di PANDORA (Federico Rossi) 3/2/18
Il 2018 è appena
cominciato e già rappresenta un bivio fondamentale per la Libia, divisa
fra una nuova opportunità di pacificazione e un ulteriore aggravarsi del
caos. Il 17 dicembre scorso sono infatti scaduti ufficialmente gli
Accordi di Shikrat, il trattato firmato in Marocco che aveva dato vita
al debole governo di accordo nazionale di Fayez al-Sarraj, e si è aperta
la strada alla possibilità di nuove elezioni, che dovrebbero tenersi
nel corso di quest’anno. I presupposti per questa tornata elettorale
sembrano essere però quanto di più lontano in questo momento, alla luce
dello sgretolamento progressivo del territorio libico.
Lo scenario che
dipingono i media nazionali offre una visione della Libia divisa più o
meno in tre con l’Esercito Nazionale Libico di Haftar da un lato, il
Governo di Accordo Nazionale di Sarraj dall’altro e in mezzo
trafficanti, milizie e estremisti dello Stato Islamico. Sembra un
panorama molto complesso, ma se analizziamo davvero tutti gli attori in
gioco scopriamo che in realtà questa è una visione estremamente
semplificata, che non ci permette di capire la reale entità delle forze
in gioco.
Partiamo da governo di
accordo nazionale di Sarraj, sostenuto a livello internazionale da
Italia, Tunisia, Algeria e Arabia Saudita e appoggiato dalle Nazioni
Unite. L’esecutivo di ben 32 membri di Sarraj scaturisce proprio dagli
Accordi di Shikrat del 2015 e avrebbe dovuto essere la soluzione alla
frammentazione politica della Libia, che in quel momento aveva due
parlamenti: uno a Tripoli, espressione del primo parlamento a
maggioranza islamista eletto dopo la caduta di Gheddafi, e uno a Tobruk,
separatosi dal precedente dopo la ripetizione delle elezioni nel 2014.
Al contrario delle
aspettative tuttavia il Governo di Accordo Nazionale è rimasto tale solo
di nome, dal momento che entrambi i parlamenti hanno rifiutato la
ratifica dell’accordo negando il sostegno a Sarraj, che è rimasto quindi
al vertice di un esecutivo monco. Il risultato è stato quindi soltanto
quello di creare un nuovo attore nel panorama libico, dotato di una
legittimità molto scarsa e di un controllo minore di quello che
generalmente si pensa. L’influenza di Sarraj si estende infatti solo ad
una piccola parte della Tripolitania e neppure la stessa Tripoli è
interamente sotto il suo controllo. Attualmente il mantenimento di
questo precario potere si basa prevalentemente sulle figure di Ahmed
Maiteeq e Abdulrauf Kara, nonché su fragili accordi con alcuni potenti
clan della zona.
Per quanto riguarda
Maiteeq, vice-primo ministro misuratino del GNA ed ex rappresentante al
parlamento di Tobruk, egli è il collegamento con alcuni gruppi armati
tripolini e soprattutto con la cosiddetta Terza Forza, l’alleanza di
milizie che governa di fatto la città di Misurata. Questa ha avuto un
ruolo di primissimo piano nella lotta contro lo Stato Islamico, tanto da
avere il supporto militare statunitense, almeno in un primo momento, e
resta ancora un attore influente e abbastanza indipendente dal Governo
di Accordo Nazionale.
Il sostegno a Sarraj è
dato infatti a fasi alterne, soprattutto per le frizioni con il pilastro
del controllo di Sarraj sulla sua parte di Tripoli, la Rada. Si tratta
della cupola di milizie tripoline facenti teoricamente capo al Ministero
dell’Interno, ma comandate in realtà da Abdulrauf Kara, al centro di
numerose polemiche per i legami con gli ambienti più estremi
dell’islamismo e per gli abusi e le torture perpetrati dalle sue Forze
Speciali di Deterrenza.
Il controllo del GNA sul
restante territorio sotto la sua giurisdizione si basa invece su
accordi con i clan che controllano le cittadine circostanti Tripoli.
Quanto siano fragili questi accordi lo dimostrano i recenti scontri a
Sabratha fra le forze governative e quelle di uno dei più potenti di
questi gruppi, quello dei Dabbashi. Questi ultimi erano stati parte di
un accordo tripartito con il GNA e l’Italia, che era principalmente
interessata a ottenere dai Dabbashi, gestori di buona parte del traffico
di migranti via mare, un’interruzione dei flussi migratori.
Questo accordo aveva già
vacillato negli ultimi mesi del 2017, quando una delle milizie della
Libia occidentale vicine ad Haftar aveva preso il controllo di parte
della città, che ancora oggi resta contesa. Sabratha è infatti il
principale porto di partenza per navi migranti ed è quindi al centro di
un mercato molto appetibile, che i Dabbashi si sono impegnati a
controllare solo sulla base del sostegno italiano attraverso il GNA.
Quanto la situazione sia però fuori controllo lo testimonia la vicenda
della Brigata 48, creata da Sarraj nella città per il controllo del
contrabbando di petrolio, ma presto presa nella rete clientelare dei
Dabbashi di cui è diventata il nuovo braccio armato nella zona.
Il potere e la
legittimazione di Sarraj stanno rapidamente scomparendo sotto la spinta
di numerose elementi di crisi. A indebolirlo ulteriormente concorrono
non solo le frizioni politiche e militari fra i suoi alleati, ma anche
il fatto che il mandato del GNA è teoricamente scaduto insieme agli
Accordi di Shikrat il 17 dicembre 2017 e che la sua influenza a Tripoli è
sempre più insidiata dal crescere dei gruppi salafiti
anti-occidentalisti.
A tutto questo c’è da
aggiungere infine l’uccisione di uno dei suoi sostenitori più
importanti, il sindaco di Misurata Esthewi, recentemente vittima di un
attacco rivendicato dallo Stato Islamico. Il GNA resta insomma un
governo senza una reale legittimazione, essendo fra l’altro l’unico fra i
tre riconosciuti della Libia a non avere alle spalle un parlamento
eletto. Gran parte della sua influenza deriva dal supporto
internazionale dell’Italia, che in Libia ha la più dispendiosa delle sue
missioni militari all’estero.
L’avanzata del generale Khalifa Haftar
Ma Sarraj e i suoi non sono la sola autorità presente
a Tripoli. Una parte della città è infatti ancora controllata dal
parlamento eletto nel 2012 e riconosciuto ad oggi soltanto dalla Turchia
e dal Qatar. Il Congresso Generale Nazionale non ha approvato la
ratifica degli Accordi di Shikrat e sostiene attualmente il Governo di
Salvezza Nazionale di Khalifa al-Ghawil, la cui forza si fonda su una
cupola di milizie islamiste non-jihadiste riunite nella coalizione Alba
Libica. Esso mantiene oggi soltanto un potere limitato a parte di
Tripoli e ad altri centri minori della Tripolitania, ma rappresenta un
attore chiave da coinvolgere in eventuali elezioni.
Il protagonista attuale della guerra civile libica
sembra essere però il generale Khalifa Haftar, leader dell’Esercito
Nazionale Libico. Formalmente Haftar ricopre solo posizioni militari, ma
è riconosciuto da tutti come l’uomo forte che controlla di fatto il
parlamento di Tobruk e il governo di Abdullah al-Thani, riconosciuto da
Egitto, Emirati Arabi e Russia e appoggiato dalla Francia di Macron.
L’esercito di Haftar è al momento la forza militare
più organizzata in Libia e sta procedendo alla conquista di uno degli
snodi fondamentali nelle lotte di potere, la cosiddetta Mezzaluna
Petrolifera, che offrirebbe un vantaggio enorme a Tobruk. L’Esercito di
Haftar controlla attualmente una buona parte della Cirenaica, ma estende
il suo potere anche sulla Tripolitania e sul Fezzan grazie al sostegno
di varie milizie sparse per il paese.
I rapporti più difficili negli ultimi anni di guerra
sono stati quelli con Misurata, che nell’ascesa del generale ha visto
fin da subito quella di un nuovo Gheddafi e ha provato a contendergli in
particolare il controllo sul sud del paese. Ciò nonostante un punto in
comune fra questi avversari si è avuto nella lotta contro lo Stato
Islamico soprattutto nella regione di Sirte. Se per le milizie
misuratine però questa lotta si è fermata allo jihadismo, Haftar ne ha
fatto uno dei suoi cavalli di battaglia e ha esteso la sua guerra a
tutto l’islamismo, compresi i Fratelli Musulmani che ancora restano una
forza politica considerevole in alcune zone.
Nonostante sia un attore in piena ascesa, non mancano
le spine nel fianco anche per le forze di Haftar. Ad essere
particolarmente problematiche sono le città di Ajdabiya e Derna, ancora
in mano allo Stato Islamico, e soprattutto Bengasi. Qui, oltre al fatto
che una buona parte della città resta in mano allo Consiglio
Rivoluzionario della Shura, gruppo jihadista legato all’IS, si è
consumata anche la rottura con il potente gruppo degli Awakir in seguito
all’arrivo del rappresentante di Tripoli Faraj Egaim, ex membro del
governo di Tobruk. Haftar ha infine perso anche parte dell’appoggio
delle Brigate di Zintan, influente milizia adesso divisa fra i chi
sostiene il generale e una componente più moderata.
Tutte queste difficoltà non sembrano tuttavia
sufficienti ad arrestare l’avanzata di Haftar, che a luglio dello scorso
anno ha centrato un enorme vittoria politica durante il vertice
organizzato da Macron. Nell’accordo non solo è riuscito a strappare il
riconoscimento della Francia e un vantaggioso cessate il fuoco con
Sarraj, ma ha anche ottenuto sostegno alla sua lotta senza quartiere
all’islamismo, che è stato interpretato dal generale in maniera
piuttosto estensiva ed usato anche per attaccare la Terza Forza
misuratina nel sud della Libia.
Nonostante sia in rapida ascesa, Haftar resta
comunque dubbioso nei confronti delle elezioni, tanto che ha
recentemente dichiarato che, a suo avviso, la Libia non sarebbe pronta
per un regime democratico. Tuttavia, qualora le elezioni si svolgessero
effettivamente e lui decidesse di candidarsi, sarebbe senz’altro uno dei
maggiori favoriti.
Lo Stato Islamico e gli altri attori in campo
Finora ci siamo soffermati soltanto sugli attori che
godono di un certo riconoscimento ufficiale, ma essi non controllano che
una parte della Libia. Una frazione ancora molto consistente è infatti
in mano a milizie di provenienza molto variegata. Fra queste sicuramente
un ruolo importante lo hanno quelle di stampo jihadista, non solo lo
Stato Islamico, ma anche Ansar al-Sharia, legata alla filiale di
Al-Qaeda operante nel Maghreb e diffusa in buona parte del deserto
libico.
Lo Stato Islamico in Libia ha perso molto terreno
rispetto all’emirato che era riuscito a creare nel 2014 nella regione di
Sirte. Gli attacchi delle forze di Haftar e delle milizie misuratine,
uniti alla progressiva perdita di consensi fra i gruppi clientelari
principali della zona hanno ridotto di molto gli effettivi dell’IS, ma
essi sono tutt’altro che scomparsi. Restano infatti presenti in zone
circoscritte della regione di Sirte e l’organo di propaganda dell’IS, Amaq,
ha fatto sapere che l’espansione in Libia sarà una delle priorità per
l’organizzazione jihadista ormai in ritirata da Siria e Iraq.
Oltre a queste sacche lo Stato Islamico resta
presente soprattutto in tre città della Cirenaica, almeno parzialmente
gestite dai Consigli Rivoluzionari della Shura: Ajdabiya, Derna e
Bengasi. Le milizie jihadiste in queste città sono risorte dopo il
rallentamento dell’Operazione Dignità lanciata da Haftar in
Cirenaica e ora si contendono le città con gli altri attori della zona,
restando padroni fra l’altro di quasi tutta Derna. Altri gruppi
affiliati all’IS sono poi presenti in varie aree del Fezzan, attorno a
Koufra e nella zona di confine con l’Egitto, una nuova crescita che ha
portato anche alla ripresa degli attacchi contro personaggi importanti
delle forze anti-jihadiste.
Proprio nel Fezzan però le milizie dello Stato
Islamico si ritrovano marginalizzate da altri attori informali in grado
di controllare una buona parte di questo spazio. Fra questi particolare
importanza è assunta dalle fazioni tebu e tuareg, due gruppi etnici
originari della zona sahelo-sahariana. I primi in particolare nel 2014
erano riusciti a creare una propria entità territoriale, arrivando a
controllare un’ampia fascia da Qatrun a Murzuq grazie a frequenti cambi
di alleanza fra gli schieramenti in lotta.
Tuttavia dopo l’uccisione nel 2016 di Barka Wardougu,
leader principale dei tebu in Libia, le milizie si sono frammentate in
numerosi gruppi indipendenti, solo parzialmente riuniti nell’Assemblea
Nazionale Tebu. Queste milizie si contendono oggi i principali traffici
del Fezzan scontrandosi coi gruppi tuareg e le forze degli Awlad
Suleiman in un conflitto a cui l’Italia, sempre nell’ottica di
controllare le migrazioni, ha cercato di mettere fine diplomaticamente.
L’incontro tripartito proposto a Roma tuttavia, molto
superficialmente definito da alcuni come un “accordo fra tribù”, ha
dimostrato quanto poco si comprenda ancora di cosa accade in quest’area.
L’accordo, oltre a non comprendere gli altri belligeranti nel
conflitto, i Qadhafa, i Maghara e gli Zwai, è stato accettato per i tebu
solo dalle poche milizie di Zilawi Minah Salah e rigettato da tutto il
resto dell’assemblea tebu. Attualmente sembra che molti di questi gruppi
siano in ripresa grazie a un presunto ruolo di collegamento nel
traffico di armi fra Boko Haram in Nigeria e i gruppi affiliati all’IS
in Libia.
Per quanto riguarda le milizie tuareg esse sono
attive soprattutto al confine con l’Algeria, nella regione
sud-occidentale di Ghat, e godono del sostegno dei gruppi secessionisti
del nord del Mali. Nonostante alcuni esponenti di queste milizie abbiano
preso parte all’incontro di Roma, la loro partecipazione al conflitto
per le risorse petrolifere e le rotte del traffico nel Fezzan non si è
fermata e adesso controllano un’area significativa del deserto libico,
che permette loro di esercitare la propria influenza su una parte dei
traffici provenienti dall’Algeria.
Gli altri esponenti della lotta per il controllo del
Fezzan sono i principali gruppi formati sulla base di reti clientelari e
familiari, che sono stati a lungo la base del potere politico della
Libia. La regione di Sebha è quella dove la situazione è più complessa:
la lotta per il controllo degli snodi economici (rotte del traffico e
giacimenti di petrolio) vede da un lato gli Awlad Suleiman, che hanno
recentemente avuto il sostegno dell’Italia, e dall’altro i due influenti
clan dei Qadhafa e dei Maghara, il cui potere deriva essenzialmente
dalla posizione di rilievo di cui godevano sotto il regime di Gheddafi.
Non trascurabile sono infine le milizie facenti capo agli Zwai, forti
soprattutto a Koufra.
La riunificazione delle varie autorità riconosciute della Libia
Le possibilità di coinvolgere tutti questi soggetti
nelle eventuali elezioni che si terranno nel 2018 sembrano ad oggi molto
scarse. Gheddafi si era assicurato la stabilità attraverso una forte
alleanza al vertice fra i gruppi di potere principali, una via che oggi,
con il cambiare degli equilibri di potenza per effetto dei sostegni
alterni degli Stati stranieri, appare poco praticabile. La priorità
delle Nazioni Unite e del suo rappresentante in Libia, Ghassan Salamé
resta comunque soprattutto la riunificazione delle varie autorità
riconosciute della Libia, un punto di partenza indispensabile, ma che
rischia di fallire se si baserà sulle attuali fragili premesse.
Oltre al quadro che abbiamo tracciato fin qui esiste
infatti un’ultima criticità, che rischia di rendere le elezioni un
ennesimo punto di rottura piuttosto che un’opportunità. Il problema
riguarda nuovi attori, che sembrano essere attirati in Libia dalla
finestra di possibilità offerta loro dalle elezioni. Due in particolare
sembrano poter giocare un ruolo rilevante.
Il primo di essi è Basit Igtet, imprenditore libico
da anni residente in Svizzera, che può vantare importanti legami con il
Qatar e un ruolo non irrilevante avuto nel finanziamento degli
oppositori di Gheddafi nella guerra civile e che oggi gode anche di un
certo sostegno fra i giovani delle grandi città, come ha dimostrato la
notevole manifestazione da lui guidata il 25 settembre scorso a Tripoli.
L’altra incognita è invece il ritorno di Sayf
al-Islam, figlio di Gheddafi e a lungo volto moderato del regime del
padre, che gode di non poco seguito fra la popolazione libica. Dopo
essere rimasto prigioniero fino al 2016 del governo miliziano di Zintan,
è stato recentemente graziato dalle autorità di Tobruk e potrebbe
essere davvero uno dei favoriti, evocando spettri di un passato ancora
molto vicino, nonostante la distanza politica col padre non sia messa in
discussione.
Le problematiche sono molte e sicuramente la
pacificazione della Libia sembra oggi lontana, ma, malgrado le
difficoltà appaiano insormontabili, riuscire a tenere libere elezioni e
formare un unico governo riconosciuto internazionalmente
rappresenterebbe la base per poter costruire in futuro una pace nel
paese. Tutto questo non può però prescindere da una ridefinizione degli
obiettivi degli attori stranieri coinvolti, in modo da tenere in reale
considerazione l’importanza del coinvolgimento della popolazione libica e
da cessare di favorire la destabilizzazione del paese sostenendo
alternativamente milizie rivali.
Anche su: http://appelloalpopolo.it/?p=38572
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