di
Sean Gervasi
Praga, 13-14 gennaio 1996
Praga, 13-14 gennaio 1996
Introduzione
L'organizzazione del Trattato del Nord Atlantico ha
mandato recentemente in Jugoslavia una ingente forza militare per imporre
l'accordo raggiunto a Dayton, Ohio, alla fine del 1995 sulla guerra in Bosnia.
Le forze impiegate sono valutate nell'ordine dei 6 0.000 uomini, equipaggiati
con carri armati, blindati e artiglieria. Le truppe di terra sono sostenute da
un formidabile schieramento aereo e navale. In effetti, se si considera il
totale delle forze di appoggio impegnate, comprese quelle dislocate nei paesi
vicini, si vede che vengono impegnati almeno 200.000 uomini. Sono cifre
confermate da fonti della difesa USA (1).
Da qualsiasi punto di vista lo si voglia
considerare, l'invio di ingenti forze militari occidentali nell'Europa
centro-orientale e' un fatto che desta sorpresa, anche nella situazione fluida
creata dalla pretesa fine della guerra fredda. Il corpo di spedi zione nei
Balcani costituisce la prima vasta operazione militare della NATO, ed e'
un'operazione "fuori area", cioe' fuori dall'ambito geografico
originariamente stabilito per l'azione militare della NATO.
L'invio di forze NATO nei Balcani e' pero' il
risultato delle enormi pressioni per un'estensione generale della NATO verso
est. E se l'impresa jugoslava e' il primo passo concreto nell'espansione della
NATO, altri passi si prevede seguiranno in un futuro assai ravvicinato. Alcuni
paesi occidentali premono infatti perche' i paesi di Visegrad diventino membri a
pieno titolo della NATO entro la fine del secolo. Altri paesi occidentali per un
po' hanno resistito alle pressioni in favore dell'estensione, ma i recalcitranti
sono stati costretti ad accettare la pretesa necessita' di allargamento della
NATO.
Qual'e' la ragione che spinge le potenze
occidentali a premere per l'espansione della NATO? Perche' rinnovare e allargare
la NATO se la "minaccia sovietica" e' scomparsa? E' chiaro che c'e' in
gioco assai piu' di quel che appare dalle dichiarazioni uffici ali.
L'imposizione di una pace precaria in Bosnia non e' che il pretesto per mandare
le forze NATO nei Balcani.
Le ragioni che portano a dislocare forze NATO nei
Balcani e soprattutto ad estendere la NATO in tempi relativamente rapidi alla
Polonia, alla Repubblica Ceca e all'Ungheria sono assai piu' profonde. Si tratta
di ragioni legate a una scelta strategica che si sta delinenado per controllare
le risorse della regione intorno al Mar Caspio e per "stabilizzare" i
paesi dell'Europa Orientale e in ultima analisi per "stabilizzare" la
Russia e i paesi della Comunita' degli Stati Indipendenti. Si tratta, per dirla
con qualche eufemismo, di una politica estremamente ambiziosa e potenzialmente
contraddittoria. E' importante che ci si interroghi a fondo sulle ragioni che
vengono addotte per giustificarla.
Perche' l'idea di "stabilizzare" i paesi
che facevano parte del blocco socialista in Europa non significa semplicemente
assicurare la stabilita' politica di quei paesi, facendo rimanere in sella i
regimi che hanno liquidato il socialismo, ma significa far e in modo che
rimangano immutate le condizioni politiche e sociali. E poiche' la cosiddetta
transizione alla democrazia nei paesi colpiti ha prodotto un'incipiente
deindustrializzazione e un crollo del tenore di vita della maggioranza della
popolazione, e ' lecito chiedersi se un obiettivo di questo genere sia
auspicabile che venga raggiunto.
La questione e' tanto piu' pertinente dato che
nell'accezione occidentale della parola, "stabilizzazione" significa
riprodurre nei paesi dell'ex blocco socialista condizioni economiche e sociali
simili a quelle attualmente prevalenti in occidente. Le economie dei paesi
industriali dell'occidente in effetti sono in uno stato di semicollasso e, anche
se i rispettivi governi non accetterebbero mai di riconoscerlo, qualsiasi
analisi ragionevolmente obiettiva della situazione economica dell'occidente
porta a q uesta conclusione, suffragata dalle statistiche ufficiali e dalla
maggior parte degli studi prodotti dagli economisti piu' quotati.
E' chiaro inoltre che il tentativo di
"stabilizzare" i paesi dell'ex blocco socialista crea grosse tensioni
con la Russia e potenzialmente con altri paesi. Non pochi commentatori si sono
spinti fino ad affermare che le iniziative occidentali per l'allarga mento della
NATO accrescerebbero i rischi di un conflitto nucleare (2).
Basta accennare a questi problemi per vedere che
l'allargamento della NATO, iniziato di fatto in Jugoslavia e proposto per altri
paesi, si basa in larga misura su ragionamenti confusi e persino irrazionali. Si
sarebbe tentati di dire che esso e' il frutto delle paure e dell'ostinazione di
certi gruppi dirigenti. Per dirlo con schiettezza, non si vede proprio per quale
ragione il mondo dovrebbe augurarsi l'estensione forzata ad altri paesi del caos
economico e sociale che domina l'occidente, tanto piu' che si tratta di un
processo che accresce i rischi di guerra nucleare.
Questa relazione si propone di descrivere i
retroscena degli attuali tentativi di allargamento della NATO e di sollevare
alcuni interrogativi di fondo circa la logica e la sensatezza di questa
operazione.
La
NATO in Jugoslavia
La NATO fu fondata nel 1949. Lo scopo dichiarato
era proteggere l'Europa Occidentale da una possibile aggressione militare da
parte dell'Unione Sovietica e dei suoi alleati. Con la dissoluzione nel 1990 e
'91 dei regimi comunisti nell'ex blocco socialista , la possibilita' di una tale
aggressione, se mai era esistita, veniva a cadere completamente. I cambiamenti
nei paesi ex comunisti rendevano inutile la NATO. La sua ragion d'essere era
venuta meno. Ciononostante, determinati gruppi nei paesi della NATO i
ncominciarono quasi subito a premere per il "rinnovamento"
dell'organizzazione e anche per il suo allargamento all'Europa centrale e
orientale. Questi gruppi iniziatrono ad elaborare nuove idee, che consentissero
di continuare ad operare come se niente fosse.
La piu' importante fu l'idea che, nonostante tutti
cambiamenti determinati dalla fine della guerra fredda, i paesi occidentali
dovevano affrontare nuovi "problemi di sicurezza" fuori dall'ambito
geografico tradizionale della NATO, tali da giustificare il permanere
dell'organizzazione. La NATO, sostenevano gli interpreti di questo punto di
vista, doveva trovare nuovi compiti che ne giustificassero l'esistenza.
La premessa implicita era che la NATO doveva
rimanere in piedi per assicurare la leadership americana negli affari europei e
mondiali. Questa fu certo una delle ragioni che portarono al massiccio
intervento occidentale nel Kuwait e in Iraq nel '90 e '91, in cui la
partecipazione degli alleati NATO degli USA fu relativamente modesta. La
coalizione che doveva prender parte alla guerra contro l'Iraq era stata messa
insieme con grande difficolta', ma il governo degli Stati Uniti la considerava
necessaria per la credibilita' degli USA all'interno dell'Alleanza occidentale e
sulla scena mondiale.
«NATO: fuori area o fuori servizio». Questo
slogan avanzato dai primi sostenitori dell'allargamento della NATO, centrava in
modo esplicito la questione, anche se lasciava in ombra le motivazioni (3).
Anche la Jugoslavia e' stata un banco di prova e
naturalmente assai piu' importante. La crisi jugoslava era esplosa in Europa e i
paesi dell'Europa occidentale dovevano affrontarla in un modo o nell'altro. La
Germania e gli Stati Uniti pero', che sembrava no auspicare la fine delle guerre
civili in Jugoslavia, nei fatti fecero quanto era in loro potere per
prolungarle, soprattutto per la guerra in Bosnia. Le loro iniziative ebbero
l'effetto di perpetuare e approfondire vieppiu' la crisi jugoslava
E' importante osservare che la NATO ha cercato di
inserirsi nella crisi jugoslava fin dall'inizio. L'intervento divenne del tutto
manifesto nel 1993, quando la NATO incomincio' ad appoggiare le operazioni dell'UNPROFOR
in Jugoslavia, soprattutto con il blocco contro la Repubblica Federale di
Jugoslavia e l'imposizione di una zona di interdizione dei voli nello spazio
aereo bosniaco.
L'intervento tuttavia ha inizi assai meno
appariscenti e bisogna ricordare che la NATO in quanto tale fu implicata nella
guerra in Bosnia gia' nei suoi primissimi stadi. Nel 1992, la NATO aveva inviato
in Bosnia-Erzegovina un gruppo di circa 100 ef fettivi col compito di
organizzare un centro militare a Kiseljak, non lontano da Sarajevo. La missione
ufficiale era appoggiare le forze ONU in Bosnia.
Si capiva benissimo pero' che la missione aveva un
altro scopo. Ecco come un diplomatico della NATO descriveva all'epoca
quell'operazione a «Intelligence Digest»:
«Si tratta di un primo passo assai cauto e stiamo
cercando di non fare troppo rumore, ma potrebbe essere l'inizio di qualcosa di
assai piu' grosso... Si potrebbe dire che adesso la NATO ha messo un piede nella
porta. Non sappiamo se potremo apri rla quella porta, ma abbiamo incominciato»
(4).
E' evidente che i comandi NATO stavano gia'
anticipando la possibilita' che le resistenze alle pressioni USA e tedesche
fossero superate e che l'impegno della NATO in Jugoslavia venisse gradualmente
accresciuto.
La NATO dunque ha incominciato a lavorare per una
vasta operazione "fuori area" praticamente fin dall'inizio della
guerra in Bosnia-Erzegovina. La dislocazione recente di decine di migliaia di
soldati in Bosnia, Austria, Ungheria, Croazia e Serbia non e' che il culmine di
un processo iniziato quasi quattro ani fa. Altro che proposte e conferenze. Il
vero problema era concepire un'operazione che, con l'appoggio di alcuni paesi
chiave, portasse alla fine all'impegno attivo della NATO "fuori area",
rinnovando in questo modo l'organizzazione.
L'espansione
della NATO verso Est
La NATO non ha prodotto studi ufficiali
sull'allargamento dell'alleanza fino a una fase assai recente, quando e' stata
pubblicata la relazione del Gruppo di Lavoro sull'Allargamento della NATO.
Sicuramenti ci sono stati studi di carattere riservato, ma al l'esterno nulla e'
dato sapere circa il loro contenuto.
Pur in assenza di chiare analisi pero' la macchina
per spingere in avanti la situazione lavorava a tutto vapore fin dalla fine del
1991. Alla fine di quell'ano la NATO creo' il Consiglio di Cooperazione Nord
Atlantico (NACC). I paesi membri della NATO inv itarono 9 paesi dell'Europa
centrale e orientale a entrare nel NACC per dare impulso alla cooperazione tra
le potenze della NATO e gli ex membri del Patto di Varsavia.
Si trattava di un primo passo per offrire qualcosa
ai paesi dell'Europa orientale che volevano entrare nella NATO. Il NACC pero'
non rispondeva alle aspettative di quei paesi, percio' all'inizio del '94 gli
USA lanciarono l'idea della Partnership for Peac e. La PFP dava agli stati che
volevano far parte della NATO la possibilita' di partecipare a varie attivita'
della NATO, comprese esercitazioni militari e operazioni di "peacekeeping".
Piu' di 20 paesi, compresa la Russia, fanno attualmente parte della PFP.
Molti di questi paesi vogliono arrivare allo status
di membri effettivi della NATO, ma non naturalmente la Russia, che ritiene che
la NATO non dovrebbe espandersi verso est. Secondo il Center for Defense
Information di Washington, che e' un autorevole cen tro di ricerca indipendente
sui problemi militari, la Russia parteciperebbe alla Partnership «per non
essere tagliata fuori del tutto dal sistema della sicurezza europea» (5).
Il movimento per l'allargamento della NATO ha
acquistato percio' un peso sempre crescente. La creazione del Consiglio di
Cooperazione Nord Atlantico era gia' espressione di simpatia e apertura verso i
paesi che aspiravano a divenire membri della NATO, ma non porto' molto lontano.
La creazione della Partnership for Peace era un fatto piu' concreto, perche'
coinvolgeva nella NATO paesi che avevano appartenuto al Patto di Varsavia e
iniziava una politica di "doppio binario" verso la Russia, a cui
veniva offerto un rapporto con la NATO praticamente inconsistente, che aveva
pero' lo scopo di calmare le sue apprensioni per l'espansione della NATO.
Eppure, nonostante questo incessante sviluppo, la
logica addotta a sostegno dell'espansione poggiava quasi sempre su presupposti
piuttosto vaghi. Tutto cio' porta a chiedersi quali siano le motivazioni
effettive che hanno spinto negli ultimi quattro anni per l'espansione della
NATO. La questione va posta relativamente a due aree: quella balcanica e quella
dei paesi dell'Europa centrale. I Balcani infatti sono il teatro di una lotta
importante, in particolare per la supremazia nei Balcani meridionali, in cui ora
e' coinvolta anche la NATO. Chiaramente poi alcuni paesi occidentali stanno
ritornando alle politiche della Guerra Fredda ed e' proprio questo che porta la
NATO nell'Europa centrale.
La
lotta per il controllo dei Balcani
E' dal 1990 che assistiamo all'agonia e alla lunga
crisi della Jugoslavia che ha causato decine di migliaia di morti, ha costretto
qualcosa come due milioni di persone a lasciare la propria casa e ha sconvolto
la regione balcanica. Nei paesi occidentali l 'opinione comune e' che questa
crisi, comprese le guerre civili in Croazia e Bosnia-Erzegovina, sia il
risultato di conflitti interni jugoslavi, in particolare tra Croati, Serbi e
musulmani Bosniaci. Ma questa spiegazione e' ben lungi dal cogliere l'essen za
del problema.
Sin dall'inizio il problema principale in
Jugoslavia e' stato l'intervento straniero nelle affari interni del paese. Due
potenze occidentali, gli Stati Uniti e la Germania, hanno deliberatamente
indirizzato i loro sforzi a destabilizzare e smantellare il paese. Il processo,
gia' in pieno svolgimento negli anni '80, (6) e' stato ulteriormente accelerato
all'inizio dell'attuale decennio. Le due potenze hanno accuratamente
pianificato, preparato e assistito le secessioni che hanno mandato in pezzi la
Jugosl avia e hanno fatto il possibile per allargare e prolungare le guerre
civili iniziate in Croazia e continuate poi in Bosnia Erzegovina. Dietro le
quinte il loro coinvolgimento non e' mai venuto meno in nessuna delle fasi della
crisi.
L'intervento straniero doveva servire a creare
quegli stessi conflitti che le potenze occidentali tanto deprecavano perche'
quei conflitti, una volta innescate le guerre civili, fornivano i migliori
pretesti per intervenire apertamente.
Le affermazioni di questo tipo, naturalmente, sono
accolte con sdegno nei paesi occidentali. Ma cio' avviene solo perche'
l'opinione pubblica occidentale e' stata sistematicamente disinformata dalla
propoganda di guerra e ha accettato praticamente fin dal primo momento la
versione dei fatti fornita dai governi e diffusa dai mass media. Rimane il fatto
inoppugnabile che la Germania e gli USA sono stati i principali responsabili
dello smantellamento della Jugoslavia e della diffusione del caos nel paese.
Si tratta di un fatto terribile che segna la nuova
fase di real-politik e di lotte per l'egemonia seguita all'ordine della Guerra
Fredda. Recentemente alcune fonti dei servizi segreti hanno incominciato ad
accennare a questi fatti in maniera sorprenden temente chiara. Nell'estate del
'95, per esempio, un'autorevole rivista pubblicata in Inghilterra, l' «Intelligence
Digest» riferiva che: «Il disegno originale tedesco-americano per la ex
Jugoslavia [prevedeva] una Bosnia-Erzegovina indipendente dominata dai musulmani
e dai croati, alleata a una Croazia indipendente accanto a una Serbia fortemente
indebolita» (6).
Non c'e' alto funzionario della maggior parte dei
governi occidentali che non sappia che questa descrizione e' assolutamente
esatta. Naturalmente questo vuol dire che i discorsi correnti sulla «aggressione
serba» come causa scatenante di tutti i problemi o sulla «nuova democrazia»
croata non sono solo falsi, ma sono fatti apposta per trarre in inganno.
Ma perche'? Che ragione avevano i mass media di
cercare di ingannare l'opinione pubblica occidentale? Certo, l'intervento
flagrante e su larga scala negli affari jugoslavi doveva essere nascosto agli
occhi del pubblico. Ma questa non era la sola ragione. Il fatto e' che la gente
si sarebbe chiesta come mai la Germania e gli stati Uniti stessero
deliberatamente cercando di creare il caos nei Balcani e inevitabilmente avrebbe
voluto conoscere le ragioni di quelle iniziative. Ma queste dovevano essere
tenute nascoste con piu' cura delle attivita' disgregatrici delle grandi
potenze.
In sostanza, il problema vero stava nei piani
estremamente ambiziosi degli stati Uniti per tutto il continente europeo. Gli
Stati Uniti si considerano, come vien detto ormai senza nessuna reticenza, «una
potenza europea». Negli anni '80 un'affe rmazione di questo genere non avrebbe
potuto esser fatta con altrettanta facilita', perche' avrebbe sollevato troppi
dissensi tra gli alleati occidentali, ma la spinta a stabilire il dominio
americano in Europa era comunque un dato di fatto e gli Stati Un iti stavano
gia' preparando quello che oggi e' di dominio comune.
Di recente Richard Holbrook, vicesegretario di
stato per gli affari europei, scrivendo sull'influente rivista «Foreign Affairs»,
ha reso esplicita la posizione ufficiale. Nell'articolo Holbrook non si limita a
parlare degli Stati Uniti come "pot enza europea", ma delinea i piani
ambiziosi del suo governo per l'insieme del continente europeo. Riferendosi al
sistema di sicurezza collettiva, comprendente la NATO, creato dagli Stati Uniti
e dai loro alleati dopo la seconda guerra mondiale, Egli scriv e: «Questa volta
gli Stati Uniti devono esercitare la loro leadership per creare un'architettura
di sicurezza che comprenda e percio' stabilizza tutta l'Europa - quella
occidentale, gli ex satelliti sovietici dell'Europa centrale e, cosa piu' diffic
ile, la Russia e le ex repubbliche sovietiche» (7).
Insomma adesso e' la politica ufficiale: bisogna
puntare all'integrazione di tutto il continente europeo in un sistema politico
ed economico occidentale, e farlo mediante l'esercizio della leadership
americana. Questo non e' che un modo gentile e fuorvian te di parlare
dell'incorporazione degli ex paesi socialisti in un nuovo vasto impero (8).
Non c'e' da stupirsi se il resto dell'articolo di
Holbrook parla della necessita' di allargare la NATO, soprattutto nell'Europa
centrale, per garantire la "stabilita'" di tutto il continente
europeo. Per Holbrook «l'allargamento della NATO e' una conseguenza essenziale
della caduta della Cortina di Ferro» (9).
Dietro i ripetuti interventi nella crisi jugoslava
ci sono dunque i piani strategici a lungo termine per tutto il continente
europeo.
Nel quadro dell'evoluzione di queste linee
strategiche, la Germania e gli Stati Uniti dapprima decisero di dar vita nei
Balcani a un nuovo ordine basato sull'organizzazione di mercato delle economie e
sulla democrazia parlamentare. L'obiettivo era la liqu idazione definitiva del
socialismo nei Balcani (10). La posizione ufficiale era che, incoraggiando
dichiarazioni di indipendenza come quella croata, si voleva "far crescere
la democrazia". La realo'ta' era quella di un complotto per dividere l'area
balcan ica in staterelli minuscoli e vulnerabili. Sotto la maschera della
"promozione della democrazia" veniva in realta' aperta la strada alla
ricolonizzazione dei Balcani.
Col 1990 la maggior parte dei paesi dell'Europa
orientale si era piegata alle pressioni occidentali per avviare quelle che, con
espressione assai fuorviante, venivano definite "riforme". Alcuni
aveva accettato interamente le condizioni poste dagli occiden tali per gli aiuti
e il commercio. Altri, e in particolare la Bulgaria e la Romania, le avevano
accettate solo parzialmente.
In Jugoslavia pero' c'era una certa resistenza. Le
elezioni del 1990 in Serbia e Montenegro avevano mantenuto al potere un partito
socialista o socialdemocratico. Il governo della Federazione restava pertanto
nelle mani di politici che, pur cedendo di vol ta in volta alle pressioni per le
"riforme", si opponevano pero' alla ricolonizzazione dei Balcani. E
molti di loro si opponevano alla frammentazione della Jugoslavia. La terza
Jugoslavia, formata nella primavera del 1992, disponeva di una base industrial e
e di un grosso esercito: per questo il paese doveva essere distrutto.
Dal punto di vista tedesco, questa non era altro
che la continuazione di una politica portata avanti gia' dal Kaiser e poi dai
nazisti.
Una volta disintegrata e gettata nel caos la
Jugoslavia, si poteva incominciare a riorganizzare questa area centrale dei
Balcani. La Slovenia, la Croazia e la Bosnia-Erzegovina dovevano entrare nella
sfera di interessi tedesca. La Germania otteneva l'acce sso al mare
sull'Adriatico e in prospettiva, se si fosse riusciti a piegare totalmente i
Serbi, al nuovo canale Reno-Danubio, una via d'acqua che puo' trasportare navi
da 3.000 tonnellate dal Mare del Nord al Mar Nero. Le parti meridionali della
Jugoslavi a dovevano cadere in una sfera di interessi americana. La Macedonia,
che controlla gli unici valichi tra est e ovest e tra nord e sud nelle montagne
dei Balcani doveva essere il centro di una regione americana. Ma la sfera
americana doveva includere anche l'Albania e, se si fosse riusciti a strappare
quelle regioni alla Serbia, anche il Sangiaccato e il Kosovo. Alcuni esperti
americani hanno parlato anche dell'emergere eventuale di una Grande Albania
sotto tutela USA e turca, comprendente una serie di sta terelli musulmani,
compresa se possibile la Bosnia-Erzegovina, con accesso all'Adriatico.
Non c'e' da stupirsi se la Germania e gli USA, pur
avendo lavorato di concerto per la disintegrazione della Jugoslavia, sono ora in
competizione per il controllo di varie parti del paese, specialmente la Croazia
e la Bosnia-Erzegovina. In effetti in tutta l'area balcanica c'e' un grosso
scontro per l'influenza e i vantaggi commerciali (11). I contendenti principali
sono la Germania e gli Stati Uniti, le due potenze responsabili della
disintegrazione della Jugoslavia. Alla corsa partecipano pero' anche imp ortanti
societa' e banche di altri paesi europei. La situazione e' simile a quella
creata in Cecoslovacchia dall'accordo di Monaco del 1938, raggiunto per
dividersi le spoglie in modo da evitare scontri che avrebbero condotto
immediatamente alla guerra.
La
nuova «Grande Partita» nel Mar Caspio
La Jugoslavia e' importante non solo per la
posizione che occupa sulla carta geografica, ma anche per le regioni a cui
consente l'accesso. Influenti analisti americani la considerano adiacente a
un'area di interesse vitale per gli USA, quella del Mar Nero e del Caspio.
Questa potrebbe essere la vera ragione della
presenza NATO in Jugoslavia.
Gli Stati Uniti stanno cercando attualmente di
consolidare un nuovo blocco di paesi tra l'Europa e il Medio Oriente e si
presentano come leader di un gruppo informale di paesi musulmani che vanno dal
Golfo Persico ai Balcani. Questo gruppo comprende la Tu rchia, che e' di
importanza cruciale nel nuovo blocco emergente. La Turchia fa parte della
regione balcanica meridionale ed e' una potenza dell'Egeo, ma confina anche con
l'Iraq, l'Iran e la Siria, unendo cosi' l'Europa meridionale e il Medio Oriente,
dov e gli USA ritengono di avere interessi vitali.
Gli USA sperano di allargare questa alleanza
informale di stati musulmani del Medio Oriente e dell'Europa meridionale fino a
comprendere alcuni dei nuovi paesi del margine meridionale dell'ex Unione
Sovietica.
Non e' difficile capirne le ragioni. Gli USA si
sentono impegnati in una nuova competizione per il controllo delle risorse
mondiali, in cui il petrolio riveste particolare importanza. Con la guerra
contro l'Iraq, gli USA si sono insediati piu' forti che m ai nel Medio Oriente.
La disintegrazione quasi simultanea dell'Unione Sovietica ha aperto le porte
allo sfruttamento occidentale delle risorse petrolifere della regione del Mar
Caspio.
Si tratta di una regione assai ricca di petrolio e
di gas. Alcuni esperti occidentali ritengono che potrebbe avere per l'occidente
un'importanza pari a quella del Golfo Persico.
Paesi come il Kazakistan dispongono di riserve
petrolifere enormi, probabilmente piu' di 9 miliardi di barili. Si ritiene che
il Kazakistan possa estrarre 700.000 barili al giorno. Come per altri paesi
dell'area, il problema, dal punto di vista dei paesi occidentali, e' far
viaggiare il petrolio e i gas verso l'occidente per vie sicure. E non e' solo un
problema tecnico, ma anche politico.
Per gli Stati Uniti e per altri paesi occidentali
nella situazione attuale mantenere buoni rapporti con paesi come il Kazakistan
e' di importanza cruciale. Soprattutto quello che piu' importa e' la certezza
che i diritti acquisiti per l'estrazione del pet rolio o per la costruzione
degli oleodotti per trasportarlo verranno comunque rispettati, perche' le somme
che si prospettano per gli investimenti nella regione sono enormi.
Insomma le imprese occidentali, le banche, le
societa' proprietarie degli oleodotti, vogliono avere la certezza che la regione
sia "politicamente stabile", che non ci siano cio' in futuro
cambiamenti politici che possano minacciare i loro nuovi o potenzia li
interessi.
Recentemente un importante articolo del «New York
Times» forniva il quadro di quella che viene definita la nuova «grande partita»
nella regione facendo un'analogia con la contesa tra Russia e Gran Bretagna alla
frontiera nordoccidental e del suncontinente indiano nel XIX secolo. Gli autori
dell'articolo scrivevano che: «Adesso, negli anni post guerra fredda, gli Stati
Uniti stanno nuovamente assumendo il controllo dell'impero di un ex nemico. La
disintegrazione dell'Unione Sovietica ha indotto gli Stati Uniti ad allargare
l'area della loro egemonia militare nel l'Europa orientale (tramite la NATO) e
nella gia' neutrale Jugoslavia, e - cio' che piu' conta - ha consentito
all'America di impegnarsi piu' a fondo nel Medio Oriente» (12).
Naturalmente le ragioni che hanno spinto i leaders
occidentali in direzione dell'allargamento della NATO sono piu' d'una, ma una
ragione importante e' chiaramente di carattere economico.
La cosa appare in piena evidenza se si guarda piu'
attentamente al parallelismo tra lo sviluppo dello sfruttamento commerciale
nella regione del Mar Caspio e la penetrazione della NATO nei Balcani.
Il 22 maggio del 1992 la NATO rilasciava una
dichiarazione davvero stupefacente riguardo ai combattimenti allora in corso
nella Transcaucasia. In essa si diceva. «Gli alleati esprimono grave
preoccupazione per il perdurare del conflitto e le perdite di vite umane. Il
problema del Nagorno Karabak, con le tendioni che ha prodotto tra l'Armenia e l'Azerbaijan,
non puo' essere risolto mediante la forza. Quals iasi azione contro l'integrita'
territoriale dell'Azerbaijan o di qualunque altro stato, o mirante al
raggiungimento di obiettivi politici con l'uso della forza, rappresenterebbe una
violazione flagrante e inaccettabile del diritto internazionale. In part icolare
noi [la NATO] non potremmo accettare che lo status riconosciuto del Nagorno
Karabak o del Nakicevan venga cambiato unilateralmente con la forza» (13).
Si tratta di una dichiarazione notevole da tutti i
punti di vista, dato che di fatto la NATO faceva una velata minaccia di prendere
"misure" adeguate a impedire iniziative dei governi della regione del
Mar Caspio supposte lesive degli interessi occidenta li.
Due giorni prima che la NATO rilasciasse questa
dichiarazione d'interessamento per le questioni transcaucasiche, una societa'
petrolifera americana, la Chevron, aveva firmato un accordo col governo del
Kazakistan per lo sfruttamento dei giacimenti petrol iferi di Tengiz e Korolev
nella parte occidentale del paese. I negoziati per questo accordo erano andati
avanti per due anni prima della firma e, come riferiscono fonti attendibili, si
era corso il rischio di rottura perche' la Chevron temeva l'instabilit a'
politica nella regione (14).
All'epoca della dichiarazione, comunque, la NATO
avrebbe avuto ben scarse possibilita' di dar seguito ai suoi moniti. In primo
luogo perche' non esisteva alcun precedente di interventi NATO su vasta scala
fuori area e, in secondo luogo, perche' le forze N ATO erano assai lontane dalla
Transcaucasia. Basta uno sguardo alla carta dei Balcani, del Mar Nero e del Mar
Caspio per capire che la situazione sta cambiando.
Il
passo successivo: la "stabilizzazione" dell'est
La pressione attuale per l'allargamento della NATO
nell'Europa centrale e orientale si inserisce nei tentativi di dar vita al
preteso "nuovo ordine mondiale" e costituisce il complemento
politico-militare delle politiche economiche avviate dalle maggiori potenze
occidentali allo scopo di trasformare le societa' dell'Europa centrale e
orientale.
Gli Stati Uniti, la Germania e alcuni loro alleati
cercano di costruire intorno all'economia del bacino nordatlantico un sistema
veramente globale. A dire il vero, il tipo di ordine che vogliono imporre non
presenta grandi novita': esso dovra' basarsi sul le istituzioni del capitalismo.
Il fatto nuovo e' il tentativo di estendere "il vecchio ordine" ai
vasti territori gettati nel caos in seguito alla disintegrazione del comunismo e
di incorporarvi paesi che in precedenza non ne avevano fatto pienamente par te.
Insomma, stanno cercando di creare un sistema
capitalista funzionante in paesi che per decenni hanno vissuto in regime
socialista o che, come nel caso dell'Angola, hanno provato a liberarsi dal
sistema capitalista.
Visto che vogliono costruire un "nuovo ordine
mondiale", le potenze occidentali devono anche pensare a come difenderlo.
Da qui nasce l'idea di estendere il controllo militare alle nuove regioni
europee che cercano di agganciare al bacino nord atlantico e quindi il ruolo che
la NATO dovrebbe assumere nel nuovo ordine europeo.
I due maggiori architetti della futura nuova Europa
capitalista integrata, sono gli USA e la Germania, che lavorano con un
coordinamento particolarmente stretto sulle questioni dell'est europeo e hanno
formato di fatto una stretta alleanza, nell'ambito de lla quale gli USA si
aspettano la collaborazione tedesca nella gestione degli affari non solo
dell'Europa occidentale ma anche di quella orientale. Per usare le parole di
George Bush a Mainz nel 1989, la Germania e' «associata nell'esercizio della
leadership».
Questa stretta collaborazione lega gli USA al punto
di vista tedesco su quella che gli esperti tedeschi e americani chiamano ora
Europa centrale. E' un punto di vista che prevede: 1) l'espansione dell'Unione
Europea verso est; 2) una leadership tedesca in Europa; e 3) una nuova divisione
del lavoro in Europa.
Proprio l'idea di una nuova divisione del lavoro in
Europa riveste particolare importanza. Nella visione tedesca, l'Europa in futuro
sara' organizzata in cerchi concentrici intorno a un centro costituito dalla
Germania. Il centro sara' la regione piu' svi luppata da tutti i punti di vista:
sara' la piu' avanzata tecnologicamente e la piu' ricca; avra' i livelli
salariali piu' alti e i redditi pro capite maggiori; si dedichera'
esclusivamente alle attivita' economiche piu' profittevoli, quelle che la pongon
o in posizione di comando del sistema. La Germania si occupera' percio' di
pianificazione industriale, progettazione, sviluppo tecnologico, ecc., di tutte
le attivita' insomma di programmazione e coordinamento dell'economia delle altre
regioni.
Via via che ci si allontana dal centro, i vari
cerchi concentrici avranno livelli di sviluppo, ricchezza e redditi piu' bassi.
L'anello immediatamente adiacente la Germania dovrebbe essere caratterizzato da
molteplici attivita' produttive e di servizio ad elevato profitto e
comprenderebbe parte della Gran Bretagna, la Francia, il Belgio, l'Olanda e
l'Italia settentrionale. Il livello generale del reddito vi sarebbe alto, ma
inferiore a quello tedesco. L'anello successivo comprenderebbe le parti piu'
pover e dell'Europa occidentale e parti dell'Europa orientale, con alcune
produzioni, assemblaggio, produzioni alimentari. I livelli stipendiali e
salariali vi sarebbero considerevolmente piu' bassi che al centro.
Inutile dire che in questo schema la maggior parte
delle regioni dell'Europa orientale apparterrebbero a un anello periferico.
L'Europa orientale sarebbe tributaria del centro. Produrrebbe alcuni generi di
merci, ma non primariamente per il proprio consum o. Una parte considerevole
della produzione, con el materie prime e anche i generi alimentari, verrebbe
destinata all'estero. Anche l'industria pagherebbe inoltre stipendi e salari
bassi e il livello generale di stipendi e salari, e dunque dei redditi, sa rebbe
piu' basso che in passato.
Insomma, nel nuovo sistema integrato la maggior
parte dell'Europa orientale sara' piu' povera di quanto non sarebbe stata se i
paesi dell'Europa orientale avessero potuto decidere autonomamente quale tipo di
sviluppo perseguire. Il solo sviluppo perseguib ile in societa' esposte alla
potente penetrazione del capitale estero e bloccate dalle regole del Fondo
Monetario Internazionale e' lo sviluppo dipendente.
Cio' vale anche per la Russia e gli altri paesi
della Comunita' degli Stati Indipendenti. Anch'essi diverrebbero tributari del
centro e la Riussia non avrebbe nessuna possibilita' di perseguire una via di
sviluppo indipendente. In Russia rimarranno benint eso alcune produzioni
industriali, ma senza la minima possibilita' di uno sviluppo industriale
equilibrato, perche' le priorita' dello sviluppo saranno dettate sempre piu'
dall'esterno. Le societa' occidentali, come dimostrano i dati sugli investimenti
es teri, non hanno nessun interesse a promuovere lo sviluppo industriale della
Russia.
L'interesse principale dell'occidente nella
Comunita' degli Stati Indipendenti sta nello sfruttamento delle sue risorse. La
disintegrazione dell'Unione Sovietica ha rappresentato un passaggio decisivo per
aprire le possibilita' di un tale sfruttamento, pe rche' le repubbliche ex
sovietiche, una volta indipendenti sono divenute assai piu' vulnerabili. Le
societa' occidentali, inoltre, non hanno interesse a sviluppare le risorse della
CSI per l'uso locale, ma sono interessate alle esportazioni verso occident e.
Cio' vale in particolare per il gas e il petrolio. Buona parte dei benefici
delle esportazioni di materie prime andrebbero percio' ad arricchire paesi
stranieri. Gran parte dell'ex Unione Sovietica si verra' percio' quasi
sicuramente a trovare in una s ituazione simile a quella dei paesi del terzo
mondo.
La Germania dunque, coll'appoggio degli Stati
Uniti, punta a una razionalizzazione capitalista di tutta l'economia europea
intorno a un potente nucleo tedesco. La crescita e gli alti livelli di ricchezza
del nucleo devono essere sostenuti dalle attivita' subordinate della periferia.
La periferia deve produrre generi alimentari, materie prime e prodotti
industriali per l'esportazione verso il nucleo e i mercati d'oltremare. L'Europa
del futuro, se la si paragona all'Europa, tanto occidentale che orientale, degli
anni '80, dovra' essere ristrutturata da cima a fondo, con livelli di sviluppo
sempre piu' bassi via via che ci si allontana dal centro tedesco.
Gran parte dell'Europa orientale e dell'ex Unione
Sovietica e' dunque destianata a rimanere un'area permanentemente arretrata o
relativamente sottosviluppata. Realizzare la nuova divisione del lavoro in
Europa significa vincolare per sempre queste regioni a una condizione di
arretratezza economica.
Per l'Europa orientale e per i paesi della CSI la
creazione di un'Europa "integrta" in un quadro capitalista comporta
dunque un'ampia ristrutturazione. Questa ristrutturazione puo' risultare assai
vantaggiosa per la Germania e per gli USA, ma per le parti dell'Europa che
verranno collegate all'occidente significhera' una retrocessione.
La natura dei cambiamenti in corso e' gia' stata
prefigurata dagli effetti delle "riforme" attuate in Russia dai primi
anni '90. Naturalmente si e' detto che quelle riforme avrebbero finito per
portare la prosperita'. Ma questa era un'affermazione falsa f in dal principio,
perche' le "riforme" attuate su insistenza occidentale non erano
nient'altro cge le solite ristrutturazioni imposte dalla Banca Mondiale e dal
Fondo Monetario Internazionale ai paesi del terzo mondo, e hanno anche avuto gli
stessi effett i.
Il piu' appariscente e' la caduta verticale del
livello di vita. Un terzo della popolazione della Russia sta cercando ora di
sopravvivere con redditi al di sotto del livello ufficiale di poverta'. Dal 1991
la produzione e' caduta di piu' della meta'. L'in flazione corre a un tasso
annuale del 200%. La speranza di vita di un maschio russo e' caduta da 64,9 anni
nel 1987 a 57,3 nel 1994 (15). Sono cifre paragonabili a quelle di paesi come
l'Egitto e il Bangladesh. E, nelle circostanze attuali, non c'e' assol utamente
nessuna prospettiva di miglioramento delle condizioni economiche e sociali in
Russia. Il livello di vita continuera' anzi quasi certamente a scendere.
Chiaramente c'e' un sentimento assai diffuso e
giustificato di rabbia in Russia e in altri paesi per il crollo dei livelli di
vita che ha accompagnato le prime fasi della ristrutturazione, e cio' ha
contribuito a una crescente reazione politica, in Russia e in altri paesi, la
cui manifestazione piu' evidente la si e' potuta vedere nei risultati delle
elezioni parlamentari di dicembre in Russia. E' chiaro altresi' che l'ulteriore
caduta dei livelli di vita in futuro creera' nuove reazioni di rabbia.
L'estensione del vecchio ordine mondiale all'Europa
orientale e alla CSI e' un'operazione delicata, piena di incertezze e di rischi.
Le maggiori potenze occidentali sono molto ansiose di realizzarla con successo,
anche perche' in quel successo, definibile in termini di sfruttamento efficiente
di queste nuove regioni, vedono una soluzione parziale dei loro stessi gravi
problemi economici. C'e' una tendenza sempre piu' marcata nei paesi occidentali
a dislocare i loro problemi e a vedere nell'attuale concorr enza internazionale
per lo sfruttamento dei niuovi territori una qualche possibilita' di superamento
della stagnazione economica mondiale.
Gli esperti occidentali giustamente prevedono che
il futuro sara' portatore di instabilita' politica. Per dirla con le parole
recenti del senatore Bradley, «il problema della Russia e' sapere se le riforme
siano reversibili o meno» (16) . Gli esperti militari traggono le conseguenze
logiche: maggiore sara' la potenza miliater che puo' esser concentrata
potenzialmente contro la Russia, minore sara' la possibilita' di ritorno
indietro rispetto alle "riforme". Questo e' il segno di questa a
ffermazione davvero notevole del Gruppo di Lavoro sull'Allargamento della NATO:
«I compiti di sicurezza della NATO non sono piu' limitati al mantenimento di
una posizione difensiva rispetto a una forza contrapposta. Non ci sono minacce
immediate alla sicurezza militare dell'Europa occidentale, ma l'instabilita'
politica e l' insicurezza nell'Europa centrale ed orientale ha conseguenze gravi
per la sicurezza dell'area NATO. La NATO dovrebbe rispondere ai bisogni di
sicurezza e di integrazione nelle strutture occidentali dell'Europa centrale e
orientale, e in questo modo servir ebbe gli interessi di sicurezza dei propri
membri» (17).
Si tratta di una posizione del tutto nuova da parte
della NATO, una posizione che alcuni paesi NATO ritenevano imprudente non molto
tempo fa. Ed e' una posizione allarmante, perché non affronta le vere ragioni
che stanno dietro l'attuale pressione per l' allargamento della NATO. Nonostante
i ragionamenti sfumati e capziosi del Gruppo di Lavoro, sembra che il dibattito
in molti paesi sia ormai chiuso. Sarebbe assai preferibile, naturalmente, che le
questioni vere fossero discusse pubblicamente. Ma per il m omento questa
possibilita' non esiste e la pressione per l'allargamento della NATO e'
destinata a continuare
I
pericoli dell'allargamento della NATO
L'attuale proposta di allargare la NATO verso est
crea molti pericoli. C'e' da
dire che molte voci influenti nei paesi occidentali sono contrarie
all'allargamento della NATO e hanno spesso spiegato quali ne sarebbero i
rischi. E' importante osservare che, nonostante la posizione ufficiale
della NATO e la relazione recente de l Gruppo di Lavoro, l'allargamento
della NATO verso est incontra forte opposizione, anche se, per ora, le
tesi favorevoli all'allargamento hanno avuto il sopravvento.
Quattro pericoli insiti nell'allargamento della
NATO devono essere discussi in particolare in questa sede.
Il primo consiste nel fatto che l'allargamento portera' nuovi
membri sotto "l'ombrello" NATO. Cio' significa, per fare un
esempio, che gli Stati Uniti e altri membri occidentali sarebbero
obbligati a difendere mettiamo la Slovacchia contro un attacco. Ma da dove
potrebbe venire un attacco? E davvero la NATO sarebbe pronta a difendere
la Slovacchia in caso di conflitto con un altro paese dell'Europa
orientale?
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In un paese come gli Stati Uniti sarebbe una cosa
assai impopolare. Come diceva nell'ottobre scorso il senatore Kassebaum:
«Sarebbe disposto il popolo americano, a norma del Trattato Nordatlantico,
a impegnarsi a considerare un attacco contro uno o piu' di questi nuovi
possibili membri come un attacco contro tutti?» (18).
La questione dell'estensione dell'
"ombrello" e' assai delicata, perche' le potenze NATO sono potenze
nucleari. La relazione del Gruppo di Lavoro afferma che, in determinate
circostanze, le forze degli alleati NATO potranno essere dislocate nei territori
dei nuovi membri e il Gruppo di Lavoro non ha affatto escluso, come avrebbe
dovuto, la dislocazione in quesi territori di armi nucleari. La mancata
esclusione di questa possibilita' significa che la NATO sta imboccando una
strada pericolosa, una strada ch e accresce i rischi di guerra nucleare.
Il silenzio del Gruppo di Lavoro su questa
questione non puo' non suonare minaccioso per i paesi che non entreranno nella
NATO, tra i quali il piu' importante e' chiaramente la Russia, che possiede
anch'essa armi nucleari, cosi' come l'Ucraina e il Kazaki stan.
Il secondo pericolo e' che l'allargamento metta in
crisi i rapporti tra gli Stati Uniti e la Russia e produca una seconda guerra
fredda. I paesi della NATO presentano l'organizzazione come un'alleanza
difensiva, ma la Russia la vede in modo assai diverso. Per piu' di 40 anni la
Russia ha visto nella NATO un'alleanza offensiva diretta contro tutti i paesi
del Patto di Varsavia. E' ancora opinione generale in Russia che la NATO sia
un'alleanza offensiva. L'ex ministro degli esteri, Kozyrev, lo aveva detto e
splicitamente ai paesi della NATO. Potra' la Russia cambiare opinione in futuro?
E' inevitabile che l'allargamento della NATO sia
visto in Russia come accerchiamento, il cui tacito presupposto e' la previsione
occidentale di una Russia nuovamente aggressiva. Ma la conseguenza pressoche'
certa di questo presupposto non potra' essere ni ent'altro che una nuova
risposta di carattere militare. Esso non e' certo fatto per calmare le
apprensioni russe sugli obiettivi della penetrazione NATO nell'Europa orientale.
A proposito della decisione della NATO sull'allargamento, ecco come si esprimev
a recentemente il direttore dell'Istituto di Studi sugli USA e il Canada
dell'Accademia delle Scienze russa: «La Russia e' ancora una superpotenza
militare, con un'enorme estensione territoriale e una popolazione numerosa. E'
un paese con enormi capacita' economiche, che ha un potenziale straordinario,
nel bene o nel male. Ma attualmente e' un paese umi liato, in cerca di identita'
e di orientamento. L'occidente, con la posizione che prendera' sull'allargamento
della NATO, puo' in certa misura determinare la direzione che la Russia
prendera'. Il futuro della sicurezza europea dipende da questa decisione »
(19).
Il terzo pericolo che l'allargamento della NATO
comporta e' che mette a repentaglio l'adempimento del Trattato START I e la
ratifica dello START II, come pure altri trattati sul controllo e la limitazione
degli armamenti miranti ad accrescere la sicurezza in Europa. I russi, per
esempio, hanno detto chiaramente che andranno avanti nell'adempimento del
trattato sulle armi convenzionali in Europa (CFE) «se la situazione in Europa
rimarra' stabile». Ma l'allargamento della NATO nell'Europa oriental e cambia
in modo significativo l'attuale equilibrio in Europa. I paesi della NATO mettono
percio' a repentaglio molti dei risultati raggiunti negli ultimi 25 anni nel
campo del disarmo. Alcuni sostengono anche, con argomenti convincenti, che l'allargamen
to della NATO metterebbe a rischio il trattato di non proliferazione nucleare.
Queste conseguenze non renderanno certo piu' sicura
in futuro l'Europa ne' il mondo.
Il quarto pericolo insito nell'allargamento della
NATO e' che esso puo' determinare una situazione di instabilita' nell'Europa
orientale. La NATO sostiene che l'allargamento contribuirebbe a garantire la
stabilita', ma l'Europa orientale e' gia' un'area i nstabile, soprattutto dopo i
cambiamenti degli ultimi anni. Allargare la NATO aggiungendovi un pezzo dopo
l'altro non potra' che accrescere le tensioni tra i nuovi membri e i paesi che
rimangono fuori. E' inevitabile che sia cosi'. I paesi che rimarranno fuori, una
volta che la NATO si sia insediata in un paese confinante non potranno che
sentirsi piu' insicuri. Verrebbero a trovarsi in mezzo tra la NATO che si
espande e la Russia e le loro reazioni non potranno essere che di paura e anche
di ostilita'. L 'espansione della NATO pezzo dopo pezzo potrebbe anche scatenare
una corsa agli armamenti nell'Europa orientale.
La
debolezza della posizione occidentale
A un'analisi piu' attenta, la proposta di allargare
la NATO verso est non e' soltanto pericolosa, ma ha anche le caratteristiche di
un gesto disperato. Ed e' manifestamente irrazionale, perche' puo' evocare
l'oggetto stesso dei suoi timori, provocando una seconda guerra fredda tra le
potenze NATO ela Russia o addirittura innescando una guerra nucleare. C'e' da
ritenere che nessuno si auguri un esito di questo tipo.
Ma allora perche' i paesi della NATO insistono in
questa direzione? Perche' appaiono incapaci di soppesare oggettivamente la
pericolosita' delle loro azioni?
Una risposta parziale potrebbe essere che la
decisione e' stata presa da gente che ha considerato il problema in una
prospettiva assai ristretta, senza guardare al contesto piu' ampio entro il
quale l'allargamento della NATO verrebbe a collocarsi. Se si c onsidera il
contesto piu' ampio, la proposta di allargamento della NATO appare chiaramente
irrazionale.
Consideriamo questo contesto piu' ampio. La NATO
propone di ammettere presto come membri a pieno titolo dell'alleanza alcuni
paesi dell'Europa centrale. Altri paesi dell'Europa orientale potranno essere
ammessi in una fase successiva. L'allargamento ha du e possibili obiettivi: il
primo e' impedire il "fallimento della democrazia in Russia", cioe'
garantire la continuazione dell'attuale regime o di qualcosa di simile in
Russia. Il secondo e' mettere la NATO in una posizione favorevole nel caso
scoppi una g uerra tra la Russia e l'occidente.
In un'epoca di armi nucleari, perseguire il secondo
scopo e' forse ancor piu' pericoloso di quanto non lo fosse negli anni della
guerra fredda, perche' ora ci sono vari paesi dotati di armi nucleari che
potenzialmente sarebbero schierati contro la NATO. L 'argomento che la NATO va
allargata verso est per assicurare all'occidente un vantaggio in caso di guerra
nucleare non e' molto convincente e certo, se fosse esplicitato, non suonerebbe
convincente per i paesi centroeuropei che sarebbero le piu' probabili vittime
nelle prime fasi di tale guerra. La loro situazione somiglierebbe a quella della
Germania nella guerra fredda, come ben comincio' a comprendere il movimento per
la pace tedesco negli anni '80.
L'obiettivo principale dell'allargamento della
NATO, come viene quasi universalmente riconosciuto, e' garantire che i
cambiamenti introdotti in Russia negli ultimi cinque anni non vengano rimessi in
discussione. Cio' porrebbe termine al sogno di un'Europa a tre stadi, unita
sotto le insegne del capitalismo, e chiuderebbe i nuovi vasti spazi apertisi
alle iniziative del capitale occidentale. La presenza della NATO nell'Europa
centro-orientale non e' altro che un modo per esercitare una maggiore pressione
s u chi volesse tentare di cambiare la situazione attuale in Russia.
Come abbiamo visto, pero', cio' significa bloccare
la Russia e gli altri paesi della CSI in una situazione di sottosviluppo e di
crisi economica e sociale permanente, in cui milioni di persone sono condannati
a terribili privazioni senza che ci sia alcuna possibilita' per la societa' di
cercare una via di sviluppo economico e sociale in cui le priorita' economiche
siano dettate dai bisogni dell'uomo.
L'amara ironia della situazione sta nel fatto che i
paesi occidentali offrono il loro modello di organizzazione economica per
risolvere il problema della Russia. Chi analizza la situazione con realismo si
rende pero' perfettamente conto che il punto e' un altro. Il loro unico
interesse e' l'ulteriore estensione del dominio occidentale verso est e se
propongono la loro esperienza come modello per altri e' solo per ingannarli.
L'idea della "transizione alla democrazia", come spesso viene chiamata
l'instaura zione di regole di mercato, ha la sua importanza pero' nella
battaglia mondiale per guadagnare l'opinione pubblica ed e' servita a
giustificare e sostenere le politiche che l'occidente ha iniziato a perseguire
verso i paesi della CSI.
I paesi occidentali sono pero' preda essi stessi di
una crisi economica che non riescono a padroneggiare. A incominciare dai primi
anni '70 i profitti sono caduti, la produzione ha incominciato a vacillare, la
disoccupazione di lungo periodo ha iniziato a crescere, i livelli di vita hanno
incominciato a scendere. Ci sono stati naturalmente gli alti e bassi del ciclo
economico, ma la cosa importante e' la tendenza di fondo. E la tendenza nella
crescita del PIL nei maggiori paesi industrializzati e' stata n egativa a
partire dalla grande recessione del 1973 - 1975. Negli Stati Uniti per esempio
il tasso di crescita e' caduto da circa 4% all'anno negli anni '50 e '60 a 2,9%
negli anni '70, fino a 2,4% circa negli anni '80 e le proiezioni attuali di
crescita s ono ancora piu' basse.
Ne' la situazione e' stata assai diversa in alttri
paesi occidentali, in cui il ritmo di crescita e' stato si' un po' piu' rapido,
mala disoccupazione e' stata parecchio piu' alta. I tassi attuali di
disoccupazione nell'Europa occidentale sono in media de ll'11%, e le statistiche
nascondono in parte la disoccupazione a causa dei vari piani governativi di
pseudolavori.
Tanto l'Europa occidentale quanto il Nordamerica
hanno conosciuto una prolungata stagnazione economica, e le economie
capitalistiche non possono sostenere l'occupazione e i livelli di vita se non in
presenza di una crescita relativamente rapida. Nei 25 an ni che seguirono la
seconda guerra mondiale, la maggior parte dei paesi occidentali conobbe una
crescita rapida, dell'ordine del 4 e 5% all'anno. Fu quella crescita che rese
possibile il mantenimento di alti livelli di occupazione, la crescita dei salari
e il miglioramento del tenore di vita. Larghi strati delle classi lavoratrici
ebbero la possibilita' di raggiungere livelli di vita dignitosi, mentre le
classi medie e alte conobbero un periodo di prosperita' e raggiunsero spesso
livelli di vita che si po ssono senz'altro considerare di lusso.
Adesso pero' quel periodo e' chiaramente
tramontato. La grande "rivoluzione capitalisa" strombazzata dai
Rockefeller non esiste piu'. Il "capitalismo dal volto umano" non
esiste piu'. La crescita sempre piu' contenuta ci ha ripiombati nel
"capitalismo sel vaggio" e ha innescato una crisi economica e sociale
in tutti i paesi occidentali, mettendo in forse tutte le conquiste del periodo
postbellico. In Europa sono gia' 15 anni che lo stato sociale subisce l'attacco
di chi vorrebbe spostare il peso della cris i sulle spalle dei meno fortunati.
Negli Stati Uniti una "rete sociale" di protezione dei poveri
relativamente modesta viene fatta a pezzi dai difensori aggressivi e gretti
degli interessi dei proprietari, decisi a far si' che l'impatto della crisi di
sta gnazione del sistema vada a colpire quelli che meno sono attrezzati a
sostenerlo.
L'occidente dunque e' esso stesso in preda a una
crisi. E non e' una crisi transeunte o un "ciclo lungo", come
direbbero gli apologeti accademici, ma una crisi di sistema. Il sistema di
mercato non puo' piu' assicurare neanche una parvenza di prosperita'. I mercati
che avevano trainato l'economia capitalista nel dopoguerra - automobili, beni di
consumo durevole, costruzioni, ecc. - sono tutti saturi, come dimostrano sfilze
di statistiche governative in tutti i paesi. Il sistema non ha trovato nuovi
mercat i che possano creare una ondata di prosperita' di quellivello. Inoltre
l'accelerazione del progresso tecnico negli ultimi anni ha incominciato a
eliminare dappertutto posti di lavoro a un ritmo stupefacente. Non c'e' nessuna
possibilita' di compensare que sto effetto creando nuova occupazione in
quantita' sufficiente e a livelli alti di salario.
Da un certo punto di vista coloro che dirigono i
governi e le economie occidentali sono perfettamente consapevoli della
situazione. Conoscono le statistiche; sanno quali sono i problemi. Ma non sono
in grado di capire che il problema sta nell'attuale sist ema capitalista che,
dopo aver raggiunto altissimi livelli di produzione, reddito e ricchezza, non ha
piu' sbocchi. Soluzioni di compromesso beninteso si potrebbero trovare, ma i
leaders occidentali non sono disposti a fare le concessioni politiche che es se
richiederebbero. In particolare, le grandi concentrazioni di capitale dei paesi
occidentali sono guidate da persone costituzionalmente incapaci di capire che
c'e' un vizio di fondo nel sistema. Sarebbe come chiedere loro di consentire a
una diminuzione del loro potere.
Per questo gli uomini che dirigono governi e
industrie continuano ad andare avanti alla cieca, indisponibili ad accettare
politiche che potrebbero avviare l'attuale sistema sulla via di una transizione
a modi piu' razionali e umani di organizzare la vita economica. E' questa
cecita', basata su confusione e paura, che ha offuscato la capacita' dei leaders
occidentali di inquadrare con chiarezza i rischi dell'allargamento della NATO
nell'Europa orientale. Il sistema occidentale sta vivendo una profonda cris i
economica, sociale e politica, e i leaders dell'occidente, a quanto pare, vedono
nello sfruttamento dell'est il solo grande progetto a portata di mano per poter
stimolare la crescita, specie nell'Europa occidentale.
Per questo sono pronti ad affrontare grossi rischi.
Il problema e' se il mondo sara' disposto ad affrontare i rischi di conflitto
est - ovest e di guerra nucleare per congelare per sempre in una regione del
globo un tipo di relazioni economiche che stanno gia' crollando altrove.
Sean
Gervasi
------------------------------------------------------------------------
NOTE
1.
DEFENSE NEWS, 25 novembre 1995; vedi anche Gary Wilson, "Anti‑War
Activists Demand: No More US Troops to the Balkans", Workers World
News Service, 7 dicembre 1995.
2.
Vedi per esempio: "NATO Expansion, Flirting with Disaster", THE
DEFENSE MONITOR, Novembre/Dicembre 1995, Center for Defense Information,
Washington, D.C.
3.
Senatore Richard Lugar, "NATO: Out of Area or Out of Business",
Note consegnate all'Open Forum del Dipartimento di Stato USA il 2 agosto
1993, Washington, D.C.
4.
"Changing Nature of NATO", INTELLIGENCE DIGEST, 16 ottobre 1992.
5.
THE DEFENSE MONITOR, loc. cit., pag.2.
6.
"Bonn's Balkans-to-Teheran Policy", INTELLIGENCE DIGEST, 11 - 25
agosto 1995.
7.
Richard Holbrooke, "America, A European Power", FOREIGN AFFAIRS,
Marzo/Aprile l995, pag.39.
8.
II punto fondamentale è che l'Europa Orientale e i paesi dell'ex Unione
Sovietica dovranno adottare le istituzioni prevalenti nell'Europa
Occidentale, cioè capitalismo e democrazia parlamentare.
|
|
9.
Holbrooke, loc. cit., pag.43.
10.
Si veda la Direttiva di Sicurezza Nazionale "United States Policy
toward Yugoslavia", segreta, declassificata, Casa Bianca, Washington
D.C., marzo 1984.
11.
Joan Hoey,"The U.S.'Great Game' in Bosnia", THENATION, 30gennaio
1995.
12.
Jacob Heilbrunn e Michael Lind, "The Third American Empire", THE
NEW YORK TIMES, 2 gennaio 1996.
13.
"The Commercial Factor Behind NATO's Extended Remit",
INTELLIGENCE DIGEST, 29 maggio 1992.
14.
Idem.
15.
Senatore Bill Bradley, "Eurasia Letter: A Misguided Russia Policy",
FOREIGN POLICY, inverno 1995-1996, pag.89.
16.
Ibid. pag. 93.
17.
Draft Special Report of the Working Group on NATO Enlargement, maggio
1995.
18.
Citato in THE DEFENSE MONITOR, loc. cit., pag. 5.
19.
Dr. Sergei Rogov, direttore dell'Istituto per gli Studi su Stati Uniti e
Canada dell'Accademia delle Scienze Russa, citato in DEFENSE MONITOR, loc.
cit. pag.4
Preso da: http://www.fisicamente.net/GUERRA/index-791.htm
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