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venerdì 6 giugno 2014

AFRICA: nuovi richiamini dell’11 settembre

25 maggio 2014

Le manovre di Obama e dell’imperialismo franco-anglosassone per riprendersi l’Africa sfuggita nel secolo scorso ai colonialisti. E intanto, Madame Pinotti…

“Un impero fondato dalla guerra deve mantenersi con la guerra” (Charles de Montesquieu)
“Coloro che non si muovono, non si accorgono delle loro catene. (Rosa Luxemburg)
“E’ compito di coloro che pensano di non stare dalla parte dei giustizieri” (Albert Camus)
E c’è pure la Pinotti con gli anfibi
Grandi manovre del neocon Obama e dell’imperialismo franco-anglosassone per riprendersi l’Africa sfuggita nel secolo scorso ai predatori colonialisti. Madame Pinotti in orgasmo, già eccitata dai preliminari con i nazisti di Ucraina, è pronta a fornire al prosseneta-capo i suoi gigolò in uniforme.

Dopo l’eliminazione dalla scena del faro della libertà africana, Gheddafi, viene spedito In avanscoperta in Mali e Centrafrica lo sguattero Hollande. Il Mali sarà il primo paese del Sahel da ricondurre al guinzaglio di Parigi. Viene utilizzato l’inquinamento islamista della lotta dei Tuareg per la libertà del loro paese (l’Azawad) come pretesto contro un popolo amico di Gheddafi, in lotta storica per l’indipendenza. Vi si dovrà costruire una piattaforma per la destabilizzazione dell’Algeria. Nella Repubblica Centrafricana, invece, lo sherpa apripista francese ricorre alla Legione a protezione di stragisti cristiani, attivati per strappare agli anticolonialisti musulmani uranio e petrolio. Ora si va sul sul bersaglio grosso, Libia e Nigeria. Entrano in campo direttamente (nella prima per la seconda volta) le armate imperiali. E per riprendersi il continente è necessario iniettare del botulino tra le rughe dell’islamofobia euro-atlantica, il cui volto, liftato dall’11 settembre, è andato un po’ disfacendosi davanti all’evidenza che, alla faccia dei migliaia presuntamente ammazzati da Al Qaida nelle Torri Gemelle e nei trasporti pubblici di Parigi e Madrid, quei macellai sono stati, in Siria e in Libia, la soldataglia di ventura agli ordini dell’imperatore. Come se le SS di Hitler si fossero precipitate a spianare la strada per Stalingrado all’Armata Rossa.
Libia.
L’incontenibile sollazzo della gorgone Hillary Clinton sulle carni lacerate di Muammar Gheddafi si è congelato in smorfia di panico quando il tradimento dei chierici islamisti avevano disintegrato l’ambasciatore Stevens con tre spioni Cia, a Bengasi, settembre 2012. Lo sprovveduto, che pure aveva rinforzato le schiere dei ratti in Siria con armi chimiche, collegamenti satellitari e jihadisti libici, gli aveva però negato i sofisticati missili terra-aria con cui la marmaglia in rotta davanti all’esercito di Assad e per le carneficine tra le varie fazioni, contava di riaggiustare la partita. Già Washington aveva dovuto constatare in Libia che gli apprendisti erano passati all’obbedienza di altri stregoni (Golfo-Israle) e che pure quel poco di petrolio che il “caos creativo” Usa riusciva a succhiare dalla Libia (400mila barili al giorno, contro i 2 milioni di prima), era sotto il controllo degli insubordinati e prendeva via misteriose, come ad esempio, per la Corea del Nord.
E’ andata come in Egitto. Qui il despota fantoccio, Morsi, ammantato (anche dai nostrani sinistri) di falsa democrazia (elezioni truccate e manipolate, Stato di polizia, tutti i poteri nelle mani del presidente Fratello Musulmano, scioperi proibiti, repressione sanguinaria dei laici, Sharìa), non aveva funzionato e i settori della primavera araba, non controllati da Cia-Ned, minacciavano di riprendere la marcia verso un Egitto libero, antimperialista e antisraeliano. E così si è tolto la mordacchia all’esercito, da sempre fidata e foraggiata truppa di complemento nell’area, ed è arrivato il generale Al Sisi (più o meno fidato che sia, anche lui). In Libia è stato estratto dalla naftalina il generale Khalifa Haftar, un rinnegato fuggito negli anni ’80 negli Usa, dove si è accasato vicino alla sede della Cia a Langley, rispedito in Libia nel 2011 per dar man forte alla ciurma di jihadisti raccattati da Cecenia, Afghanistan e altri scenari del terrorismo Usraeliano, quando erano stati ributtati indietro dall’esercito di Gheddafi. Rimediato, con 72 incursioni al giorno per sei mesi di cacciabombardieri Nato da Sigonella, all’incapacità di questi avventizi, il generale fellone era rientrato nella riserva.
A proposito di Sigonella, massima base USA operativa d’Europa, possiamo attribuire a questo grumo di morte incistato nel nostro paese il merito di aver contribuito alla pace nel mondo e nel Mediterraneo fin dal 1967, partecipando alla guerra dei Sei Giorni, e appuntandosi poi gloriosi nastrini per Libano, Somalia, Iraq, Afghanistan e Libia. Quale causa più nobile e prioritaria di quella dei No Muos di Niscemi. Combattono contro il mostruoso apparato di comunicazione e comando satellitare Usa, destinato, oltre che a infliggere malattie e morte elettromagneticamente alla popolazione e a fare dell’Isola un bersaglio privilegiato, a comandare e coordinare le forze di terra, mare e aria di Usa-Nato nelle varie guerre per la dittatura mondiale. Non c’è causa che meriti più solidarietà e partecipazione nazionale e internazionale (TUTTI AL CAMPEGGIO NO MUOS DI NISCEMI AD AGOSTO!)



Mentre il sud e parti del centro della Libia restavano largamente in mano alla resistenza verde, il bottino grosso dei giacimenti e terminali in Tripolitania e Cirenaica, finivano nell’anarchia totale, con bande di forsennati islamisti che, a forza di mattanze, si contendono il bottino, non riconoscono né i vecchi ufficiali pagatori, né il loro governicchio “islamico moderato”, da un premier al mese (sempre islamisti tosti), asserragliato in un paio di palazzi e hotel di Tripoli. Semmai davano retta ai più munifici mandanti del Qatar e dell’Arabia Saudita, sodali di Israele e ansiosi di marcare le distanze da quegli Usa che, sia contro la Siria e il suo alleato iracheno, sia contro l’Iran, l’intollerabile mezzaluna scita, esitavano ad abbattere il maglio della propria potenza militare. In parallelo, e specie dopo i fatti di Bengasi che avevano determinato la fine della gestione occidentale del disfacimento della Libia, nei media i giovani “rivoluzionari democratici”, cari anche a Rossana Rossanda, erano tornati a essere la brutale feccia terrorista islamica (la stessa impiegata in Siria e per la quale ci si affanna a trovare una soluzione) che impediva il progresso del paese verso un’accettabile regime proconsolare. Regime fantoccio, laico o islamico che fosse (in Ucraina, non essendo congrui gli islamisti, si ricorre agli antichi partner nazisti), purchè disposto ad accontentarsi delle briciole della depredazione imperiale.

Così Haftar (di cui i nostri media evitano accuratamente di rivelare le ascendenze) viene rimesso in pista, si rimediano reparti dell’esercito governativo insofferenti al “caos creativo” islamista partito per la tangente, li si chiamano “Esercito Nazionale”, gli si affianca l’antica quinta colonna coloniale berbera di Zintan (dello stesso gruppo che in Algeria da sempre fa il fiduciario di Parigi) che detiene il figlio di Gheddafi, Saif al Islam, gli si fornisce copertura aerea marca Nato, e si scaglia il tutto, prima contro la roccaforte degli ultrà jihadisti di Bengasi (200 tra morti e feriti) e, poi, contro gli inetti Fratelli Musulmani che fanno finta di governare a Tripoli. Una partita che resta del tutto aperta e in attesa che si chiariscano i rapporti di forza tra questo nuovo matamoros Cia, i bruti originariamente messi in campo contro Gheddafi e l’internazionale sunnita dei sultani del Golfo, incerti tra i tentennanti protettori Usa e una fregola espansiva autonoma (ben vista da Tel Aviv), per ora bloccata dagli antimperialisti che guardano a Tehran.

Intanto la coppia Renzi-Pinotti, di un governo di burattini al filo, con il piede di porco contro la popolazione, il bastone contro chi manifesta, l’elmetto per i paesi riottosi al Nuovo Ordine Mondiale, plaudendo ai 250 marines e cacciabombardieri spediti da Obama a Sigonella, pronti all’intervento in appoggio all’uomo forte Usa, Haftar, si sono offerti di contribuire alle nuove mattanze imperiali con un po’ di professionisti di devastazione e saccheggio. A ripartire da Ucraina e Libia.
E resta pure da vedere cosa farà il Fratello Musulmano di Ankara, Erdogan, sempre vassallo Nato, ma frustrato dalle tergiversazioni di Obama e pure protagonista della contesa inter-jihadista con il suo Fronte Al Nusra contro l’ISIL saudita (Stato Islamico In Iraq e nel Levante). Qualsiasi cosa faccia, non se ne resterà in galleria a osservare lo spettacolo. Indebolito da ininterrotte sollevazioni di masse, insofferenti alle sue colossali ruberie e ai suoi assassinii seriali in Siria, alla tirannia di questo despota che dà tutti i segni di essere uscito di senno, alla catastrofe economica e sociale, sconvolte da una strage di minatori oggettivamente pianificata dal regime, sarà tentato di giocare fino in fondo l’arma di distrazione di massa del nemico esterno. Non sempre funziona, pensiamo all’ottobre del ’17. E se sprofonda il califfo Fratello Musulmano, potrebbe partire un terzo atto con scenografia e canovaccio del tutti diversi.
NIGERIA DELENDA EST

Un nemico esterno, se non al paese, al regime, come arma di distrazione di massa, è quello che dovrebbe servire anche a Goodluck Jonathan, padre-padrone della Nigeria, il paese più popoloso e ricco del continente, che ha appena sorpassato come prima economia il Sudafrica e però non fa parte degli indisciplinati BRICS ed è il primo fornitore africano di idrocarburi all’Europa. Distrazione di massa dalla tirannia, dalla fenomenale corruzione della classe dirigente, dalle devastazioni e rapine della Shell e dell’Agip, dalla miseria e dal sottosviluppo di un popolo il cui Stato è l’unico produttore di petrolio del mondo con un bilancio in deficit. Così la solita manina invisibile, ma sempre più distinguibile all’occhio allenato dalla coazione a ripetere l’11 settembre quale strumento risolutivo della geopolitica imperiale.
Così dal nulla, o meglio dal flusso di armi e briganti dilagati dalla Libia polverizzata verso il Sud africano, spunta due anni fa nel Nord della Nigeria Boko Haram. Con ogni evidenza una filiazione, ancora più sanguinaria, delle sceneggiate che sono servite a coltivare l’islamofobia planetaria, fin da quando, anni fa, anche agli Usa, sparito il “comunismo”, necessitava un nemico esterno per distrarre le masse euroatlantiche dalle razzie interne dell’élite chiamate “crisi” e per agevolare quelle esterne. Alla strategia convenivano stragi di cristiani che Boklo Haram diligentemente perpetrava, fino al momento culminante del rapimento delle 270 ragazze da una scuola nel Nord musulmano. Ragazze, donne, strumento principe anticritico di commozione e persuasione, perlopiù totalmente mistificatorio, come le iraniane Sakineh e Neda Soltan, Aung San Suu Kyi, Julia Timoshenko incarcerata (e in Occidente i ladri di regime non si incarcerano) e oggi la presunta lapidanda sudanese Meriam Ibrahim, santa martire cristiana (apostata, ma anche adultera, già passata a un corte d’appello che non prevede condanne a morte).

Trascinandosi dietro l’armata delle ginocrate, l’universo GLBT, con ancora tra i denti i polpacci di Putin, e gli uomini che adottano la solidarietà con le donne a foglia di fico sulle proprie prepotenze maschiliste, sono entrate in campo le massime furie del riscatto delle donne abusate in tutto il mondo. Da Michelle Obama a Carla Sarkozy, da Hillary a Valérie Trierweiler e rispettive ancelle europee, con il supporto delle immancabili Amnesty e HRW, è una mobilitazione di quelle strategiche. Sul mondo atterrito imperversa l’urlo di protesta e d’amore: “Bring back our girls”, “Ridateci le nostre ragazze”.
Nostre ? Nostre, come le liceali libiche che ho visto dichiararsi con Gheddafi e la libera Libia fino alla morte. Morte per molte arrivata con i missili da Sigonella e, lì come in Siria, sotto le bandiere nere di Al Qaida. Nostre, come le centinaia di migliaia di donne siriane relegate fuori dalla vita nei campi profughi, o come i milioni di donne irachene scomparse o sopravvissute a 13 anni di mattanza biologica e sociale. Nostre, come le ragazze e donne dell’Ucraina russa e antifascista stuprate, bruciate vive, finite a mazzate, nell’orrore di Odessa. Nostre, come le donne che tengono a galla le bidonvilles che il capitalismo sparge nel mondo. Come quelle che Shell e Agip e i devastatori delle miniere avvelenano, insieme ai figli fin nella loro pancia. Donne fatte cavie a loro insaputa dai Mengele della farmaceutica, dell’alimentazione e dell’agroindustria. Nostre, quanto quella metà femminile del genere umano, architrave di ogni società, la cui voce è cancellata dai genocidi bellici e sociali, operati da coloro che strepitano per le povere studentesse nigeriane.
Il coro capeggiato dalle first ladies della “comunità internazionale” s’è fatto banda musicale alla testa delle truppe d’invasione, non solo in Nigeria. Obama, impegnato nella gestione del dopo-emozione, ha deciso di spedire nei cieli nigeriani, i droni con missili “Hellfire” così bene collaudati in Pakistan, Yemen e Somalia. Sigonella, come Gibuti e altre basi africane e mediorientali, stanno lì apposta. A Sigonella i droni sono supportati dai 250 marines di recente arrivo, pronti a sostenere l’uno o l’altro intorno ai giacimenti libici e a svolgere ruoli risolutivi nei campi preparati dalle Forse Speciali (leggi “Squadroni della morte”) e dall’intelligence Usa e Nato in Nigeria e ovunque. In Nigeria, perché, con Jonathan, o qualunque altro socio di minoranza nella depredazione che risulti disponibile, all’alleata Europa le multinazionali Usa possano aprire o chiudere a piacere il rubinetto dell’energia, proprio come previsto nella presa dell’Ucraina. Del resto, è dalla sua nascita, checché si inneggi ai padri fondatori, che questa Europa è il vitello da mattatoio, con inciso sulla pelle il marchio di fabbrica “made in Usa”. Un vitello allevato alla catena, sterilizzato perché non si riproduca, da macellare prima che cresca e muggisca, magari in consonanza con l’Asia vicina e sorella.
E se la Cina si sta facendo l’Africa con il primato della cooperazione, degli scambi e degli investimenti, ottenendo risultati ineguagliati grazie a relazioni eque tra pari, è con AFRICOM, il commando Usa creato nel 2008 e basato in Germania (perché i governi africani, pressati dai popoli, insistono ancora a seguire la raccomandazione di Gheddafi di non accoglierlo), che si va alla conquista del continente. Israele partecipa, direttamente, con spie e commandos, fornendo armi e comunicazione e, indirettamente, con il clone sionista Hollande-Fabius-Sarkozy.

Il Pentagono opera ormai sistematicamente in 49 su 53 paesi africani. La base “pesante” è quella di Gibuti sullo Stretto di Bab el Mandeb. Installazione permanente per flotte di droni, aerei da trasporto, cacciabombardieri, navi da guerra, migliaia di militari da pronto intervento e di “contractors” per le operazioni più sporche. E da qui e da un’altra base in Arabia Saudita che partono quotidianamente i droni Usa che sterminano famiglie di somali e yemeniti, magari al matrimonio o al funerale. Basi “leggere”, smontabili, discrete, con apparecchiature di comunicazione e sorveglianza e piste d’atterraggio sono sparse su tutto il continente. Operazioni di addestramento di eserciti locali, “mantenimento della pace” e manovre congiunte si svolgono in Benin, Botswana, Burkina Faso, Ruanda, Burundi, Camerun, Etiopia, Gabon, Ghana, Kenya, Malawi, Mali, Mauritania, Mozambico, Namibia, Niger, Nigeria, Senegal, Sierra Leone, Tanzania, Togo, Uganda e Zambia. Saccheggio e disfacimento del Congo sono affidati a milizie surrogate, ai missionari e alle Ong.
La crisi nigeriana determinata dalla vicenda Boko Haram-fanciulle rapite, artefatta e manovrata come tutte le crisi che da un po’ ci impestano e spazzano via, è la “pistola fumante” per consentire ad AFRICOM di entrare e inquadrare da più vicino il paese e le sue forze armate. Forse i necolonialisti riusciranno a venire a capo di Boko Haram, rinsaldare uno Stato frammentato in etnie, lingue, confessioni, salvare dalla bancarotta la più corrotta classe dirigente del continente e mantenerla in piedi sotto ricatto, come con tutti i fantocci. O forse faranno il contrario, coltiveranno il (o si adatteranno al) solito “caos creativo” che degrada e polverizza le nazioni. Dipenderà da quale soluzione gli permetterà di controllare e prosciugare meglio il paese. Intanto la Nigeria diventerà la piazzaforte anglofona di AFRICOM e il cuore del dispositivo imperiale Usa, posto al centro del continente, nel paese più popoloso e con la prima economia, fornitore principe di petrolio agli Stati Uniti.


Per il mondo dei viventi la prospettiva più probabile dell’intervento delle Grandi Democrazie è un ennesimo squarcio del suo organismo fisico e psichico. Una ferita che affonda in una morta gora di devastazione sociale, ambientale, politica, giuridica, costituzionale, corredata di stragi, provocazioni sotto falsa bandiera, atrocità, terrorismo, sfoltimento biologico. E ancora una volta ci hanno decerebrato con “i diritti delle donne”. Donne che, dall’Afghanistan in qua, devono essere “affrancate” da forze militari “illuminate”, trasudanti diritti civili,, che gli garantiranno un ambiente dove potranno stare senza velo, libere da violenze e abusi. Ovunque questo è stato posto in atto, le donne vivono le condizioni peggiori del mondo e, forse, della Storia. Ma di questo le ginocrate e i loro damerini non si occupano.
Fonte: http://www.informarexresistere.fr/2014/05/25/africa-nuovi-richiamini-dell11-settembre/

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