In ogni guerra, ancora prima della gente, occorre assassinare la verità. Guerra alla libia: 100000 morti, 240000 persone ancora cercate, 78000 dispersi. 10300 donne violentate, 350000 rifugiati.
24 novembre 2019. TRIPOLI - Nuove accuse all'Italia da parte delle
autorità dell'Est della Libia, sotto il comando del generale Khalifa
Haftar, dopo che un drone è precipitato nei giorni scorsi a Sud-Est di
Tripoli. La Commissione Difesa della Camera dei rappresentanti di Tobruk
ha infatti denunciato quello che definisce il sostegno italiano a
«bande terroristiche ed estremiste in Libia attraverso il supporto
logistico sul terreno e il volo di droni nello spazio aereo libico».
«Avvertiamo la Repubblica italiana che persistendo con questo
approccio a sostegno delle milizie l'Italia non avrà alcuna opportunità
di partecipare in futuro alla cooperazione con la Libia», si legge nel
comunicato diffuso oggi dal sito Libyan Address Journal, vicino ad
Haftar, che due giorni fa aveva già pubblicato il monito all'Italia del
deputato di Tobruk, Ali al Saidi, molto vicino al generale, a
«rispettare la sovranità della Libia».
I golpisti boliviani sono stati addestrata dalla School of the Americas dell'esercito USA e dallo FBI
Jeb Sprague
I comandanti
dell'esercito e della polizia della Bolivia hanno contribuito a
pianificare il colpo di Stato e ne hanno garantito il successo. In
precedenza erano stati addestrati alla insurrezione dagli USA, nei
programmi di formazione della famigerata School of the Americas e dallo
FBI
Gli Stati Uniti hanno svolto un ruolo
chiave e diretto nel colpo di Stato militare in Bolivia, anche se poco
evidenziato nelle cronache degli eventi che hanno costretto il
presidente eletto del paese, Evo Morales, a dimettersi il 10 novembre.
Poco prima delle dimissioni di Morales, il comandante delle forze armate della Bolivia, Williams Kaliman, "suggerì" che il presidente si dimettesse. Il giorno dopo, settori delle forze di polizia del paese si ribellarono.
Per quanto Kaliman sembri avere finto
sentimenti lealtà nei confronti di Morales nel corso degli anni, ha poi
mostrato la sua vera faccia non appena è giunto il momento opportuno.
Non è stato solo un attore del colpo di Stato, egli aveva già una storia
a Washington, dove aveva per breve tempo ricoperto il ruolo di addetto
militare dell'ambasciata della Bolivia nella capitale degli Stati
Uniti.
A letto col Terzo Reich: L’alleanza nascosta degli USA con la Germania nazista contro l’Unione Sovietica.
Michel Chossudovsky | globalresearch.ca
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
13/11/2019 La Germania nazista dipendeva in larga misura dalle forniture di petrolio della statunitense Standard Oil. Nell’immagine: Adolf Hitler con Prescott Bush, nonno dell’ex Presidente USA George W. Bush.
Prescott Bush era un socio della Brown Brothers Harriman & Co e
direttore della Union Banking Corporation, che aveva stretti rapporti
con gli interessi delle imprese tedesche, come la Thyssen Steel, grande
compagnia coinvolta nell’industria degli armamenti del Terzo Reich. “… Nuovi documenti, declassificati [nel 2003], dimostrano che,
anche dopo che l’America era entrata in guerra [8 dicembre 1941] e
quando già esistevano significative informazioni sui piani e sulle
politiche dei nazisti, egli [Prescott Bush] lavorò e fece guadagni con
società strettamente legate alla finanza tedesca, la quale supportò
economicamente l’ascesa al potere di Hitler. E’ stato anche evidenziato
come il denaro ricavato da queste transazioni avesse aiutato a costruire
la ricchezza e la fortuna della famiglia Bush, nonché a fondare la sua
dinastia politica” (The Guardian, September 25, 2004).
Senza il sostegno degli USA alla Germania nazista, il Terzo Reich non
sarebbe stato capace di dichiarare guerra all’Unione Sovietica. La
produzione di petrolio della Germania era insufficiente per poter
scatenare una grande offensiva militare. Durante tutto il conflitto, il
Terzo Reich fece affidamento su regolari forniture di greggio da parte
della Standard Oil, nelle mani della famiglia Rockfeller.
Non
si placa il vento della protesta che sta scuotendo l’Europa della
finanza e delle banche. Risulta sempre più chiaramente che da quando
siamo entrati nell’euro, i popoli hanno perso la loro sovranità e
qualsiasi decisione presa per scrollarsi di dosso il giogo della
dittatura, finisce con un nulla di fatto. Austerità,
tagli, rassicurazioni ai pochi che l’organismo centrale della BCE
vigila e controlla sull’eurozona. Draghi è intervenuto nel parlamento
europeo giovedì 12 novembre, affermando che in caso di bisogno il QE
potrà essere prorogato anche dopo settembre 2016, e rassicura sullo
stato delle banche greche che a suo dire non sono al collasso. Intanto
in Grecia nel silenzio assordante dei media, c’è stato lo sciopero
generale contro Tsipras per protestare contro l’austerità ed una Troika
che continua a chiedere ancora sacrifici “lacrime e sangue” per i Greci
spolpati vivi. Si continua a non voler capire che la gente comune è al
tracollo ed anche nel parlamento europeo un esponente irlandese ha
ribattuto a Draghi che la BCE non è un vigile del fuoco capace di
buttare acqua sul fuoco di una crisi che si estende a macchia d’olio
nei paesi dell’Eurozona.
20 novembre 2019.
Un drone militare italiano della missione Mare sicuro è
precipitato in Libia: le cause non sono state ancora accertate e fonti
italiane ipotizzano un guasto, ma le forze del generale Khalifa Haftar
hanno rivendicato di averlo abbattuto nel confitto a bassa intensità
che conducono da mesi per la conquista di Tripoli. La capitale libica
dove, col sostegno dell'Onu e dell'Italia, è insediato il premier Fayez al-Sarraj.
Lo Stato maggiore della Difesa italiano si è limitato a rendere noto che
un «velivolo a pilotaggio remoto» dell'Aeronautica militare - si tratta
di un «Predator B» del 32/o Stormo di Amendola, dove è di stanza il
Gruppo velivoli teleguidati - dopo aver perso il contatto con la base, è
«precipitato in territorio libico, per cause ancora in corso di
accertamento».
Continuano a essere giorni
molto difficili in Bolivia dopo che l’accusa di brogli alle elezioni del
20 Ottobre hanno scaturito il golpe a danno dell’ormai ex presidente
Evo Morales. Nei giorni successivi alle accuse si sono registrate
numerose manifestazioni da parte dell’opposizione e della classe
medio-borghese (la cosiddetta parte "bianca", come definita dai
boliviani) nei confronti di Morales.
In queste ore invece, stiamo assistendo a vere e proprie rivolte
molto più violente da parte di migliaia di manifestanti anti-golpe. Ieri
circa 20.000 indigeni erano in marcia verso La Paz.
Il funerale di alcune persone morte in Bolivia durante le ultime proteste (Foto di El dicos)“Un atto di repressione durissima da parte delle forze di polizia boliviane,
quello avvenuto a Sacaba, nel centro del Paese, e non “un confronto”,
come avevano definito i rappresentanti dell’autoproclamato governo
boliviano dopo le dimissioni di Evo Morales.” È quanto ha denunciato
Nelson Cox, rappresentante e difensore del popolo del distretto di
Cochabamba, riportato ieri dal giornale “Opinion”. Tutte le persone assassinate sono state raggiunte alla testa oppure al torace da colpi di arma da fuoco sparati dalla polizia.
Con il massacro di Sacaba è salito a 25 il numero delle persone uccise in Bolivia durante le proteste della popolazione.
L’escalation repressiva, i morti e le violenze sono cresciute in modo
vertiginoso dopo l’annuncio dell’autoproclamato governo di Jeanine Añez
che ieri ha anche approvato il decreto 4078, che “declina” ogni tipo di responsabilità e impunità totale alle forze militari e di polizia chiamate alle “operazioni per il ripristino dell’ordine interno e della stabilità pubblica”.
Di fatto è un decreto che dà licenza di uccidere, carta
bianca di sparare a vista ad ogni persona che protesta in Bolivia,
senza che per queste azioni poi la polizia e i militari rispondano in
alcun modo di fronte alla legge.
Il 20 ottobre, in
Bolivia, il socialista Evo Morales – forte dei suoi successi in
campo sociale, economico e politico (drastica riduzione della
povertà, dell'analfabetismo, forte aumento del PIL) - aveva vinto
per un terzo mandato, le elezioni presidenziali, con il 47% dei
consensi. Una cifra che, per la legge elettorale boliviana, avendo
battuto il suo avversario di oltre 10 punti percentuali, gli ha
garantito la rielezione, senza passare per il ballottaggio.
Ad ogni modo,
l'opposizione di centro e di centrosinistra, guidata da Carlos Mesa,
ovvero lo sconfitto delle presidenziali con il 35,%% dei consensi, ha
sin da subito tentato di fomentare la piazza contro il Presidente
eletto.
Qui si parla di un posto chiamato Jugoslavia, regno in sfacelo che fu facilmente occupato dalle truppe dell’Asse, italiane e tedesche, nel 1941.
Un posto risorto dalle ceneri del tutto nuovo, rifondato dopo la
vittoria del fronte partigiano “rivoluzionario e patriottico” guidato da
Josip Broz detto Tito. Ma quei tre anni di guerra nei Balcani sono un groviglio di contraddizioni che un ottimo libro di Eric Gobetti, Alleati del nemico. L’occupazione italiana in Jugoslavia (1941-1943) recentemente pubblicato da Laterza, sbroglia passando in rassegna le varie fasi dell’occupazione italiana, dei rapporti con i nazionalisti serbi (cetnici) e croati (ustascia), oltre che con gli stessi nazisti.
Una facile conquista (tedesca)
La guerra italiana in Jugoslavia è inizialmente una burletta. Nell’aprile del 1941 i nazisti occupano in pochi giorni Zagrabria e Belgrado. Solo cinque giorni dopo le truppe italiane si decidono a lasciare le posizioni difensive
dell’Albania
e occupano Mostar, Dubrovnik e Cetinje, in Montenegro e Dalmazia,
marciando a tappe forzate per non farsi precedere dai tedeschi. La campagna in Jugoslavia conta appena trenta caduti italiani.
Prima puntata sulle esportazioni illegali di
petrolio dalla Libia: giro di affari di 750 milioni. Tripoli
ridimensiona il peso delle «intese segrete» con Malta sui respingimenti
dei migranti
Un patto segreto tra Malta e Libia grazie al quale le forze armate maltesi si coordinerebbero con la guardia costiera libica per intercettare i migranti e respingerli in Libia.
Paese che «sulla base delle attuali condizioni non può essere
considerato un porto sicuro», ha ribadito la portavoce della
Commissione europea, Mina Andreeva. La Valletta non smentisce il negoziato.
Tripoli prova a ridimensionare, parlando semmai di «cooperazione
trasparente» e tirando in ballo anche «Italia e gli altri Paesi Ue».
In questo articolo si connotano moltochiaramentealcuni
aspetti che potrebbero portare, ad una lettura che vada al di là delle
situazioni di realtà contingenti, a intravedere futuri sviluppi, che non
sono certo portatori di pace e comprensione tra i paesi, ma al
contrario di possibili nuove conflittualità, anche militari; che per ora
non sono evidenti anche se già presenti, pur se a bassa intensità,
nella realtà politica dell’est Europa. Il primo aspetto è la pressione
al riarmo dei governi che sono sotto il controllo politico della NATO e
degli USA, che incrementano politiche aggressive. Ciò avviene con
un’aperta e rischiosa strategia, fatta di ostilità politiche, culturali
e storiche, che si configura come “russofobia”. Questo accade
utilizzando spregiudicatamente le forze neonaziste e fasciste lì
presenti.
Il secondo
aspetto si verifica a causa delle contraddizioni esistenti in questi
paesi tra le forze nazionaliste più radicali; tali forze si ispirano ad
una forma di neonazismo, che portano i vari governi, per tenerle
alleate, a spingerle su temi identitari nazionali e sciovinisti, anche
se nella storia, queste posizione sono sempre state responsabili di
conflitti e guerre.
20 OTTOBRE 2011 – 20 OTTOBRE 2019 – Per NON dimenticare
“Il Colonnello Gheddafi e’ stato il piu’ grande combattente per la liberta’ dei popoli, del nostro tempo”. Nelson Mandela, un uomo che di liberta’…se ne intendeva!
Le sue ULTIME VOLONTA'
In nome di Dio clemente e misericordioso“Questa è la mia volontà.
Io, Muammar bin Mohammad bin Abdussalam bi Humayd bin Abu Manyar bin
Humayd bin Nayil al Fuhsi Gaddafi, giuro che non c’è altro Dio che Allah
e che Maometto è il suo profeta, la pace sia con lui. Mi impegno a
morire come un musulmano.
di Rododak - novembre 10, 2019 Grazie a un suggerimento di Luciano Barra Caracciolo
(che ringraziamo per la segnalazione) proponiamo la traduzione di un
articolo di Roger Scruton, filosofo conservatore, pubblicato nel 1998
su The Independent,
ma di grande attualità oggi. Nel richiamare la critica marxista al
capitalismo per il suo pesante costo umano e per avere sostituito la
sola libertà di commercio a tutte le libertà per cui l’umanità aveva
lottato, denuncia il totale asservimento ai diktat del mercato del
partito Labour di Tony Blair. Oggi ci aiuta a comprendere le radici
della Brexit, del decadimento globale del partito laburista e a vedere
come questo si sia posto in assoluta continuità con la linea ideologica
della Thatcher, sposando quel culto del mercato che ha in seguito
improntato tutto il fallimentare progetto dell’unione europea.
11 novembre 2019. Evo Morales, il leader boliviano detronizzato da un golpe
militare su ispirazione degli USA, ha puntato il dito accusatorio sui
leader dell’opposizione per la violenza post-elettorale esercitata in
Bolivia e afferma che questi passeranno alla storia come “razzisti e
leader del colpo di stato”.
“Mesa e Camacho, sono
personaggi discriminatori e cospiratori, loro passeranno alla storia
come razzisti e complottatori”, ha dichiarato il presidente boliviano
Evo Morales su Twitter lunedì.
In particolare, il leader indigeno
ha fatto riferimento all’ex candidato all’opposizione Carlos Mesa e al
presidente del Comitato Civico di Santa Cruz, Luis Fernando Camacho, che
è responsabile della violenza postelettorale ed esorta a “assumersi la
propria responsabilità di pacificare” il Paese e ” garantire la
stabilità politica e la coesistenza pacifica del nostro popolo ”. Morales
ha nuovamente denunciato di essere stato vittima di un colpo di stato
che, secondo lui, “il mondo e i patrioti boliviani ripudiano”.
“I
pianificatori del colpo di stato che hanno anche attaccato e
saccheggiato la mia casa, la casa di mia sorella e le hanno bruciate e
rapinate, hanno minacciato la morte dei ministri e dei loro figli e
infastidito un sindaco, ora mentono e cercano di incolpare noi per il
caos e la violenza che loro hanno causato. La Bolivia e il mondo sono
testimoni del colpo di stato “, ha criticato.
Nel frattempo,
Morales ha espresso la sua gratitudine per la “solidarietà” dei
boliviani e del mondo, in particolare per le loro “raccomandazioni,
suggerimenti ed espressioni di riconoscimento che ci danno
incoraggiamento, forza ed energia”.
Morales, il primo presidente
indigeno del suo paese, domenica si è dimesso dalla sua posizione al
fine di “preservare la pace nel suo paese”, dopo un colpo di stato
guidato dall’opposizione, che non ha mai riconosciuto la sua rielezione
alle elezioni del 20 ottobre. Questa opposizione non ha accettato il risultato elettorale e ha aumentato la violenza nelle strade del paese. Bolivia Disordini istigati dall’esterno
6 novembre 2019. Gli americani mandano uno specialista a Belgrado dopo la notizia che il sistema russo Pancir sta arrivando in Serbia. Venerdì,
Thomas Zarzecki, a capo del gruppo di lavoro 231 del Dipartimento di
Stato USA, arriva a Belgrado, lo scrive il Vecernje Novosti.
Secondo
il giornale, tale gruppo è incaricato di applicare sanzioni al settore
della sicurezza russo e a tutti coloro che collaborano con esso.
La
visita di Zarzecki, secondo il giornale, era programmata immediatamente
dopo l’annuncio in Serbia che il paese aveva in programma di
acquistare il sistema di difesa aerea russo “Pancir”.
Il
regolamento, di cui Zarzecki è responsabile per l’applicazione, è
ufficialmente chiamato legge sulla regolamentazione dell’opposizione
degli Stati Uniti, mediante sanzioni, e prevede la possibile punizione
di qualsiasi individuo, impresa o stato, che si sia trovato
intenzionalmente impegnato in uno “scambio significativo” con i settori
militare e dell’intelligence Russia.
Iraq:
il 1 ottobre scoppia a Bagdad, una rivolta popolare, coi giovani in
prima fila, contro il carovita, la disoccupazione, l’endemica
corruzione. Dopo pochi giorni i rivoltosi, sempre più numerosi malgrado
il coprifuoco e le prime vittime, chiedono che il governo se ne vada a
casa. Nei giorni successivi la sollevazione si estende al sud,
travolgendo proprio le città a maggioranza shiita: Basra, Nassiyia,
Najaf, Kerbala. Decine i morti ammazzati dalle forze di sicurezza e da
milizie filo-governative, più di mille i feriti.
Ecuador: il 3 ottobre il popolo si solleva contro il paquetazo,
il pacchetto di misure anti-sociali sollecitato dal Fondo monetario
internazionale che prevede, tra l’altro, l’eliminazione dei sussidi
statali ai combustibili e la liberalizzazione del prezzo della benzina e
del diesel.
Libano: 13 ottobre, si svolgono enormi
manifestazioni inter-confessionali e spontanee contro le misure
liberiste di austerità (più tasse e aumento dei prezzi tra cui i
combustibili) chieste da FMI e Banca Mondiale quindi adottate dal
governo di coalizione presieduto da Hariri e sostenuto anche da
Hezbollah. Diventano ben presto proteste politiche contro il regime, la
corruzione. Malgrado le dimissioni di Hariri il 29 ottobre, le proteste
continuano
In un centro di detenzione per migranti vicino al
villaggio di Karareem, in Libia, il 25 settembre 2016.
(Manu Brabo, Ap/Ansa)
Parlando alla camera il 6 novembre, la ministra dell’interno Luciana Lamorgese ha rivendicato il successo degli accordi siglati da Roma con Tripoli nel febbraio del 2017 (Memorandum Italia-Libia), ma ha fatto pochi riferimenti agli elementi problematici di quegli accordi: gli “inimmaginabili orrori” denunciati dall’Onu
all’interno dei centri di detenzione libici in un rapporto della fine
del 2018; le violazioni sistematiche dei diritti umani nei centri di
detenzione governativi (finanziati dai contribuenti italiani ed europei)
descritti da numerosi report e da migliaia di testimonianze; la scarsa
capacità della cosiddetta guardia costiera libica di controllare e
operare salvataggi in uno dei tratti di mare più trafficati e pericolosi
del mondo; l’innalzamento del tasso di mortalità lungo la rotta
mediterranea e infine le numerose denunce sul coinvolgimento di
interlocutori discutibili, come il clan Dabbashi a Sabratha o il clan
Koshlaf a Zawyia (come il caso di Al Bija rivelato da Avvenire), nelle trattative per fermare le partenze di migranti dalla Libia nel 2017.
Sappiamo che diamo un sacco di soldi alla Libia perché non faccia partire migranti verso l'Europa, e sappiamo anche che nessuno monitora (bene) come questi soldi vengono spesi.
Ma di quanti soldi parliamo esattamente? Dai nostri calcoli risulta che
negli ultimi due anni l'Italia ha messo nel piatto libico quasi mezzo miliardo di euro (475 milioni di euro), di cui 100 milioni provenienti da Bruxelles.
Per
ricostruire "quanto denaro abbiamo dato alla Libia" bisogna
innanzitutto comprendere che non si parla mai di finanziamenti diretti
sull'asse Roma-Tripoli, ovvero di bonifici al Governo di Accordo
Nazionale, bensì di supporto logistico, strumentazione, sovvenzioni di
missioni internazionali, gare d'appalto ed erogazioni alle Ong che
lavorano sul territorio.
Un esempio recente? Le dieci motovedette
consegnate ad Abu Sitta nel giorno della scadenza del contestato
memorandum. Costo: 2.5 milioni di euro, stanziati con apposito decreto
legge e pagati con fondi di riserva dello Stato.
Se capire
esattamente quanti soldi diamo alla Libia è difficile anche per gli
addetti ai lavori, sapere con certezza come questi fondi vengano
impiegati è ancora più arduo.
La nave Alan Kurdi dell’Ong tedesca Sea Eye è arrivata ieri smattina al porto di Taranto con il suo carico di 88 clandestini,
recuperati circa una settimana fa in una missione che non ha mancato di
creare tensioni con la Guardia costiera libica. Poche ore dopo l’inizio
del trasbordo da un gommone in avaria, la Alan Kurdi era stata
circondata da alcuni mezzi della Guardia Costiera libica. Ne è nato un
momento di tensione, in cui i libici hanno esploso anche alcuni colpi di
avvertimento in mare. Il Viminale aveva autorizzato lo sbarco questo
sabato. Dopo i soccorsi, sono scattate le operazioni di identificazione
che hanno quindi portato alla scoperta del pusher nigeriano espulso nel
2014. Non è la prima volta, e siamo certi che – purtroppo – non sarà
nemmeno l’ultima. Cristina Gauri
Scontri e ancora scontri in Iraq, con una fase
intensissima, da inizio ottobre, di proteste e rivolte sociali contro la
repressione dei diritti e le enormi disuguaglianze socio-economiche. Ma
i media italiani ne parlano assai poco...
Da inizio ottobre in Iraq è iniziata una nuova fase di
proteste sociali, gradualmente sostenute da una porzione sempre più
vasta parte dell’opinione pubblica e dai principali sindacati:quello
degli insegnanti ha lanciato uno sciopero generale di quattro giorni,
quello degli avvocati incita alla disobbedienza civile, mentre gli
studenti occupano molte università nelle province del Centro-Sud e sono
scesi nelle piazze in centinaia di migliaia.
Gli scontri a Baghdad si concentrano sul ponte sul Tigri che porta
alla Zona Verde, «simbolo fisico e politico del potere che si barrica e
non ascolta» scrive NENA,
l'agenzia di stampa il cui acronimo sta per Near East News Agency.
“Mentono … e sanno che mentono … e sanno che noi sappiamo che mentono … Eppure continuano a mentire sempre più forte” è la frase, scritta da Naguib Mahfouz, che Michel Raimbaud mette in evidenza nel suo libro “Les guerres de Syrie”.
Non è un caso che il primo capitolo del libro ‘Le guerre di Siria’ di
Michel Raimbaud, ex ambasciatore, ex presidente dell’OFPRA, professore
di scienze politiche e scrittore, si intitoli – riprendendo la famosa
frase di Catone il vecchio “Carthago delenda est” (Cartagine deve essere
distrutta) – “Delenda est Syria”: una vecchia ossessione “. Un vecchio
accanimento senza dubbio perchè Catone, che era solito pronunciare
questa formula ogni volta che iniziava o terminava un discorso davanti
al Senato romano, qualunque fosse l’argomento, aveva anche partecipato
alla guerra contro la Siria, al tempo guidata dal re Antioco III° il
Grande! Quest’ultimo ebbe l’audacia di ricevere il fuggitivo Annibale
nella sua corte e di aiutarlo ad armarsi contro Roma, allora unica
potenza egemonica emergente.
È
un prodotto ben confezionato. Al termine di una vasta operazione
speciale in cui è stata utilizzata un’arma inconfessabile, è bene
inscenare la morte di chi ne è stato il simbolo. È il modo migliore per
cancellarne le tracce nella memoria collettiva. Dopo la morte di Bin
Laden, ecco quella di al-Baghdadi.
«È
stato come guardare un film», ha detto il presidente Trump dopo aver
assistito alla eliminazione di Abu Bakr al Baghdadi, il Califfo capo
dell’Isis, trasmessa nella Situation Room della Casa Bianca. Qui, nel
2011, il presidente Obama assisteva alla eliminazione dell’allora nemico
numero uno, Osama Bin Laden, capo di Al Qaeda. Stessa sceneggiatura: i
servizi segreti Usa avevano da tempo localizzato il nemico; questi non
viene catturato ma eliminato: Bin Laden è ucciso, al Baghdadi si suicida
o è «suicidato»; il corpo sparisce: quello di Bin Laden sepolto in
mare, quello di al Baghdadi disintegrato dalla cintura esplosiva. Stessa
casa produttrice del film: la Comunità di intelligence, formata da 17
organizzazioni federali. Oltre alla Cia (Agenzia centrale di
intelligence) vi è la Dia (Agenzia di intelligence della Difesa), ma
ogni settore delle Forze armate, così come il Dipartimento di stato e
quello della Sicurezza della patria, ha un proprio servizio segreto.
Cosa ci viene insegnato a scuola sulla Storia della bomba atomica? Siamo sicuri che sia andata proprio così?
Forse
la Storia che abbiamo studiato finora è tutta sbagliata o, per lo meno,
una grossolana semplificazione. In ogni caso i documenti desecretati
recentemente dalla Rosatom, la compagnia di Stato per l’Energia Atomica
russa, sono di quelli destinati a suggerire una profonda rilettura di
quanto accaduto il secolo scorso.
In occasione del 75° anniversario
della nascita dell’industria nucleare russa, l’azienda di Stato per
l’energia atomica ha deciso di festeggiare desecretando man mano i
‘pezzi forti’ del proprio archivio storico, ora che tanto tempo è
passato e la legge russa finalmente lo permette. Aveva iniziato qualche
giorno fa con pubblicare l’ordine originale di creazione della prima
bomba atomica sovietica risalente al giugno del 1946. Adesso pubblica
qualcosa di ancora più ‘succoso’ e che, pur esposto come un candido
revival dei primi tempi sul sito della corporate, ha in realtà il valore di qualcosa capace di costringere a ripensare l’intera narrazione del dopoguerra.
Il 23 marzo del
1999 il segretario generale della NATO Javier Solan decise di avviare le
operazioni militari e il giorno successivo senza vedersi inflitta
alcuna sanzione da parte del Consiglio di sicurezza dell’ONU la NATO
diede avvio ai bombardamenti della Jugoslavia che continuarono per 78
giorni.
Il
numero esatto di vittime causate dall’operazione militare della NATO
non è mai stato ufficialmente comunicato, ma stando a stime serbe
persero la vita tra le 1200 e le 2500 persone e circa 6000 rimasero
feriti. I velivoli della NATO distrussero non solo le città serbe, ma
anche l’economia del Paese. Belgrado stimò il danno economico tra i 30 e
i 100 miliardi di dollari.
Mi ha sinceramente stupito vedere le notizie della repressione in
Cile essere riportata nelle prime pagine dei giornali. Ma pochi si sono
interrogati su quello che è l'America meridionale in questo momento.
Per capirlo, bisogna conoscere un po' di storia.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale il Sud America è diventanto un po' il
giardino di casa degli Usa. In tutti i Paesi è stato importato lo stesso
sistema istituzionale: un presidente eletto dal popolo a capo del
governo con Parlamento monocamerale. E a vincere le elezioni era
puntualmente qualcuno legato a filo doppio con gli Usa (di solito perchè
sia il partito di maggioranza che quello principale di opposizione
erano legati agli Usa; così anche se i voti si spostavano dall'uno
all'altro, non cambiava la sostanza). E la politica di questi governi
era sempre identica: tasse per i più poveri, sgravi fiscali e aiuti
economici agli imprenditori più ricchi, risorse naturali regalate ad
aziende statunitensi. Perchè è vero che non parliamo dell'Arabia
Saudita, ma in Sudamerica c'è il petrolio, c'è l'oro e ci sono molte
altre risorse naturali. Che gli Usa hanno sfruttato come meglio
volevano.
La confusa situazione fra Siria , Turchia, USA e Curdi avvia ad una
conclusione, o almeno questo sembra secondo gli ultimi accordi fra le
parti intercorsi martedì scorso a Soci, nella Russia meridionale.
Cerchiamo di riassumere il tutto in poche righe significative:
Il
presidente turco Recep Erdogan e quello russo(Valdimir Putin hanno
concordato nella definizione di un’area di sicurezza di 10 km al confine
turco-siriano. Questa zona dovrà essere smilitarizzata e sarà
pattugliata da unità miste Russo-turche;
non ci sarà nessuna
spinta al separatismo dei curdi in Siria, che potrebbe influenzare ed
accentuare quello dei curdi in Turchia. Ricordiamo che l’accordo fra
Curdi e Siriani prevede una forma di autonomia del Kurdistan siriano, ma
autonomia non è indipendenza.
comunque le forze curde, confluite nel SDF o quelle dell YPG non potranno trovarsi entro 30 km dal confine turco.
Marx pare stia conquistando i giovani USA. Secondo una ricerca di VOC
sette ragazzi americani su dieci si dicono disposti a votare per un
partito socialista, che, nell’ottica americana significa Marxista, alle
prossime elezioni. Questa ricerca vede un raddoppio della cifra rispetto
alla precedente ricerca del 2018. Addirittura un millennial su tre
sarebbe pronto a votare un partito comunista. l Capitalismo è in generale, fra tutte le età, ancora visto il
sistema economico migliore, con una percentuale del 61%, anche se questa
percentuale è calante ed è molto più bassa fra i giovani. Il 57% dei
giovani americani crede che la Dichiarazione di Indipendenza tuteli di
più l’uomo rispetto al manifesto del Comunismo, percentuale che sale al
94% della “Silent Generation”, quella che precedeva i Baby Boomer.
Inoltre il 22% dei Millennial crede che la società sarebbe migliore se
la proprietà privata fosse abolita.
Laura Knight-Jadczyk Sott.net mar, 24 set 2019 11:39 UTC
I lettori di SOTT molto probabilmente sanno che sono nel "business dei
profeti" da oltre 25 anni. Non è stato facile. Nonostante una "Hit List"
più lunga di entrambe le mie braccia, mi sento ancora una Cassandra.
Non ho scritto niente per il pubblico consumo da parecchi anni ormai, a parte la pubblicazione sul nostro forum,
e il motivo è principalmente il "Complesso Cassandra" appena
menzionato. Mi sono resa pienamente conto che non c'è nulla che possa
essere fatto per trasformare la folle discesa dell'umanità in una quasi
estinzione. Inoltre, a partire dai primi giorni quando avviai il mio
progetto, sono stati intrapresi vigorosi sforzi per sopprimere i miei
avvertimenti e togliermi dal palcoscenico, per così dire.
“La sicurezza a Sabha vive una fase di deterioramento. Ci sono
cellule dormienti di Daesh, sostenute dal Consiglio Presidenziale del
Governo di Accordo Nazionale (GNA). Il problema principale, che la città
e il sud in generale, stanno affrontando è l’alleanza tra l’opposizione
chadiana, Isis ed al-Qaeda, che stanno formando una forza armata nella
regione sotto il nome della tribù dei Tebu”. A parlare è l’On. Mohamed Ajdaied, membro del Parlamento libico, la Camera dei Rappresentanti, da Sabha.
Sono passati otto anni dall’intervento occidentale che ha
spodestato il regime di Muammar Gheddafi. Oggi, con due Governi e
centinaia di milizie armate che controllano il territorio, la Libia è
uno Stato fallito, stremato da una guerra che sembra non finire più.
1.
LO SCONTRO TRA HAFTAR E SERRAJ: A CHE PUNTO SIAMO?
La caduta del colonnello Muammar Gheddafi nel 2011 ha portato la
Libia nel caos. Dopo otto anni di sanguinosa guerra civile – in cui centinaia di milizie armate
si sono contese l’effettivo controllo sul territorio a suon di
attentati, rapimenti e gestione di vari traffici illeciti – l’esistenza
di due Governi è la rappresentazione plastica dello smembramento dello
Stato libico. Se in Tripolitania l’esecutivo riconosciuto dalla comunità
internazionale (GNA) e presieduto da Fayez al-Serrajsembra reggersi su un fragile patto di potere stipulato con le milizie in suo supporto, nella parte orientale del Paese l’appoggio dell’Esercito Nazionale Libico (LNA) ha permesso all’uomo forte della Cirenaica,
Khalifa Haftar, di avanzare militarmente e di minacciare l’uso delle
armi contro il GNA. Oggi il conflitto sembra essere arrivato a un punto
morto. Da una parte i bombardamenti di Haftar sui
sobborghi di Tripoli confermano l’intenzione di procedere con l’opzione
militare per accrescere il proprio peso negoziale sui tavoli
internazionali; dall’altro lato la discreta resistenza del GNA di al-Serraj
ha riequilibrato i rapporti di forza tra i due leader, ridimensionando
le aspirazioni del generale della Cirenaica. Il conflitto, quindi, è
destinato a protrarsi, col rischio concreto che un’escalation possa impegnare maggiormente altri attori presenti nello scenario libico.