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giovedì 12 dicembre 2019

L’appello degli accademici contro la riforma del Mes


L’accademia italiana apre un fronte contrario alla riforma del Mes di cui tanto si discute nelle ultime settimane. Dopo che grossi calibri come il presidente della Consob Paolo Savona avevano colpito duramente una riforma definita incompleta e rischiosa, trentadue economisti di tutta Italia hanno presentato un appello per invitare a ragionare seriamente su un’evoluzione delle regole europee definita, per l’Italia, “inutile: non ne abbiamo bisogno e comunque ricorrervi peggiorerebbe la nostra situazione”.
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L’appello dei trentadue economisti è stato pubblicato sotto forma di lettera aperta su Micromega. Tra i firmatari alcuni dei nomi più importanti degli studi economici italiani: dall’accademico postkeynesiano Sergio Cesaratto, docente all’Università di Siena e noto critico delle dottrine economiche dominanti in Europa, al direttore di Economia e Politica,Riccardo Realfonzo. Passando per un importante studioso delle disuguaglianze come Maurizio Franzini, per il consolidato gruppo degli economisti di Roma Tre e per Giovanni Dosi, docente alla Scuola Superiore Sant’Anna ed ex consigliere del Movimento Cinque Stelle.
Un elenco di firmatari di tutto rispetto, per una presa di posizione netta: con la riforma del Mes, che vincola l’intervento del “fondo salva-Stati” a precise regole sul debito e il deficit “si rafforzano i poteri di un organismo assolutamente coerente con l’impostazione che ha prevalso nell’Unione, secondo cui gli obiettivi essenziali della politica economica, quelli su cui si concentrano le regole del Fiscal compact non a caso richiamate in questa riforma, sono essenzialmente il consolidamento dei conti pubblici e la riduzione del debito”. L’ennesima celebrazione del pericoloso dogma dell’austerità, insomma. Ai fini della crescita “questa concezione non prevede altro che le “riforme strutturali”, che dovrebbero stimolare le forze spontanee del mercato. Il fatto che ciò non sia avvenuto e che non stia avvenendo viene del tutto ignorato”.
Il manifesto, inoltre, sottolinea come ci sia incongruenza tra la prospettiva di un Mes inteso come prestatore di ultima istanza dell’Eurozona e la limitatezza delle risorse ad esso conferito, oltre che con l’esplicito divieto per la Bce di svolgere tale compito. Rilievo già evidenziato di recente dal citato Savona, e che forse rappresenta il punto di maggior vulnerabilità di un organismo che, è bene ricordarlo, è esterno all’architettura tradizionale Ue.
La riforma del Mes ha inoltre evidenziato una serie di incoerenze nel governo italiano, con le dichiarazioni di Giuseppe Conte Roberto Gualtieri sulle prospettive di modificabilità del Mes che puntualmente si smentivano reciprocamente prima che a far chiarezza intervenissero, da Berlino e Bruxelles, Olof Scholz e Mario Centeno. Il Mes è immodificabile, prendere o lasciare.
E allora che dovrebbe fare l’Italia, in un contesto che vede la riforma proseguire da sola, senza contrappesi che aiutino a stabilizzare i rapporti tra rischi attesi e dividendi sperati per i diversi Paesi dell’Eurozona? Secondo gli economisti “l’Italia non dovrebbe sottoscrivere la riforma dell’Esm. L’obiezione che in questo modo il nostro paese si troverebbe politicamente isolato è singolare: l’Italia è già politicamente isolata, altrimenti non saremmo in questa situazione. E d’altronde in una situazione analoga ci troveremo quando si stringerà sulla seconda riforma, quella sulla garanzia dei depositi: non potremo mai accettare la condizione posta da Scholz, che equivarrebbe a tuffarci nel default”.
Al veto sull’Esm bisognerebbe “dare il significato di un rifiuto della logica che ha finora prevalso in Europa e che si è rivelata perdente dal punto di vista dell’efficacia”. L’invito rivolto al Parlamento è dunque a prendere una decisione coraggiosa, che da sola non basterà. Serve che l’Italia sappia farsi promotrice di un progetto capace di superare veramente il fronte dell’austerità, stabilendo alleanze con quei Paesi, specie mediterranei, che dal rigore sui conti hanno avuto più da perdere. Ne saremo capaci?
 

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