In ogni guerra, ancora prima della gente, occorre assassinare la verità. Guerra alla libia: 100000 morti, 240000 persone ancora cercate, 78000 dispersi. 10300 donne violentate, 350000 rifugiati.
26
Partiti Comunisti e Operai di tutto il mondo sottoscrivono la
risoluzione presentata dal Nuovo Partito Comunista della Jugoslavia
Il
Nuovo Partito Comunista della Jugoslavia sottolinea con questa
risoluzione che 20 anni dopo la fine dell'aggressione criminale
dell’imperialismo contro la Repubblica Federale di Jugoslavia nel 1999,
il Kosovo Metohija rimane territorio occupato dal suo braccio militare -
la NATO. Sia i serbi che gli albanesi subirono l’occupazione, così come
tutti gli altri residenti nella provincia serba meridionale, dove oggi
si trova la più grande base militare americana al di fuori degli Stati
Uniti - BONDSTIL. Questa occupazione è il principale risultato di
un'aggressione che ha causato oltre 4.000 vittime innocenti e causato
danni materiali alla Jugoslavia per oltre $ 100 miliardi.
11 dicembre 2019.
di Luciano Lago Le manifestazioni di protesta in
Francia e lo sciopero generale che sta paralizzando quasi del tutto il
paese ci fanno accendere un barlume di speranza. La speranza che si vada
avvicinando l’ora di un possibile risveglio dei popoli d’Europa che
trasmettano un segnale forte alle elite finanziarie dominanti, un
segnale di rivolta e di cambiamento. Il risveglio di una
Europa che possa rompere le sbarre invisibili della gabbia neoliberista,
quella che ha avvolto ciascuno stato europeo affossando le possibilità
di crescita, non può essere lontano ma, come avviene per molti cicli
storici, bisogna arrivare al punto più basso della involuzione per poi
afferrare la possibilità di un riscatto. L’ispirazione per un
riscatto e una rinascita di paesi europei non può che provenire da est
dove già da tempo si è verificato il risveglio dei giganti asiatici, la
Federazione Russa, la Cina, l’India, paesi che oggi dimostrano una vitalità ed una capacità di rompere l’ordine mondiale di marca anglo USA che avviluppava il mondo.
Nella fase attuale, dopo decenni di pratiche neoliberiste che hanno
minato le capacità agroindustriali un tempo fiorenti di paesi come la
Francia, l’Italia, la Spagna, sotto la gabbia dell’euro
“postindustriale”, è diventato evidente che l’austerità e
l’aumento delle tasse sono le uniche soluzioni che i tecnocrati
dell’eurocrazia e i padroni della moneta, che si trovano nella Banca
Centrale europea, potranno consentire . Questo perchè
l’appartenenza all’euro proibisce a qualsiasi nazione di sforare il
rapporto deficit /PIL al di sopra del 3%, mentre non esistono i mezzi
finanziari per generare credito statale sufficiente per costruire
progetti su larga scala necessari per una ripresa economica. In altre parole, dal punto di vista delle regole del gioco imposte dalle elite finanziarie transatlantiche, la situazione è senza speranza. Sul versante orientale dell’Eurasia si può constatare chela Russia e la Cina hanno trasformato con successo l’ordine internazionale utilizzando
grandi risorse per investimenti in infrastrutture, fra queste la
creazione della “Belt and Road” Initiative che può essere estesa a vari
paesi europei. Diventa facile comprendere che, l’agganciarsi a questa
iniziativa offre una opportunità unica per i paesi europei (almeno per
quelli che desiderano mantenere la testa fuori di fronte all’imminente
collasso economico).
Potrebbe essere questo l’unico mezzo
praticabile per fornire lavoro, sicurezza e crescita economica a lungo
termine alla loro gente poiché la Belt and Road, cocepita dagli
strateghi cinesi, è radicata come un progetto di sistema aperto che non è
collegato alla geopolitica del sistema chiuso atlantista di ispirazione
hobbesiana.
Per diverse settimane, gran parte
della popolazione libanese ha attaccato i leader politici tradizionali e
messo in discussione il sistema politico corrotto del paese. Coloro che
hanno gestito il paese per decenni hanno fatto poche riforme, non hanno
mantenuto le infrastrutture e hanno fatto poco o nulla per creare posti
di lavoro al di fuori della loro cerchia di sostegno. I
manifestanti sono stati anche spinti in piazza dalle misure
statunitensi, che hanno strangolato l’economia libanese, inclusi
ostacoli per la maggioranza dei 7-8 milioni di espatriati libanesi nel
trasferire denaro ai loro cari nel loro paese d’origine.
L’amministrazione americana ha preso queste misure per cercare, invano,
di mettere in ginocchio l’Iran e i suoi alleati. Gli Stati Uniti
sembrano credere che seminando il caos nei paesi in cui opera l’Asse
della Resistenza, possa costringere l’Iran a cadere tra le braccia
dell’amministrazione statunitense. Gli Stati Uniti vogliono piegare l’Iran e i suoi alleati e imporre le loro condizioni e la loro egemonia in Medio Oriente.
Il leader di Ankara non esclude l'azione militare "in caso di invito di al-Serraj"
Tripoli, 10 dicembre 2019 - La Turchia non esclude un intervento militare in Libia. Una posizione espressa dal presidente Recep Tayyip Erdogan che ha criticato il sostegno di Russia, Emirati Arabi Uniti ed Egitto
al generale Khalifa Haftar. "Nel caso di un invito" da parte del
governo di Fayez al-Sarraj a entrare in azione, ha detto invece Erdogan,
"la Turchia deciderà autonomamente che tipo di iniziativa prendere".
Parlando in un'intervista alla tv statale Trt, il leader di Ankara ha
inoltre accusato i Paesi pro Haftar di violare l'embargo alla vendita di
armi imposto dalle Nazioni Unite. La Turchia è stata a sua volta
accusata in passato di fornire armi alle milizie fedeli a Tripoli.
Le affermazioni di Erdogan giungono dopo il
memorandum d'intesa sulla demarcazione dei confini marittimi siglato il
27 novembre scorso a Istanbul con Sarraj. Un accordo in base al quale
Ankara e la Libia possono effettuare operazioni congiunte di
esplorazione nel Mediterraneo orientale. Mossa che ha acuito le
controversie sulla zona, aumentando la tensione tra Turchia e Grecia.
Dissapori già in atto dopo le esplorazioni di gas turche nel
Mediterraneo orientale al largo della costa dell'isola divisa di Cipro.
Proprio queste esplorazioni hanno innescato le sanzioni dell'Unione
europea nei confronti di Ankara.
Si svolge a Londra, il 4 dicembre, il Consiglio Nord
Atlantico dei capi di stato e di governo che celebra il 70°
anniversario della Nato, definita dal segretario generale Jens
Stoltenberg «l’alleanza di maggiore successo nella storia».
Un «successo» innegabile. Da quando ha demolito con la guerra la
Federazione Jugoslava nel 1999, la Nato si è allargata da 16 a 29 paesi
(30 se ora ingloba la Macedonia), espandendosi ad Est a ridosso della
Russia. «Per la prima volta nella nostra storia – sottolinea Stoltenberg
– abbiamo truppe pronte al combattimento nell’Est della nostra
Alleanza». Ma l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico è andata
oltre, estendendo le sue operazioni belliche fin sulle montagne afghane e
attraverso i deserti africani e mediorientali.
Ora la Grande Alleanza mira più in alto. Al Summit di Londra –
preannuncia Stoltenberg – i leader dei 29 paesi membri «riconosceranno
lo spazio quale nostro quinto campo operativo», che si aggiunge a quelli
terrestre, marittimo, aereo e ciberspaziale.
Proseguiamo la pubblicazione del libro di Thierry Meyssan, Sotto i nostri occhi.
In questo episodio l’autore ci mostra come la Francia post-coloniale
sia stata reclutata da Regno Unito e Stati Uniti per unirsi alle loro
guerre contro Libia e Siria. Queste due potenze l’hanno però tenuta
all’oscuro del progetto “primavera araba”. Troppo impegnati a sottrarre
fondi, i dirigenti francesi non si sono accorti di nulla. Quando si sono
resi conto di essere stati esclusi dalla progettazione, la loro
reazione è stata puramente comunicazionale: hanno tentato di farsi
passare per gli ammiragli dell’operazione, senza preoccuparsi delle
conseguenze dei maneggi dei partner.
Questo articolo è estratto dal libro Sotto i nostri occhi.
Si veda l’indice.
Il
Regno Unito ha manipolato la Francia trascinandola nelle proprie
avventure in Medio Oriente Allargato, senza rivelarle che vi si stava
preparando, insieme agli Stati Uniti, sin dal 2005.
LA PREPARAZIONE DELLE INVASIONI IN LIBIA E SIRIA
Ancor prima dell’ufficializzazione della nomina da parte del Senato,
il futuro segretario di Stato Hillary Clinton contatta Londra e Parigi
per condurre una doppia operazione militare nel “Grande Medio Oriente”.
Dopo il fiasco in Iraq, Washington reputa impossibile utilizzare le
proprie truppe per un’operazione del genere. Dal suo punto di vista, è
giunto il momento di rimodellare la regione – ossia ridisegnare gli
Stati i cui confini erano stati definiti nel 1916 dagli imperi inglese,
francese e russo (la “Triplice Intesa”) – per imporre linee di
demarcazione favorevoli agli interessi degli Stati Uniti. L’accordo è
noto con il nome dei delegati inglese e francese Sykes e Picot (il nome
dell’ambasciatore Sazonov è stato “dimenticato” a causa della
rivoluzione russa). Ma come convincere Londra e Parigi a mettere in
discussione il proprio patrimonio se non promettendo di concedere loro
di ricolonizzare la regione? Da qui la teoria della “leadership da
dietro le quinte” (leading from behind). Tale strategia viene confermata
dall’ex ministro degli Esteri di Mitterrand, Roland Dumas, che
dichiarerà in TV di essere stato contattato da inglesi e statunitensi,
nel 2009, per sapere se l’opposizione in Francia fosse a favore di un
nuovo piano coloniale.
L’accademia italiana apre un fronte contrario alla riforma del Mes di
cui tanto si discute nelle ultime settimane. Dopo che grossi calibri
come il presidente della Consob Paolo Savona avevano colpito duramente
una riforma definita incompleta e rischiosa, trentadue economisti di
tutta Italia hanno presentato un appello per invitare a ragionare
seriamente su un’evoluzione delle regole europee definita, per l’Italia,
“inutile: non ne abbiamo bisogno e comunque ricorrervi peggiorerebbe la
nostra situazione”.
Danno erariale di quasi 200 milioni di euro. L’accusa arriva dalla Corte dei Conti del Lazio.
I destinatari sono i membri di una Commissione consultiva tecnico-scientifica, ma non di una a caso: l’Agenzia italiana del farmaco, AIFA!
L’agenzia nazionale che ha la responsabilità (morale e scientifica) di
consentire e monitorare la commercializzazione sul territorio di farmaci
e vaccini.
Avrebbero imposto limitazioni alla prescrivibilità dell’Avastin - farmaco usato per trattare alcune malattie oculari - costringendo di fatto il Servizio Sanitario Nazionale a sostenere costi maggiori per l'acquisto del concorrente (equivalente) Lucentis.
In pratica il primo non è stato incluso, fino al 2014, tra i prodotti
rimborsabili dal SSN e il suo utilizzo è stato limitato
ingiustificatamente fino al 2017 causando rilevanti spese aggiuntive per
l’erario.
Hanno sostenuto - per non dire imposto - la vendita di un veleno la cui
singola dose costa tra i 600 e i 730 euro in più dell’altro!
Già nel 2014 l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato aveva irrogato nei confronti delle case farmaceutiche produttrici, Roche e Novartis,
una sanzione amministrativa di oltre 180 milioni di euro per avere
concertato una differenziazione artificiosa dei prodotti, presentando il
primo come più pericoloso del secondo e condizionando così le scelte di
medici e servizi sanitari. In realtà le molecole sono le medesime.
“Se la filosofia dell’espropriazione cessa, la filosofia della guerra cesserà”
Fidel Castro Ruz
Quasi un quarto di secolo fa, Fidel
tenne un discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che oggi,
in un mondo sconvolto davanti al dominio egemonico del capitalismo,
mantiene una validità colossale. Lì, il comandante, il grande soldato
delle idee, chiarì che i popoli “vogliono un mondo senza egemonismi,
armi nucleari, interventismo, razzismo, odio nazionale o religioso,
oltraggi alla sovranità di qualsiasi Paese, con rispetto per
l’indipendenza e l’autodeterminazione dei popoli, senza modelli
universali che non considerano tradizioni e cultura di tutte le
componenti dell’umanità, senza embarghi crudeli che uccidono uomini,
donne e bambini, giovani e vecchi, come bombe atomiche silenziose.
L'inviata Onu: la repressione delle manifestazioni pacifiche non può costituire una strategia
[4 Dicembre 2019]
Secondo il canale televisivo libanese al-Mayadeen, che
cita fonti irachene, ieri pomeriggio 5 razzi hanno colpito l’importante
base aerea statunitense di Ain al Asad, nella provincia occidentale
irachena di al-Anbar, non ci sarebbero vittime. Ain al Asad è la seconda
base aerea dell’Iraq dopo quella di Balad ed è il quartier generale
della Settima divisione dell’Esercito iracheno.
E’ la dimostrazione del fallimento della confusa operazione di
2controllo” dell’Iraq dopo le q guerre petrolifere statunitensi alle
quali ha partecipato (e partecipa) anche l’Italia e che in Iraq si è
creata una situazione insurrezionale della quale sono protagonisti i
giovani – sia sciiti che sunniti – che è già costata centinaia di
vittime, che non ha nel mirino solo l’ingerenza iraniana in Iraq, ma
anche quella occidentale e che apre la strada a ritorni sia di forze
oscure, come i vecchi quadri del partito Baath di Saddam Hussein – che
hanno sempre operato nel Paese dopo la caduta della dittatura, che delle
cellule rimaste dello Stato Islamico/Daesh che era arrivato a Mosul e
quasi fino alle porte di Bagdad.
Continuano comunque le proteste anti-iraniane e il primo dicembre è
stata assaltato per la seconda volta il consolato iraniano di Najaf,
nell’Iraq meridionale-.
Che bella cosa la "democrazia": ti fanno credere che puoi votare chi preferisci, anche i cosiddetti sovranisti, tanto poi ci pensano loro a cambiare governo con le manovre di palazzo.
Puoi anche decidere che non vuoi immigrati e clandestini, poi ci pensano i giudici a cancellare le leggi: Uno dei tanti articoli trovati in rete su una sentenza scandalosa, guardate come la giustificano, e come ti spiegano che i giudici hanno ragione.
Storica sentenza: vietato respingere. Messi in discussione gli accordi con la Libia, le conseguenze per L'Italia
Con una sentenza del Tribunale civile di
Roma è stato riconosciuto il diritto ad entrare in Italia a chi è stato
respinto illegittimamente in Libia. Cosa può succedere
Il governo fantasma di Tripoli e la Turchia
firmano accordi di cooperazione sugli idrocarburi offshore, ai danni di
Cipro, Grecia, Egitto e Israele
[2 Dicembre 2019]
Il 30 novembre, la delegazione della Grecia che stava assistendo
all’inaugurazione del Trans-Anatolian Natural Gas Pipeline (TANAP), il
gasdotto che porterà il gas del giacimento azero di Shah Deniz dal Mar
Caspio in Italia e in Europa, ha abbandonato la cerimonia dopo che il
presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha dichiarato che entrerà in
vigore l’accordo tra Turchia e Libia sul confine marittimo e che sarà
applicato in tutte le sue disposizioni. La delegazione greca presente
all’inaugurazione del TANAP era guidata dal vice-ministro dell’ambiente e
dell’energia Dimitris Ikonomu che dopo aver definito provocatorie le
dichiarazioni di Erdogan ha spiegato: «Ero lì come rappresentante del
governo greco su questo tema molto concreto: il gasdotto TANAP sarà
connesso al gasdotto transadriatico TAP. Era la ragione della nostra
partecipazione all’inaugurazione. Quando Erdogan ha affrontato dei
problemi scollegati con l’inaugurazione del gasdotto e ha evocato la
Grecia in maniera provocatoria, ho giudicato giusto andarmene. I turchi
mi hanno chiesto perché stavo andando via ed ho spiegato loro che non
potevo restare dopo una tale dichiarazione».
La Bolivia vive un altro momento di
rottura sociale e politica nella sua lunga storia di instabilità e golpe
civile-polizia-militari. Ciò che accade, oltre la tragedia vissuta da
questo popolo eroico, ha molti paradossi che non possono essere
ignorati. Il primo è l’incomprensibile avventura distruttiva di un Paese
che si dirigeva verso il 21° secolo con un percorso senza precedenti
nel diventare una democrazia. Mai prima d’ora il Paese aveva ottenuto
ciò che molti invidiano: crescita economica sostenuta, stabilità
politica, unità nazionale in costruzione e rispettoso impegno
internazionale, nonché risultati sociali e sconfitta secolare delle due
maledizioni del sottosviluppo: estrema povertà e analfabetismo. Il
secondo paradosso è sostenere che vi fu una successione costituzionale
quando in realtà ciò che accadde fu l’assalto pianificato al potere.
Dalla detenzione dei municipi nel Paese in una simulazione democratica
all’ammutinamento della polizia, ciò che fu interessato era il
rimaneggiamento della scacchiera politica orchestrato ad arte, da
qualche tempo ormai, nelle viscere dell’impero con la complicità della
élite razzista regionale coperta da una religiosità macabra. Jeanine
Ánhez, che si autodefinisce “presidente costituzionale”, rappresenta la
presa illegale e illegittima del potere, null’altro che il corollario
del piano golpista finemente tessuto negli ultimi tre o quattro anni.
Questo finale fascista fu preceduto da una serie di operazioni segrete
sistematicamente attuate e che le agenzie d’intelligence non seppero
rilevare o che nascosero. Il terzo paradosso è il ruolo angosciante dei
media che, quando gli piace, si definiscono democratici, trasparenti e
indipendenti. Oggi sono semplicemente un branco di disinformatori senza
scrupoli, una vergognosa macchina della manipolazione al servizio degli
interessi commerciali monopolistici. Insieme alla panoplia di menzogne
sistematiche, dirette dalla diplomazia pubblica nordamericana, i social
network adempivano al loro ruolo perverso di filtrare
sproporzionatamente, sia nei contenuti che nella portata, il presunto
“male masista, inclusa l’enorme broglio”, nascondendo brutalità e
violenze del paramilitarismo di Santa Cruz, delle bande armate cochalas o
della polizia di La Paz.
Nuovi
dettagli sono emersi dopo l’accordo di Ankara-Tripoli. Il presidente
turco Recep Tayyip Erdogan incontrava Fayaz al-Saraj del governo dei
fratelli musulmano libici ad Ankara. L’incontro durò 2 ore e pochi
dettagli emersero inizialmente per ovvie ragioni. Una dichiarazione
turca sull’incontro menzionava solo: “Abbiamo firmato col governo di
Tripoli un protocollo d’intesa su sicurezza e cooperazione militare,
mentre allo stesso tempo abbiamo firmato un protocollo d’intesa sul
mare, derivante dal diritto internazionale”, senza citare esattamente
quale diritto internazionale, in quanto non esiste un diritto
internazionale a sostegno delle affermazioni di Erdogan. I media turchi,
interamente controllati da Erdogan, continuano il caso. Darebbe essere
un accordo a due che va approvato da altri Paesi per legittimarsi, ma
con tali mosse i turchi creano un clima di ostilità nel Mediterraneo
orientale. E non va dimenticata la lettera di Ankara alle Nazioni Unite,
che annulla difatti le zone economiche esclusive greche e cipriote.
La
stampa internazionale è cauta nel riferire quanto accade in Bolivia.
Descrive il rovesciamento del presidente Evo Morales, parla di un
ennesimo colpo di Stato, ma non riesce a inquadrare quel che sta davvero
succedendo. Non si accorge del nascere d’una nuova forza politica,
finora sconosciuta in America Latina. Secondo Thierry Meyssan, se le
autorità religiose del continente non si assumeranno subito le proprie
responsabilità, niente riuscirà a impedire il dilagare del caos.
La
nuova presidente dello Stato Plurinazionale della Bolivia brandisce i
Quattro Vangeli e denuncia i “riti satanici” degli indios. Diversamente
dai commenti della stampa internazionale, Jeanine Áñez non se la prende
con gli indios – peraltro tutti cristiani – in quanto etnia, ma vuole
imporre il fanatismo religioso.
Il 14 ottobre 2019, in un’intervista alla
televisione Giga Vision, il presidente Evo Morales dichiarò di possedere
registrazioni comprovanti la preparazione di un colpo di Stato da parte
di esponenti dell’estrema destra e di ex militari, da mettere in atto
qualora avesse vinto le elezioni [1].
Quel che poi è accaduto non è un vero e proprio colpo di Stato: è un
rovesciamento del presidente costituzionale. Niente induce a credere che
il nuovo regime saprà stabilizzare il Paese. Sono i primordi di un
periodo di caos.
Le rivolte che si sono susseguite dal 21 ottobre hanno indotto a
fuggire, l’uno dopo l’altro, il presidente, il vicepresidente, il
presidente del senato, il presidente dell’Assemblea nazionale, nonché il
primo vicepresidente del senato. Le sommosse non sono però cessate con
l’intronizzazione alla presidenza ad interim, il 12 novembre scorso,
della seconda vicepresidente del senato, Jeanine Áñez. Il partito di
Áñez ha solo quattro deputati e senatori su 130. In compenso, la nomina
di un nuovo governo senza indigeni ha spinto gli indios a scendere in
piazza in sostituzione dei sicari che hanno cacciato il governo Morales.
Ovunque si registrano violenze interetniche. La stampa locale
riferisce delle umiliazioni pubbliche e degli stupri. E conta i morti.
25 novembre 2019. Diverse manifestazioni hanno avuto luogo negli ultimi due
giorni in Libano per protestare contro le interferenze degli Stati Uniti
negli affari interni libanesi. L’ultima è
avvenuta questa domenica 24 novembre, con migliaia di persone radunate
non lontano dall’ambasciata americana, ad Awkar, a est di Beirut.
Nel
corso della protesta, i manifestanti hanno bruciato bandiere americane e
israeliane, oltre alla foto di Jeffrey Feltman, ex ambasciatore degli
Stati Uniti in Libano.
Durante un’audizione di martedì 19
novembre, davanti alla sottocommissione parlamentare per gli affari
esteri per il Medio Oriente, il Nord Africa e il terrorismo
internazionale, Jeffrey Feltman aveva lasciato intendere che i libanesi
devono affrontare due opzioni: seguire la politica di allineamento agli
USA o affrontare il caos sobillato da Washington. Jeffrey Feltman, sottosegretario del Dipartimento di Stato americano che fungeva anche da ambasciatore di Washington in Libano,
aveva recentemente parlato di una possibile guerra civile se le forze
armate libanesi avessero fatto ricorso al disarmo del movimento di
resistenza di Hezbollah con la forza.
Durante la
dimostrazione svoltasi ad Awkar, i seguenti slogan sono stati notati
sugli striscioni contrassegnati o cantati dalla folla, tra cui:
“Gli Stati Uniti e Israele sono una cosa sola “Smettete di interferire nei nostri affari, dannati imperialisti americani.” “Non c’è modo di vivere nell’umiliazione. Rivoluzione contro gli Stati Uniti ”. “Non rinunceremo al nostro paese per Israele”, recitava un cartello; “Palestina, ti supporteremo a morte.” “No alle interferenze nel mio paese”. “Feltamn, stai zitto.”
Venerdì, in un’intervista con Reuters, il vice segretario generale di Hezbollah, lo sceicco Naim Qassem, ha affermato che gli Stati Uniti rappresentano l’ostacolo più importante per la formazione di un governo in Libano.
25 novembre 2019. Alto tradimento, da parte di Giuseppe Conte, se ha firmato un
accordo segreto sul Mes che espone gli italiani al rischio di dover
sostenere di tasca propria l’eventuale “ristrutturazione” del debito
pubblico? «Se Conte avesse stipulato un patto segreto
contro il suo paese, il reato di alto tradimento dovrebbe essere
accertato dai magistrati competenti».
Lo afferma l’economista Nino Galloni,
vicepresidente del Movimento Roosevelt, richiamando l’allarme lanciato
da Paolo Becchi. Per Galloni, «Becchi ha sollevato una questione reale,
ma il problema – sottolinea – è dimostrare che questi accordi ci siano
stati». In ogni caso, aggiunge, «le grandi decisioni di politica
economica, come il divorzio del 1981 tra Tesoro e Bankitalia, non sono mai passate per il Parlamento».
Galloni sgombra il campo da un equivoco: non è stata “l’Europa” a
mettere nei guai l’Italia. E’ stata la classe dirigente italiana a
smontare l’industria pubblica e svendere quella privata. «A quel punto,
Francia e Germania hanno fatto dell’Italia una colonia a vantaggio dei
loro interessi», ma solo dopo la decisione dell’Italia di rinunciare a
valorizzare il proprio grande potenziale economico.
A Galloni, il
Mes sembra «una follia», letteralmente: «Dato che il credito privato è
più elevato del debito pubblico, allora i privati pagheranno la
differenza?». Assurdo, visto che «chi compra i titoli di debito sta
dando risorse allo Stato». Quanto all’ex Fondo salva-Stati, ora
Meccanismo Europeo di Stabilità (creato per assicurare fondi ai governi,
senza più moneta sovrana, nel caso il mercato non comprasse i loro
bond), Galloni è netto: «Non si può decretare la depenalizzazione per un
istituto come il Mes», i cui funzionari non rispondono alle leggi dei
paesi membri. «Casomai, gli Stati avrebbero dovuto accordarsi
sull’istituzione di un tribunale penale europeo per le questioni
monetarie, finanziarie e tributarie», sostiene l’economista.
«Sarebbe stato coerente con la Costituzione italiana, laddove parla di
limitazioni della sovranità (ma certo non contro la logica del diritto,
depenalizzando reati commessi da qualcuno che è al di sopra della
legge)». Aggiunge Galloni: «Se tutta questa manfrina sul Mes serve a
introdurre nel sistema la categoria del “legibus solutus”, cioè del
sovra-sovrano, è chiaro che siamo tornati indietro dal punto di vista
della civiltà».
24 novembre 2019. Il leader del gruppo iracheno Asaib Ahl al-Haq, che fa parte
delle forze di mobilitazione popolari del paese o Hashd al-Sha’abi
(milizie sciite), afferma che Washington e Tel Aviv sono membri di “una
terza parte” che è stata alla base di molte uccisioni morti durante i
recenti disordini in Iraq.
Qais al-Khazali ha detto a
Dijlah TV, un canale televisivo satellitare iracheno con base ad Amman,
sabato che il comitato istituito per indagare sulla violenza è solo un
organo amministrativo, e quindi non è in grado di identificare la “terza
parte” responsabile dell’uccisione di manifestanti.
Ha sottolineato che “Israele e gli Stati Uniti hanno un ruolo importante nell’animare la terza parte”.
Khazali
ha inoltre affermato che l’inchiesta sulle morti in Iraq non dovrebbe
essere limitata alla questione di chi abbia ucciso i manifestanti, ma
anche di esaminare chi ha “facilitato” la strada per gli assassini e chi
ha dato loro l’ordine.
24 novembre 2019. TRIPOLI - Nuove accuse all'Italia da parte delle
autorità dell'Est della Libia, sotto il comando del generale Khalifa
Haftar, dopo che un drone è precipitato nei giorni scorsi a Sud-Est di
Tripoli. La Commissione Difesa della Camera dei rappresentanti di Tobruk
ha infatti denunciato quello che definisce il sostegno italiano a
«bande terroristiche ed estremiste in Libia attraverso il supporto
logistico sul terreno e il volo di droni nello spazio aereo libico».
«Avvertiamo la Repubblica italiana che persistendo con questo
approccio a sostegno delle milizie l'Italia non avrà alcuna opportunità
di partecipare in futuro alla cooperazione con la Libia», si legge nel
comunicato diffuso oggi dal sito Libyan Address Journal, vicino ad
Haftar, che due giorni fa aveva già pubblicato il monito all'Italia del
deputato di Tobruk, Ali al Saidi, molto vicino al generale, a
«rispettare la sovranità della Libia».
I golpisti boliviani sono stati addestrata dalla School of the Americas dell'esercito USA e dallo FBI
Jeb Sprague
I comandanti
dell'esercito e della polizia della Bolivia hanno contribuito a
pianificare il colpo di Stato e ne hanno garantito il successo. In
precedenza erano stati addestrati alla insurrezione dagli USA, nei
programmi di formazione della famigerata School of the Americas e dallo
FBI
Gli Stati Uniti hanno svolto un ruolo
chiave e diretto nel colpo di Stato militare in Bolivia, anche se poco
evidenziato nelle cronache degli eventi che hanno costretto il
presidente eletto del paese, Evo Morales, a dimettersi il 10 novembre.
Poco prima delle dimissioni di Morales, il comandante delle forze armate della Bolivia, Williams Kaliman, "suggerì" che il presidente si dimettesse. Il giorno dopo, settori delle forze di polizia del paese si ribellarono.
Per quanto Kaliman sembri avere finto
sentimenti lealtà nei confronti di Morales nel corso degli anni, ha poi
mostrato la sua vera faccia non appena è giunto il momento opportuno.
Non è stato solo un attore del colpo di Stato, egli aveva già una storia
a Washington, dove aveva per breve tempo ricoperto il ruolo di addetto
militare dell'ambasciata della Bolivia nella capitale degli Stati
Uniti.
A letto col Terzo Reich: L’alleanza nascosta degli USA con la Germania nazista contro l’Unione Sovietica.
Michel Chossudovsky | globalresearch.ca
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
13/11/2019 La Germania nazista dipendeva in larga misura dalle forniture di petrolio della statunitense Standard Oil.
Nell’immagine: Adolf Hitler con Prescott Bush, nonno dell’ex Presidente USA George W. Bush.
Prescott Bush era un socio della Brown Brothers Harriman & Co e
direttore della Union Banking Corporation, che aveva stretti rapporti
con gli interessi delle imprese tedesche, come la Thyssen Steel, grande
compagnia coinvolta nell’industria degli armamenti del Terzo Reich. “… Nuovi documenti, declassificati [nel 2003], dimostrano che,
anche dopo che l’America era entrata in guerra [8 dicembre 1941] e
quando già esistevano significative informazioni sui piani e sulle
politiche dei nazisti, egli [Prescott Bush] lavorò e fece guadagni con
società strettamente legate alla finanza tedesca, la quale supportò
economicamente l’ascesa al potere di Hitler. E’ stato anche evidenziato
come il denaro ricavato da queste transazioni avesse aiutato a costruire
la ricchezza e la fortuna della famiglia Bush, nonché a fondare la sua
dinastia politica” (The Guardian, September 25, 2004).
Senza il sostegno degli USA alla Germania nazista, il Terzo Reich non
sarebbe stato capace di dichiarare guerra all’Unione Sovietica. La
produzione di petrolio della Germania era insufficiente per poter
scatenare una grande offensiva militare. Durante tutto il conflitto, il
Terzo Reich fece affidamento su regolari forniture di greggio da parte
della Standard Oil, nelle mani della famiglia Rockfeller.
Non
si placa il vento della protesta che sta scuotendo l’Europa della
finanza e delle banche. Risulta sempre più chiaramente che da quando
siamo entrati nell’euro, i popoli hanno perso la loro sovranità e
qualsiasi decisione presa per scrollarsi di dosso il giogo della
dittatura, finisce con un nulla di fatto. Austerità,
tagli, rassicurazioni ai pochi che l’organismo centrale della BCE
vigila e controlla sull’eurozona. Draghi è intervenuto nel parlamento
europeo giovedì 12 novembre, affermando che in caso di bisogno il QE
potrà essere prorogato anche dopo settembre 2016, e rassicura sullo
stato delle banche greche che a suo dire non sono al collasso. Intanto
in Grecia nel silenzio assordante dei media, c’è stato lo sciopero
generale contro Tsipras per protestare contro l’austerità ed una Troika
che continua a chiedere ancora sacrifici “lacrime e sangue” per i Greci
spolpati vivi. Si continua a non voler capire che la gente comune è al
tracollo ed anche nel parlamento europeo un esponente irlandese ha
ribattuto a Draghi che la BCE non è un vigile del fuoco capace di
buttare acqua sul fuoco di una crisi che si estende a macchia d’olio
nei paesi dell’Eurozona.
20 novembre 2019.
Un drone militare italiano della missione Mare sicuro è
precipitato in Libia: le cause non sono state ancora accertate e fonti
italiane ipotizzano un guasto, ma le forze del generale Khalifa Haftar
hanno rivendicato di averlo abbattuto nel confitto a bassa intensità
che conducono da mesi per la conquista di Tripoli. La capitale libica
dove, col sostegno dell'Onu e dell'Italia, è insediato il premier Fayez al-Sarraj.
Lo Stato maggiore della Difesa italiano si è limitato a rendere noto che
un «velivolo a pilotaggio remoto» dell'Aeronautica militare - si tratta
di un «Predator B» del 32/o Stormo di Amendola, dove è di stanza il
Gruppo velivoli teleguidati - dopo aver perso il contatto con la base, è
«precipitato in territorio libico, per cause ancora in corso di
accertamento».
Continuano a essere giorni
molto difficili in Bolivia dopo che l’accusa di brogli alle elezioni del
20 Ottobre hanno scaturito il golpe a danno dell’ormai ex presidente
Evo Morales. Nei giorni successivi alle accuse si sono registrate
numerose manifestazioni da parte dell’opposizione e della classe
medio-borghese (la cosiddetta parte "bianca", come definita dai
boliviani) nei confronti di Morales.
In queste ore invece, stiamo assistendo a vere e proprie rivolte
molto più violente da parte di migliaia di manifestanti anti-golpe. Ieri
circa 20.000 indigeni erano in marcia verso La Paz.
“Un atto di repressione durissima da parte delle forze di polizia boliviane,
quello avvenuto a Sacaba, nel centro del Paese, e non “un confronto”,
come avevano definito i rappresentanti dell’autoproclamato governo
boliviano dopo le dimissioni di Evo Morales.” È quanto ha denunciato
Nelson Cox, rappresentante e difensore del popolo del distretto di
Cochabamba, riportato ieri dal giornale “Opinion”. Tutte le persone assassinate sono state raggiunte alla testa oppure al torace da colpi di arma da fuoco sparati dalla polizia.
Con il massacro di Sacaba è salito a 25 il numero delle persone uccise in Bolivia durante le proteste della popolazione.
L’escalation repressiva, i morti e le violenze sono cresciute in modo
vertiginoso dopo l’annuncio dell’autoproclamato governo di Jeanine Añez
che ieri ha anche approvato il decreto 4078, che “declina” ogni tipo di responsabilità e impunità totale alle forze militari e di polizia chiamate alle “operazioni per il ripristino dell’ordine interno e della stabilità pubblica”.
Di fatto è un decreto che dà licenza di uccidere, carta
bianca di sparare a vista ad ogni persona che protesta in Bolivia,
senza che per queste azioni poi la polizia e i militari rispondano in
alcun modo di fronte alla legge.
Il 20 ottobre, in
Bolivia, il socialista Evo Morales – forte dei suoi successi in
campo sociale, economico e politico (drastica riduzione della
povertà, dell'analfabetismo, forte aumento del PIL) - aveva vinto
per un terzo mandato, le elezioni presidenziali, con il 47% dei
consensi. Una cifra che, per la legge elettorale boliviana, avendo
battuto il suo avversario di oltre 10 punti percentuali, gli ha
garantito la rielezione, senza passare per il ballottaggio.
Ad ogni modo,
l'opposizione di centro e di centrosinistra, guidata da Carlos Mesa,
ovvero lo sconfitto delle presidenziali con il 35,%% dei consensi, ha
sin da subito tentato di fomentare la piazza contro il Presidente
eletto.
Qui si parla di un posto chiamato Jugoslavia, regno in sfacelo che fu facilmente occupato dalle truppe dell’Asse, italiane e tedesche, nel 1941.
Un posto risorto dalle ceneri del tutto nuovo, rifondato dopo la
vittoria del fronte partigiano “rivoluzionario e patriottico” guidato da
Josip Broz detto Tito. Ma quei tre anni di guerra nei Balcani sono un groviglio di contraddizioni che un ottimo libro di Eric Gobetti, Alleati del nemico. L’occupazione italiana in Jugoslavia (1941-1943) recentemente pubblicato da Laterza, sbroglia passando in rassegna le varie fasi dell’occupazione italiana, dei rapporti con i nazionalisti serbi (cetnici) e croati (ustascia), oltre che con gli stessi nazisti.
Una facile conquista (tedesca)
La guerra italiana in Jugoslavia è inizialmente una burletta. Nell’aprile del 1941 i nazisti occupano in pochi giorni Zagrabria e Belgrado. Solo cinque giorni dopo le truppe italiane si decidono a lasciare le posizioni difensive
dell’Albania
e occupano Mostar, Dubrovnik e Cetinje, in Montenegro e Dalmazia,
marciando a tappe forzate per non farsi precedere dai tedeschi. La campagna in Jugoslavia conta appena trenta caduti italiani.
Prima puntata sulle esportazioni illegali di
petrolio dalla Libia: giro di affari di 750 milioni. Tripoli
ridimensiona il peso delle «intese segrete» con Malta sui respingimenti
dei migranti
Un patto segreto tra Malta e Libia grazie al quale le forze armate maltesi si coordinerebbero con la guardia costiera libica per intercettare i migranti e respingerli in Libia.
Paese che «sulla base delle attuali condizioni non può essere
considerato un porto sicuro», ha ribadito la portavoce della
Commissione europea, Mina Andreeva. La Valletta non smentisce il negoziato.
Tripoli prova a ridimensionare, parlando semmai di «cooperazione
trasparente» e tirando in ballo anche «Italia e gli altri Paesi Ue».
In questo articolo si connotano moltochiaramentealcuni
aspetti che potrebbero portare, ad una lettura che vada al di là delle
situazioni di realtà contingenti, a intravedere futuri sviluppi, che non
sono certo portatori di pace e comprensione tra i paesi, ma al
contrario di possibili nuove conflittualità, anche militari; che per ora
non sono evidenti anche se già presenti, pur se a bassa intensità,
nella realtà politica dell’est Europa. Il primo aspetto è la pressione
al riarmo dei governi che sono sotto il controllo politico della NATO e
degli USA, che incrementano politiche aggressive. Ciò avviene con
un’aperta e rischiosa strategia, fatta di ostilità politiche, culturali
e storiche, che si configura come “russofobia”. Questo accade
utilizzando spregiudicatamente le forze neonaziste e fasciste lì
presenti.
Il secondo
aspetto si verifica a causa delle contraddizioni esistenti in questi
paesi tra le forze nazionaliste più radicali; tali forze si ispirano ad
una forma di neonazismo, che portano i vari governi, per tenerle
alleate, a spingerle su temi identitari nazionali e sciovinisti, anche
se nella storia, queste posizione sono sempre state responsabili di
conflitti e guerre.
20 OTTOBRE 2011 – 20 OTTOBRE 2019 – Per NON dimenticare
“Il Colonnello Gheddafi e’ stato il piu’ grande combattente per la liberta’ dei popoli, del nostro tempo”. Nelson Mandela, un uomo che di liberta’…se ne intendeva!
Le sue ULTIME VOLONTA'
In nome di Dio clemente e misericordioso“Questa è la mia volontà.
Io, Muammar bin Mohammad bin Abdussalam bi Humayd bin Abu Manyar bin
Humayd bin Nayil al Fuhsi Gaddafi, giuro che non c’è altro Dio che Allah
e che Maometto è il suo profeta, la pace sia con lui. Mi impegno a
morire come un musulmano.
di Rododak - novembre 10, 2019 Grazie a un suggerimento di Luciano Barra Caracciolo
(che ringraziamo per la segnalazione) proponiamo la traduzione di un
articolo di Roger Scruton, filosofo conservatore, pubblicato nel 1998
su The Independent,
ma di grande attualità oggi. Nel richiamare la critica marxista al
capitalismo per il suo pesante costo umano e per avere sostituito la
sola libertà di commercio a tutte le libertà per cui l’umanità aveva
lottato, denuncia il totale asservimento ai diktat del mercato del
partito Labour di Tony Blair. Oggi ci aiuta a comprendere le radici
della Brexit, del decadimento globale del partito laburista e a vedere
come questo si sia posto in assoluta continuità con la linea ideologica
della Thatcher, sposando quel culto del mercato che ha in seguito
improntato tutto il fallimentare progetto dell’unione europea.
11 novembre 2019. Evo Morales, il leader boliviano detronizzato da un golpe
militare su ispirazione degli USA, ha puntato il dito accusatorio sui
leader dell’opposizione per la violenza post-elettorale esercitata in
Bolivia e afferma che questi passeranno alla storia come “razzisti e
leader del colpo di stato”.
“Mesa e Camacho, sono
personaggi discriminatori e cospiratori, loro passeranno alla storia
come razzisti e complottatori”, ha dichiarato il presidente boliviano
Evo Morales su Twitter lunedì.
In particolare, il leader indigeno
ha fatto riferimento all’ex candidato all’opposizione Carlos Mesa e al
presidente del Comitato Civico di Santa Cruz, Luis Fernando Camacho, che
è responsabile della violenza postelettorale ed esorta a “assumersi la
propria responsabilità di pacificare” il Paese e ” garantire la
stabilità politica e la coesistenza pacifica del nostro popolo ”. Morales
ha nuovamente denunciato di essere stato vittima di un colpo di stato
che, secondo lui, “il mondo e i patrioti boliviani ripudiano”.
“I
pianificatori del colpo di stato che hanno anche attaccato e
saccheggiato la mia casa, la casa di mia sorella e le hanno bruciate e
rapinate, hanno minacciato la morte dei ministri e dei loro figli e
infastidito un sindaco, ora mentono e cercano di incolpare noi per il
caos e la violenza che loro hanno causato. La Bolivia e il mondo sono
testimoni del colpo di stato “, ha criticato.
Nel frattempo,
Morales ha espresso la sua gratitudine per la “solidarietà” dei
boliviani e del mondo, in particolare per le loro “raccomandazioni,
suggerimenti ed espressioni di riconoscimento che ci danno
incoraggiamento, forza ed energia”.
Morales, il primo presidente
indigeno del suo paese, domenica si è dimesso dalla sua posizione al
fine di “preservare la pace nel suo paese”, dopo un colpo di stato
guidato dall’opposizione, che non ha mai riconosciuto la sua rielezione
alle elezioni del 20 ottobre. Questa opposizione non ha accettato il risultato elettorale e ha aumentato la violenza nelle strade del paese.
6 novembre 2019. Gli americani mandano uno specialista a Belgrado dopo la notizia che il sistema russo Pancir sta arrivando in Serbia. Venerdì,
Thomas Zarzecki, a capo del gruppo di lavoro 231 del Dipartimento di
Stato USA, arriva a Belgrado, lo scrive il Vecernje Novosti.
Secondo
il giornale, tale gruppo è incaricato di applicare sanzioni al settore
della sicurezza russo e a tutti coloro che collaborano con esso.
La
visita di Zarzecki, secondo il giornale, era programmata immediatamente
dopo l’annuncio in Serbia che il paese aveva in programma di
acquistare il sistema di difesa aerea russo “Pancir”.
Il
regolamento, di cui Zarzecki è responsabile per l’applicazione, è
ufficialmente chiamato legge sulla regolamentazione dell’opposizione
degli Stati Uniti, mediante sanzioni, e prevede la possibile punizione
di qualsiasi individuo, impresa o stato, che si sia trovato
intenzionalmente impegnato in uno “scambio significativo” con i settori
militare e dell’intelligence Russia.
Iraq:
il 1 ottobre scoppia a Bagdad, una rivolta popolare, coi giovani in
prima fila, contro il carovita, la disoccupazione, l’endemica
corruzione. Dopo pochi giorni i rivoltosi, sempre più numerosi malgrado
il coprifuoco e le prime vittime, chiedono che il governo se ne vada a
casa. Nei giorni successivi la sollevazione si estende al sud,
travolgendo proprio le città a maggioranza shiita: Basra, Nassiyia,
Najaf, Kerbala. Decine i morti ammazzati dalle forze di sicurezza e da
milizie filo-governative, più di mille i feriti.
Ecuador: il 3 ottobre il popolo si solleva contro il paquetazo,
il pacchetto di misure anti-sociali sollecitato dal Fondo monetario
internazionale che prevede, tra l’altro, l’eliminazione dei sussidi
statali ai combustibili e la liberalizzazione del prezzo della benzina e
del diesel.
Libano: 13 ottobre, si svolgono enormi
manifestazioni inter-confessionali e spontanee contro le misure
liberiste di austerità (più tasse e aumento dei prezzi tra cui i
combustibili) chieste da FMI e Banca Mondiale quindi adottate dal
governo di coalizione presieduto da Hariri e sostenuto anche da
Hezbollah. Diventano ben presto proteste politiche contro il regime, la
corruzione. Malgrado le dimissioni di Hariri il 29 ottobre, le proteste
continuano
Parlando alla camera il 6 novembre, la ministra dell’interno Luciana Lamorgese ha rivendicato il successo degli accordi siglati da Roma con Tripoli nel febbraio del 2017 (Memorandum Italia-Libia), ma ha fatto pochi riferimenti agli elementi problematici di quegli accordi: gli “inimmaginabili orrori” denunciati dall’Onu
all’interno dei centri di detenzione libici in un rapporto della fine
del 2018; le violazioni sistematiche dei diritti umani nei centri di
detenzione governativi (finanziati dai contribuenti italiani ed europei)
descritti da numerosi report e da migliaia di testimonianze; la scarsa
capacità della cosiddetta guardia costiera libica di controllare e
operare salvataggi in uno dei tratti di mare più trafficati e pericolosi
del mondo; l’innalzamento del tasso di mortalità lungo la rotta
mediterranea e infine le numerose denunce sul coinvolgimento di
interlocutori discutibili, come il clan Dabbashi a Sabratha o il clan
Koshlaf a Zawyia (come il caso di Al Bija rivelato da Avvenire), nelle trattative per fermare le partenze di migranti dalla Libia nel 2017.
Sappiamo che diamo un sacco di soldi alla Libia perché non faccia partire migranti verso l'Europa, e sappiamo anche che nessuno monitora (bene) come questi soldi vengono spesi.
Ma di quanti soldi parliamo esattamente? Dai nostri calcoli risulta che
negli ultimi due anni l'Italia ha messo nel piatto libico quasi mezzo miliardo di euro (475 milioni di euro), di cui 100 milioni provenienti da Bruxelles.
Per
ricostruire "quanto denaro abbiamo dato alla Libia" bisogna
innanzitutto comprendere che non si parla mai di finanziamenti diretti
sull'asse Roma-Tripoli, ovvero di bonifici al Governo di Accordo
Nazionale, bensì di supporto logistico, strumentazione, sovvenzioni di
missioni internazionali, gare d'appalto ed erogazioni alle Ong che
lavorano sul territorio.
Un esempio recente? Le dieci motovedette
consegnate ad Abu Sitta nel giorno della scadenza del contestato
memorandum. Costo: 2.5 milioni di euro, stanziati con apposito decreto
legge e pagati con fondi di riserva dello Stato.
Se capire
esattamente quanti soldi diamo alla Libia è difficile anche per gli
addetti ai lavori, sapere con certezza come questi fondi vengano
impiegati è ancora più arduo.
La nave Alan Kurdi dell’Ong tedesca Sea Eye è arrivata ieri smattina al porto di Taranto con il suo carico di 88 clandestini,
recuperati circa una settimana fa in una missione che non ha mancato di
creare tensioni con la Guardia costiera libica. Poche ore dopo l’inizio
del trasbordo da un gommone in avaria, la Alan Kurdi era stata
circondata da alcuni mezzi della Guardia Costiera libica. Ne è nato un
momento di tensione, in cui i libici hanno esploso anche alcuni colpi di
avvertimento in mare. Il Viminale aveva autorizzato lo sbarco questo
sabato. Dopo i soccorsi, sono scattate le operazioni di identificazione
che hanno quindi portato alla scoperta del pusher nigeriano espulso nel
2014. Non è la prima volta, e siamo certi che – purtroppo – non sarà
nemmeno l’ultima. Cristina Gauri
Scontri e ancora scontri in Iraq, con una fase
intensissima, da inizio ottobre, di proteste e rivolte sociali contro la
repressione dei diritti e le enormi disuguaglianze socio-economiche. Ma
i media italiani ne parlano assai poco...
Da inizio ottobre in Iraq è iniziata una nuova fase di
proteste sociali, gradualmente sostenute da una porzione sempre più
vasta parte dell’opinione pubblica e dai principali sindacati:quello
degli insegnanti ha lanciato uno sciopero generale di quattro giorni,
quello degli avvocati incita alla disobbedienza civile, mentre gli
studenti occupano molte università nelle province del Centro-Sud e sono
scesi nelle piazze in centinaia di migliaia.
Gli scontri a Baghdad si concentrano sul ponte sul Tigri che porta
alla Zona Verde, «simbolo fisico e politico del potere che si barrica e
non ascolta» scrive NENA,
l'agenzia di stampa il cui acronimo sta per Near East News Agency.
“Mentono … e sanno che mentono … e sanno che noi sappiamo che mentono … Eppure continuano a mentire sempre più forte” è la frase, scritta da Naguib Mahfouz, che Michel Raimbaud mette in evidenza nel suo libro “Les guerres de Syrie”.
Non è un caso che il primo capitolo del libro ‘Le guerre di Siria’ di
Michel Raimbaud, ex ambasciatore, ex presidente dell’OFPRA, professore
di scienze politiche e scrittore, si intitoli – riprendendo la famosa
frase di Catone il vecchio “Carthago delenda est” (Cartagine deve essere
distrutta) – “Delenda est Syria”: una vecchia ossessione “. Un vecchio
accanimento senza dubbio perchè Catone, che era solito pronunciare
questa formula ogni volta che iniziava o terminava un discorso davanti
al Senato romano, qualunque fosse l’argomento, aveva anche partecipato
alla guerra contro la Siria, al tempo guidata dal re Antioco III° il
Grande! Quest’ultimo ebbe l’audacia di ricevere il fuggitivo Annibale
nella sua corte e di aiutarlo ad armarsi contro Roma, allora unica
potenza egemonica emergente.
È
un prodotto ben confezionato. Al termine di una vasta operazione
speciale in cui è stata utilizzata un’arma inconfessabile, è bene
inscenare la morte di chi ne è stato il simbolo. È il modo migliore per
cancellarne le tracce nella memoria collettiva. Dopo la morte di Bin
Laden, ecco quella di al-Baghdadi.
«È
stato come guardare un film», ha detto il presidente Trump dopo aver
assistito alla eliminazione di Abu Bakr al Baghdadi, il Califfo capo
dell’Isis, trasmessa nella Situation Room della Casa Bianca. Qui, nel
2011, il presidente Obama assisteva alla eliminazione dell’allora nemico
numero uno, Osama Bin Laden, capo di Al Qaeda. Stessa sceneggiatura: i
servizi segreti Usa avevano da tempo localizzato il nemico; questi non
viene catturato ma eliminato: Bin Laden è ucciso, al Baghdadi si suicida
o è «suicidato»; il corpo sparisce: quello di Bin Laden sepolto in
mare, quello di al Baghdadi disintegrato dalla cintura esplosiva. Stessa
casa produttrice del film: la Comunità di intelligence, formata da 17
organizzazioni federali. Oltre alla Cia (Agenzia centrale di
intelligence) vi è la Dia (Agenzia di intelligence della Difesa), ma
ogni settore delle Forze armate, così come il Dipartimento di stato e
quello della Sicurezza della patria, ha un proprio servizio segreto.
Cosa ci viene insegnato a scuola sulla Storia della bomba atomica? Siamo sicuri che sia andata proprio così?
Forse
la Storia che abbiamo studiato finora è tutta sbagliata o, per lo meno,
una grossolana semplificazione. In ogni caso i documenti desecretati
recentemente dalla Rosatom, la compagnia di Stato per l’Energia Atomica
russa, sono di quelli destinati a suggerire una profonda rilettura di
quanto accaduto il secolo scorso.
In occasione del 75° anniversario
della nascita dell’industria nucleare russa, l’azienda di Stato per
l’energia atomica ha deciso di festeggiare desecretando man mano i
‘pezzi forti’ del proprio archivio storico, ora che tanto tempo è
passato e la legge russa finalmente lo permette. Aveva iniziato qualche
giorno fa con pubblicare l’ordine originale di creazione della prima
bomba atomica sovietica risalente al giugno del 1946. Adesso pubblica
qualcosa di ancora più ‘succoso’ e che, pur esposto come un candido
revival dei primi tempi sul sito della corporate, ha in realtà il valore di qualcosa capace di costringere a ripensare l’intera narrazione del dopoguerra.