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venerdì 13 giugno 2014

Libia: perché un appoggio a Hiftar non è la soluzione

Venerdì, 6 Giugno, 2014
Nella caotica Libia degli ultimi due anni l’azione del generale rinnegato Khalifa Hiftar contro le minacce dei fondamentalisti islamici che occupano parte della Cirenaica sembra offrire facili chiavi di lettura: finalmente i buoni si coalizzano contro i cattivi. Nessuna visione del problema Libia è più manichea e insieme più sconveniente di questa.

Modello egiziano? Non solamente perché Hiftar non è l’egiziano al-Sisi: non possiede lo stesso consenso interno né soprattutto ha le stesse forze alle spalle. Ma anche perché ciò sta dando l’ultima spinta verso la completa polarizzazione politica e militare del paese e obbliga in qualche misura tutte le forze a schierarsi nel campo degli islamisti o degli anti-islamisti riducendo al minimo le speranze di riconciliazione nazionale e rifondazione dello stato e schierando sui fronti opposti le milizie più numerose e meglio armate, in particolare quelle di Misurata contro quelle di “ Zintan”.


Fratellanza musulmana libica. Questa situazione ha soprattutto l’effetto di spingere il partito della Fratel-lanza musulmana, che ora guida direttamente il go-verno con Meitig in coalizione con il raggruppamento di indipendenti islamisti, a radicalizzare le proprie posizioni. Nonostante molte ambiguità e “forzature istituzionali” per usare eufemismi, come la nomina di Meitig stesso avvenuta in circostanze del tutto parti-colari e con la convocazione del parlamento fuori dalla sua sede, la Fratellanza ha sempre optato per la scelta di giocare all’interno del processo democratico e delle istituzioni.

La caduta di Morsi. Più ancora della legge sull’isolamento politico – che ha escluso dalla scena chiunque avesse avuto incarichi nel governo e nell’amministrazione del regime di Gheddafi, compresi i leader del partito AFN, uscito come prima forza dalle elezioni di due anni fa – è stata la caduta del governo di Mohammed Morsi in Egitto a costituire un elemento chiave del quadro politico libico. Il rovesciamento del Fratello egiziano ha fornito due messaggi contrastanti: ha disincentivato le forze laiche libiche al dialogo con la Fratellanza, mentre quest’ultima ho compreso che l’unica deterrenza utile contro un eventuale rovesciamento o repressione era una alleanza tattica con le milizie islamiste.

Appeasement. Le recenti dichiarazioni da parte del neo-governo sono ancora piuttosto ambigue. Mentre vi è una forte condanna dell’azione di Hiftar vi è una modesta presa di posizione contro le forze radicali in Cirenaica, in particolare il gruppo jihadista Ansar Al-Sharia. Di fatto l’azione del generale che accomuna fratellanza e salafiti-jihadisti sfavorisce il compro-messo politico all’interno del parlamento e consiglia ancora la prima ad una posizione di appeasement verso i gruppi terroristi.

Interessi occidentali. In realtà gli interessi occidentali dovrebbero essere opposti: tenere l’islam “moderato” all’interno di un processo di dialogo ed isolare politicamente l’islam jihadista. Tuttavia la posizione di Stati Uniti ed Europa è già stata troppo ambigua nell’appoggio a Hiftar. La strada più breve di un ap-poggio militare a Hiftar potrebbe già aver affascinato servizi di sicurezza occidentali che aiuterebbero o perlomeno tollererebbero l’aiuto fornito da Egitto e paesi del Golfo. Una stabilità libica duratura può essere conseguita solo con il confronto politico e delle componenti locali e regionali. È una strada molto più impervia ma l’unica che non conduca a uno stato fallito o una nuova dittatura. Appare alquanto surreale sentir parlare di uomo forte.

Pace forzata. Costringere i libici a mettersi tutti intorno a un tavolo è un’impresa disperata se gli stessi non lo desiderino. Un ruolo più incisivo delle Nazioni Unite sembra obbligato. Una lettera aperta della Commission on Libyan Crisis indirizzata al Segretario generale dell’Onu cerca di riportare l’attenzione pubblica delle istituzioni internazionali.

Ma quale potere di deterrenza può avere la comunità internazionale? Difficile far leva su nuove sanzioni (blocco dei beni di esponenti libici? Blocco delle importazioni quando già sono ridotte al minimo e si aggrava la nostra dipendenza?). In teoria l’unica misura credibile sarebbe la minaccia di un intervento esterno, un’Europa in grado di giocare un vero “bluff” pro-grammando un serio intervento di peackeeping e correndo il rischio di andare fino in fondo con l’opzione “boots on the ground” e, al contempo, di lasciare spazio all’unica via di dialogo politico, la convocazione di una conferenza o di un dialogo nazionale sotto controllo esterno.

Ogni speranza va purtroppo riposta. Una Ue sempre più imbarazzante ha ridotto al minimo il personale della propria missione nel paese per questioni di si-curezza e, magari, si appresta ad abbandonarlo nelle prossime settimane. Quando il gioco si fa duro…

Arturo Varvelli, ISPI Senior Research Fellow
Fonte: http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/libia-perche-un-appoggio-hiftar-non-e-la-soluzione-10601

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