Accusata di frode e spionaggio: "Bloccata in Libia, aiutatemi a tornare"
Pubblicato il 31 gennaio 2018
Lastra a Signa (Firenze), 1 febbraio 2018 - Ha passato 11 mesi e 6 giorni in prigione a Tripoli e da agosto è agli arresti domiciliari in un hotel, a sue spese. È la storia di Tiziana Gamannossi, imprenditrice di Lastra a Signa,
che dalla Libia lancia una disperata richiesta di aiuto per una
situazione non più sostenibile. A farla finire nei guai un assegno con
una delle due firme «falsificate», almeno secondo il governo locale, che
durante le indagini avrebbe però rettificato l’imputazione in «assegno
con firma non perfettamente conforme», aggiungendo altre accuse, come
quella di essere una spia. Di certo c’è che Tiziana si è
esposta più volte in passato, anche sulla stampa, contro la guerra del
2011. Ora la sua situazione è in stallo da mesi e per Tiziana resistere
ancora, sia fisicamente che economicamente, diventa difficile.
Tiziana, prima di tutto qual è la sua storia?
«Sono una piccola imprenditrice di Lastra a Signa, che dal 2001 lavora con la Libia nel commercio di diversi prodotti: dai materiali edili agli impianti industriali, dalle attrezzature per il settore petrolifero, all’alimentare. Il mio lavoro in Libia è stato un crescendo e nel 2010 ho costituito una joint venture di costruzioni con dei libici e mi sono trasferita, prendendo in affitto una villa a Tajura, Tripoli».
Poi cosa è successo?
«Quando è scoppiata la guerra del 2011 sono rimasta a Tripoli e ho vissuto il dopoguerra, disastroso. Poi, a giugno 2015, stanca della situazione, mi sono trasferita in Tunisia. Amo gli animali e la mia villa di Djerba è diventata il rifugio di centotrenta cani, venti gatti e un dromedario: il più bel progetto della mia vita».
Come sono iniziati i guai?
«Durante uno dei miei viaggi a Tripoli, nell’agosto 2016, il mio agente libico mi chiese di accettare un ordine della Brega, società petrolifera libica e decisi di farlo solo dietro pagamento anticipato. Mi dettero un assegno che mostrai alla banca emittente ottenendo conferma che era tutto ok. Perché la cosa potesse andare a buon fine aprii un conto alla Wahda Bank e iniziai le pratiche per rinnovare la residenza in Libia, nel frattempo scaduta. Ma improvvisamente, la sera, arrivarono due sedicenti poliziotti in hotel, che mi dissero di seguirli. Il 1° settembre 2016 è iniziato il mio incubo: mi hanno accusato di aver presentato un assegno falso e di voler rubare alla Brega, società statale… quindi soldi dei libici!».
Come ha reagito?
«Mi hanno fatto un interrogatorio di 12 ore. E, alla fine, visto che non avevano nulla contro di me, mi hanno detto che ero una spia. Da allora ho avuto un’infinità di udienze: ogni volta mi annunciano altri dieci, venti, trenta o quarantacinque giorni di prigione! Hanno aggiunto altre accuse e mi sono fatta undici mesi e sei giorni nelle carceri libiche! Ora sono ai domiciliari in hotel, accanto all’Ambasciata, ma la situazione non si sblocca e sono sfinita».
Cosa chiede?
«Un aiuto per tornare a casa. Sono esausta. Vorrei rientrare in Italia, riprendere fiato, e poi tornare nella mia casa a Djerba, dove mi aspettano i miei amici animali».
Tiziana, prima di tutto qual è la sua storia?
«Sono una piccola imprenditrice di Lastra a Signa, che dal 2001 lavora con la Libia nel commercio di diversi prodotti: dai materiali edili agli impianti industriali, dalle attrezzature per il settore petrolifero, all’alimentare. Il mio lavoro in Libia è stato un crescendo e nel 2010 ho costituito una joint venture di costruzioni con dei libici e mi sono trasferita, prendendo in affitto una villa a Tajura, Tripoli».
Poi cosa è successo?
«Quando è scoppiata la guerra del 2011 sono rimasta a Tripoli e ho vissuto il dopoguerra, disastroso. Poi, a giugno 2015, stanca della situazione, mi sono trasferita in Tunisia. Amo gli animali e la mia villa di Djerba è diventata il rifugio di centotrenta cani, venti gatti e un dromedario: il più bel progetto della mia vita».
Come sono iniziati i guai?
«Durante uno dei miei viaggi a Tripoli, nell’agosto 2016, il mio agente libico mi chiese di accettare un ordine della Brega, società petrolifera libica e decisi di farlo solo dietro pagamento anticipato. Mi dettero un assegno che mostrai alla banca emittente ottenendo conferma che era tutto ok. Perché la cosa potesse andare a buon fine aprii un conto alla Wahda Bank e iniziai le pratiche per rinnovare la residenza in Libia, nel frattempo scaduta. Ma improvvisamente, la sera, arrivarono due sedicenti poliziotti in hotel, che mi dissero di seguirli. Il 1° settembre 2016 è iniziato il mio incubo: mi hanno accusato di aver presentato un assegno falso e di voler rubare alla Brega, società statale… quindi soldi dei libici!».
Come ha reagito?
«Mi hanno fatto un interrogatorio di 12 ore. E, alla fine, visto che non avevano nulla contro di me, mi hanno detto che ero una spia. Da allora ho avuto un’infinità di udienze: ogni volta mi annunciano altri dieci, venti, trenta o quarantacinque giorni di prigione! Hanno aggiunto altre accuse e mi sono fatta undici mesi e sei giorni nelle carceri libiche! Ora sono ai domiciliari in hotel, accanto all’Ambasciata, ma la situazione non si sblocca e sono sfinita».
Cosa chiede?
«Un aiuto per tornare a casa. Sono esausta. Vorrei rientrare in Italia, riprendere fiato, e poi tornare nella mia casa a Djerba, dove mi aspettano i miei amici animali».
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