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lunedì 12 maggio 2014

Nuovo primo ministro in Libia mentre avanza al-Qaeda

È stato eletto tra caos e polemiche Ahmed Maiteeq, imprenditore di Misurata, città simbolo della resistenza anti-governativa nella guerra del 2011.
SABATINE VOLPE martedì 6 maggio 2014 09:45

La Libia ha un nuovo Primo Ministro. Si tratta di Ahmed Maiteeq, imprenditore di Misurata, città simbolo della resistenza anti-governativa nella guerra intestina del 2011, eletto al GNC, il parlamento, tra caos e polemiche. Il voto si è svolto domenica. In prima battuta sembrava che il parlamentare di Misrata avesse ottenuto 113 voti, quando il minimo per essere nominati dall'Assemblea parlamentare sono 120 voti su 185. Le preferenze sono state ricontate, o così è stato annunciato, ed è stata annunciata l'elezione di Maiteeq. Il suo principale oppositore nella competizione era Omar al-Hassi, di Benghazi, appoggiato da un blocco filo-islamista. Qualche ora dopo il voto è stato dichiarano invalido. Lunedì il Presidente del GNC Nouri Abu Sahmain ha poi firmato un decreto che conferma la nomina di Maiteeq, che sarà capo del governo se riuscirà a metterne insieme uno.


Impresa non facile in un paese in cui il suo predecessore, il Ministro della interim Difesa al Thinni con incarico ad interim seguito alla sfiducia toccata ad Ali Zeidan, ha rinunciato all'incarico per le minacce ricevute contro di sé e la sua famiglia. Uno dei figli di al Thinni era già stato rapito durante l'incarico ministeriale di quest'ultimo. La violenza nella Libia post-Gheddafi, nelle strade come nelle istituzioni, è ormai una realtà. Qualche giorno fa una sessione del GNC in cui si tentava l'elezione del primo ministro è stata bloccata bruscamente tra spari e feriti.

Nella notte tra giovedì e venerdì a Bengasi, seconda città del paese e luogo di avvio delle rivolte anti-Gheddafi, è stata battaglia tra miliziani di Ansar al Sharia - i cui gruppi di Derna, Bengasi e quello tunisino sono stati dichiarati "organizzazioni terroristiche" dal Dipartimento di Stato USA - e forze governative libiche. Nella stessa città poco prima c'era stato un attacco suicida contro militari. A Bengasi le forze dell'ordine sono nel mirino di attentatori islamisti da mesi. A Derna, altra città orientale in cui forze islamiste si impongono sulle istituzioni, si innalzano muri nelle università per separare studentesse e studenti.

L'ambasciatore giordano, rapito a Tripoli il 15 aprile scorso, resta sotto sequestro in Libia, come alcuni altri diplomatici. I rapitori hanno chiesto per il suo rilascio la liberazione di Mohammed Dersi, condannato all'ergastolo in Giordania per aver pianificato un attentato terroristico all'aeroporto di Amman. Secondo alcune fonti Dersi sarebbe stato portato in Libia. Notizia confermata ad al-Hayat da un noto salafita giordano. Reuters ha scritto di un avvenuto accordo tra Tripoli ed Amman per uno "scambio". Se le notizie sulla vicenda non ricevono conferme, è certo che in contemporanea al rapimento dell'Ambasciatore giordano in Libia, Ayman al-Zawahiri, attuale leader di al-Qaeda aveva lanciato un appello per rapire occidentali da scambiare con jihadisti incarcerati. Sequestrare un diplomatico arabo va bene comunque se nel suo paese sono in galera affiliati di al-Qaeda, è evidente.

Quello che desta preoccupazione è che in Libia il rapimento dell'Ambasciatore giordano potrebbe segnare l'inizio di una tendenza. Il motivo è semplice: in un paese in cui il Ministro della Difesa si dimette per minacce - in quanto "indifeso" e il cui un ex Primo Ministro veniva sequestrato lo scorso ottobre in un albergo di lusso vige, evidentemente, la legge delle armi.

Dopo la visita a fine aprile del vice segretario di Stato Usa William Burns a Tripoli, la stampa della regione ha pubblicato titoli su un possibile intervento militare internazionale in Libia. Parlando dell'estremismo islamico durante una conferenza stampa nella capitale libica Burns ha dichiarato: "Riconosciamo la severità della minaccia", sottolineando la "determinazione" USA ad aiutare la Libia a sviluppare apparati di sicurezza ed ad aumentare la cooperazione anti-terrorismo. Un'esigenza questa espressa con vigore dai paesi vicini alla Libia, in prima fila l'Egitto di al-Sissi.

Secondo un'analisi sulla Libia pubblicata lunedì da Foreign Policy, che cita l'ex Ministro dell'Interno libico Fawzi Abdulaal, il paese è infiltrato da al-Qaeda, organizzazione che godrebbe di simpatie di alcuni ambienti istituzionali, anche nel settori della Sicurezza e della Difesa.

Sabato scorso, alla viglia della seduta del GNC che da consegnato il quinto nuovo capo di governo alla Libia "liberata", il leader del partito di maggioranza Nfa (National Forces Alliance) Mahmoud Jibril, ha dichiarato a Libya international Tv che i governi occidentali si sono voltati di fronte all'aumento dell'influenza di forze estremiste in Libia in modo da giustificare un'intervento nel paese. Jibril, uno dei leader della rivoluzione, è stato messo fuori dai giochi politici dalla legge sull'isolamento (Political isloation Law) che impedisce a chiunque abbia rivestito cariche pubbliche nell'era di Gheddafi di restare nelle istituzioni libiche. Una legge imposta la scorsa estate a seguito dell'assedio del GNC da parte di alcune milizie. Jibril ha accusato la comunità internazionale di silenzio di fronte al flusso in entrata di armi in Libia nonostante l'embargo Onu. I servizi segreti dei paesi impegnati in Libia, dice in sostanza Jibril, vedono quello che accade e non fanno nulla. Tutto questo, conclude il leader di Nfa, servirebbe a giustificare un intervento militare nel paese.

Se questo scenario non è da escludere, probabilmente ancora più dei paesi della sponda nord del Mediterraneo, sono alcuni vicini arabi della Libia ad auspicare un eventuale intervento militare nel paese.

in un contesto in cui i mercati internazionali guardano ogni giorno con ansia alla disputa tra separatisti della Cirenaica e governo di Tripoli sperando in una normalizzazione della situazione nel siti petroliferi che metta fine a un braccio di ferro costato al paese 14 miliardi di dollari di mancati guadagni (Bloomberg), l'Algeria del vecchio Bouteflika non dimentica lo scacco di In Amenas, attacco partito dalla Libia. L'Egitto di al-Sissi avrebbe certo preferito la materializzazione del mai avvenuto golpe del Generale Khalifa Haftar, di cui non si è più sentito parlare. Dipinto come un fallito da valutazioni superficiali di certa stampa occidentale, in Libia Heftar gode dell'appoggio di molti pezzi grossi dell'esercito, ed è ritenuto vicino a Jathran, leader dei separatisti della Cirenaica.

Nuove elezioni politiche sono state annunciate nel paese per luglio prossimo. Un progetto che appare ambizioso in un paese che a tre anni dalla rivoluzione ancora non ha una nuova una Costituzione. Elezioni amministrative si sono però appena svolte e questo è di certo positivo. Il partito della Fratellanza Musulmana, Justice and Construction Party (che ufficialmente si dichiara indipendente dall'organizzazione fondata in Egitto da al Banna all'inizio del secolo scorso), ha appena nominato un nuovo leader. Rispetto al voto del 2012 molto è cambiato, non solo in Libia, ma nella Regione. La "restaurazione" in corso in Egitto ha messo al bando e condannato a morte sia coloro che erano emersi come i vincitori politici dei processi elettorali seguiti alla primavera araba, che i fautori delle rivolte che avevano dato la vita nelle piazze, come gli esponenti del movimento del 6 aprile.

La Libia, che in un primo momento, rispetto ai vicini tunisini ed egiziani, sembrava aver trovato maggiore equilibrio politico, grazie anche alla solidità economica garantita dall'oro nero, si ritrova, a tre anni dalla fine della dittatura di Gheddafi, a barcamenarsi tra insorgenze islamiste e instabilità politica. La ricchezza petrolifera resta la sua salvezza. Quanto meno la tiene ancora fuori dalla classifica nei primi posti dei "failed states".

Preso da: http://www.globalist.it/Detail_News_Display?ID=57710&typeb=0

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