alleato che nemico. Ciò a sottolineare che il figlio più politico del Colonnello linciato a Sirte si dimostra una delle figure rilevanti della politica libica. Ma la strada resta in salita. Il suo nome è stato pronunciato da Fatou Bensouda, la procuratrice capo di origine gambiana della Corte Penale Internazionale dell’Aja, che ha reiterato il mandato di arresto nei suoi confronti per «crimini contro l’umanità», promulgato poco prima della morte di Gheddafi. Una spada di Damocle che condiziona la sua eventuale candidatura alle elezioni nazionali. E i nemici non gli mancano. Primi tra tutti le milizie di Misurata e il governo francese, che teme la determinazione di Saif a denunciare con prove alla mano gli interessi personali di Sarkozy, il quale sarebbe stato il massimo fautore dell’eliminazione di suo padre per cancellare le prove degli aiuti finanziari illegali ricevuti in segretezza.  
 

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