In ogni guerra, ancora prima della gente, occorre assassinare la verità. Guerra alla libia: 100000 morti, 240000 persone ancora cercate, 78000 dispersi. 10300 donne violentate, 350000 rifugiati.
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mercoledì 28 febbraio 2018
i criminali di Misurata chiedono 150 milioni ai Tawerga per poter ritornare alle loro case
Gli sfollati interni stanno vivendo momenti infernali, in particolare gli abitanti di Tawergha, città fantasma sotto l'amministrazione di Misurata, a circa 38 chilometri di distanza. Durante la guerra civile libica è stata teatro di violenti combattimenti nell'agosto 2011. I cittadini di Tawergha sono in fuga, appunto, dal 2011e la loro aspirazione, nel tempo, è sempre stata quella di tornare nei luoghi delle loro case, del loro lavoro, della loro vita di comunità. Hanno cominciato a mettersi in viaggio, nel rispetto di un accordo con la città di Misurata, promosso dal ministro di Stato per i Migranti e i rifugiati e il Consiglio presidenziale di Fayez al-Serraj. Ma il flusso di ritorno è ora ostacolato da alcune milizie, come il gruppo Haya e una milizia, che fa parte delle forze Bunyan-al Marsus di Misurata.
martedì 27 febbraio 2018
Muoiono nel deserto i neri libici di Tawergha perseguitati dai “ribelli” della NATO
20 febbraio 2018
Fra i suoi innumerevoli crimini impuniti, l'operazione della Nato in appoggio a gruppi armati antigovernativi in Libia nel 2011 può annoverare una pulizia etnica in piena regola.
Durante quei mesi di bombardamenti, le milizie islamiste della città di Misurata uccisero diversi abitanti della vicina Tawergha, la città dei libici di pelle nera, diedero fuoco alle case e spinsero alla fuga bambini, donne, uomini, anziani. Circa 40mila persone. L'accusa? "Erano dalla parte del governo di Gheddafi".
I più fortunati riuscirono a riparare in Tunisia o in Egitto. Gli altri da anni sopravvivono in alloggi di fortuna: capannoni, tende nei parchi pubblici, ma anche baracche in aree desertiche. Sette anni passati invano, come ha appena denunciato l'incaricata dell'Onu per gli sfollati, la filippina Cecilia Jimenez-Damary, dopo una visita in Libia.
Le condizioni dei cittadini di Tawergha sono terribili da tutti i punti di vista e gli aiuti internazionali agli sfollati possono appena alleviarle.
Fra i suoi innumerevoli crimini impuniti, l'operazione della Nato in appoggio a gruppi armati antigovernativi in Libia nel 2011 può annoverare una pulizia etnica in piena regola.
Durante quei mesi di bombardamenti, le milizie islamiste della città di Misurata uccisero diversi abitanti della vicina Tawergha, la città dei libici di pelle nera, diedero fuoco alle case e spinsero alla fuga bambini, donne, uomini, anziani. Circa 40mila persone. L'accusa? "Erano dalla parte del governo di Gheddafi".
I più fortunati riuscirono a riparare in Tunisia o in Egitto. Gli altri da anni sopravvivono in alloggi di fortuna: capannoni, tende nei parchi pubblici, ma anche baracche in aree desertiche. Sette anni passati invano, come ha appena denunciato l'incaricata dell'Onu per gli sfollati, la filippina Cecilia Jimenez-Damary, dopo una visita in Libia.
Le condizioni dei cittadini di Tawergha sono terribili da tutti i punti di vista e gli aiuti internazionali agli sfollati possono appena alleviarle.
lunedì 26 febbraio 2018
Venezuela sotto attacco, non possiamo restare a guardare.
15 febbraio 2018
di Geraldina Colotti* - Editoriale Radio Revolucion
da lantidiplomatico.it
In quasi vent'anni di esistenza, il processo bolivariano ha subito ogni genere di attacchi: una guerra di debole intensità che ha avuto un picco nel golpe contro Chavez del 2002 e un'escalation dagli esiti incerti nel corso degli ultimi 5 anni: gli anni seguiti alla morte di Chavez e all'elezione di Maduro, risultata insopportabile per quei poteri forti intenzionati ad approfittare della congiuntura a loro favorevole e dell'arrivo di Trump al governo.
Per far cadere Maduro, l'imperialismo ha messo in campo strategie di vario tipo, tese ad acuire le contraddizioni, gli errori e le debolezze di un laboratorio di ideali e speranze che ha controbilanciato fortemente le mire espansionistiche del complesso militare-industriale, motore del sistema capitalistico mondiale.
Una sfida insopportabile per il gendarme nordamericano in crisi di egemonia, bisognoso di rilanciare il proprio ruolo in un continente ricco di risorse su cui conta di nuovo di rimettere le mani. Il Venezuela sovrano e indipendente, il Venezuela che guarda a sud e commercia con Cina e Russia, è un ostacolo da abbattere.
di Geraldina Colotti* - Editoriale Radio Revolucion
da lantidiplomatico.it
In quasi vent'anni di esistenza, il processo bolivariano ha subito ogni genere di attacchi: una guerra di debole intensità che ha avuto un picco nel golpe contro Chavez del 2002 e un'escalation dagli esiti incerti nel corso degli ultimi 5 anni: gli anni seguiti alla morte di Chavez e all'elezione di Maduro, risultata insopportabile per quei poteri forti intenzionati ad approfittare della congiuntura a loro favorevole e dell'arrivo di Trump al governo.
Per far cadere Maduro, l'imperialismo ha messo in campo strategie di vario tipo, tese ad acuire le contraddizioni, gli errori e le debolezze di un laboratorio di ideali e speranze che ha controbilanciato fortemente le mire espansionistiche del complesso militare-industriale, motore del sistema capitalistico mondiale.
Una sfida insopportabile per il gendarme nordamericano in crisi di egemonia, bisognoso di rilanciare il proprio ruolo in un continente ricco di risorse su cui conta di nuovo di rimettere le mani. Il Venezuela sovrano e indipendente, il Venezuela che guarda a sud e commercia con Cina e Russia, è un ostacolo da abbattere.
domenica 25 febbraio 2018
America Latina, Unione Europea e ingerenza
15 febbraio 2018
di João Pimenta Lopes, deputato europeo del PCP (GUE/NGL)
da avante.pt
Traduzione di Marx21.it
La natura capitalista dell'Unione Europea, le sue ambizioni imperialiste, determinano le sue pretese di ingerenza in paesi terzi su scala globale. L'UE insiste per imporre la propria retorica moralista, per esercitare pressione, ricattare, sanzionare, aggredire paesi sovrani che affrontano i suoi interessi e sottometterli. L'America Latina è un tema ricorrente, nel contesto delle discussioni nel Parlamento Europeo (PE), in quanto cinghia di trasmissione delle potenze europee, non solo attraverso la discussione, ma anche attraverso l'omissione.
Nell'ultima sessione plenaria del PE si è tenuta una discussione sulla situazione in Colombia, dove la destra ha cercato di sferrare un attacco serrato alle forze progressiste, in particolare alle FARC, l'unica parte firmante l'Accordo di Pace impegnata nella sua scrupolosa osservanza. Già nella prossima sessione, la destra ha preteso di discutere di Cuba, nella sua strategia di indebolimento dell'Accordo di Cooperazione e Dialogo, firmato l'anno scorso, anticipando la riunione tra UE e Cuba, allo scopo di dare continuità alla politica di embargo e isolamento del popolo cubano.
di João Pimenta Lopes, deputato europeo del PCP (GUE/NGL)
da avante.pt
Traduzione di Marx21.it
La natura capitalista dell'Unione Europea, le sue ambizioni imperialiste, determinano le sue pretese di ingerenza in paesi terzi su scala globale. L'UE insiste per imporre la propria retorica moralista, per esercitare pressione, ricattare, sanzionare, aggredire paesi sovrani che affrontano i suoi interessi e sottometterli. L'America Latina è un tema ricorrente, nel contesto delle discussioni nel Parlamento Europeo (PE), in quanto cinghia di trasmissione delle potenze europee, non solo attraverso la discussione, ma anche attraverso l'omissione.
Nell'ultima sessione plenaria del PE si è tenuta una discussione sulla situazione in Colombia, dove la destra ha cercato di sferrare un attacco serrato alle forze progressiste, in particolare alle FARC, l'unica parte firmante l'Accordo di Pace impegnata nella sua scrupolosa osservanza. Già nella prossima sessione, la destra ha preteso di discutere di Cuba, nella sua strategia di indebolimento dell'Accordo di Cooperazione e Dialogo, firmato l'anno scorso, anticipando la riunione tra UE e Cuba, allo scopo di dare continuità alla politica di embargo e isolamento del popolo cubano.
sabato 24 febbraio 2018
L’offensiva militare dell’imperialismo in Africa
16 febbraio 2018
di Carlos Lopes Pereira
“O Militante“, rivista teorica del Partito Comunista Portoghese, n° 352 gennaio-febbraio 2018
Traduzione di Marica Guazzora per Marx21.it
Nel quadro della sua strategia imperialista di dominio mondiale gli Stati Uniti stanno aumentando gli interventi militari in Africa; Mentre provocano l’aumento delle tensioni, creano minacce di guerra in altre zone del pianeta. Gli Stati Uniti e gli alleati, in particolare la Francia, hanno collocato più truppe e armamenti nel continente africano, rinforzando le basi militari, creando nuovi meccanismi di ingerenza, causando l’aggravarsi di conflitti e guerre.
Questa offensiva bellicista in Africa, che da un lato conta sulla connivenza di settori delle classi nazionali e dall’altro affronta l'opposizione e la resistenza dei popoli, crea le condizioni per un ulteriore sfruttamento dei lavoratori e il saccheggio delle risorse naturali, un processo violento di neocolonizzazione che blocca lo sviluppo sovrano dei paesi africani. Sono evidenti gli obiettivi dell’imperialismo: il dominio delle risorse naturali, la conquista di nuovi mercati, il controllo delle posizioni strategiche e la concorrenza con le potenze emergenti, specialmente la Cina.
di Carlos Lopes Pereira
“O Militante“, rivista teorica del Partito Comunista Portoghese, n° 352 gennaio-febbraio 2018
Traduzione di Marica Guazzora per Marx21.it
Nel quadro della sua strategia imperialista di dominio mondiale gli Stati Uniti stanno aumentando gli interventi militari in Africa; Mentre provocano l’aumento delle tensioni, creano minacce di guerra in altre zone del pianeta. Gli Stati Uniti e gli alleati, in particolare la Francia, hanno collocato più truppe e armamenti nel continente africano, rinforzando le basi militari, creando nuovi meccanismi di ingerenza, causando l’aggravarsi di conflitti e guerre.
Questa offensiva bellicista in Africa, che da un lato conta sulla connivenza di settori delle classi nazionali e dall’altro affronta l'opposizione e la resistenza dei popoli, crea le condizioni per un ulteriore sfruttamento dei lavoratori e il saccheggio delle risorse naturali, un processo violento di neocolonizzazione che blocca lo sviluppo sovrano dei paesi africani. Sono evidenti gli obiettivi dell’imperialismo: il dominio delle risorse naturali, la conquista di nuovi mercati, il controllo delle posizioni strategiche e la concorrenza con le potenze emergenti, specialmente la Cina.
venerdì 23 febbraio 2018
#NOGUERRA #NONATO A chi sono utili le “Inutili Guerre”
da Luciano Bonazzi
Dal Comitato promotore della campagna #NOGUERRA #NONATO, riceviamo e pubblichiamo il seguente articolo di Manlio Dinucci, gli adattamenti sono a cura della Redazione: In fondo troverete il link della petizione che vi invitiamo a firmare.
A CHI SONO UTILI LE «INUTILI GUERRE»
14 FEB 2018 — La canzone meritoriamente vincitrice del Festival di Sanremo è accompagnata da un videoclip che mostra drammatiche scene di guerra e attentati in un mondo in cui la vita, nonostante ciò, deve andare avanti «perché tutto va oltre le vostre inutili guerre». Proviamo a sostituire al videoclip un docufilm degli ultimi fatti. In Europa la NATO sta schierando crescenti forze (comprese quelle italiane) sul fronte orientale contro la Russia, presentata quale minacciosa potenza aggressiva.
Dal Comitato promotore della campagna #NOGUERRA #NONATO, riceviamo e pubblichiamo il seguente articolo di Manlio Dinucci, gli adattamenti sono a cura della Redazione: In fondo troverete il link della petizione che vi invitiamo a firmare.
A CHI SONO UTILI LE «INUTILI GUERRE»
14 FEB 2018 — La canzone meritoriamente vincitrice del Festival di Sanremo è accompagnata da un videoclip che mostra drammatiche scene di guerra e attentati in un mondo in cui la vita, nonostante ciò, deve andare avanti «perché tutto va oltre le vostre inutili guerre». Proviamo a sostituire al videoclip un docufilm degli ultimi fatti. In Europa la NATO sta schierando crescenti forze (comprese quelle italiane) sul fronte orientale contro la Russia, presentata quale minacciosa potenza aggressiva.
giovedì 22 febbraio 2018
George Soros non è affatto un benefattore, cara Emma Bonino
15 febbraio 2018
George Soros,
ispirandosi alla filosofia di Karl Popper, persegue la mondializzazione
coatta e la messa sotto tutela, o più esattamente sotto condizione,
degli affari interni degli Stati, il tutto per poi speculare a danno
della loro economia.
Mediante organizzazioni quali Otpor (Отпор) e la Open Society Foundation ha contribuito alla balcanizzazione della Jugoslavia, mediante il sostegno,
in Serbia, a quelle frange socialdemocratiche sovversive che, nel giro
di due anni, dal 1998, fecero cadere Slobodan Milośević e gli
garantirono le partecipazioni nelle miniere di Trpca nel nuovo Kosovo
criminalmente costruito su base etnica.
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mercoledì 21 febbraio 2018
ODDIO, LA LIBIA NON REGGE!
Eccoci qui.
La giostra ricomincia il suo giro.
Strateghi, benpensanti, editorialisti coi fiocchi e guru comunicativi pensavano davvero che questa volta fosse fatta!? Il
piano Minniti-Gentiloni certo è un po’ duro, ma ci voleva. Una vera
svolta capace di far vedere alle destre che la sinistra moderna è in
grado di unire sicurezza, diplomazia e quel goccio di etica umanitaria
che alla destra non appartiene. Sbarchi
ridotti dell’80%. Serraj, la nuova Libia democratica, che stringe mani a
tutti. Taxi del mare eliminati. ONG buone pronte a curare le ferite e
corridoi umanitari di povere donne e bambini la vigilia di Natale. Che sospiro di sollievo.
E invece...
martedì 20 febbraio 2018
Guerra in Libia, cosa accadde in quella riunione a porte chiuse che trascinò l'Italia in guerra
Le rivelazioni di Guido Crosetto, allora sottosegretario alla Difesa, al Fatto permettono di ricostruire la riunione convocata da Napoletano che diede inizio all'intervento italiano
Redazione (APG)
ROMA - Era il 17 marzo 2011, e, in
una sala del Teatro dell'Opera a Roma, le principali cariche politiche
italiane erano riunite per affrontare una delle pagine più drammatiche
della storia del nostro Paese e, forse, dell'Occidente in generale: la
guerra in Libia. Una pagina non solo drammatica, ma fino a qualche
giorno fa ancora coperta da un velo di mistero, perlomeno per quanto
concerne la rocambolesca entrata in guerra del nostro Paese.
Inizialmente contrario all'intervento, ma poi costretto ad accodarsi a
seguito delle pressioni internazionali e per la necessità strategica di
non farsi isolare dall'attivismo francese e britannico.
lunedì 19 febbraio 2018
Perchè i libici amano il colonello Gheddafi
Molti osservatori in Occidente, completamente (auto)-avvelenati dalla
propaganda anti-Gheddafi non riescono a capire come il leader libico
conservi ancora il sostegno della popolazione, nonostante una campagna
ingiusta di bombardamenti condotti dalla NATO dal marzo 2011.(1) In che
modo i libici continueranno a sostenere i “coraggiosi” insorti del
CNT?(2)
Leggendo l’articolo “Alcune verità sulla Libia”, scritto da Helen Shelestiuk e pubblicato nel n. 165 di Maggio 2011 della rivista B.I. (ex-Infos Balcani) molto probabilmente hanno le antenne dritte.
Shelestiuk Helen dice: “Quando è stato chiesto all’ex ambasciatore russo in Libia, Vladimir Chamov, se Gheddafi opprimeva il suo popolo, ha risposto: “Quale oppressione? I libici beneficiavano di un credito di 20 anni senza interessi per costruire le loro case, un litro di benzina costa circa 14 centesimi, il cibo è gratuito e si può acquistare una nuova jeep sudcoreana KIA per 7500 dollari.”
E Shelestiuk Helen ha proseguito: “Quali sono gli altri fatti e cifre che conosciamo della Libia e del suo leader?
Leggendo l’articolo “Alcune verità sulla Libia”, scritto da Helen Shelestiuk e pubblicato nel n. 165 di Maggio 2011 della rivista B.I. (ex-Infos Balcani) molto probabilmente hanno le antenne dritte.
Shelestiuk Helen dice: “Quando è stato chiesto all’ex ambasciatore russo in Libia, Vladimir Chamov, se Gheddafi opprimeva il suo popolo, ha risposto: “Quale oppressione? I libici beneficiavano di un credito di 20 anni senza interessi per costruire le loro case, un litro di benzina costa circa 14 centesimi, il cibo è gratuito e si può acquistare una nuova jeep sudcoreana KIA per 7500 dollari.”
E Shelestiuk Helen ha proseguito: “Quali sono gli altri fatti e cifre che conosciamo della Libia e del suo leader?
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domenica 18 febbraio 2018
LIBIA – Emergenza umanitaria tra conflitto e migrazioni
20 dicembre 2016 (Di Matteo Gatti).
La crisi umanitaria in Libia, monitorata da enti quali la United Nations Support Mission in Libya (UNSMIL) e lo United Nations Office for the Coordination of Human Affairs (UNOCHA), è esplosa con il conflitto in corso e con lo sviluppo dei flussi migratori nell’area mediterranea. La guerra civile e la derivante instabilità politica hanno dato origine al collasso economico ed istituzionale, delle amministrazioni pubbliche e della giustizia: la conseguenza per la popolazione è lo stato di insicurezza, l’esposizione alla violenza, la negazione dell’accesso ai servizi primari. Agli sfollamenti interni a causa degli scontri si aggiungono gli arrivi da altre nazioni africane di migranti, profughi e richiedenti asilo, tra i quali alcuni hanno l’obiettivo di raggiungere l’Europa e altri intendono fermarsi in Libia.
La guerra civile
Come possiamo apprendere anche da un apposito approfondimento dell’Istituto Affari Internazionali, la frattura politica esistente sin dal 2011 è sfociata nel conflitto civile Tobruk-Tripoli nel luglio 2014, riscontro di dinamiche internazionali e spinte geopolitiche più ampie. La situazione libica è riportata dalla BBC, che nella sua timeline mostra come gli scontri si siano concentrati nelle aree di Bengasi, Tripoli, Derna, Sirte e Ras Lanuf.
La crisi umanitaria in Libia, monitorata da enti quali la United Nations Support Mission in Libya (UNSMIL) e lo United Nations Office for the Coordination of Human Affairs (UNOCHA), è esplosa con il conflitto in corso e con lo sviluppo dei flussi migratori nell’area mediterranea. La guerra civile e la derivante instabilità politica hanno dato origine al collasso economico ed istituzionale, delle amministrazioni pubbliche e della giustizia: la conseguenza per la popolazione è lo stato di insicurezza, l’esposizione alla violenza, la negazione dell’accesso ai servizi primari. Agli sfollamenti interni a causa degli scontri si aggiungono gli arrivi da altre nazioni africane di migranti, profughi e richiedenti asilo, tra i quali alcuni hanno l’obiettivo di raggiungere l’Europa e altri intendono fermarsi in Libia.
La guerra civile
Come possiamo apprendere anche da un apposito approfondimento dell’Istituto Affari Internazionali, la frattura politica esistente sin dal 2011 è sfociata nel conflitto civile Tobruk-Tripoli nel luglio 2014, riscontro di dinamiche internazionali e spinte geopolitiche più ampie. La situazione libica è riportata dalla BBC, che nella sua timeline mostra come gli scontri si siano concentrati nelle aree di Bengasi, Tripoli, Derna, Sirte e Ras Lanuf.
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sabato 17 febbraio 2018
Genocidi Washington Style – tocca al Venezuela?
Bosque Primario 9 febbraio 2018
DI PETER KOENIG
Ci
sarà un motivo per cui nessuno osa parlare di “genocidio” quando si
pensa alle atrocità commesse da Washington in tutto il mondo? – Se c’è
una nazione che è colpevole di omicidio di massa, questa nazione è gli
Stati Uniti d’America insieme ai suoi manipolatori sionisti. Ma sembra
che nessuno ci faccia caso, o meglio che nessuno osi dirlo. È diventata
una cosa normale che è ormai entrata nel cervello della gente. La nazione eccezionale
può fare quello che vuole, quando vuole e dove vuole – può seminare
guerre e conflitti, uccidere milioni e milioni di persone e poi dare la
colpa a Russia e Cina e, naturalmente, Iran, Venezuela, Siria, Cuba,
Corea del Nord … ma potremo andare avanti.
Quando un certo Mr. Tillerson parla apertamente di colpo di stato militare in Venezuela, sta incitando ad un genocidio in questo pacifico vicino del sud. Questo significa, per chi sta ascoltando, come Capriles e Co.,
che può contare sull’appoggio degli Stati Uniti, cosa che, ovviamente,
sapeva da sempre. Ma ora la cosa è ufficiale, quando il Segretario di
Stato USA chiede apertamente un intervento militare – chiede sangue –
sta provocando un bagno di sangue. Questo è genocidio. Per definizione, è
un assassino.
venerdì 16 febbraio 2018
Festeggiare la propria e l'altrui morte
Festeggiare la propria e l'altrui morte
Ho visto bambini con la testa triangolare, segregati nella casa dei propri cari. Ho parlato con Madri che hanno perso i propri figli, soprattutto per leucemie o patologie similari. Ho “sentito” la paura tramutata in diffidenza anche verso i propri conterranei, causata da vigliacche “pressioni”. Non ero giovane allora, parlo di 20 giorni fa.
Le servitù militari in Sardegna sono, tra tutti i problemi che l’Isola contiene, i più violenti ed umilianti per il Popolo Sardo. Almeno per quella parte che merita di identificarsi in questa definizione.
giovedì 15 febbraio 2018
La super-arma del futuro? Uno sciame di mini-droni dotati di intelligenza artificiale
- 22 gennaio 2018
- di Eugenio Santagata, Andrea Melegari
Oltre due milioni di visualizzazioni in poche settimane, considerando
solamente il canale YouTube. cSono questi i numeri ottenuti da
Slaughterbots, il cortometraggio prodotto e distribuito da Future of
Life, un’organizzazione sostenuta anche da Elon Musk e Stephen Hawking.
La scena shock arriva dopo 5 minuti dall’inizio colpendo dritto al cuore l’immaginazione di chi, fino a quel punto, credeva solo di assistere a un’affascinante presentazione commerciale di un CEO della Silicon Valley. Dal bagagliaio di un van esce uno sciame di mini droni, grandi quanto il palmo di una mano.
La destinazione finale dello stormo è un’università raggiunta in pochi minuti tramite un sistema GPS installato nei droni, capace anche di navigare all’interno dell’edificio grazie ad alcuni sensori (telecamere, radar, ecc.) e alla mappa precaricata della struttura.
La scena shock arriva dopo 5 minuti dall’inizio colpendo dritto al cuore l’immaginazione di chi, fino a quel punto, credeva solo di assistere a un’affascinante presentazione commerciale di un CEO della Silicon Valley. Dal bagagliaio di un van esce uno sciame di mini droni, grandi quanto il palmo di una mano.
La destinazione finale dello stormo è un’università raggiunta in pochi minuti tramite un sistema GPS installato nei droni, capace anche di navigare all’interno dell’edificio grazie ad alcuni sensori (telecamere, radar, ecc.) e alla mappa precaricata della struttura.
mercoledì 14 febbraio 2018
“Non accogliete i profughi, molti sono criminali”. Parola di presidente nigeriano
Abuja, 9 feb – “Smettetela di accogliere i profughi, la maggior parte sono criminali”. In soldoni sono le parole che il presidente nigeriano Mohamed Buhari
ha rilasciato al quotidiano britannico Telegraph. Un appello che gela i
buonisti, difensori dell’accoglienza ad ogni costo di quanti sbarcano
sulle coste italiane, è arrivato direttamente dalla Nigeria. A parlare è
il capo della nazione più popolosa del Continente Nero, uno che probabilmente conosce il suo popolo, e sa chi sono le persone che lo abbandonano per trovare fortuna in Europa.
Buhari ha anche aggiunto, che in Nigeria le persone sono perfettamente consapevoli che in Europa gli immigrati nigeriani abbiano una reputazione negativa. E questo non significa che gli europei siano razzisti, ma solo per il fatto che sono i numeri a parlare e a dire che molti immigrati nigeriani si macchiano di crimini e finiscono in prigione. Certo, non tutti sono così, ma una buona parte lo è, e Buhari lo ammette senza giri di parole, riferendosi a quanti “cercano falsamente di chiedere asilo all’estero così danneggiano la reputazione della Nigeria”.
Buhari ha anche aggiunto, che in Nigeria le persone sono perfettamente consapevoli che in Europa gli immigrati nigeriani abbiano una reputazione negativa. E questo non significa che gli europei siano razzisti, ma solo per il fatto che sono i numeri a parlare e a dire che molti immigrati nigeriani si macchiano di crimini e finiscono in prigione. Certo, non tutti sono così, ma una buona parte lo è, e Buhari lo ammette senza giri di parole, riferendosi a quanti “cercano falsamente di chiedere asilo all’estero così danneggiano la reputazione della Nigeria”.
martedì 13 febbraio 2018
Cosa sta succedendo in Libia?
di PANDORA (Federico Rossi) 3/2/18
Il 2018 è appena
cominciato e già rappresenta un bivio fondamentale per la Libia, divisa
fra una nuova opportunità di pacificazione e un ulteriore aggravarsi del
caos. Il 17 dicembre scorso sono infatti scaduti ufficialmente gli
Accordi di Shikrat, il trattato firmato in Marocco che aveva dato vita
al debole governo di accordo nazionale di Fayez al-Sarraj, e si è aperta
la strada alla possibilità di nuove elezioni, che dovrebbero tenersi
nel corso di quest’anno. I presupposti per questa tornata elettorale
sembrano essere però quanto di più lontano in questo momento, alla luce
dello sgretolamento progressivo del territorio libico.
Lo scenario che
dipingono i media nazionali offre una visione della Libia divisa più o
meno in tre con l’Esercito Nazionale Libico di Haftar da un lato, il
Governo di Accordo Nazionale di Sarraj dall’altro e in mezzo
trafficanti, milizie e estremisti dello Stato Islamico. Sembra un
panorama molto complesso, ma se analizziamo davvero tutti gli attori in
gioco scopriamo che in realtà questa è una visione estremamente
semplificata, che non ci permette di capire la reale entità delle forze
in gioco.
lunedì 12 febbraio 2018
L’Italia nel piano nucleare del Pentagono
di
Manlio Dinucci
Rete Voltaire
| Roma (Italia)
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Il Nuclear Posture Review 2018,
il rapporto del Pentagono sulla strategia nucleare degli Stati uniti, è
attualmente in fase di revisione alla Casa Bianca. In attesa che sia
pubblicata la versione definitiva approvata dal presidente Trump, è
filtrata (più propriamente è stata fatta filtrare dal Pentagono) la
bozza del documento di 64 pagine [Documento scaricabile qui.].
Esso descrive un mondo in cui gli Stati uniti hanno di fronte «una
gamma senza precedenti di minacce», provenienti da stati e soggetti
non-statali. Mentre gli Usa hanno continuato a ridurre le loro forze
nucleari — sostiene il Pentagono — Russia e Cina basano le loro
strategie su forze nucleari dotate di nuove capacità e assumono «un
comportamento sempre più aggressivo anche nello spazio esterno e nel
cyberspazio». La Corea del Nord continua illecitamente a dotarsi di armi
nucleari. L’Iran, nonostante abbia accettato il piano che gli impedisce
di sviluppare un programma nucleare militare, mantiene «la capacità
tecnologica di costruire un’arma nucleare nel giro di un anno».domenica 11 febbraio 2018
La conferma che Gheddafi fu ucciso per il progetto “dinaro d’oro panafricano”
La conferma che Gheddafi fu ucciso per il progetto “dinaro d’oro panafricano”
Le guerre dell’imperialismo contro i non allineati.
La Libia di Gheddafi era una minaccia del sistema occidentale perché
voleva rendere indipendente e ricca l’Africa attraverso il dinaro d’oro.
Per questo motivo è stato ucciso Muammar Gheddafi e distrutta una
nazione. Nicolas Sarkozy arrivò a definire la Libia una “minaccia alla
sicurezza finanziaria del mondo”. Comprendi queste parole?
Cosa dicono quei quattro disperati libici, o presunti
tali, che manifestavano in giro per l’Europa contro il colonnello
Gheddafi? Cosa pensano adesso della distruzione della loro nazione? Sono
felici? Sicuramente il colonnello non sarà stato un santo, come tra
l’altro non lo è nessun presidente/governatore/politico/ecc… Però
manifestare per la distruzione della propria nazione è semplicemente da
malati mentali. L’imperialismo, l’occidente tutto è contro la vita. Il
Nuovo Ordine Mondiale, a cui la maggioranza non crede, e ci trova pure
da ridere, passa attraverso la distruzione e la morte di chi è
indipendente. Alla speculazione non interessa una banana della vita
della gente. Basta vedere quante guerre sono state causate dal 1900 ad
oggi. Non passa giorno che non scoppi una nuova guerra. Eppure dovremmo
affogare nel BENESSERE più sfrenato. Ed invece viviamo in un mondo di
sofferenza. Anche gli occidentali stessi, che si credono liberi,
soffrono ogni giorno sempre più. Siamo tutti sempre più schiavizzati.
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sabato 10 febbraio 2018
Libia. 7 anni dopo la RATSvoluzione Macron parla di “errore”: cosa ne pensa il cugino di Gheddafi
“Popolo di Bengasi, abbiamo in costruzione 500mila unità abitative, abbiamo 7 nuove università, 7 nuovi aeroporti sui quali è iniziata la costruzione. Fratelli ci sono più di 200 miliardi di dollari di progetti in gioco. Ricordate le mie parole, non saranno finiti, saranno distrutti!”.
I media occidentali e i soliti esperti da salotto hanno definito nel 2011 queste parole di Saif al-Islam Gheddafi le solite minacce di un leader che non aveva via di uscita, ma a riascoltare il discorso del figlio del rais oggi più che minacce sembrano delle vere e proprie rivelazioni. Mentre le Nazioni Unite e la comunità internazionale continuano a spingere per le elezioni, nel paese nordafricano aumentano scontri tra milizie, esplosioni di autobombe, attacchi terroristici, rapimenti e insicurezza. Se il capo dell’Eliseo, Emmanuel Macron, sabato scorso ha definito l’intervento militare in Libia “un grande errore”, un esponente politico libico della Camera dei Rappresentanti del popolo Tawergha – che ancora non riesce a far ritorno nella sua città – ha definito la Rivoluzione di Febbraio, “un disastro”, scatenando diverse e contrastanti reazioni. Ma come dargli torto?
venerdì 9 febbraio 2018
La democrazia dei RATTI: inventare le accuse, il caso di Tiziana Gamannossi.
Accusata di frode e spionaggio: "Bloccata in Libia, aiutatemi a tornare"
di LISA CIARDI Pubblicato il 31 gennaio 2018
Lastra a Signa (Firenze), 1 febbraio 2018 - Ha passato 11 mesi e 6 giorni in prigione a Tripoli e da agosto è agli arresti domiciliari in un hotel, a sue spese. È la storia di Tiziana Gamannossi, imprenditrice di Lastra a Signa,
che dalla Libia lancia una disperata richiesta di aiuto per una
situazione non più sostenibile. A farla finire nei guai un assegno con
una delle due firme «falsificate», almeno secondo il governo locale, che
durante le indagini avrebbe però rettificato l’imputazione in «assegno
con firma non perfettamente conforme», aggiungendo altre accuse, come
quella di essere una spia. Di certo c’è che Tiziana si è
esposta più volte in passato, anche sulla stampa, contro la guerra del
2011. Ora la sua situazione è in stallo da mesi e per Tiziana resistere
ancora, sia fisicamente che economicamente, diventa difficile.
giovedì 8 febbraio 2018
Una protesi artificiale di apparente pluralismo
22 gennaio 2018
I gruppi fondamentali della sinistra di tipo politico-elettorale hanno cessato da tempo di rappresentare, sia pure contraddittoriamente, un punto di vista di conflitto e di emancipazione (più avanti ne verrà specificato il momento di passaggio), per adottare invece un punto di vista di aperta integrazione politico-culturale e di gestione sistemica. E allora perché si continua a feticizzare la dicotomia destra-sinistra ben oltre la congiuntura storica in cui questa dicotomia coglieva effettivamente elementi reali di contrapposizione?
(…) Abbandonare la dicotomia destra-sinistra equivale per molti alla caduta nella più completa insensatezza ed irrilevanza. Il mondo sociale apparirebbe un caos senza nessun principio di comprensione e di collocazione possibile. E dunque ognuno cerca come può di difendere la propria identità personale e la propria appartenenza collettiva. E, come se non bastasse, pur di tenere in piedi questa dicotomia (integralmente storica e politica), si cerca di trasformarla in una manifestazione di una più profonda opposizione di tipo categoriale e metafisico (Eguaglianza-Disuguaglianza, Progresso-Conservazione).
I gruppi fondamentali della sinistra di tipo politico-elettorale hanno cessato da tempo di rappresentare, sia pure contraddittoriamente, un punto di vista di conflitto e di emancipazione (più avanti ne verrà specificato il momento di passaggio), per adottare invece un punto di vista di aperta integrazione politico-culturale e di gestione sistemica. E allora perché si continua a feticizzare la dicotomia destra-sinistra ben oltre la congiuntura storica in cui questa dicotomia coglieva effettivamente elementi reali di contrapposizione?
(…) Abbandonare la dicotomia destra-sinistra equivale per molti alla caduta nella più completa insensatezza ed irrilevanza. Il mondo sociale apparirebbe un caos senza nessun principio di comprensione e di collocazione possibile. E dunque ognuno cerca come può di difendere la propria identità personale e la propria appartenenza collettiva. E, come se non bastasse, pur di tenere in piedi questa dicotomia (integralmente storica e politica), si cerca di trasformarla in una manifestazione di una più profonda opposizione di tipo categoriale e metafisico (Eguaglianza-Disuguaglianza, Progresso-Conservazione).
mercoledì 7 febbraio 2018
Volete stabilità nei Balcani? Allora ridateci la Jugoslavia
18 gennaio 2018
Torna alta la tensione nei territori della ex Jugoslavia a seguito dell’assassinio di Oliver Ivanovic, esponente di punta della minoranza serba in Kosovo.
L’influente think-tank statunitense Council on Foreign Relations (CFR) ha messo i Balcani nella sua lista di prevenzione dei conflitti nella sua recente inchiesta del 2018.
Tuttavia l’idea, promossa dal CFR, che gli Stati Uniti siano il Paese che può aiutare a preservare “pace e stabilità” deve essere messa alla prova – così come gli stessi Stati Uniti e gli alleati NATO più vicini che sono in verità responsabili di molti dei problemi che affliggono attualmente la regione.
Questi problemi derivano tutti dalla violenta rottura della Jugoslavia multietnica degli anni ’90, un processo che le potenze occidentali hanno sostenuto e addirittura incoraggiato attivamente. Ma questo non è menzionato nel documento di riferimento del CFR “Lo scioglimento degli accordi di pace nei Balcani” (Contingency Planning Memorandum n. 32).
martedì 6 febbraio 2018
L'incubo di Tiziana, incarcerata e boccata in Libia da due anni: "Aiuto, voglio tornare in Italia"
2/2/2018
L'incubo di Tiziana, incarcerata e boccata in Libia da due anni: "Aiuto, voglio tornare in Italia"
„
Un'imprenditrice toscana, Tiziana Gamannossi, agli arresti da settembre 2016 in Libia perché accusata di frode e spionaggio, ha lanciato una richiesta d'aiuto per poter rientrare in Italia. La donna ha raccontato al quotidiano la Nazione di aver trascorso 11 mesi e 6 giorni in carcere, e da agosto si trova ai domiciliari in un hotel di Tripoli, a sue spese.
A farla finire nei guai un assegno con una firma "falsificata", almeno secondo il governo locale, che durante le indagini avrebbe rettificato l'imputazione in "assegno con firma non perfettamente conforme" racconta la Gamannossi (originaria di Lastra a Signa, Firenze). L'imprenditrice, che commercia in materiali edili, impianti industriali, attrezzature per il settore petrolifero e alimentare, spiega che "dopo un interrogatorio di 12 ore" sull'assegno, "visto che non avevano nulla contro di me, mi hanno detto che ero una spia. Da allora ho avuto un''infinità di udienze" e "hanno aggiunto altre accuse".
lunedì 5 febbraio 2018
l' ONU che ha distrutto la Libia nel 2011, adesso chiede 313 milioni di dollari.
La Libia è ancora nel caos: l’Onu chiede 313 milioni di dollari per aiutare la popolazione
A rischio la sopravvivenza di 940.000 persone. Il Paese in mano alle milizie armate
[26 gennaio 2018]
Mentre in Italia la Libia sembra essere scomparsa dai radar della
campagna elettorale e della stampa – facendo finta che gli accordi fatti
con il fragilissimo governo “nazionale” e con le bande armate che
trafficano esseri umani e petrolio funzionino davvero e voltando la
faccia dall’altra parte di fronte alle violazioni dei diritti umani –
la coordinatrice per la Libia dell’United Nations Office for the
coordination of humanitarian affairs (Ocha), Maria Ribeiro, ha
presentato il 2018 Libya Humanitarian Response Plan (HRP) che
richiede 313 milioni di dollari per fornire assistenza e salvare la
vita a 940.000 persone solo per quest’anno. L’HRP è stato concordato con
la comunità umanitaria internazionale in collaborazione con le autorità
libiche e l’Ocha sottolinea che «E’ il terzo appello coordinato in
Libia e contribuirà all’attuazione di 71 progetti di 22 organizzazioni,
tra cui ONG nazionali e internazionali e agenzie delle Nazioni Unite.
domenica 4 febbraio 2018
Libia, appello su Twitter: la Medina di Tripoli sta morendo
Architetto italiano: se sicurezza migliora, pronti a intervenire
Roma, 29 gen. (askanews) – Roma, 29 gen. (askanews) – Edifici crollati e trasformati in discariche, pilastri di legno a sorreggere archi e palazzi pericolanti tra gli stretti vicoli della Medina di Tripoli, in Libia, il cui volto storico, artistico e architettonico rischia di essere sfigurato da interventi realizzati da abitanti inconsapevoli del valore del luogo, ma anche da speculatori, che approfittano del caos politico e istituzionale in cui versa il Paese dopo il crollo del regime di Muammar Gheddafi, nel 2011. Appare così la Città vecchia di Tripoli negli scatti realizzati dalla fotografa Hiba Shalabi, 41 anni, e pubblicati sul proprio account Twitter sotto l’hashatag #saveoldcityTripoli. Per sensibilizzare i propri concittadini, perché non scompaia il nucleo originario della città, risalente al VI secolo A.C., ma anche la comunità internazionale, perché intervenga per tutelarlo.
Contattata da askanews, la fotografa ha raccontato di aver avuto l’idea di lanciare la campagna su Twitter quando, “girando per i vicoli per scattare fotografie, ho visto tutte queste case distrutte e le nuove costruzioni”: “Lo Stato non presta attenzione alle condizioni fatiscenti in cui versa la Città vecchia di Tripoli, né al fatto che vengano costruiti nuovi slum al suo interno… le vecchie case vengono demolite per creare spazi vuoti, e antichi siti archeologici sono diventati immondezzai o negozi dove si vende valuta estera, senza che ci sia alcun intervento delle autorità. Molte persone non vi prestano attenzione o non apprezzano nulla che rappresenti l’identità libica”, per cui anche “gli interventi di manutenzione a questi bellissimi edifici viene fatta senza alcuna conoscenza di come intervenire sui monumenti storici. Una città storica e unica che rischia di essere trasformata in una città moderna a causa della negligenza delle autorità”.
sabato 3 febbraio 2018
Pd: il mercato delle vacche
Giancarlo Marcotti
27 gennaio 2018
Riporto fedelmente dalla Treccani. Mercato delle vacche:
Frequente, nel linguaggio giornalistico e polit., l’espressione mercato
delle vacche (corrispondente al ted. Kuhhandel) per indicare
patteggiamenti, assegnazioni di cariche e scambî di favori illegittimi o
comunque poco corretti tra gruppi o partiti politici diversi: il
mercato delle v. dell’assegnazione dei ministeri.
In effetti il termine tedesco Kuhhandel potremmo tradurlo col nostro “mercanteggiare”, ma con una accezione sostanzialmente negativa. E’ vero che, come molti dicono, la politica è l’arte del compromesso, ma spesso dietro alla parola compromesso si celano affarismi di bassa lega.
Il Pd, proprio ieri notte, ha dato un esempio illuminante dell’espressione “mercato delle vacche” scadendo al livello più infimo al quale può scendere una formazione politica.
In effetti il termine tedesco Kuhhandel potremmo tradurlo col nostro “mercanteggiare”, ma con una accezione sostanzialmente negativa. E’ vero che, come molti dicono, la politica è l’arte del compromesso, ma spesso dietro alla parola compromesso si celano affarismi di bassa lega.
Il Pd, proprio ieri notte, ha dato un esempio illuminante dell’espressione “mercato delle vacche” scadendo al livello più infimo al quale può scendere una formazione politica.
venerdì 2 febbraio 2018
L’imperialismo statunitense e italiano e l’aggressione alla Libia
18 Settembre 2016
La situazione della Libia e del suo popolo, di cui ci
siamo occupati recentemente con altri articoli(1), è sempre più
drammatica.
Il 28 agosto scorso Emergency (2), ha annunciato di dover interrompere, per ragioni di sicurezza, le attività sanitarie e di dover abbandonare l’ospedale di Gernada, nell’est della Libia. L’associazione aveva offerto scorte di medicinali sia a Zintane sia a Misurata ma nemmeno l’equidistanza ha potuto essere la soluzione per poter lavorare e fornire aiuto ad una popolazione stremata. Ovunque nel Paese, ha denunciato Emergency, mancano le risorse e il personale necessario a offrire assistenza di base e specialistica, anche per le fasce più vulnerabili della popolazione, come i bambini. L’assistenza ai feriti, che secondo i dati dell’Oms( Organizzazione mondiale della sanità) sarebbero stati oltre 20 mila solo negli ultimi mesi, non può essere garantita “in un momento in cui gli ospedali vengono perfino bombardati” come ha dichiarato Gino Strada, il medico fondatore di Emergency.
Il 28 agosto scorso Emergency (2), ha annunciato di dover interrompere, per ragioni di sicurezza, le attività sanitarie e di dover abbandonare l’ospedale di Gernada, nell’est della Libia. L’associazione aveva offerto scorte di medicinali sia a Zintane sia a Misurata ma nemmeno l’equidistanza ha potuto essere la soluzione per poter lavorare e fornire aiuto ad una popolazione stremata. Ovunque nel Paese, ha denunciato Emergency, mancano le risorse e il personale necessario a offrire assistenza di base e specialistica, anche per le fasce più vulnerabili della popolazione, come i bambini. L’assistenza ai feriti, che secondo i dati dell’Oms( Organizzazione mondiale della sanità) sarebbero stati oltre 20 mila solo negli ultimi mesi, non può essere garantita “in un momento in cui gli ospedali vengono perfino bombardati” come ha dichiarato Gino Strada, il medico fondatore di Emergency.
giovedì 1 febbraio 2018
L’associazione Vittime della Nato in Libia lotta contro l’impunità dei potenti
28 gennaio 2018
Dalla guerra in Iraq nel 1991 a
oggi, nessun tribunale internazionale ha mai processato e giudicato i
vincitori delle guerre di aggressione condotte dall’Occidente e dagli
alleati del Golfo. E dire che la guerra di aggressione è bandita in
modo assoluto dalla carta delle nazioni unite ed è considerata il
«crimine internazionale supremo» sin dall’epoca del tribunale di
Norimberga (che però giudicò solo i vinti).
Alcune volte gli Stati presi di mira hanno provato a reagire ricorrendo a istanze internazionali (si pensi alla Jugoslavia durante i bombardamenti Nato del 1999); altre volte erano i cittadini danneggiati a provare le strade dei tribunali internazionali, sul lato penale e civile. Il primo non ha mai sortito effetti; per il secondo, alle vittime civili – «effetti collaterali» – afghane, irachene, pakistane sono stati elargiti risibili risarcimenti a cura dei responsabili, si vedano gli Usa con gli abitanti dei villaggi sterminati dai droni. Troppo poco, decisamente.
Si sta muovendo con coraggio contro l’impunità Khaled el Hamedi, cittadino libico, fondatore dell’associazione Vittime della Nato. Un bombardamento dell’operazione Unified Protector sterminò la sua famiglia il 20 giugno 2011 a Sorman. Dalle macerie furono estratti i corpi maciullati della moglie Safae Ahmed Azawi, incinta, dei suoi due figli piccoli Khaled e Alkhweldi, della nipote Salam, della zia Najia, del cugino Mohamed; uccisi anche i bambini dei suoi vicini di casa e due lavoratori. Abbiamo rivolto alcune domande al legale di Khaled, Jan Fermon, che sta preparando una conferenza stampa a Bruxelles, il 29 gennaio.
Alcune volte gli Stati presi di mira hanno provato a reagire ricorrendo a istanze internazionali (si pensi alla Jugoslavia durante i bombardamenti Nato del 1999); altre volte erano i cittadini danneggiati a provare le strade dei tribunali internazionali, sul lato penale e civile. Il primo non ha mai sortito effetti; per il secondo, alle vittime civili – «effetti collaterali» – afghane, irachene, pakistane sono stati elargiti risibili risarcimenti a cura dei responsabili, si vedano gli Usa con gli abitanti dei villaggi sterminati dai droni. Troppo poco, decisamente.
Si sta muovendo con coraggio contro l’impunità Khaled el Hamedi, cittadino libico, fondatore dell’associazione Vittime della Nato. Un bombardamento dell’operazione Unified Protector sterminò la sua famiglia il 20 giugno 2011 a Sorman. Dalle macerie furono estratti i corpi maciullati della moglie Safae Ahmed Azawi, incinta, dei suoi due figli piccoli Khaled e Alkhweldi, della nipote Salam, della zia Najia, del cugino Mohamed; uccisi anche i bambini dei suoi vicini di casa e due lavoratori. Abbiamo rivolto alcune domande al legale di Khaled, Jan Fermon, che sta preparando una conferenza stampa a Bruxelles, il 29 gennaio.
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