di Rododak - novembre 10, 2019
Grazie a un suggerimento di Luciano Barra Caracciolo
(che ringraziamo per la segnalazione) proponiamo la traduzione di un
articolo di Roger Scruton, filosofo conservatore, pubblicato nel 1998
su The Independent,
ma di grande attualità oggi. Nel richiamare la critica marxista al
capitalismo per il suo pesante costo umano e per avere sostituito la
sola libertà di commercio a tutte le libertà per cui l’umanità aveva
lottato, denuncia il totale asservimento ai diktat del mercato del
partito Labour di Tony Blair. Oggi ci aiuta a comprendere le radici
della Brexit, del decadimento globale del partito laburista e a vedere
come questo si sia posto in assoluta continuità con la linea ideologica
della Thatcher, sposando quel culto del mercato che ha in seguito
improntato tutto il fallimentare progetto dell’unione europea.
Di Roger Scruton, 16 agosto 1998
Il governo Labour è partito con la promessa di porre fine a
un’economia fatta di cicli ricorrenti di bolle espansive e crolli. E ora
si trova di fronte alla prospettiva di una grave recessione. Ma infine,
qual è la posizione del partito laburista nei confronti del
capitalismo? Promosso o bocciato? Quando Margaret Thatcher era in
carica, la linea era quella di una decisa bocciatura. Dovendo spiegare
la causa di qualsiasi male sociale – crimine, droga, collasso delle
città dell’interno – i politici laburisti puntavano il dito sulla
“cultura dell’avidità” che attribuivano alla Thatcher. Secondo loro
questa cultura caratterizza le grandi imprese, la City, la libera
impresa, il libero commercio e i liberi mercati. C’è da stupirsi, ci
chiedevano, se la società britannica crolla a pezzi, se la fiducia,
l’onestà, la compassione e qualsiasi vita spirituale stanno svanendo,
quando il governo misura tutto in termini di denaro? C’è da stupirsi che
il nostro paese sembri sempre di più una nazione priva di anima, quando
i suoi leader sono consigliati da uomini d’affari, distribuiscono
onorificenze agli uomini d’affari e non vedono l’ora di diventare uomini
d’affari quando alla fine vengono licenziati – o lanciati?
È facile essere d’accordo con queste accuse; meno facile proporre
un’alternativa. L’Unione Sovietica ha guarito la maggior parte della
gente dall’illusione socialista. Il grande esperimento socialista è
stato un disastro, economico e sociale. I crimini e la violenza potevano
essere meno evidenti nella Unione Sovietica di una volta; ma solo
perché erano monopolizzati dal partito. Da allora, come tutto il resto,
sono stati privatizzati, e di solito sono restati in mano alle stesse
persone che li controllavano in precedenza. Ora vediamo la realtà morale
che decenni di terrore hanno coperto: una società in cui il freddo
calcolo prevale su ogni forma di dovere sociale e possiamo anche vedere –
nella crisi economica della scorsa settimana – le conseguenze delle
privatizzazioni quando è stato distrutto il senso del dovere sociale.
Tuttavia, il fallimento del socialismo non è una scusa per il
capitalismo.
------- Vorrei solo ricordare che lo stesso Marx aveva sempre detto che non può esistere Socialismo/Comunismo in un solo paese o gruppo di paesi, ma questo non lo ricorda nessuno.-------- C’è qualcosa che non va in una società che è interamente
governata dagli imperativi del business, che non riconosce alcuna forma
di restrizione del commercio al di fuori di quelle interne al mercato e
che trasforma il business e l’impresa nei suoi valori fondamentali.
Quando Marx ed Engels pubblicarono il manifesto comunista, non
condannarono il capitalismo per il suo potere economico. Lo condannarono
per il suo costo umano. “Non ha lasciato fra uomo e uomo – hanno
scritto – altro vincolo che il nudo interesse, il freddo ‘pagamento in
contanti’. Ha affogato nell’acqua gelida del calcolo egoistico i sacri
brividi dell’esaltazione devota… Ha disciolto la dignità personale nel
valore di scambio e al posto delle innumerevoli libertà patentate e
onestamente conquistate, ha messo, unica, la libertà di commercio priva
di scrupoli (la traduzione in italiano è tratta da marxists.org, Il Manifesto del Partito Comunista, NdT)“.
Esagerato, certo. Ma non privo di verità. Anche se respingiamo
l’alternativa di Marx come ingenua nei fini e cattiva nei mezzi, non
dovremmo respingere l’intuizione morale da cui deriva – vale a dire, che
il libero mercato lasciato a se stesso è una forza creativa ma anche
distruttiva.
Questo, in estrema sintesi, è ciò che il Partito laburista e i suoi
guru hanno ripetuto negli anni della Thatcher e più sommessamente
durante l’interregno grigio di John Major. Ma non è quello che dicono
ora. Sotto Tony Blair, il business è rimasto ancora saldamente al posto
di comando. Il Primo Ministro nomina i grandi magnati del mondo degli
affari alla House of Lords con lo stesso entusiasmo incondizionato di
Margaret Thatcher: ha persino nominato Lord Sainsbury ministro junior al
Dipartimento del Commercio e dell’Industria – lo stesso dipartimento
che, se il Labour difendesse qualcuno o qualcosa, dovrebbe controllare
personaggi come Lord Sainsbury.
Basta guardare la politica del Labour in una qualsiasi delle aree in
cui i giganti capitalisti hanno un interesse – l’Europa, l’Unione
monetaria europea, fusioni e monopoli, ambiente, agroalimentare – per
accorgersi che le promesse elettorali e le convinzioni morali si
sgretolano davanti ai diktat del commercio. Come era stato accettato
dalla Thatcher, così è stato accettato l’argomento che prosperità
significa crescita, che crescita significa globalizzazione e che
globalizzazione significa abolizione delle restrizioni locali. Se ci
impedite di crescere in Gran Bretagna, dicono i magnati del business, ce
ne andremo altrove, portandoci dietro il nostro capitale, le nostre
tasse, i nostri posti di lavoro e la vostra prosperità.
In qualsiasi situazione di emergenza reale, i governi percepiscono
rapidamente la stupidità della globalizzazione. Una volta che ci siamo
trovati in guerra con la Germania, abbiamo capito – troppo tardi –
l’importanza della produzione locale e di un’agricoltura
autosufficiente. Ma la politica moderna è condotta completamente come se
le situazioni di emergenza fossero un lontano ricordo del passato.
Questo processo politico non è semplicemente legato alla propaganda: è
un esercizio di amnesia collettiva. Eppure, la crisi asiatica avrebbe
dovuto risvegliare nel partito Laburista il senso del pericolo:
internazionalizzando la nostra economia, ci leghiamo a catastrofi che
non possiamo prevenire.
Ma c’è una ragione più importante per tornare alla vecchia critica
socialista. Lealtà, onestà, senso del dovere: sono cose che non si
possono comprare. In un mercato che dilaga senza limiti, quindi, sono
scacciate da ciò che si può comperare. La corruzione, le tangenti, la
compravendita di favori prendono il posto della trasparenza. Il mercato
dipende dall’onestà, ma lasciato a se stesso distrugge l’onestà. Questo è
il motivo per cui il mercato ha avuto successo solo quando non è stato
abbandonato a se stesso – solo quando è sottoposto a vincoli religiosi e
morali che salvaguardano la riserva di valori dell’umanità.
Non è solo la vita pubblica a essere esposta alla corruzione da parte
del mercato; anche la vita privata è a rischio. Questo un tempo era
dato per scontato: non solo il vecchio Labour, ma anche il partito dei
Tory era solito condannare la commercializzazione dei valori più sacri.
Indecenza, oscenità e blasfemia erano immediatamente riconosciute e
immediatamente condannate. Era opinione condivisa che ciò che ha un
valore non debba essere degradato in qualcosa che ha un prezzo. Il
sesso, ad esempio, non dovrebbe essere considerato un possibile oggetto
di scambio tra estranei. Il nostro censore capo in pensione, James
Ferman, ora sostiene che, consentendo alcune forme di pornografia, puoi
combattere in modo più efficace le altre, in particolare quelle che
coinvolgono violenza o bambini. Tale è l’ingenuità della mente liberale,
che immagina che tu possa consentire il libero scambio di merci e
riuscire a tenerne fuori alcune persone. Tutti i mercati, una volta
consentiti, porteranno nuovi acquirenti e venditori. La pedofilia non
può essere combattuta autorizzando il porno, poiché il porno crea una
mentalità che non vede nulla di sbagliato nella pedofilia.
Blair si definisce un socialista cristiano: non lo è. Come la
baronessa Thatcher, è un liberale del XIX secolo. Può darsi che non
abbia mai detto “non puoi fermare il mercato” (celebre frase attribuita alla Thatcher, NdT),
ma si comporta come se fosse vera. Se dovesse applicare i suoi principi
religiosi alla pratica politica, sarebbe un capitalista cristiano.
Perché “capitalismo” è solo un altro nome per indicare il mercato, e il
mercato è qui per rimanere. In effetti, dovremmo dire del mercato ciò
che Churchill ha detto della democrazia: un sistema pessimo, ma le
alternative sono peggiori. E proprio come la democrazia ha bisogno di
leggi e istituzioni per delimitare gli argomenti su cui non si è
consentito votare, così il mercato ha bisogno di limiti morali e
religiosi, per limitare ciò che non deve essere oggetto di scambio.
La religione salva dal dominio del prezzo tutto ciò che ha un valore
duraturo e non commerciale: amore, matrimonio e famiglia; lealtà, onestà
e senso di responsabilità. Se queste cose non vengono salvate, la
società si disintegrerà e il mercato si disintegrerà insieme ad essa.
Questo è il messaggio che dovremmo sentire dai nostri leader: ci sono
cose che sono troppo importanti per essere comprate e vendute. È un
messaggio che il Papa non si stanca di ripetere. Ma è un messaggio che
non verrà mai messo in risalto, finché sarà il business a rimanere al
posto di comando.
Preso da: http://vocidallestero.it/2019/11/10/in-che-cosa-marx-aveva-ragione-e-la-thatcher-no/
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