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venerdì 19 giugno 2015

Scaravilli ancora bloccato in Libia: Tripoli vuole i soldi

Il medico italiano liberato martedì non è ancora tornato a casa. Chi ha favorito il rilascio dopo il pagamento di un riscatto vuole la commissione.

sabato 13 giugno 2015 16:41
Ricordate Ignazio Scaravilli? E' il medico italiano rapito in Libia e del quale, martedì pomeriggio, è stata annunciata la liberazione. Si trova a Tripoli, era stato detto. E in un paio di giorni, era stato aggiunto, dovrebbe tornare a casa.


Poi nel vortice delle notizie la macchina mediatica, che è un tritacarne, si è dimenticata di Scaravilli. Che nel frattempo in Italia non è rientrato nel paio di giorni promessi e si trova ancora - ospite, in custodia, trattenuto, fermato (si scelga il termine che si preferisce) - in una caserma di Tripoli. Come mai? Difficile dare una definizione. Si potrebbe parlare di una piccola complicazione diplomatica, di un normale tempo tecnico data la situazione non proprio tranquilla. Ma la realtà è un'altra: prima di far tornare il medico italiano in Patria bisogna pagare. Questione di soldi, detto papale papale. Non il riscatto (quello probabilmente è già stato pagaro al gruppo jihadista libico autore del sequestro) ma una sorta di "commissione". Per gli amanti del cinema che conoscono il memorabile Amici Miei si potrebbe citare il conte Mascetti che parlava di "rinforzino".

Piccolo riassunto: Scaravilli, medico catanese, era stato rapito lo scorso 6 gennaio. Ed era finito in mano di un gruppo jihadista libico, su posizioni vicine all'Isis ma totalmente autonomo dallo Stato Islamico. Volendo si potrebbero aggiungere altri particolari. Ma quando la vicenda sarà chiusa.

L'intelligence italiana e la Farnesina, ovviamente, si sono mosse subito cercando di salvare il nostro connazionale. Situazione complicata, vista la grande instabilità libica, paese dove ci sono due governi (Tripoli e Tobruk) e dove ogni gruppo alla fine gioca per sé.
Ma alla fine, fortunatamente, il bandolo della matassa è stato trovato. Grazie ad alcuni mediatori e alla collaborazione con le autorità di Tripoli (nonostante l'Italia riconosca il governo di Tobruk) Scaravilli è stato rilasciato dal gruppo jihadista e portato a Tripoli. Liberato, con molta probabilità, dietro il pagamento di un riscatto. Non certo per simpatia nei confronti degli italiani, come di nessuno in quelle terre finite nel gorgo della violenza.

Tutto bene, si pensava. Tanto che perfino il Quirinale ha - forse un po' frerttolosamente - rilasciato una dichiarazione: "Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha appreso con soddisfazione la notizia della liberazione del medico Ignazio Scaravilli, rapito in Libia nello scorso gennaio, e ha ringraziato tutte le autorità che hanno reso possibile la positiva conclusione della vicenda".

Ma Scaravilli, per quanto sano e salvo, non era ancora nelle mani italiane quando il Quirinale aveva diffuso la nota. E infatti era ed è ancora in una caserma di Tripoli. Perché qualcuno, prima di rimandarlo in Italia, ha bussato cassa. Soldi. Percentuale, mediazione, riforzino. La si definisca come si vuole, ma la sostanza è quella.

Così è stato necessario racimolare il dovuto e saldare il conto. O forse solo nelle prossime ore il "rinforzino" o buonuscita che dir si voglia sarà disponibile in Libia.

Così sono andate le cose. Poi, chiaramente, quando di mezzo ci sono i difficili equilibri italiani tra Tobruk e Tripoli, la voglia di favorire un governo di unità nazionale e di non crearci ulteriori nemici, tutto può essere ufficialmente smentito.

Ma la "coda" del sequestro Scaravilli dimostra, una volta di più, quanto sia difficile operare in quelle aree. Diventati veri e propri inferni anche grazie alle bombe occidentali, che con la scusa della democrazia (oggi tutti ammettono che la guerra di Libia fu per altri motivi meno nobili...) hanno creato il caos di cui oggi tutti si lamentano. Come se gli accampamenti alla stazione di Milano non fossero anche uno dei frutti di scelte internazionali sciagurate. Ma questa è un'altra storia.

Fonte: http://www.globalist.it/Detail_News_Display?ID=74907&il-retroscena

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