Translate

venerdì 10 gennaio 2014

Arabi in Libia

Pubblicato il 19 dicembre 2011
Mentre la Tunisia sembra avviata a un dopo-dittatura relativamente sereno e in Egitto rivoluzione e restaurazione si menano come dei fabbri per strada, con l’unicità di scontri nei quali l’esercito combatte tirando mobili, pietre e suppellettili, in Libia dove è caduta la terza dittatura nordafricana la situazione è relativamente calma, ma non fa progressi evidenti.

Nocciolo del problema è la composizione del CNT, il “parlamento” che dirige e comanda il governo di Jalil è un organismo segreto e già questa è un’anomalia notevole per un paese che vorrebbe arrivare al più presto alla democrazia. Un segreto mantenuto per “motivi di sicurezza” si dice, che ormai non regge più, tanto che lunedì scorso Jalil ha annunciato che i nomi dei membri del CNT sarebbero stati resi noti.


Un’opacità che protegge un groviglio di personaggi dalle storie diverse, impegnati ognuno per suo conto a perseguire un’agenda propria, quando non coordinata e sponsorizzata dall’Occidente o da altri paesi che in Libia cercano di mettere piede o di conservarvelo.



Tra le più ingombranti, ora vanno scemando l’influenza e l’operatività della NATO s’avanza quella del Qatar, così ingombrante e vicina alle fazioni islamiche da spingere Sarkozy a lamentarsene pubblicamente. Il Qatar in Libia è presente militarmente, economicamente e ha persino siglato un accordo per formare il nuovo sistema giudiziario e questo forse è il segnale più inquietante, visto che il pur “liberale” Qatar resta una monarchia assoluta nella quale non esiste stato di diritto e i diritti umani sono una barzelletta.

Che il Qatar agisca per conto degli al Khalifa o dell’Arabia Saudita nascosta dietro il paravento del Consiglio di Cooperazione del Golfo, poco importa, si nota una strategia aggressiva a un dispiegamento di risorse e iniziative impressionanti, non ultima quella che ha visto apparire la prima televisione privata libica. L’evidenza è quella di un progetto d’ingerenza che va ben oltre la vendetta per gli sgarbi di Gheddafi.

Finanziata dal Qatar e diretta dal famoso ex-direttore di al Jazeera Waddah Khanfar, dimessosi perché i cable di Wikileaks lo hanno mostrato al mondo come uno zerbino degli americani e dell’emiro, oltre ad illuminare la natura di al Jazeera come “strumento” a disposizione dei governi amici.


Una presenza poco gradita a molti libici, che già mal sopportano le rivalità regionali e tribali che si stanno consolidando nel dopo-rivoluzione. Se infatti il governo sta perdendo il consenso della regione di Bengasi, motore iniziale della rivoluzione, le milizie di Misurata e di Zintan sembrano essersi alleate e disposte a mantenere il controllo della capitale e di diversi punti strategici fino a che non sarà chiaro che succede. Tanto diffidenti sono quelli di Zintan, che si tengono stretto anche Saif Gheddafi. Che hanno catturato loro e che dicono cederanno alle legittime autorità libiche non appena saranno state formate. Di Saif i giornalisti inglesi hanno scoperto una tesi scritta quando studiava in Gran Bretagna, nella quale il poverino ha tratto e legittimato il perfetto caso di studio dell’ingerenza umanitaria, identica a quella che ha spazzato la sua famiglia dal potere.

L’ormai prossimo arrivo dei soldi sequestrati al regime precedente potrebbe innescare violenze, anche perché la contabilità dello stato di questi tempi non è meno opaca del CNT e non si capisce proprio come molti commentatori abbiano già potuto dichiarare il “missione compiuta” a fronte di tali e tante incognite.

In mezzo a tanti dubbi sul futuro, l’Italia ha comunque rinnovato in fretta il trattato firmato da Gheddafi e Berlusconi. Il fatto che in questa occasione sia stato il libico Jalil ad augurare a Monti: “Spero proprio che supererete questo momento di crisi” rende perfettamente l’idea dei tempi e del peso del nostro paese sul futuro della nuova Libia.

Fonte: http://mazzetta.wordpress.com/2011/12/19/arabi-in-libia/

Nessun commento:

Posta un commento