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sabato 30 maggio 2015

Libia, paura per l’avanzata di Boko Haram

È la regione a Sud del Fezzan quella più a rischio di venir travolta dalla jihad di marca subsahariana. E intanto si allontana la prospettiva di un accordo per un governo di pacificazione entro l’inizio del Ramadan

25/5/2015 guido ruotolo
Nei giorni scorsi ci sono state le prime avvisaglie. Ieri sera scontri a fuoco tra la Brigata 166 di Misurata e un gruppo di miliziani del Daesh. Sarebbe stato ucciso il fratello di un capo del Daesh. Ma sul campo vi sarebbero anche alcuni feriti gravi della Brigata di Misurata, dove ci sarebbe stata una manifestazione “pacifista”. Da Tobruk a Misurata, appunto, sono tutti consapevoli che la resa dei conti con i tagliagole dell’Isis è ineludibile. Che prima o dopo, la «battaglia finale» non si potrà rimandare. Segnali inquietanti arrivano dalle intelligence. Sul campo, sapevamo della presenza dell’Is a Derna, Sirte, Sabratha. E numerosi punti di riferimento a Tripoli, a Bengasi, nei piccoli centri. Gli analisti stimano una presenza in Libia tra i quattromila e cinquemila combattenti dell’Isis.




Ma adesso è il sud che fa paura. È il Fezzan che guarda al Ciad, al Niger, all’Algeria. Terra di nessuno. Dal Niger premono gli integralisti di Boko Haram. Che profittano della lotta tribale tra i Tuareg e i Tabù (una popolazione nomade che vive in Ciad e in Libia) per rendere quell’area impraticabile. Il sud della Libia è diventata una polveriera che fa paura. È un cocktail e crocevia di tutto quello che si agita nella fascia rivierasca e subsahariana del Maghreb. Con in testa le incursioni dei militanti di Uqba Ibn Nafi tunisini, quelli della strage al Bardo del 18 marzo. E dalla Tunisia si sarebbero spostati in Libia almeno tremila foreign fighters.



Terrorismo e non solo. Una situazione incandescente. Più che i miliziani, sono gli estremisti islamici che alimentano i traffici di clandestini sulla costa diretti in Europa. Lo fanno per soldi ma anche per un uso «politico» del fenomeno,
E intanto si allontana la prospettiva di un accordo per un governo di pacificazione entro l’inizio del Ramadan (18 giugno). Il delegato speciale delle Nazioni Unite, Bernardino Leon, ha convocato i rappresentanti del tavolo negoziale in Marocco, il 7 giugno. L’ultima bozza di ipotesi di nuova architettura istituzionale è stata bocciata da Tripoli mentre accolta da Tobruk. Dunque Leon adesso dovrà produrre una nuova bozza - che si può ipotizzare - non si discosterà di molto dalla precedente. Vi saranno modifiche, alcune potranno anche non piacere a Tobruk ma alla fine, a meno che Tripoli non cambi posizione, solo Tobruk l’approverà.



Lunedì, intanto, Leon aspetta al Cairo, le tribù. Tre giorni di discussione. Ma già si sa che le principali tribù non andranno al Cairo non perché non vogliano il dialogo ma per una posizione pregiudiziale sul meeting all’estero. Vorrebbero che l’incontro si svolgesse in Libia. Il 18 giugno si avvicina, dunque. E dopo la bozza da approvare ci sono i tre allegati da affrontare: la formazione del governo, le modifiche della Carta costituzionale, la cornice di sicurezza per l’inserimento a Tripoli del nuovo governo di pacificazione.



Lo scenario che si apre, in prospettiva, è dunque ancora una volta quello del rinvio, del prendere tempo. Leon, nonostante tutta la buona volontà, probabilmente non potrà rispettare la scadenza che lui stesso aveva indicato: l’inizio del Ramadan.

E intanto si avvicina anche un’altra scadenza, finora rimossa. A ottobre scadrà il mandato del Parlamento insediatosi a Tobruk e riconosciuto dalla comunità internazionale. Se fino allora non succederà nulla, cosa accadrà? Due sono le ipotesi. Un referendum per confermare la proroga del mandato al Parlamento o la decisione del Parlamento di nominare un Presidente della Libia con i pieni poteri.

dall' originale: http://www.lastampa.it/2015/05/25/blogs/caffe-mondo/libia-paura-per-lavanzata-di-boko-haram-dal-sud-eyoNkP1heVIvQ7eXpTPebL/pagina.html

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