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giovedì 15 giugno 2017

Il governo spinge sul reddito di inclusione: uno spot che non funzionerà, ecco perché

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Filippo Burla
Roma, 10 giu – La legge elettorale è in stallo ma si vuole comunque votare in autunno? Quale miglior occasione, al netto comunque della non implausibile retromarcia Pd per consegnare ai cinque stelle la patata bollente di una finanziaria che si preannuncia molto difficile, per dare il via libera – come già qualche anno fa, curiosamente sempre a ridosso dell’estate, con il bonus Irpef degli 80 euro – ad una mancetta che odora molto di segreto dell’urna? È così che, incassato uno stop al tedeschellum o rosatellum che dir si voglia, l’esecutivo sta ora puntando tutto sulla nuova misura di contrasto alla povertà: il reddito di inclusione.
A seguito della delega al governo di marzo, il consiglio dei ministri ha varato ieri i primi decreti che introducono una misura unica a livello nazionale di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale. L’intervento prende appunto il nome di reddito di inclusione (Rei) e integrerà al suo interno, sostituendoli, gli attuali strumenti del Sia, il sostegno all’inclusione attiva, e dell’Asdi, l’assegno di disoccupazione. Chi avrà un Isee al di sotto dei 6mila euro (dei quali 3000 per la parte reddituale) o un patrimonio immobiliare diverso dalla casa principale inferiore ai 20mila euro potrà beneficiare dei contributi pubblici da un minimo di 190 euro ad un massimo di 490, che secondo stime del governo verranno erogati a oltre mezzo milione di famiglie, per la maggior parte nuclei con figli.


Quali saranno i benefici della strada intrapresa da Palazzo Chigi, che punta a ridurre una povertà che in Italia continua a crescere? Il costo del reddito di inclusione, che partirà da gennaio dell’anno prossimo, si colloca attorno ai due miliardi di euro a regime. E già qui i proverbiali conti della serva ci vengono in aiuto. Perché due miliardi significano, ad esempio, riduzione di un punto percentuale del costo del lavoro per tutti i dipendenti, oppure quasi sette punti per i neoassunti, magari con quegli sgravi testardamente (convinti che bastasse il Jobs Act) non rinnovati ma che avevano permesso di riassorbire un po’ della disoccupazione stabilmente in doppia cifra. La domanda sorge spontanea: se le risorse ci sono, invece del reddito di inclusione – che tra l’altro suona un po’ come il grillino reddito di cittadinanza – non si potevano riesumare gli incentivi alle assunzioni? D’altronde, qual è la miglior strategia per ridurre la povertà se non quella di…creare lavoro?
Invece no, dato che si predilige la strada dei trasferimenti monetari pure e semplici, il che è un po’ come riconoscere una sconfitta su tutta la linea: non siamo riusciti a risolvere il problema della povertà, che poi è un problema di mancata occupazione, cerchiamo per quanto possibile gli spazi finanziari per colmare la nostra lacuna. Un’ammissione di colpa così, Poletti e compagnia non potevano renderla più chiara.
Filippo Burla

Preso da: http://www.ilprimatonazionale.it/economia/governo-spinge-sul-reddito-inclusione-uno-spot-non-funzionera-perche-66894/

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