Gli
accadimenti in Venezuela e l’escalation della tensione fra Washington e
Teheran sono stati presentati dalla stampa USA in modo fallace. Le
dichiarazioni contraddittorie delle diverse parti negano ogni
comprensione degli eventi. Per cui è importante approfondire l’analisi
dopo aver verificato i fatti e completare il quadro con la disamina
della contrapposizione fra le diverse correnti politiche dei Paesi
coinvolti.
Rete Voltaire
| Damasco (Siria)
In ogni guerra, ancora prima della gente, occorre assassinare la verità. Guerra alla libia: 100000 morti, 240000 persone ancora cercate, 78000 dispersi. 10300 donne violentate, 350000 rifugiati.
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venerdì 31 maggio 2019
giovedì 30 maggio 2019
La società siriana e la laicità
di
Thierry Meyssan
Prima
della guerra la società siriana era organizzata secondo i principi della
laicità, in modo che le numerose comunità religiose potessero convivere
mescolandosi fra loro. L’intera popolazione siriana ha sofferto per le
atrocità commesse dagli jihadisti (di cui oggi gli europei addossano la
responsabilità alla Repubblica Araba Siriana). Molti siriani si sono
perciò rivolti a Dio. La percentuale di praticanti è passata dal 20
all’80. Buona parte della comunità cristiana facente capo alla chiesa di
Roma è emigrata, mentre gli ortodossi sono rimasti. La comunità dei
mussulmani sunniti è adesso largamente maggioritaria. Paradossalmente,
alcuni dei loro imam, dimenticando la retorica di Daesh e la resistenza
del Paese, oggi designano i laici come nemici.
Rete Voltaire
| Damasco (Siria)
- Il mausoleo di Giovanni Battista nella moschea degli Omayyadi a Damasco.
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mercoledì 29 maggio 2019
Notre-Dame: è iniziata l’operazione immobiliare più grande d’Europa
Rete Voltaire
L’operazione prevede di approfittare della ristrutturazione del Tribunale di Parigi, della Prefettura di Polizia e dell’Hôtel-Dieu per valorizzare appieno il potenziale turistico di Notre-Dame e della Sainte-Chapelle.
L’incendio della cattedrale è stato una “manna dal cielo” per le istituzioni pubbliche, perché potranno così attuare il progetto e sfruttare commercialmente l’intera isola. Un programma riassunto dal ministro dell’Interno, Christophe Castaner, nella dichiarazione che Notre-Dame de Paris «non è una cattedrale, è patrimonio comune».
L’operazione immobiliare per ristrutturare l’Île de
la Cité e trasformarla in passeggiata turistica è iniziata con
l’aggiudicazione di parte dell’Hôtel-Dieu a Novaxia, gruppo di
“urbanistica transitoria” del “filantropo” Joachim Azan (foto).
La mega-operazione fu concepita nel 2016, su iniziativa del
presidente François Hollande e della sindaca di Parigi, Anne Hidalgo,
del direttore dei monumenti storici, Philippe Bélaval, e dell’architetto
Dominique Perrault.L’operazione prevede di approfittare della ristrutturazione del Tribunale di Parigi, della Prefettura di Polizia e dell’Hôtel-Dieu per valorizzare appieno il potenziale turistico di Notre-Dame e della Sainte-Chapelle.
L’incendio della cattedrale è stato una “manna dal cielo” per le istituzioni pubbliche, perché potranno così attuare il progetto e sfruttare commercialmente l’intera isola. Un programma riassunto dal ministro dell’Interno, Christophe Castaner, nella dichiarazione che Notre-Dame de Paris «non è una cattedrale, è patrimonio comune».
martedì 28 maggio 2019
lunedì 27 maggio 2019
Nessuno deve vedere ciò che sta succedendo a Parigi prima delle elezioni
Naturalmente non avete visto nulla di questo nei TG Italiani perché potrebbe influenzare le vostre scelte.
Gli oltre 400 manifestanti, organizzati da alcune associazioni come La Chapelle che proteggono i Sans Papier, autoproclamatisi “Gilet Neri”, vuole essere l’inizio di una campagna di protesta più ampia, che mira a tre obiettivi: documenti, casa e libertà di movimento per tutti gli irregolari.
Il proclama lo potete leggere qui sopra in francese e, volendolo condensare, chiede in termini ultimativi la fine delle espulsioni, documenti per tutti e casa per tutti.
domenica 26 maggio 2019
Il Vescovo che attacca Salvini giustificò intervento militare in Libia
21 maggio 2019.
“Non mi sentirei di essere decisamente ostile e contrario”, si
esprimeva così monsignor Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo e
capo degli Affari Giuridici della CEI,
sabato 25 maggio 2019
Si sapeva da anni, ma i media lo scoprono adesso: Libia, blindati turchi a milizie di Misurata: violato l’embargo Onu
Libia, blindati turchi a milizie di Misurata: violato l’embargo Onu
Lo ha riferito oggi il quotidiano 'Asharq al-Awsat'
ROMA – Sono le milizie di Misurata le prime beneficiarie dei blindati consegnati nel fine-settimana nel porto di Tripoli da una nave battente bandiera turca: lo ha riferito oggi il quotidiano ‘Asharq al-Awsat’, che ha citato fonti militari in Libia.
venerdì 24 maggio 2019
Le mani di Macron sul Mediterraneo: la Francia avrà una base navale a Cipro
giovedì 23 maggio 2019
Albania: la capitale europea della cannabis.
E se l’Albania non è interessata da un traffico di cocaina paragonabile a quello originato nel Paese sudamericano, è pur vero che quello di cannabis ha raggiunto proporzioni senza pari in Europa.L’ambasciatore Osce nel Paese, Berndt Borchardt, ha recentemente calcolato in almeno due miliardi di euro l’indotto generato dalla produzione e dall’esportazione di questo stupefacente, in un Paese che nel 2015 faceva segnare un Pil di poco inferiore agli 11 miliardi.
mercoledì 22 maggio 2019
JUGOSLAVIA, UNA FINE ANNUNCIATA E PROGRAMMATA
1 marzo 2014,
di Massimo Iacopi -
Creato artificialmente
all’indomani della Prima guerra mondiale, lo Stato jugoslavo non è
sopravvissuto alla fine della guerra fredda. La sua dissoluzione,
abilmente gestita dall’esterno, ha generato nuove e vacillanti
organizzazioni statali che promettono nuove instabilità per il futuro.
Il secondo smembramento della Jugoslavia
è stato la conclusione di un processo di disintegrazione iniziato nel
corso degli anni ’80 del XX secolo. Oggi sappiamo che la Cia aveva
preparato fin dal 1988 un piano di frazionamento del Paese, considerato
un attore troppo importante nel momento in cui la scomparsa dell’Urss
sembrava aprire nuove prospettive per il progresso della globalizzazione
liberale. Fattori interni quali il desiderio di autonomia delle
minoranze nazionali, le rivendicazioni irredentiste e un sistema
economico “autogestito” e ormai in debito di ossigeno, possono spiegare
il crollo della federazione jugoslava. Ma, sulla base di recenti
ricerche, ci si può legittimamente interrogare anche sul ruolo
importante rivestito dalle potenze straniere.
L’appoggio dell’Iran e dell’Arabia Saudita ai mussulmani di Bosnia e del Kosovo, il sostegno della Germania alle indipendenze croate e slovena o le proiezioni della Russia verso le popolazioni di fede ortodossa sono altrettanti fattori che hanno influito pesantemente sullo spazio ex jugoslavo a partire dagli anni ’90.
Di fatto, intervenendo direttamente in Bosnia (accordi di Dayton del 1995) e in Kosovo (1999), o indirettamente per il controllo delle rotte del gas e del petrolio, l’impero americano ha accelerato il crollo di un Paese che solo un decennio prima era stato sul punto di firmare un accordo di pre-adesione alla Comunità Economica Europea.
L’appoggio dell’Iran e dell’Arabia Saudita ai mussulmani di Bosnia e del Kosovo, il sostegno della Germania alle indipendenze croate e slovena o le proiezioni della Russia verso le popolazioni di fede ortodossa sono altrettanti fattori che hanno influito pesantemente sullo spazio ex jugoslavo a partire dagli anni ’90.
Di fatto, intervenendo direttamente in Bosnia (accordi di Dayton del 1995) e in Kosovo (1999), o indirettamente per il controllo delle rotte del gas e del petrolio, l’impero americano ha accelerato il crollo di un Paese che solo un decennio prima era stato sul punto di firmare un accordo di pre-adesione alla Comunità Economica Europea.
martedì 21 maggio 2019
La NATO in Jugoslavia. Perché?
di
Sean Gervasi
Praga, 13-14 gennaio 1996
Praga, 13-14 gennaio 1996
Introduzione
L'organizzazione del Trattato del Nord Atlantico ha
mandato recentemente in Jugoslavia una ingente forza militare per imporre
l'accordo raggiunto a Dayton, Ohio, alla fine del 1995 sulla guerra in Bosnia.
Le forze impiegate sono valutate nell'ordine dei 6 0.000 uomini, equipaggiati
con carri armati, blindati e artiglieria. Le truppe di terra sono sostenute da
un formidabile schieramento aereo e navale. In effetti, se si considera il
totale delle forze di appoggio impegnate, comprese quelle dislocate nei paesi
vicini, si vede che vengono impegnati almeno 200.000 uomini. Sono cifre
confermate da fonti della difesa USA (1).
Da qualsiasi punto di vista lo si voglia
considerare, l'invio di ingenti forze militari occidentali nell'Europa
centro-orientale e' un fatto che desta sorpresa, anche nella situazione fluida
creata dalla pretesa fine della guerra fredda. Il corpo di spedi zione nei
Balcani costituisce la prima vasta operazione militare della NATO, ed e'
un'operazione "fuori area", cioe' fuori dall'ambito geografico
originariamente stabilito per l'azione militare della NATO.
L'invio di forze NATO nei Balcani e' pero' il
risultato delle enormi pressioni per un'estensione generale della NATO verso
est. E se l'impresa jugoslava e' il primo passo concreto nell'espansione della
NATO, altri passi si prevede seguiranno in un futuro assai ravvicinato. Alcuni
paesi occidentali premono infatti perche' i paesi di Visegrad diventino membri a
pieno titolo della NATO entro la fine del secolo. Altri paesi occidentali per un
po' hanno resistito alle pressioni in favore dell'estensione, ma i recalcitranti
sono stati costretti ad accettare la pretesa necessita' di allargamento della
NATO.
lunedì 20 maggio 2019
LE RESPONSABILITA' VATICANE NEL CONFLITTO BALCANICO: ALCUNI ELEMENTI.
• Nei primi anni '80, subito dopo la morte di
Josip Broz Tito, viene segnalata l'apparizione della Madonna ad alcuni giovani
croati a Medjugorje, una località della Erzegovina dove già durante la seconda
Guerra mondiale i fascisti si erano scatenati con violenze ed uccisioni contro
la popolazione di religione ortodossa. La gerarchia cattolica non ha mai voluto
ufficialmente riconoscere la veridicità delle apparizioni di Medjugorje, ma il
clero locale (i frati francescani dell'Erzegovina noti da secoli per il loro
fondamentalismo e, nel Novecento, per il loro supporto alla causa degli ustascia)
se ne è avvalso per fini propagandistici. Anche dall'Italia sono stati
organizzati pellegrinaggi.
Sarebbe interessante sapere che fine hanno fatto
oggi quei ragazzi "visionari" o "miracolati": sappiamo ad
esempio che Marija Pavlovic, che aveva fatto voto di entrare in convento, è
oggi felicemente sposata; pare anzi che anche gli altri quattro ragazzi
protagonisti della vicenda abbiano messo su famiglia, e che tre di loro siano
emigrati all'estero.
Molti dicono che le cose, in Jugoslavia,
cominciarono a precipitare con la morte di Tito. Ma si può anche dire che le
cose cominciarono ad andare a rotoli quando "apparve" la Madonna a
Medjugorje. Probabilmente sono vere entrambe le affermazioni...
• Il 1990
è l'anno dedicato a Madre Teresa di Calcutta. Pochi sanno che questa suora era
originaria di Skopje, nella ex repubblica federata di Macedonia, ed apparteneva
al gruppo etnico albanese. Lo stesso anno raggiungono il culmine le tensioni tra
albanesi e serbi nella regione del Kosmet (Kosovo e Metochia). Dinanzi a
personalità albanesi Giovanni Paolo II, in uno dei paesini albanesi del
meridione d'Italia, celebra la Madonna di Scutari, patrona e protettrice
dell'Albania. Durante la celebrazione il papa afferma: "Madre della
speranza regalaci il giorno Leeeeeenel quale questo popolo generoso possa essere
unito", dichiarando così esplicitamente il sostegno del Vaticano alla
causa degli albanesi del Kosovo.
Negli anni successivi segnaliamo tra l'altro la
visita del papa in Albania (paese - per inciso - a stragrande maggioranza atea
o, al limite, musulmana) e la frequentazione di Madre Teresa con pezzi grossi
dello Stato quali la vedova di Hoxha, con la quale presenzia ad una cerimonia
dinanzi ad un monumento alla "Grande Albania".
• Nel 1991
scoppia la guerra. Il papa parla all'Angelus delle "legittime aspirazioni
del popolo croato". Il riconoscimento ufficiale della Croazia indipendente
da parte del Vaticano avviene il 13 gennaio del 1992, contro il parere del resto
della comunità internazionale, almeno apparentemente: gli altri paesi si
adegueranno dopo due giorni.
• Nel 1992
la guerra civile si estende in Bosnia-Erzegovina, repubblica a maggioranza
relativa di musulmani. I serbi (cristiani ortodossi) costituiscono un terzo
della popolazione, mentre circa il 15% sono croati (cattolici). Durante il
conflitto i soldati croati compiranno i crimini più efferati (semmai sia
possibile compilare statistiche su queste cose... noi comunque ci riferiamo ai
dati del londinese Institute for Strategic Studies - cfr. LIMES n.3/'95, pg.60).
Le cronache parlano di soldati che vanno in guerra con il rosario al collo, di
preti e frati francescani erzegovesi che vanno in giro con la pistola (alcuni
intervistati anche dall'italiano Avvenire) o tuonano dai pulpiti delle loro
chiese, di ingiustizie nella distribuzione degli aiuti della Caritas (secondo il
criterio "etnico", applicato d'altronde da tutte le organizzazioni
umanirie religiose)...
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domenica 19 maggio 2019
IL RUOLO DI TURCHIA E GERMANIA NELLA CRISI JUGOSLAVA
Il panturchismo e' una ideologia diffusa nei
Balcani, dalla quale dipende molto delle sorti della pace, ed e' strano che in
questi anni i nostri commentatori ne abbiano parlato cosi' poco. Non ci
riferiamo qui all'idea di unificare tutti i popoli che appartengono al gruppo
linguistico turcofono (turchi, tartari, kasachi, usbechi, turkmeni, azeri, altri
caucasici ecc.), esplicitamente perseguita dai Lupi Grigi e dai loro sponsor,
bensi' della espansione dell'influenza economica e culturale turca anche
all'interno dell'Europa. Piu' precisamente, le ambizioni pan-turche conprendono
tutti quei popoli convertiti al credo islamico sotto l'Impero Ottomano,
indipendentemente dalla loro origine "etnica". Percio piu' che di
pan-turchismo si deve forse parlare di neo-turchismo, una politica che e'
divenuta politica ufficiale dello Stato turco da anni ed e' stata formulata in
termini espliciti da alti esponenti delle istituzioni e della cultura, a partire
dal presidente della republica Süleyman Demirel quando ha affermato che la
Turchia si estende dal mare Adriatico alla muraglia cinese ("Politika"
25/2/1992).
E' un progetto che riguarda l'area jugoslava ed
albanese, ma anche Cipro, Grecia e Bulgaria. Ricordiamo in particolare che la
occupazione militare di Cipro continua ormai da piu' di venti anni.
sabato 18 maggio 2019
Chi, come e perché ha distrutto la Repubblica Federativa Socialista di Jugoslavia
comitato
unitario contro la guerra alla Jugoslavia
Indice
I.
Tappe
dello squartamento della Repubblica Federativa Socialista di Jugoslavia
II.
IL RUOLO
DELLA TURCHIA NELLA CRISI JUGOSLAVA
III.
IL RUOLO DELLA
GERMANIA NELLA DISTRUZIONE DELLA JUGOSLAVIA
IV.
LE RESPONSABILITA'
VATICANE NEL CONFLITTO BALCANICO: ALCUNI ELEMENTI.
V.
SI STANNO
REALIZZANDO GLI AUSPICI DEL "VECCHIO LEONE" CHURCHILL?
VI. La
NATO in Jugoslavia. Perché?
…
se restiamo uniti
– aveva detto nel suo ultimo discorso a Capodanno –
non dobbiamo aver paura di niente….
– aveva detto nel suo ultimo discorso a Capodanno –
non dobbiamo aver paura di niente….
(intestazione
del fondo de L’Unità del 5 maggio 1980,
riportante la notizia della morte di Jozip Broz Tito
riportante la notizia della morte di Jozip Broz Tito
Tko
nece brata za brata,
on ce tudjinca za gospodara
on ce tudjinca za gospodara
(proverbio
slavo)
TAPPE
DELLO SQUARTAMENTO
DELLA RFS DI JUGOSLAVIA
Nel corso degli
anni Ottanta il sistema sociale e politico della Repubblica Federativa e
Socialista di Jugoslavia (RFSJ) entra progressivamente in crisi a causa delle
fortissime pressioni cui e' soggetto ad opera del Fondo Monetario Internazionale
e della Banca Mondiale. A cavallo del 1990 il premier Markovic tenta la via
liberista, con effetti ulteriormente disastrosi (9). Di fronte allo scontento
popolare ed alla crisi si rafforzano da una parte le tendenze centrifughe dei
micronazionalismi, finanziati e sponsorizzati in Occidente, a loro volta eredi
del nazifascismo; dall'altra le politiche centralistiche e socialdemocratiche
dei socialisti serbi. Nell'occasione del 600esimo anniversario della battaglia
di Campo dei Merli il leader socialista Slobodan Milosevic, facendosi portavoce
delle preoccupazioni dei serbi del Kosovo, dichiara che saranno prese tutte le
misure atte ad impedire la secessione del Kosovo dalla Serbia. In effetti, con
il consenso della maggioranza dei membri della Presidenza collegiale della RFSJ,
nel giro di alcuni mesi vengono abrogate alcune prerogative dell'autonomia
politica della provincia(5) mentre viene conservata l'autonomia culturale
(bilinguismo). Nel 1990 tuttavia, dinanzi all'atteggiamento di sloveni e croati
all'ultimo Congresso della Lega dei Comunisti, di stampo analogo a quello dei
leghisti italiani, anche i socialisti serbi mostrano di rinunciare al patrimonio
ideale della RFSJ sancendo la disgregazione della Lega e del paese intero.
venerdì 17 maggio 2019
Napoli condanna l’ennesimo tentativo di golpe in Venezuela!
L’Assemblea di Solidarietà con il
Venezuela Bolivariano a Napoli condanna il tentativo di colpo di stato
contro la Repubblica Bolivariana del Venezuela!
Il movimento di solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana nella Città di Napoli, così come l’insieme delle associazioni, degli attivisti e degli intellettuali raccolti nella Assemblea di Solidarietà con il Venezuela Bolivariano, Condannano il tentativo di colpo di stato perpetrato contro questo Paese libero, sovrano e indipendente, contro il suo Presidente legittimo Nicolás Maduro e contro le continue proposte di dialogo e i reiterati sforzi per la pace che il popolo venezuelano ha avanzato.
Denunciamo la autoproclamazione, completamente antidemocratica e anticostituzionale, del
deputato Juan Guaidó, che si è messo a capo di queste manifestazioni violente, sotto la esplicita e
dichiarata manipolazione da parte dell’imperialismo nord-americano.
Il movimento di solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana nella Città di Napoli, così come l’insieme delle associazioni, degli attivisti e degli intellettuali raccolti nella Assemblea di Solidarietà con il Venezuela Bolivariano, Condannano il tentativo di colpo di stato perpetrato contro questo Paese libero, sovrano e indipendente, contro il suo Presidente legittimo Nicolás Maduro e contro le continue proposte di dialogo e i reiterati sforzi per la pace che il popolo venezuelano ha avanzato.
Denunciamo la autoproclamazione, completamente antidemocratica e anticostituzionale, del
deputato Juan Guaidó, che si è messo a capo di queste manifestazioni violente, sotto la esplicita e
dichiarata manipolazione da parte dell’imperialismo nord-americano.
giovedì 16 maggio 2019
Sindacati. CISL? Lavoratori, iscrivetevi a Confindustra tanto è uguale
Pubblicato il da Stefano Alì
È
colpa dei sindacati se il nostro Paese è arrivato sull’orlo della
distruzione. Silenti quando i diritti dei lavoratori venivano
sacrificati sugli altari della “produttività” e della “crescita”.
Uccidendo la dignità del lavoratore stesso.
Furlan della CISL? Mario Monti non potrebbe far meglio. I sindacati in perfetta sintonia con Confindustria invitano allo sciopero. Come se gli agnelli scioperassero perché sia Pasqua tutto l’anno.
Era il 30 aprile quando guardavo inorridito Landini della CGIL.
Ma il giorno 1 maggio (festa del lavoro) Annamaria Furlan della CISL mi ha fatto venire la nausea.
Il comizio dei sindacati del 1° maggio: Annamaria Furlan
Cominciamo dal suo comizio a Bologna. Se
chiudete gli occhi vi sembrerà di ascoltare Mario Monti. Perfino in
quel vibrante, accorato e drammatico grido “… e gli scogli si
avvicinano”. Insomma, se volessimo dirla tutta, più che drammatico pare
teatralmente drammaturgico, ma sono dettagli. Però non le viene da
ridere, bisogna dargliene merito.
Ma il bello viene dopo.
mercoledì 15 maggio 2019
Menzogne dei fake media sul Venezuela mentre occultano che in Colombia sono morti 700 leader sociali nel 2018
Mentre i fake media continuano a
strepitare su presunte violazioni dei diritti umani in Venezuela con
l’obiettivo di tirare la volata alla prossima guerra per spoliare una
nazione dei propri beni, nell’assordante silenzio degli stessi continua
il massacro dei leader sociali in Colombia. Quello stesso paese che gli
Stati Uniti hanno scelto come operativa per le azioni di golpismo contro
il Venezuela bolivariano.
Quasi 700 leader sociali sono stati uccisi in Colombia nel 2018, secondo il Centro l’Investigazione e l’Educazione Popolare (Cinep).
La cifra rivelata dall'agenzia è di 648 persone, che fanno parte delle 2.252 vittime di alcuni tipi di violazioni dei diritti umani.
Quasi 700 leader sociali sono stati uccisi in Colombia nel 2018, secondo il Centro l’Investigazione e l’Educazione Popolare (Cinep).
La cifra rivelata dall'agenzia è di 648 persone, che fanno parte delle 2.252 vittime di alcuni tipi di violazioni dei diritti umani.
martedì 14 maggio 2019
Rosselli, Palme e Sankara: rivoluzione, se oggi fossero qui
2/5/19
Puoi avere tutte le ragioni del mondo; ma a che serve, se nessuno ti ascolta? Quanti sapevano chi fosse, Carlo Rosselli, quando fu assassinato? Mezzo secolo dopo, al grande pubblico italiano del 1986, diceva qualcosa di particolare il nome del leader svedese Olof Palme? Ma certo: un elegante signore del Nord Europa, barbaramente ucciso da qualche folle terrorista, più o meno come quelli che avevano appena finito di mettere a ferro e fuoco l’Italia. E alzi la mano chi ricorda come la nostra stampa nazionale diede la notizia dell’omicidio dell’allora più che oscuro Thomas Sankara. Era il giovane leader di un paese africano che, per moltissimi europei, poteva ancora chiamarsi Alto Volta: all’epoca, Nelson Mandela stava ancora a spaccare pietre a Robben Island, e l’espressione “Burkina Faso” non era ancora entrata nell’ordinario lessico geografico dell’uomo bianco. Ci vollero anni – Internet, YouTube – per trasformare Sankara in una specie di star della politica: è l’ex ragazzo in camicia verde che, al vertice panafricano di Addis Abeba, svela la schiavitù del debito e propone all’Occidente di smettere di “aiutare” l’Africa.
Per far uscire Thomas Sankara dalle catacombe della memoria collettiva c’è stato bisogno dell’11 Settembre, lo choc che ha costretto gradualmente milioni di persone a interrogarsi sulla natura del cosiddetto Deep State. Strana nebulosa, a geometria variabile: domina il pianeta manipolando i governi o scavalcandoli, al limite azzerandone i leader più scomodi – già rarissimi ieri, e oggi pressoché introvabili.
Puoi avere tutte le ragioni del mondo; ma a che serve, se nessuno ti ascolta? Quanti sapevano chi fosse, Carlo Rosselli, quando fu assassinato? Mezzo secolo dopo, al grande pubblico italiano del 1986, diceva qualcosa di particolare il nome del leader svedese Olof Palme? Ma certo: un elegante signore del Nord Europa, barbaramente ucciso da qualche folle terrorista, più o meno come quelli che avevano appena finito di mettere a ferro e fuoco l’Italia. E alzi la mano chi ricorda come la nostra stampa nazionale diede la notizia dell’omicidio dell’allora più che oscuro Thomas Sankara. Era il giovane leader di un paese africano che, per moltissimi europei, poteva ancora chiamarsi Alto Volta: all’epoca, Nelson Mandela stava ancora a spaccare pietre a Robben Island, e l’espressione “Burkina Faso” non era ancora entrata nell’ordinario lessico geografico dell’uomo bianco. Ci vollero anni – Internet, YouTube – per trasformare Sankara in una specie di star della politica: è l’ex ragazzo in camicia verde che, al vertice panafricano di Addis Abeba, svela la schiavitù del debito e propone all’Occidente di smettere di “aiutare” l’Africa.
Per far uscire Thomas Sankara dalle catacombe della memoria collettiva c’è stato bisogno dell’11 Settembre, lo choc che ha costretto gradualmente milioni di persone a interrogarsi sulla natura del cosiddetto Deep State. Strana nebulosa, a geometria variabile: domina il pianeta manipolando i governi o scavalcandoli, al limite azzerandone i leader più scomodi – già rarissimi ieri, e oggi pressoché introvabili.
lunedì 13 maggio 2019
Prove di guerra: sventato dalla Russia il golpe in Venezuela
2/5/19
La spallata finale di Juan Guaidó non c’è stata, la rivolta non è andata oltre qualche immagine sui social. Nicólas Maduro è ancora al potere, appoggiato dalla gran parte delle forze armate. A poche ore dall’annuncio della sua liberazione dai domiciliari, scrive Rocco Cotroneo sul “Corriere della Sera”, il leader oppositore Leopoldo López è dovuto correre a rinchiudersi nuovamente, stavolta nell’ambasciata spagnola con moglie e figlia, per evitare la quasi certa vendetta del chavismo. Intanto a Caracas si sono verificati nuovi scontri tra manifestanti e la Guardia Nazionale Bolivariana, mentre sono in corso le marce contrarie di sostenitori di Maduro e oppositori. Anche per Guaidó non sono ore tranquille, aggiunge il “Corriere”: l’autoproclamato presidente ad interim potrebbe essere arrestato in qualsiasi momento, e vive in una sorta di semiclandestinità. Ma perché la giornata della rivolta finale (o del golpe, secondo il regime) si è afflosciata nel giro di poche ore? Chi ha sbagliato? O meglio: come ha fatto Maduro a liquidare la questione senza nemmeno aver bisogno di una forte repressione? Se fossero vere le parole di John Bolton, il consigliere per la Sicurezza Nazionale Usa, ci troveremmo di fronte ad una vera e propria stangata ai danni di Guaidó. «C’era un accordo dietro le quinte», ha detto Bolton: «Alcuni uomini chiave del regime avrebbero dovuto disertare, spianando la strada alla caduta di Maduro».
Parole rafforzate dalla ricostruzione dei fatti (anch’essa da prendere con le pinze) del segretario di Stato Mike Pompeo: «Maduro era pronto a salire su un aereo, per scappare a Cuba. Poi è stato fermato dai russi». Secondo Cotroneo siamo di fronte «a uno scenario da post guerra fredda, in grado di far impallidire quella vera, con tutto il contorno dei film di spionaggio». Se così fosse, prosegue il giornalista del “Corriere”, gli Usa avrebbero erroneamente dato il via libera all’operazione finale di Guaidó e López, fornendo loro però informazioni fasulle: non esisteva uno scenario di deposizione di Maduro all’interno del regime stesso. E alla “fregatura” avrebbero partecipato attivamente uomini di Mosca. I militari venezuelani infatti non si sono spaccati, tranne poche diserzioni di soldati semplici. «Il quadro del fallimento era già chiaro nel primo pomeriggio ora di Caracas, a otto ore dall’inizio dell’operazione. A quel punto – e Maduro non era nemmeno apparso in pubblico – López aveva già deciso di chiedere aiuto diplomatico (prima al Cile, infine alla Spagna) e una ventina di militari ribelli avevano fatto lo stesso con il Brasile».
La spallata finale di Juan Guaidó non c’è stata, la rivolta non è andata oltre qualche immagine sui social. Nicólas Maduro è ancora al potere, appoggiato dalla gran parte delle forze armate. A poche ore dall’annuncio della sua liberazione dai domiciliari, scrive Rocco Cotroneo sul “Corriere della Sera”, il leader oppositore Leopoldo López è dovuto correre a rinchiudersi nuovamente, stavolta nell’ambasciata spagnola con moglie e figlia, per evitare la quasi certa vendetta del chavismo. Intanto a Caracas si sono verificati nuovi scontri tra manifestanti e la Guardia Nazionale Bolivariana, mentre sono in corso le marce contrarie di sostenitori di Maduro e oppositori. Anche per Guaidó non sono ore tranquille, aggiunge il “Corriere”: l’autoproclamato presidente ad interim potrebbe essere arrestato in qualsiasi momento, e vive in una sorta di semiclandestinità. Ma perché la giornata della rivolta finale (o del golpe, secondo il regime) si è afflosciata nel giro di poche ore? Chi ha sbagliato? O meglio: come ha fatto Maduro a liquidare la questione senza nemmeno aver bisogno di una forte repressione? Se fossero vere le parole di John Bolton, il consigliere per la Sicurezza Nazionale Usa, ci troveremmo di fronte ad una vera e propria stangata ai danni di Guaidó. «C’era un accordo dietro le quinte», ha detto Bolton: «Alcuni uomini chiave del regime avrebbero dovuto disertare, spianando la strada alla caduta di Maduro».
Parole rafforzate dalla ricostruzione dei fatti (anch’essa da prendere con le pinze) del segretario di Stato Mike Pompeo: «Maduro era pronto a salire su un aereo, per scappare a Cuba. Poi è stato fermato dai russi». Secondo Cotroneo siamo di fronte «a uno scenario da post guerra fredda, in grado di far impallidire quella vera, con tutto il contorno dei film di spionaggio». Se così fosse, prosegue il giornalista del “Corriere”, gli Usa avrebbero erroneamente dato il via libera all’operazione finale di Guaidó e López, fornendo loro però informazioni fasulle: non esisteva uno scenario di deposizione di Maduro all’interno del regime stesso. E alla “fregatura” avrebbero partecipato attivamente uomini di Mosca. I militari venezuelani infatti non si sono spaccati, tranne poche diserzioni di soldati semplici. «Il quadro del fallimento era già chiaro nel primo pomeriggio ora di Caracas, a otto ore dall’inizio dell’operazione. A quel punto – e Maduro non era nemmeno apparso in pubblico – López aveva già deciso di chiedere aiuto diplomatico (prima al Cile, infine alla Spagna) e una ventina di militari ribelli avevano fatto lo stesso con il Brasile».
domenica 12 maggio 2019
Quale 25 Aprile e quale Liberazione, nella Colonia Italia?
29/4/19
Ho superato il 25 aprile uscendo dalla culla di questo eterno presente, dalla quale, a noi pupetti, i pupari non fanno né vedere passato, né prospettare futuro. Eterna sospensione tra l’unico pensiero possibile, quello attuale, e l’unica tecnologia disponibile, quella digitale. Ho afferrato una radice e mi sono ritrovato sotto il monumento sul Gianicolo alle vittorie di Garibaldi sui francesi e alla memoria della Repubblica Romana (1848), poi annegata nel sangue dei patrioti e del popolo romano dalle monarchie francese, borbonica, austroungarica che Pio IX aveva invocato dal suo esilio a Gaeta (i bersaglieri gli avrebbero reso la pariglia a Porta Pia, vent’anni dopo). Priorità assoluta delle potenze, non diversamente da oggi, stracciare una Costituzione che a quella di esattamente cent’anni dopo poco aveva da invidiare e, dato l’ambiente europeo e la sua affermazione di sovranità, era perciò anche più meritevole. Un monumento che mi proteggeva dallo scroscio di toni enfatici e parole declamatorie grandinate dal Quirinale e rimbombate nella camera dell’eco che è la stampa italiana. Toni e parole all’apparenza del tutto rituali, generiche e banali, altisonanti, proprio come si retoricheggiava ai tempi di Lui, prendendo fiato a ogni periodo, passando dal grave all’imperativo nobile e finendo sull’intimidatorio per chi non dovesse darsela per intesa.
Insomma, discorsi da Balcone, dalla cui pomposa prosopopea cerimoniale, nel caso specifico del tutto abusiva, immancabilmente esalano i vapori dell’ipocrisia e dell’autorità fondata su chiacchiere e distintivo. E a volte, su felpe e giubbotti, abusivi pure questi. Tutte cose che con i fasti evocati da lontano, sempre senza averne i titoli, abusivamente, hanno il compito di coprire i nefasti del presente e dei presenti. Non ho partecipato ad alcuna celebrazione, ufficiale o ufficiosa, trovandole tutte spurie e inquinate. Dal Quirinale a un’Anpi che condivide con tutte le sinistre la perdita di sé e che si mette ad arzigogolare sull’equivalenza tra nazifascismo e quello che i superrazzisti dell’Impero e delle sue marche definiscono razzismo.
Ho superato il 25 aprile uscendo dalla culla di questo eterno presente, dalla quale, a noi pupetti, i pupari non fanno né vedere passato, né prospettare futuro. Eterna sospensione tra l’unico pensiero possibile, quello attuale, e l’unica tecnologia disponibile, quella digitale. Ho afferrato una radice e mi sono ritrovato sotto il monumento sul Gianicolo alle vittorie di Garibaldi sui francesi e alla memoria della Repubblica Romana (1848), poi annegata nel sangue dei patrioti e del popolo romano dalle monarchie francese, borbonica, austroungarica che Pio IX aveva invocato dal suo esilio a Gaeta (i bersaglieri gli avrebbero reso la pariglia a Porta Pia, vent’anni dopo). Priorità assoluta delle potenze, non diversamente da oggi, stracciare una Costituzione che a quella di esattamente cent’anni dopo poco aveva da invidiare e, dato l’ambiente europeo e la sua affermazione di sovranità, era perciò anche più meritevole. Un monumento che mi proteggeva dallo scroscio di toni enfatici e parole declamatorie grandinate dal Quirinale e rimbombate nella camera dell’eco che è la stampa italiana. Toni e parole all’apparenza del tutto rituali, generiche e banali, altisonanti, proprio come si retoricheggiava ai tempi di Lui, prendendo fiato a ogni periodo, passando dal grave all’imperativo nobile e finendo sull’intimidatorio per chi non dovesse darsela per intesa.
Insomma, discorsi da Balcone, dalla cui pomposa prosopopea cerimoniale, nel caso specifico del tutto abusiva, immancabilmente esalano i vapori dell’ipocrisia e dell’autorità fondata su chiacchiere e distintivo. E a volte, su felpe e giubbotti, abusivi pure questi. Tutte cose che con i fasti evocati da lontano, sempre senza averne i titoli, abusivamente, hanno il compito di coprire i nefasti del presente e dei presenti. Non ho partecipato ad alcuna celebrazione, ufficiale o ufficiosa, trovandole tutte spurie e inquinate. Dal Quirinale a un’Anpi che condivide con tutte le sinistre la perdita di sé e che si mette ad arzigogolare sull’equivalenza tra nazifascismo e quello che i superrazzisti dell’Impero e delle sue marche definiscono razzismo.
venerdì 10 maggio 2019
La droga gestita della Cia, uno strumento di politica globale
27/4/19
Sulla scia della Seconda Guerra mondiale, le élite politiche statunitensi e britanniche si ritrovarono ad affrontare la minaccia del socialismo su scala globale. Nonostante le incombenti perplessità circa il futuro, decisero di reagire mobilitando risorse – pubbliche e nascoste – al fine di implementare un programma di “Roll Back” atto a invertire l’avanzata comunista mondiale. Un vero e proprio blocco sulla strada della mobilitazione anti-comunista era rappresentato dal fatto che la maggior parte della popolazione statunitense era diffidente verso un progetto di politica estera di così ampia portata. Per lo statunitense medio il mondo era rappresentato unicamente dall’America del Nord e l’interesse per la politica estera era minimo. A causa di questo radicato isolazionismo, negli Stati Uniti, agli esordi della Guerra Fredda, spese governative ingenti nella politica estera erano fuori questione. Inoltre la Cia, principale fonte economica nel reame della politica estera americana, rappresentava, per la maggioranza degli americani nell’epoca post-bellica, un’agenzia come un’altra, mentre in realtà questa stava diventando un protagonista chiave. Pur perseguendo l’impegno di portare a termine massicce operazioni mondiali, la Cia chiese alla Casa Bianca una licenza per inserirsi in fonti di finanziamento alternativi.
La droga figurava come il business più remunerativo tra quelli più noti. La natura criminale del business dettava quindi le regole del gioco. Mentre alcuni dei guadagni erano effettivamente utilizzati a supporto di operazioni sotto copertura, altri erano deviati verso l’arricchimento personale di agenti e dirigenti dell’agenzia, oppure rimanevano nelle mani di gruppi finanziari con potere di lobby nell’amministrazione statunitense. Di conseguenza, la complicità nel business della droga iniziò a diffondersi verso il livello più alto dell’establishment nordamericano… Il primo caso rappresentante le connessioni tra la Cia e il business della droga risalgono al 1947, anno in cui Washington, preoccupata dell’ascesa del movimento comunista nella Francia post-bellica, si associò con la nota e spietata mafia corsa nella lotta contro la sinistra. Dal momento che il denaro non poteva essere riversato nella sgradevole alleanza attraverso canali ufficiali, una grossa fabbrica di eroina venne istituita a Marsiglia con l’assistenza della Cia, che alimentava l’affare. L’iniziativa imprenditoriale impiegava abitanti del posto, mentre la Cia organizzava il ciclo degli approvvigionamenti, ed il terrore fisico e psicologico contro i comunisti in Francia alfine impedì loro di raggiungere il potere.
Sulla scia della Seconda Guerra mondiale, le élite politiche statunitensi e britanniche si ritrovarono ad affrontare la minaccia del socialismo su scala globale. Nonostante le incombenti perplessità circa il futuro, decisero di reagire mobilitando risorse – pubbliche e nascoste – al fine di implementare un programma di “Roll Back” atto a invertire l’avanzata comunista mondiale. Un vero e proprio blocco sulla strada della mobilitazione anti-comunista era rappresentato dal fatto che la maggior parte della popolazione statunitense era diffidente verso un progetto di politica estera di così ampia portata. Per lo statunitense medio il mondo era rappresentato unicamente dall’America del Nord e l’interesse per la politica estera era minimo. A causa di questo radicato isolazionismo, negli Stati Uniti, agli esordi della Guerra Fredda, spese governative ingenti nella politica estera erano fuori questione. Inoltre la Cia, principale fonte economica nel reame della politica estera americana, rappresentava, per la maggioranza degli americani nell’epoca post-bellica, un’agenzia come un’altra, mentre in realtà questa stava diventando un protagonista chiave. Pur perseguendo l’impegno di portare a termine massicce operazioni mondiali, la Cia chiese alla Casa Bianca una licenza per inserirsi in fonti di finanziamento alternativi.
La droga figurava come il business più remunerativo tra quelli più noti. La natura criminale del business dettava quindi le regole del gioco. Mentre alcuni dei guadagni erano effettivamente utilizzati a supporto di operazioni sotto copertura, altri erano deviati verso l’arricchimento personale di agenti e dirigenti dell’agenzia, oppure rimanevano nelle mani di gruppi finanziari con potere di lobby nell’amministrazione statunitense. Di conseguenza, la complicità nel business della droga iniziò a diffondersi verso il livello più alto dell’establishment nordamericano… Il primo caso rappresentante le connessioni tra la Cia e il business della droga risalgono al 1947, anno in cui Washington, preoccupata dell’ascesa del movimento comunista nella Francia post-bellica, si associò con la nota e spietata mafia corsa nella lotta contro la sinistra. Dal momento che il denaro non poteva essere riversato nella sgradevole alleanza attraverso canali ufficiali, una grossa fabbrica di eroina venne istituita a Marsiglia con l’assistenza della Cia, che alimentava l’affare. L’iniziativa imprenditoriale impiegava abitanti del posto, mentre la Cia organizzava il ciclo degli approvvigionamenti, ed il terrore fisico e psicologico contro i comunisti in Francia alfine impedì loro di raggiungere il potere.
Damasco rimpatria i jihadisti kosovari ma l’Isis combatte ancora
21 aprile 2019
Ieri 110 kosovari sono stati rimpatriati dalla Siria nel loro Paese d’origine; tra loro anche 4 jihadisti che hanno preso parte ai combattimenti sotto le bandiere del Califfato. Lo hanno reso noto le autorità di Pristina.
“Nelle prime ore del mattino è stata organizzata un’operazione delicata durante la quale il governo del Kosovo, con l’aiuto degli Stati Uniti, ha rimpatriato 110 cittadini dalla Siria”, ha annunciato il ministro della Giustizia del Kosovo, Abelard Tahir.
Ieri 110 kosovari sono stati rimpatriati dalla Siria nel loro Paese d’origine; tra loro anche 4 jihadisti che hanno preso parte ai combattimenti sotto le bandiere del Califfato. Lo hanno reso noto le autorità di Pristina.
“Nelle prime ore del mattino è stata organizzata un’operazione delicata durante la quale il governo del Kosovo, con l’aiuto degli Stati Uniti, ha rimpatriato 110 cittadini dalla Siria”, ha annunciato il ministro della Giustizia del Kosovo, Abelard Tahir.
giovedì 9 maggio 2019
Ondate migratorie dalla Libia? Tanti le evocano ma nessuno le ha viste
- 29 aprile 2019
- di Gianandrea Gaiani
- Da quando ha preso il via l’offensiva delle truppe del generale
Khalifa Haftar contro Tripoli si sono moltiplicati in Italia allarmi e
allarmismi per i possibili enormi flussi di migranti diretti verso le
nostre coste.
Un allarme per il momento del tutto ingiustificato per il semplice fatto che tale emergenza non c’è, ma sul quale è sorto un dibattito scoraggiante in cui alcuni, anche all’interno del governo, hanno evidenziato come i porti dovrebbero venire riaperti perché si tratterebbe di profughi di guerra, ponendo così fine alle iniziative varate dal ministro Matteo Salvini di stop all’immigrazione illegale.
Una tesi sostenuta dal ministro della Difesa Elisabetta Trenta, poi anche da altri esponenti di M5S e del governo oltre che ovviamente dalle opposizioni. Tutti pronti a “tifare Haftar” con obiettivi diversi. I pentastellati sperano forse di compromettere l’immagine positiva derivata dagli innegabili successi conseguiti in 10 mesi di governo dalla Lega di Matteo Salvini proprio sui temi dell’immigrazione e della sicurezza, con l’obiettivo di indebolirne l’immagine in vista di elezioni europee che potrebbero riservare amari risultati a M5S.
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mercoledì 8 maggio 2019
martedì 7 maggio 2019
Non esiste più la classe dei lavoratori ma solo la classe dei consumatori
di
Paolo Ermani
30-04-2019
In nome della "classe dei lavoratori" si sono combattute grandi battaglie, si sono spesi fiumi di parole e scritti infiniti libri. Ma cosa è rimasto di quella gloriosa "classe" che doveva dare al mondo il “sol dell’avvenire”?
Ancora oggi ci sono alcuni nostalgici o sedicenti pittoreschi filosofi rimasti fermi all’Ottocento, che parlano di lotta di classe senza nemmeno rendersi conto di quanto sia inverosimile un'affermazione del genere. Forse non si sono accorti che quelli della classe che doveva cambiare il mondo, in gran parte erano e sono interessati esclusivamente al loro tornaconto. I nemici di classe di una volta, cioè i cosiddetti padroni, hanno capito che all’operaio, al lavoratore, bastava mettergli una televisione davanti agli occhi (oggi un cellulare nella tasca) e fargli vedere come era bello partecipare all’orgia del consumo; e la battaglia era presto vinta.
Così, i grandi valori, le grandi parole, i grandi sogni sono stati svenduti per misera paccottiglia con cui riempirsi le case. Purtroppo però, riempirsi le case di oggetti ha la non indifferente conseguenza di distruggere l’ambiente, che mai avrebbe potuto essere così tanto devastato se non avesse avuto i fedelissimi servitori dei padroni che, obbedendo ai loro ordini, hanno anteposto sempre il posto di lavoro, cioè i soldi, addirittura alla loro stessa salute e all’ambiente che li circonda.
Itanti obbedienti esecutori, a qualsiasi rivendicazione di chi ha a cuore salute e ambiente hanno sempre risposto con ferocia, facendo assieme ai loro sindacati i migliori cani da guardia di quei padroni stessi che un giorno ormai lontanissimo erano appunto il nemico di classe. Basti pensare alla TAV in Val di Susa, dove il sindacato è ovviamente compatto nella distruzione del territorio in cambio dei famosi posti di lavoro. Come se per creare lavoro si dovesse sempre e comunque sacrificare salute e ambiente, mentre invece è ormai ampiamente dimostrato l‘esatto contrario.
La regia di questa scellerata involuzione l’hanno assunta gli intellettuali, gli scrittori, i giornalisti e ovviamente i rappresentanti politici dei lavoratori che si sono attivati alacremente per utilizzare quelle masse esclusivamente per i propri interessi portandoli alla fine a difendere e servire proprio quel potere che anticamente era la controparte.
Sono innumerevoli i giornalisti, gli intellettuali, gli scrittori, i politici che hanno le loro radici e la loro formazione culturale di “sinistra” e che oggi sono diventati fra i peggiori e più convinti sostenitori di partiti e datori di lavoro che hanno il solo Dio Denaro come stella polare. Nei curriculum di questi personaggi è quasi sempre sicura la frequentazione passata di giornali e pubblicazioni “comuniste”, le gesta di passate battaglie di gioventù, il tutto svenduto per quattrini, carriere e posti sicuri. Gli ex contestatori sono diventati formidabili menti di venditori, utilizzando la loro cultura e creatività a favore della vendita di milioni di prodotti superflui che fanno guadagnare il padrone e sbavare il servo.
Così, grazie a questa allegra compagnia fatta di padroni e loro servitori, come sempre le vittime sono l’ambiente, la salute mentale e fisica delle persone stesse. Ed è importante ribadire che qui non si sta parlando della sopravvivenza, cioè non si sta parlando del lavoratore costretto a prostituirsi per poter sopravvivere, perché il lavoratore/consumatore non sopravvive ma spreca.
Il consumatore vive in una società in cui l’opulenza e il buttare i soldi in ogni modo è a livelli vergognosi. Così vergognosi che se c’è qualcuno che viene da chissà dove a mendicare briciole, le stesse ex classi lavoratrici e operaie, laddove ieri votavano i partiti di sinistra, oggi si schierano con il peggiore razzismo che invoca la cacciata con ogni mezzo di qualsiasi eventuale intruso nell’orgia quotidiana di spreco assoluto. Spreco vomitevole di soldi, di cibo, di energia, di acqua. E nessuno spiega, tantomeno i partiti dell’ex classe lavoratrice che si considerano di sinistra, che la strategia in atto è una guerra fra simili dove vince chi dall’alto muove i fili e fa ballare i burattini. Questa mutazione genetica dei lavoratori a forma di dollaro-euro e loro pseudo rappresentanti politici, intellettuali, giornalisti, ecc. ha avuto e ha come risultato il fatto che esiste una sola e unica classe a cui ogni lavoratore (operaio o meno che sia) tende, cioè quella dei consumatori, dove non esiste nient’altro che il guadagno, l’acquisto e l’accumulo in un mondo ridotto a discarica. E dove non possono esserci valori in chi considera il mondo una cloaca e i suoi simili persone da ingannare sempre e comunque nella lotta per arraffare, mentre dall’alto se la ridono abbondantemente vedendo i presunti poveri che non assaltano i panifici ma i negozi di elettrodomestici o quelli di abbigliamento di marca.
Solamente una coscienza senza classi che salvaguardi il nostro pianeta e i nostri simili ci può dare un vero sole dell’avvenire, un domani in cui vivere.
Preso da: http://www.ilcambiamento.it/articoli/non-esiste-piu-la-classe-dei-lavoratori-ma-solo-la-classe-dei-consumatori
lunedì 6 maggio 2019
In Libia, non ci si può fidare degli Italiani
28 aprile 2019
Era Marzo di tre anni fa, e l’ambasciatore americano a Roma Philipps sosteneva che l’Italia dovesse inviare 5000 uomini in Libia. Gli Stati Uniti d’America ci chiedevano, senza troppi giri di parole, di prendere il comando militare di una missione di stabilizzazione in Libia, boots on the ground e cartucciere piene, pronti a sparare. Come descrisse magistralmente Mario Sechi in questo articolo, l’Italia aveva una voglia matta di protagonismo in Libia e Renzi aveva il petto gonfio per via dell’endorsement di Obama. Come succede spesso, però, il nostro paese si è tirato subito indietro, un po’ perchè mandare 5000 uomini costava troppo ed un po’ per motivi di PR. Della serie: non ci si può fidare di questi italiani.
Era Marzo di tre anni fa, e l’ambasciatore americano a Roma Philipps sosteneva che l’Italia dovesse inviare 5000 uomini in Libia. Gli Stati Uniti d’America ci chiedevano, senza troppi giri di parole, di prendere il comando militare di una missione di stabilizzazione in Libia, boots on the ground e cartucciere piene, pronti a sparare. Come descrisse magistralmente Mario Sechi in questo articolo, l’Italia aveva una voglia matta di protagonismo in Libia e Renzi aveva il petto gonfio per via dell’endorsement di Obama. Come succede spesso, però, il nostro paese si è tirato subito indietro, un po’ perchè mandare 5000 uomini costava troppo ed un po’ per motivi di PR. Della serie: non ci si può fidare di questi italiani.
domenica 5 maggio 2019
Obiettivo vitale per il nostro futuro: costruire una rete per il “NATO EXIT”
Global Research, April 24, 2019
ilmanifesto.it 19 April 2019
Qual è stato il risultato del Convegno internazionale “I 70 anni
della NATO: quale bilancio storico? Uscire dal sistema di guerra, ora”,
svoltosi a Firenze il 7 aprile 2019. Manlio Dinucci ne parla con Michel
Chossudovsky. Berenice Galli presenta una video-sintesi della giornata.
Nota: nel corso di quest’anno, la NATO effettua 310 esercitazioni militari, quasi tutte contro la Russia.
Con la Nato dal welfare al warfare»
70 anni di Nato. Intervista a Michel Chossudovsky sui 70 anni della Nato: «Non è un’Alleanza, comandano gli Usa, vogliono più spesa militare in tutta Europa, pronti a nuovi conflitti armati, anche nucleari»
Al convegno internazionale «I 70 anni della Nato: quale bilancio storico? Uscire dal sistema di guerra, ora», svoltosi a Firenze la scorsa settimana – più di 600 i partecipanti dall’Italia e dall’Europa -, ha partecipato quale principale relatore Michel Chossudovsky, direttore di Global Research, il centro di ricerca sulla globalizzazione (Canada), copromotore del Convegno insieme al Comitato No Guerra No Nato e ad altre associazioni italiane. A Michel Chossudovsky – uno dei massimi esperti internazionali di economia e geopolitica, collaboratore dell’Enciclopedia Britannica, autore di 11 libri pubblicati in oltre 20 lingue – abbiamo rivolto alcune domande.
Di Manlio Dinucci
Nota: nel corso di quest’anno, la NATO effettua 310 esercitazioni militari, quasi tutte contro la Russia.
Con la Nato dal welfare al warfare»
70 anni di Nato. Intervista a Michel Chossudovsky sui 70 anni della Nato: «Non è un’Alleanza, comandano gli Usa, vogliono più spesa militare in tutta Europa, pronti a nuovi conflitti armati, anche nucleari»
Al convegno internazionale «I 70 anni della Nato: quale bilancio storico? Uscire dal sistema di guerra, ora», svoltosi a Firenze la scorsa settimana – più di 600 i partecipanti dall’Italia e dall’Europa -, ha partecipato quale principale relatore Michel Chossudovsky, direttore di Global Research, il centro di ricerca sulla globalizzazione (Canada), copromotore del Convegno insieme al Comitato No Guerra No Nato e ad altre associazioni italiane. A Michel Chossudovsky – uno dei massimi esperti internazionali di economia e geopolitica, collaboratore dell’Enciclopedia Britannica, autore di 11 libri pubblicati in oltre 20 lingue – abbiamo rivolto alcune domande.
Di Manlio Dinucci
sabato 4 maggio 2019
La strategia del caos guidato
di
Manlio Dinucci
Come un
rullo compressore, Stati Uniti e Nato estendono al mondo la strategia
Rumsfeld/Cebrowski di demolizione delle strutture statali dei Paesi non
integrati nella globalizzazione economica. Per farlo strumentalizzano
gli europei, convincendoli dell’esistenza una presunta “minaccia russa” e
rischiando di scatenare una guerra generale.
Rete Voltaire
| Roma (Italia)
français Português română Español English Nederlands Türkçe
- Il presidente rumeno Klaus Iohannis dichiara aperte le manovre NATO “Scudo del mare 2019”.
venerdì 3 maggio 2019
Contro-celebrazione a Firenze del 70° della Nato
di
Manlio Dinucci
I
dirigenti politici si sono riuniti per il 70° anniversario della NATO.
Contemporaneamente il presidente Trump, che non ha preso parte alla
celebrazione, proponeva a Cina e Russia un disarmo nucleare parziale,
nonostante il parere contrario dell’Alleanza. Nello stesso tempo, alcuni
militanti per la pace chiedevano l’uscita dalla NATO; una posizione
paradossalmente vicina a quella di Trump.
Rete Voltaire
| Roma (Italia)
Il 70° anniversario della Alleanza atlantica è stato
celebrato dai 29 ministri degli Esteri riuniti non nel quartier
generale della Nato a Bruxelles, ma in quello del Dipartimento di Stato a
Washington.
Maestro di cerimonie il Segretario generale della Nato Jens
Stoltenberg, che si è limitato ad annunciare il discorso di apertura
pronunciato dal segretario di Stato Michael Pompeo. La Nato – spiega il
Dipartimento di Stato – è importante perché, «grazie ad essa, gli Stati
uniti possono meglio affrontare, militarmente e politicamente, le
minacce globali ai loro interessi: la Nato rimane fondamentale per le
operazioni militari statunitensi nella regione transatlantica (cioè in
Europa) e in altre regioni strategicamente critiche, come il Medio
Oriente e l’Asia Meridionale».giovedì 2 maggio 2019
"Senza disinformazione, la NATO crollerebbe"
di
Manlio Dinucci
Michel
Chossudovsky trae le conclusioni del colloquio internazionale tenutosi a
Firenze in occasione dell’anniversario della NATO, sottolineando come
l’opinione pubblica ignori la natura di questa sedicente alleanza, i
suoi reali obiettivi, il suo funzionamento nonché i suoi crimini.
Rete Voltaire
| Roma (Italia)
- Da sinistra a destra: il generale Fabio Mini, interprete, Michel Chossudovsky (in piedi), Vladimir Kozyn, interprete, Giulietto Chiesa, Manlio Dinucci (in piedi).
mercoledì 1 maggio 2019
La verità sul debito italiano
ilariabifarini
Ma quando si è creato il fardello del debito pubblico italiano? Tutto parte nel 1981, in cui accade un evento epocale, che fa da spartiacque nella storia della sovranità economica italiana: il famoso divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro. Con un atto quasi univoco, cioè una semplice missiva all’allora governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi, Andreatta mette
fine alla possibilità del governo di finanziare monetariamente il
proprio disavanzo. Rimuovendo l’obbligo allora vigente da parte di
Palazzo Koch di acquistare i titoli di Stato emessi sul mercato
primario, la Banca d’Italia dismette il ruolo di prestatrice di ultima istanza. D’ora in poi, per finanziare la propria spesa pubblica, l’Italia deve attingere ai mercati finanziari privati,
con la conseguente esplosione dei tassi d’interesse rispetto a quelli
garantiti in precedenza. Ma non solo: viene rivisto il meccanismo di
collocamento dei titoli di Stato, introducendo il cosiddetto «prezzo marginale d’asta»,
che consente agli operatori finanziari di aggiudicarsi i titoli al
prezzo più basso tra quelli offerti e, quindi, al tasso di interesse più
alto. Ad esempio, se durante un’emissione di 50 miliardi di Btp, 40
vengono aggiudicati a un rendimento del 3%, mentre il restante al 5%,
alla fine tutti i 50 miliardi saranno aggiudicati al 5%!
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