20 dicembre 2016 (Di Matteo Gatti).
La crisi umanitaria in Libia, monitorata da enti quali la United Nations Support Mission in Libya (UNSMIL) e lo United Nations Office for the Coordination of Human Affairs
(UNOCHA), è esplosa con il conflitto in corso e con lo sviluppo dei
flussi migratori nell’area mediterranea. La guerra civile e la derivante
instabilità politica hanno dato origine al collasso economico ed
istituzionale, delle amministrazioni pubbliche e della giustizia: la
conseguenza per la popolazione è lo stato di insicurezza, l’esposizione
alla violenza, la negazione dell’accesso ai servizi primari. Agli
sfollamenti interni a causa degli scontri si aggiungono gli arrivi da
altre nazioni africane di migranti, profughi e richiedenti asilo, tra i
quali alcuni hanno l’obiettivo di raggiungere l’Europa e altri intendono
fermarsi in Libia.
La guerra civile
Come possiamo apprendere anche da un apposito approfondimento
dell’Istituto Affari Internazionali, la frattura politica esistente sin
dal 2011 è sfociata nel conflitto civile Tobruk-Tripoli nel luglio
2014, riscontro di dinamiche internazionali e spinte geopolitiche più
ampie. La situazione libica è riportata dalla BBC, che nella sua timeline mostra come gli scontri si siano concentrati nelle aree di Bengasi, Tripoli, Derna, Sirte e Ras Lanuf.
Recentemente
le zone interessate sono state soprattutto i distretti di Ganfouda,
Gwarsha e Souq al-Hout a Bengasi e le città di Sirte e Derna. Dall’11
settembre l’attività militare è stata intensa nell’area denominata
“mezzaluna del petrolio”, comprendente le località di Ajdabiya, Zella,
Ras Lanuf e Zuwetina, e dal 27 al 30 ottobre ad Azzawya si sono
susseguiti quattro giorni di intensi scontri, ma la situazione è rimasta
pericolosa anche dopo la tregua del 31 ottobre. Sono tuttora in corso gravi combattimenti a Tripoli.
Negli
ultimi tre mesi gli scontri hanno causato tra la popolazione 74 vittime
e 128 feriti, come riportato dai bollettini di UNSMIL di settembre, ottobre, novembre
2016. Gli effetti del conflitto si riscontrano, oltre che nella
situazione di quotidiano pericolo, anche nel danneggiamento di case,
strutture pubbliche e ospedali, nella carenza di beni e servizi primari,
e nel disfacimento del sistema amministrativo, economico e giuridico.
Le dimaniche migratorie
Secondo le stime della International Organization for Migration
(la IOM, agenzia collegata alle Nazioni unite che si occupa di
monitorare i flussi migratori e garantire assistenza) sarebbero
attualmente tra i 700mila e 1 milione i migranti presenti all’interno
del territorio libico, provenienti in larga misura da Egitto, Niger,
Sudan, Nigeria, Bangladesh, Siria e Mali. Infatti il paese è uno snodo
fondamentale per i flussi di persone che raggiungono illegalmente
l’Europa dal continente africano, ma costituisce anche la destinazione
finale di un gran numero di migranti, come riportato da un’ulteriore relazione
sempre curata dalla IOM. Indipendentemente dalle intenzioni originarie
delle persone che abbandonano il proprio paese d’origine, esse possono
essere fermate dalle autorità locali, oppure coinvolte nelle reti di
traffico o tratta di migranti e arrestate arbitrariamente, o ancora
decidere in seconda battuta di abbandonare la Libia per sfuggire alle
difficili condizioni di vita che vi trovano e cercare una sistemazione
più sicura.
La IOM dipinge inoltre un quadro
di pericolo e complessità per quanto concerne le dinamiche migratorie
mediterranee. Da gennaio a novembre 2016 più di 350mila migranti hanno
raggiunto le coste dell’Europa, mentre circa 4.700 sono coloro che
durante la traversata hanno perso la vita, quasi tutti per annegamento, o
di cui si sono perse le tracce. Tra questi, attraverso le rotte del
Mediterraneo Centrale che collegano l’Africa all’Italia, gli arrivi sono
stati oltre 173mila, e i decessi 4.200, aumentati esponenzialmente a
partire da marzo rispetto alle tratte del Mediterraneo Occidentale e
Orientale. Il picco è stato toccato nel mese di maggio, con 1.130
vittime.
Le cifre della crisi umanitaria
Il report
pubblicato dallo UNOCHA a settembre 2016 ci parla di 2,4 milioni di
persone in condizione di bisogno e di una conseguente necessità di
sostegno economico pari a 172,5 milioni di dollari, dei quali solo il
30% è stato attualmente ottenuto (51,7 milioni di dollari a novembre
2016): la ristrettezza delle risorse rende difficile l’azione capillare
che sarebbe necessaria secondo lo Humanitarian Response Plan (HRP)
2016.
Facendo nuovamente riferimento a fonti ufficiali di UNOCHA, in particolare allo Humanitarian Needs Overview
(HNO), sono circa 1,3 milioni le persone (di cui circa un terzo con età
inferiore ai 18 anni) in stato di urgente necessità, su una popolazione
totale di 6,4 milioni.
Sono
diversi i gruppi che versano in una situazione di emergenza,
condividendo condizioni di vita non sicure, difficoltà nel trovare
riparo, carenza di strutture sanitarie e cure mediche di prima
necessità, mancanza di cibo e acqua potabile, accesso negato
all’educazione.
I
profughi interni (Internally Displaced People, IDP) sono più di
240mila: la maggior parte ha abbandonato le proprie abitazioni a causa
del conflitto dopo il luglio 2014, soprattutto a Tawergha, Sirte e
Bengasi, ed è stata spostata verso Bengasi, Bani Walid, Ajdabiya, Abu
Salim e Al Bayda, quasi sempre presso sistemazioni private, ma in
condizioni sanitarie e materiali precarie. Come riferito dal rapporto sulla Libia
della IOM, le località ospitanti hanno accolto gli sfollati, ma il
protrarsi della situazione ha reso complicato l’accesso alle risorse e
ai servizi primari. Inoltre la prospettiva di un ritorno alle aree
originarie è difficilmente realizzabile a causa dell’instabilità interna
al paese.
Ciononostante,
più di 350mila persone sono ritornate nelle località d’origine dopo il
trasferimento dovuto alla crisi, trovando le proprie case danneggiate o
distrutte e affrontando carenza di servizi primari. La maggior parte
(250mila) si trova attualmente nell’area di Aljfarah.
La
porzione di popolazione che invece non è stata sfollata ma si trova in
stato di bisogno è costituita da più di 430mila persone, tra le quali il
maggior numero risiede nelle regioni di Bengasi, Misurata, Sirte e
Tripoli.
Ammonta
a quasi 300mila il numero di migranti, rifugiati e richiedenti asilo,
tra cui alcuni in viaggio verso l’Europa e molti invece con l’intenzione
di fermarsi in Libia; la loro condizione è di particolare vulnerabilità
a causa delle condizioni precarie di vita e degli abusi a cui sono
esposti, e questo tipo di emergenza è rilevante soprattutto nella zona
di Tripoli.
Le aree di necessità e gli interventi: agosto-novembre 2016
Sono
stati numerosi gli interventi umanitari effettuati da ONG
internazionali in stretta collaborazione con partner locali, per
sopperire alle urgenze in differenti ambiti: sicurezza alimentare,
salute, acqua e igiene pubblica, protezione, beni non
alimentari,educazione. Tuttavia le risorse economiche sono ancora troppo
limitate: a tal proposito sono state promosse campagne di fundraising
quali ad esempio il Sirt Flash Appeal,
diramato a partire dal 19 settembre, con cui le Nazioni Unite intendono
raccogliere un finanziamento di 10,7 milioni di dollari per procurare
assistenza e primo soccorso a 79mila abitanti della municipalità di
Sirte.
Dal
2015 si è aggravata l’emergenza alimentare, dovuta all’interruzione
delle forniture, ai danni alle infrastrutture, alla crescita dei prezzi e
alla indisponibilità economica. Nel 2016 quasi 115mila persone, tra cui
più della metà sono donne e bambine, hanno beneficiato dell’assistenza
umanitaria in ambito alimentare, del quale si occupa in particolar modo
il World Food Programme
(WFP) in collaborazione con diversi enti, non conseguendo però gli
obiettivi della pianificazione originaria per l’anno in corso, che
avrebbe previsto di raggiungere 210mila persone in difficoltà. La
ristrettezza dei fondi minaccia infatti l’attività di WFP, che ha
attualmente una necessità urgente di 8,5 milioni di dollari per
continuare l’azione sul territorio fino al termine del 2016, e di 17,3
milioni fino ad aprile 2017. Tra le principali attuazioni, il WFP ha
gestito, insieme allo United Nations High Commissioner for Refugees
(UNCHR), con la collaborazione di Libyan Humanitarian Relief Agency (Lib
Aid) e CESVI, la distribuzione di cibo per rifugiati e richiedenti
asilo a Bengasi nei giorni 28-30 agosto (dopo la prima avvenuta a
giugno). UNHCR e International Medical Corps (IMC) hanno fornito invece
assistenza alimentare presso il centro per migranti di Abu Salim a
Tripoli il 28 settembre. Preziosa anche la collaborazione delle
associazioni attive sul territorio Ayady Al Kahir Society e Shaikk Tahir
Azzawi Charity Organization.
Il
sistema sanitario nazionale deve affrontare un collasso dovuto ai gravi
danneggiamenti delle strutture a seguito degli scontri, alla carenza di
medicinali e strumentazione, e all’abbandono del paese da parte
dell’80% del personale, soprattutto straniero. Quasi un terzo della
popolazione (2 milioni di persone) necessita di assistenza medica, e la
partnership internazionale attiva nell’ambito sanitario è riuscita a
raggiungere circa 300mila persone dall’inizio dell’anno. In prima linea
in quest’area si trova la World Health Organization
(WHO), che si occupa di fornire assistenza, farmaci essenziali e
materiale sanitario. Ad agosto ha procurato medicinali e strumenti per
la cura di 50mila persone in tre mesi. Un’ulteriore iniziativa di WHO è
il workshop di addestramento per medici libici “Clinical Management on
HIV/ AIDS”, tenutosi nei giorni 1-12 agosto a Monastir, in Tunisia,
incentrato su uso di terapie e medicinali antiretrovirali e su
prevenzione e cura dell’HIV. Tra le varie forniture mediche giunte in
Libia sono da evidenziare quella di insulina e quella dei vaccini contro
la poliomelite, dei quali beneficeranno 1,5 milioni di bambini durante
la campagna che si svolgerà tra il 10 e il 15 dicembre.
Il
settore della protezione delle fasce più vulnerabili di popolazione dai
pericoli del conflitto deve affrontare la disgregazione dello stato di
diritto e la proliferazione di gruppi armati: la popolazione civile
nelle aree interessate dagli scontri è esposta ad abusi, uccisioni,
reclutamento forzato di bambini-soldato.
Soprattutto l’UNICEF
è attiva in diverse città nell’ambito della protezione dei bambini,
svolgendo importanti compiti nell’area dell’educazione, e gestendo
attività didattiche e ricreazionali per minori a rischio di abbandono
scolastico. Un esempio è lo spazio per bambini di Bani Walid, creato da
CESVI e Assabeel Foudation, in collaborazione con UNICEF, presso il Bani
Walid Higer Institute of Electronics: qui 160 minori possono
beneficiare di assistenza psicosociale, interagire e giocare con i
coetanei e usufruire di numerosi programmi ludico-educativi.
Da
citare anche l’apporto delle organizzazione internazionali in ambito di
aiuti non alimentari, ad esempio la distribuzione di cosiddetti non-food items a Bengasi di cui si sono occupati UNCHR e CESVI dal 28 settembre al 3 novembre.
Matteo Gatti é laureato in Lettere e studia Lingue e culture per la comunicazione e la cooperazione internazionale presso l’Università di Milano
Preso da: https://geopoliticaitaliana.wordpress.com/2016/12/20/libia-emergenza-umanitaria-tra-conflitto-e-migrazioni/
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