Sono negli Usa. Compro un pacchetto di sigari e pago con carta di credito. Arrivo a casa, apro il pc per iniziare il lavoro quotidiano e mi compare una pubblicità di sigari. Pochi giorni fa vado nel bar di un mio amico che aveva messo in vendita su Internet una cucina da ristorante; mi racconta la sua avventura per vendere queste apparecchiature. Torno a casa, apro il cellulare, e mi compaiono annunci di vendita di cucine da ristorante. Quello che mi ha sorpreso è la rapidità con cui il dato che io avevo fornito col mio acquisto (sigari) è stato elaborato per mandarmi una pubblicità mirata. Il tempo trascorso dall’acquisto all’apertura del pc, infatti, era di circa trenta minuti. Un tempo poco superiore è trascorso nell’intervallo in cui ero a casa del mio amico e il momento in cui mi è comparsa la pubblicità delle cucine. Ora, premetto che pur essendo un complottista convinto, non sono affatto preoccupato che venga tracciato tutto ciò che faccio, vendo, compro, ecc. Quando certi strumenti saranno ancora più invasivi, sarà forse la volta buona che inizieremo a lasciare sempre più spesso a casa i cellulari e solleveremo sempre più lo sguardo dagli schermi dei nostri apparecchi elettronici, per volgerlo all’ambiente attorno a noi o al cielo. Le domande che mi faccio sono due, e di altro tipo.
Innanzitutto a me pare che l’analisi dei dati che vengono
immagazzinati per dare pubblicità sia sempre più sofisticata e vada
molto al di là di quello che ci raccontano. Ci viene detto, infatti, che
Google usa decine di indicatori per mandare pubblicitàmirate,
comprese il luogo in cui siamo. E fin qui ok, lo si può intuire anche
dal fatto che ormai quasi tutti i siti ti chiedono “la tua posizione”,
quando addirittura non la individuano in automatico. Mi accorgo infatti
che se apro il pc in Francia, immediatamente mi compaiono pubblicità in francese; in Usa
mi compaiono pubblicità in inglese, e così via. Se faccio una ricerca
su Amazon compare in automatico “luogo di spedizione”, seguito dalla
nazione in cui mi trovo. A me pare invece che emerga un controllo
molto più permeante e globale, che comprende l’analisi immediata e
incrociata di tutti i dati possibili, compresi gli acquisti fatti con
carta di credito e il luogo specifico in cui ci troviamo (casa,
supermercato, indirizzo di un amico, ecc.). Non si tratta, cioè, di un
banale (si fa per dire) incrocio di dati, per rilevare la propensione al
consumo degli utenti, ma di qualcosa di molto più specifico e
permeante.
Leggendo gli esempi che pubblichiamo alla fine dell’articolo, si può intuire che questo tipo di controllo
comprende anche le cose che vengono dette a voce, e le attività
effettuate nel quotidiano che vengono registrate in molti modi. Allora
la domanda che mi pongo è: dal momento che esistono da tempo sistemi per
monitorare tramite cellulare o pc gli stati d’animo e le emozioni di
chi accede alla rete, tali sistemi sono già attivi sui nostri apparecchi
elettronici? E in che misura? Il caso Cambridge Analytica ha fatto
emergere un fenomeno molto più importante e grave della semplice
raccolta di dati per fini politici (cosa di cui nessuno dubitava): è
emerso che con i dati in possesso delle società di analisi si può
accedere non solo alle caratteristiche, ai gusti, e alle tendenze dei
fruitori della Rete, ma anche ai dati che si vorrebbero tenere nascosti
(ad esempio si può capire se una persona è sessualmente impotente, se ha
la tendenza al tradimento o meno, e ad altri dati che, in teoria, non sono
così evidenti). Detto in altre parole, da Internet si può capire non
solo ciò che scriviamo di noi, ma anche ciò che non scriviamo.Uno dei motivi per cui sulla maggior parte dei cellulari oggi in circolazione non si può togliere la batteria (una cosa assurda, dal punto di vista commerciale, logico, e pratico) è che rimaniamo connessi (quindi rintracciabili e individuabili) anche quando abbiamo il cellulare spento. Se tutto questo è vero, sorge spontanea un’altra domanda: perché non si utilizzano queste informazioni per la prevenzione alle varie forme di criminalità? Perché non le si utilizzano per fare indagini sempre più sofisticate sui crimini commessi? Il sospetto è che, dato il funzionamento della società, essi vengano utilizzati per commetterli, non per prevenirli o difendersi da esso. Mentre la creazione del diritto alla privacy, come abbiamo sottolineato in un altro articolo, è solo l’ennesima presa in giro di un sistema che fa finta di tutelare i cittadini, e poi usa tali strumenti per diminuirne i diritti anziché aumentarli. Di seguito posto quanto raccontato da persone che conosco. Da notare che cose simili erano capitate anche a me, ma le attribuivo alle cosiddette “coincidenze significative” di Jung. Invece era semplice tecnologia.
SG. “Sto cercando una casa in affitto in Appennino e sabato appunto sono andata a fare un giro in una frazione di un paesino che non conoscevo ma che mi avevano detto essere bella. Mi sono fermata nell’unica trattoria della zona e ho chiesto se conoscevano un signore di cui mi avevano dato solo il soprannome dicendomi che affittava una casa molto carina. Quindi mi fermo a parlare con due o tre persone locali e ottengo il num di tel di questo signore. Bene, il giorno dopo, cioè ieri, sulla mia bacheca Fb mi si aprono come al solito le finestrine: persone che potresti conoscere” e tra di loro chi era il primo? Uno di quei tipi con cui ho parlato neanche 5 min in quella trattoria con cui non ci siamo nemmeno presentati e non ci siamo scambiati nessun numero o dato!!! Come mai succede questo?? Hanno rilevato la posizione?? Scusate l’ignoranza ma a me ha fatto un po’ impressione!!!”.
MG: “Mi è capitato solo di scrivere il nome di una marca su Messenger, parlando con un’amica e mi sono ritrovata pubblicità di quella marca su Fb e Google…”.
VN: “Una ragazza leggeva la storia del “piccolo principe” a suo nipote. Non aveva cercato nulla a riguardo online, e nemmeno su Google. Solo con la voce, e leggendo, raccontava il “piccolo principe”. Ebbene, dopo qualche giorno, le appare su Fb un’inserzione pubblicitaria che sponsorizzava gadget e agendine del suddetto racconto. Non si tratta solo di ricerche che noi stessi facciamo online, ma anche dei microfoni e delle fotocamere dei nostri cellulari super tecnologici”.
(Paolo Franceschetti, “La pubblicità e il controllo nell’era di Internet”, dal blog “Petali di Loto” del 26 marzo 2018).
Preso da: http://www.libreidee.org/2018/03/il-telefono-e-in-ascolto-sa-dove-sei-chi-incontri-e-cosa-dici/
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