2/5/19
Puoi avere tutte le ragioni del mondo; ma a che serve, se nessuno ti
ascolta? Quanti sapevano chi fosse, Carlo Rosselli, quando fu
assassinato? Mezzo secolo dopo, al grande pubblico italiano del 1986,
diceva qualcosa di particolare il nome del leader svedese Olof Palme? Ma
certo: un elegante signore del Nord Europa,
barbaramente ucciso da qualche folle terrorista, più o meno come quelli
che avevano appena finito di mettere a ferro e fuoco l’Italia. E alzi
la mano chi ricorda come la nostra stampa nazionale diede la notizia
dell’omicidio dell’allora più che oscuro Thomas Sankara. Era il giovane
leader di un paese africano che, per moltissimi europei, poteva ancora
chiamarsi Alto Volta: all’epoca, Nelson Mandela stava ancora a spaccare
pietre a Robben Island, e l’espressione “Burkina Faso” non era ancora
entrata nell’ordinario lessico geografico dell’uomo bianco. Ci vollero
anni – Internet, YouTube – per trasformare Sankara in una specie di star
della politica:
è l’ex ragazzo in camicia verde che, al vertice panafricano di Addis
Abeba, svela la schiavitù del debito e propone all’Occidente di smettere
di “aiutare” l’Africa.
Per far uscire Thomas Sankara dalle catacombe della memoria
collettiva c’è stato bisogno dell’11 Settembre, lo choc che ha costretto
gradualmente milioni di persone a interrogarsi sulla natura del
cosiddetto Deep State. Strana nebulosa, a geometria variabile:
domina il pianeta manipolando i governi o scavalcandoli, al limite
azzerandone i leader più scomodi – già rarissimi ieri, e oggi pressoché
introvabili.
Tuttora, comunque, vastissimi strati dell’opinione pubblica
continuano a restare scettici di fronte alla denuncia della
manipolazione della storia
e dell’attualità: tendono ad allinearsi al mainstream che reputa
fantasiosa la teoria del complotto, boccia le verità alternative sull’11
Settembre, si rassegna alle campagne sanitarie di massa come il Tso
infantile dei vaccini imposti senza spiegazioni. E ovviamente deride chi
“crede alle scie chimiche”, preferendo non domandarsi per quale ragione
il cielo non sia più blu, ma vistosamente rigato, ogni giorno, dalle
tracce persistenti rilasciate dagli aerei. Ci si rifugia dietro comodi
neologismi (complottismo, cospirazionismo) per liquidare domande
fastidiose, anche col provvidenziale contributo degli stessi
“complottisti”, spesso prontissimi a sfornare risposte grottesche,
surreali e sensazionalistiche.
A monte, però, le domande restano sempre inevase: e questo spiega il
fiorire delle narrazioni recenti, anche le più improbabili. Cosa sta
succedendo, davvero? Nessuno può garantire di saperlo con precisione.
Molti si rendono conto, onestamente, di esserne all’oscuro. Per questo
smettono di seguire i telegiornali – tempestivi nel dar conto degli
eventi, ma senza mai spiegarli. Se oggi riapparisse in televisione
Thomas Sankara, quale anchorman sarebbe in grado di intervistarlo? Vespa
e Floris, Formigli e Gruber: da che parte comincerebbero, dovendo fare
domande all’avatar di Olof Palme? La nostra attuale comunicazione –
smart, ultra-semplificata, a risposta immediata – non prevede più il
modulo dell’analisi: ce ne manca il tempo. Nel mainstream risulterebbe
semplicemente favolistico il racconto sul Memorandum di Lewis Powell, a
cui l’élite occidentale chiese – nel remoto 1971 – un vademecum per
“riprendersi tutto”, sbaraccando la democrazia
dei diritti sociali. Facile: dall’altra parte del mondo c’era ancora il
gigantesco freezer dell’Unione Sovietica, e di lì a poco i neoliberisti
avrebbero potuto
agevolmente indossare la maschera reaganiana dei liberatori, dei
vincitori definitivi, ritagliandosi persino il ruolo di tronfi
celebranti della “fine dalla storia”.
Da dove ricomincia, la storia? Dall’alfabetizzazione politica di massa, probabilmente. In parte sta avvenendo, nella macro-nicchia del web (che infatti l’Unione Europea
si è affrettata ad arginare, con la legge-bavaglio sul copyright a cui
nessun governo si è finora opposto). La buona notizia, forse, è che
l’invisibile Deep State in fondo ha paura dei sudditi, visto che si
affanna a mantenerli nella quiete apparente della false certezze,
nonostante i colpi mortali di una crisi che sta letteralmente cancellando la classe media in Europa, al punto da riempire le strade francesi di gilet gialli. Economia, moneta, guerre, energia, clima, crisi
regionali. Scampoli di verità? Su qualche libro, nei risvolti del web,
in mezzo alle smancerie dei social. Per gli ottimisti, l’umanità si
starebbe risvegliando da una sorta di letargo. Non che manchino segnali
di consapevolezza, ma sono sovrastati dal fragore del mainstream. Oggi
finalmente si ascoltano relazioni acutissime da economisti onesti, che
però non saranno mai ospitati in prima serata, con piena facoltà di
parola. Si saranno divertiti, gli arconti impalpabili, nel vedere che
l’Italia della gloriosa rivoluzione gialloverde non si è nemmeno
ribellata al diktat medievale di Bruxelles sul piccolo deficit invocato
per il 2019. Il potere
imperiale, neo-feudale, ha incassato una vittoria piena. E si è persino
goduto le passeggiate di Macron e Juncker sui teleschermi della Rai,
tra gli inchini dello sconcertante anti-italiano Fabio Fazio.
Ha davvero paura della maggioranza, il famoso 1% contro cui naufragò
la pletorica protesta di Occupy Wall Street? Di certo, scrive Franco
Fracassi nel saggio “G8 Gate”, aveva una paura matta dei NoGlobal, il
cui sanguinoso funerale fu organizzato a Genova nel 2001, due mesi prima
della mattanza di Manhattan (3.000 morti nelle Torri Gemelle e altri
12.000 americani uccisi dal cancro, poco dopo, a causa dell’immensa nube
d’amianto). A dire che le maggiori multinazionali planetarie temessero
così tanto i NoGlobal è Wayne Madsen, all’epoca dirigente
dell’intelligence Usa:
racconta di 1500 agenti della Nsa, più 700 dell’Fbi, al lavoro per
essere certi che nel capoluogo ligure tutto andasse secondo i piani,
cioè malissimo. Deep State, appunto. All’occorrenza, la legge del
terrore: Al-Qaeda e poi l’Isis, dalla Siria all’Europa.
Di fronte a questo cos’hanno da dire, i novelli sovranisti? Come se la
caverebbero, Salvini e Di Maio, al cospetto di personaggi come Rosselli,
Palme e Sankara? Cosa inventerebbero, il leader della Lega e quello dei
5 Stelle, per tentare di spiegare come riesumare il socialismo liberale
nell’Europa
di oggi? Che figura farebbe, Di Maio, nel presentare il suo reddito di
cittadinanza al gigante Olof Palme, inventore del miglior welfare
europeo? E cosa racconterebbe, il mini-sceriffo Salvini, al sorriso
luminoso dello stratega che sapeva di giocarsi
la pelle nell’eroico tentativo di metter fine alla razzia bianca a
spese del continente nero, da cui l’esodo tanto spettacolarizzato dalle
opposte tifoserie odierne?
Davvero è inquieto, il mitico 1%, nel dubbio che i popoli si
sveglino? Ammesso che sia vero, sembra che gli ultimi a saperlo siano
proprio gli abitanti dell’umanità sottostante, il 99%. Al massimo,
votiamo per l’ultima protesta offerta dal supermarket della politica,
una specie di discount ingombro di sottomarche low cost. Per ora ha
stravinto l’impeccabile Lewis Powell: il suo Memorandum è stato
applicato alla lettera. I pochi dominano sui molti, che infatti non
sanno nemmeno chi fosse, quell’avvocato di Wall Street. Il pericolo,
semmai, siamo abituati a riconoscerlo nel sorriso sornione di personaggi
come l’anziano Kissinger, l’architetto del golpe cileno, l’uomo che
minacciò di morte Aldo Moro. Che sospiro di sollievo, quando il
fenomenale Obama prese il posto di Bush. Ennesima illusione, durata lo
spazio di un mattino: quasi solo teatro, ancora e sempre Deep State. Da
dove ricominciare? Da ciascuno di noi, verrebbe da dire, nel dubbio che
l’ipotetico “mostro” tema, sul serio, il risveglio dei dormienti. Primo
passo, scovare idee che possano camminare. E poi raccontarle, in modo
semplice: il Memorandum Powell, che ha cambiato la faccia della Terra,
era lungo appena 11 paginette. Parlava chiaro anche Rosselli, così come
Palme e Sankara: nessuno deve restare indietro, mai. L’italiano, lo
svedese, il burkinabè: veri e propri monumenti, postumi, all’umanità che
non si volle far nascere. Li si potrà riascoltare a Milano il 3 maggio,
a patto però di non dimenticarli più. Morirono, tutti e tre, perché il
99% non era al loro fianco. E non è un testamento, quello che ci hanno
lasciato: è un programma politico, e sembra scritto oggi.
(Giorgio Cattaneo, “Una rivoluzione della verità: nel nome di Carlo Rosselli, Olof Palme e Thomas Sankara”, dal blog del Movimento Roosevelt del 29 aprile 2019. Il convegno “Nel segno di Olof Palme, Carlo Rosselli e Thomas Sankara, contro la crisi globale della democrazia”,
in programma il 3 maggio 2019 a Milano, Palazzo Moriggia, via
Borgonuovo 23, dalle ore 10 alle 17.30, sarà trasmesso in diretta da
Radio Radicale).
Preso da: http://www.libreidee.org/2019/05/rosselli-palme-e-sankara-rivoluzione-se-oggi-fossero-qui/
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