27/4/19
Sulla scia della Seconda Guerra mondiale, le élite politiche
statunitensi e britanniche si ritrovarono ad affrontare la minaccia del
socialismo su scala globale. Nonostante le incombenti perplessità circa
il futuro, decisero di reagire mobilitando risorse – pubbliche e
nascoste – al fine di implementare un programma di “Roll Back” atto a
invertire l’avanzata comunista mondiale. Un vero e proprio blocco sulla
strada della mobilitazione anti-comunista era rappresentato dal fatto
che la maggior parte della popolazione statunitense era diffidente verso
un progetto di politica
estera di così ampia portata. Per lo statunitense medio il mondo era
rappresentato unicamente dall’America del Nord e l’interesse per la politica
estera era minimo. A causa di questo radicato isolazionismo, negli
Stati Uniti, agli esordi della Guerra Fredda, spese governative ingenti
nella politica estera erano fuori questione. Inoltre la Cia, principale fonte economica nel reame della politica
estera americana, rappresentava, per la maggioranza degli americani
nell’epoca post-bellica, un’agenzia come un’altra, mentre in realtà
questa stava diventando un protagonista chiave. Pur perseguendo
l’impegno di portare a termine massicce operazioni mondiali, la Cia
chiese alla Casa Bianca una licenza per inserirsi in fonti di
finanziamento alternativi.
La droga figurava come il business più remunerativo tra quelli più
noti. La natura criminale del business dettava quindi le regole del
gioco. Mentre alcuni dei guadagni erano effettivamente utilizzati a
supporto di operazioni sotto copertura, altri erano
deviati verso l’arricchimento personale di agenti e dirigenti
dell’agenzia, oppure rimanevano nelle mani di gruppi finanziari con potere
di lobby nell’amministrazione statunitense. Di conseguenza, la
complicità nel business della droga iniziò a diffondersi verso il
livello più alto dell’establishment nordamericano… Il primo caso
rappresentante le connessioni tra la Cia e il business della droga
risalgono al 1947, anno in cui Washington, preoccupata dell’ascesa del
movimento comunista nella Francia
post-bellica, si associò con la nota e spietata mafia corsa nella lotta
contro la sinistra. Dal momento che il denaro non poteva essere
riversato nella sgradevole alleanza attraverso canali ufficiali, una
grossa fabbrica di eroina venne istituita a Marsiglia con l’assistenza
della Cia, che alimentava l’affare. L’iniziativa imprenditoriale
impiegava abitanti del posto, mentre la Cia organizzava il ciclo degli
approvvigionamenti, ed il terrore fisico e psicologico contro i
comunisti in Francia alfine impedì loro di raggiungere il potere.
Successivamente lo schema adottato è stato replicato nel mondo.
All’inizio degli anni ’50 la Cia dirigeva un network di fabbriche di
eroina nel Sud Est Asiatico e con parte dei guadagni sosteneva Chiang
Kai-shek, che combatteva contro la Cina comunista. La Cia iniziò quindi a
patrocinare il regime militare in Laos, rafforzando i propri legami
nella regione del Triangolo d’Oro comprendente Laos, Thailandia e
Birmania, paesi che hanno contribuito per il 70% della fornitura globale
di oppio. La maggior parte della merce era diretta a Marsiglia e in
Sicilia per il trattamento effettuato dalle fabbriche gestite dalla
mafia corsa e siciliana. In Sicilia, l’associazione criminale che
gestiva diverse fabbriche di droga era stata fondata da Lucky Luciano,
un gangster americano nato in Italia e rideportatovi dopo la Seconda
Guerra Mondiale. Le informazioni non classificate non lasciano alcun
dubbio circa il lavoro che Luciano svolgeva per l’intelligence
americana. L’uomo è stato, senza grosse motivazioni, rilasciato dalla
prigione americana nel 1946 prima di aver scontato la sua condanna;
l’associazione criminale italiana
che operava sotto il controllo statunitense condivideva i guadagni con i
patroni americani, i quali utilizzavano il denaro per portare avanti
una guerra segreta contro il partito comunista italiano.
La Cia continuò a prelevare denaro dal Triangolo d’Oro durante la
Guerra del Vietnam. La droga proveniente da questa regione veniva
trafficata illegalmente negli Stati Uniti e distribuita a basi militari
americane all’estero. Ne deriva che molti dei veterani della Guerra del
Vietnam sono rimasti segnati non solo dalla guerra, ma anche dall’uso di
narcotici. Le attività legate al traffico della droga portate avanti
dalla Cia dovevano rimanere segrete, ma evitare di venire a conoscenza
di azioni così gravi era difficile. Uno scandalo enorme scoppiò infatti
negli anni ’80 coinvolgendo la banca Nugan Hand di Sydney, con filiali
registrate alle isole Cayman, e il precedente direttore della Cia
William Colby avente funzione di consigliere legale. La Cia ha
utilizzato la suddetta banca per operazioni di riciclaggio di denaro
sporco nella gestione dei proventi derivanti dal traffico di droga e
armi in Indocina. La geografia dei traffici di droga appoggiati dalla
Cia si ampliò costantemente. Negli anni ’80, lo scambio “armi per droga”
è stato replicato per finanziare i Contras del Nicaragua; ma dopo
essere stato scoperto, il Comitato delle relazioni estere del Senato
americano ha dovuto aprire un’inchiesta. Una frase del rapporto del
Senato sul famoso accadimento affermava: «I decisori statunitensi non
erano immuni all’idea che i soldi della droga fossero una soluzione
ideale al problema del finanziamento del Contras».
Questa dichiarazione, in linea generale, potrebbe dimostrare che le attività della Cia erano strettamente collegate alla politica
estera americana. Il business della Cia nel narcotraffico si è diffuso
senza precedenti quando gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica entrarono
indirettamente in conflitto in Afghanistan. La comunità
dell’intelligence americana finanziò generosamente i Mujahiddin, in
parte con i soldi derivanti dal narcotraffico. Gli aerei statunitensi
che consegnavano armi alla nazione rientravano carichi di eroina.
Secondo giudizi indipendenti, all’epoca, circa il 50% del consumo di
eroina negli Stati Uniti proveniva dall’Afghanistan. “La mafia, la Cia e
George Bush” di Pete Brewton (New York: S.P.I. Books, 1992) offre una
serie di dati concreti che provano i legami esistenti tra il direttore
della Cia e il presidente americano Bush e la mafia. Lo stesso presidente, in certe fasi della sua carriera, combinò la propria funzione pubblica con la politica
e il business della droga. L’establishment americano ha concluso che la
droga, oltre ad essere stata impiegata per circostanze politiche,
potrebbe tornare utile nel raggiungimento di obiettivi geopolitici di
lungo termine.
Quando Paul Bremer divenne capo di Baghdad con un’autorità che
nemmeno Saddam Hussein si sognava, non fece alcun tentativo per
innalzare una barriera contro l’ondata del narcotraffico che travolse
l’Iraq. Inoltre è importate notare che il business della droga, durante
il governo di Saddam, era un problema inesistente nel paese. «Questa è
la panacea di ogni rivolta. Drogateli, rendeteli dipendenti come pesci
affamati. In seguito, dopo aver preso il controllo della loro radio e
televisione, storditeli con la propaganda». Baghdad, la città che non
aveva mai visto l’eroina fino a marzo del 2003, ora è sommersa di
stupefacenti, inclusa l’eroina. Secondo un rapporto pubblicato dal
giornale “The Indipendent” di Londra, i cittadini di Baghdad si
lamentavano che la droga, come l’eroina e la cocaina, erano smerciate
per le strade delle metropoli irachene. «Alcune relazioni suggeriscono
che il traffico di droga e armi era sostenuto dalla Cia, al fine di
finanziare le sue operazioni segrete internazionali», scrive Brenda
Stardom. Nel suo rapporto, un abitante di Baghdad spiegava: «Saresti
stato impiccato, per il traffico di droga. Ma ora si può ottenere
eroina, cocaina,
qualsiasi cosa». I civili tossicodipendenti non hanno nessuna volontà
di resistere, mentre la trionfante Washington, che ottenne le risorse
del paese, è incurante del fatto che questa gente è condannata
all’estinzione.
L’operazione anti-terroristica lanciata immediatamente dopo il dramma
dell’11 Settembre è giunta a conclusione in Afghanistan 11 anni dopo.
Washington tratta la questione come un successo, ma evitare l’opinione
pubblica genera gravi effetti collaterali. L’Afghanistan è stato
abbandonato in uno stato di distruzione, con interi villaggi annientati,
migliaia di persone decedute, prigionieri, campi di concentramento e
rifugiati in tutto il paese. Sconfiggere il business della droga era
l’obiettivo più pubblicizzato dell’intera “guerra al terrore” americana,
ma il risultato e gli obiettivi della campagna erano completamente
diversi. Nelle mani della coalizione occidentale, l’Afghanistan si è
trasformato nel principale produttore mondiale di droga. Gli Usa
e il business della droga si sono intrecciati sin dalla fine del
secondo conflitto mondiale. Per Washington, la droga è stata a lungo un
elemento strutturale della politica estera, oltre all’enorme mercato nero mondiale che alimenta l’economia
“legittima” dell’Occidente… Un dollaro destinato al commercio della
droga rende fino a 12.000 dollari, nella migliore delle ipotesi. Il
costo dell’eroina afghana aumenta nettamente man mano che ci si sposta a
nord del paese – in Pakistan ammonta a circa 650 dollari al chilo,
1.200 in Kyrgyzstan, raggiungendo i 70 dollari al grammo nella città di
Mosca. Un chilo di eroina equivale a 200.000 dosi, e una dipendenza
disperata inizia dopo 3 o 4 dosi.
Il capitale “legittimo” sarebbe temporaneamente insostenibile senza
il trascinante mercato nero globale. Entrambi i componenti dell’economia
mondiale sono incentrati sugli Stati Uniti. Washington è consapevole
che la produzione di droga può essere messa in atto solo dopo aver
soddisfatto il requisito principale, cioè che gli utili finali non
creino un effetto a cascata sul produttore. Diversamente, il mercato
nero si sgretolerebbe all’istante. La mafia che gestisce il traffico di
droga “in linea” riesce ad ottenere il 90% dei ricavi dall’eroina.
Accanto ad altri soggetti coinvolti nel traffico, coloro che lavorano la
materia prima ricevono il 2% del guadagno, gli agricoltori di papavero
il 6% e i commercianti di oppio il 2%. La produttività del mercato nero
utilizza anche aree coltivate a prezzi marginali. Promuovere un
conflitto armato nella zona agricola è il modo più semplice per
attenuare i costi richiesti dagli agricoltori, considerando che le armi
sono la merce con più alto valore equivalente. La formula è che più
sanguinoso è il conflitto e più alti sono i ricavi dalle vendite di armi
e droga. L’instabilità, associata al controllo del disordine,
rappresenta il motore del mercato nero. I due fattori armonizzano la
domanda e l’offerta, tuttavia
per assottigliare i costi e non avere difficoltà occorre diffondere
aspirazioni separatiste. Il comandante della situazione dovrebbe
impegnarsi con gruppi etnici, clan o fazioni religiose piuttosto che con
enti statali.
L’Afghanistan ha distribuito un totale di circa 50 tonnellate di
oppio durante la metà degli anni ’80, ma la cifra è balzata a 600
tonnellate entro il 1990, un anno dopo il ritiro dei sovietici. Dopo
aver sequestrato il 90% del territorio afgano e preso controllo della
coltivazione di papavero locale, i Talebani si sono scrollati di dosso
la presa della Cia e del Dipartimento di Stato americano, causando la
perdita della quota statunitense dei circa 130 miliardi di dollari di
profitto che la mafia poteva ottenere se le forniture venivano
incanalate con successo in Asia centrale. Riprendere il controllo della
produzione di eroina dal potere
dei Talebani era l’obiettivo fondamentale dietro la campagna
statunitense in Afghanistan. Al momento la missione è compiuta, gran
parte dell’eroina viene acquistata e trasmessa dalla Cia e dal Pentagono
ad altri paesi. Dopo aver costruito le basi militari in Kyrgyzstan,
Uzbekistan e Tagikistan e insediato il governo di Hamid Karzai,
Washington ha aperto nuove rotte di approvvigionamento, eliminando i
concorrenti e facendo sì che la capacità degli stabilimenti di
trasformazione dell’oppio in eroina non siano mai privi di lavoro. Al
momento, l’Afghanistan rappresenta il 75% del mercato globale di eroina,
l’80% del mercato europeo e il 35% del mercato statunitense. Circa il
65% del rifornimento di droga dell’Afghanistan attraversa l’Asia
centrale post-sovietica, e anche se questa disposizione sarà leggermente
modificata, il traffico persisterà anche dopo il ritiro della
coalizione occidentale dall’Afghanistan.
L’alleanza criminale tra la Cia e i Talebani è un fatto noto e non
svanirà. Attualmente, i gruppi criminali albanesi del Kosovo possiedono
un ruolo di primo piano nel commercio internazionale della droga.
L’indipendenza del Kosovo dalla Serbia ha permesso agli Stati Uniti di
pianificare un nuovo punto di appoggio per il business della droga, con
particolare riguardo all’Europa. Oltre un milione di albanesi risiedono in Europa
occidentale e la maggior parte di loro sopravvive grazie a diversi
affari illegali, soprattutto quello della droga. Senza dubbio, gli Stati
Uniti hanno deliberatamente presentato all’Europa
un problema che d’ora in poi aumenterà. Secondo l’agenzia
anti-narcotici russa, circa 100.000 persone in tutto il mondo – più di
quante uccise dall’esplosione nucleare che distrusse Hiroshima – muoiono
ogni anno a causa degli stupefacenti provenienti dall’Afghanistan. In
questo contesto, in Russia, il bilancio è di circa 30.000 vittime.
L’agenzia russa sul controllo della droga afferma che la produttività è
raddoppiata negli ultimi dieci anni e ad oggi il 90% delle dosi di droga
consumate globalmente – un
totale di 7 miliardi – rappresentano eroina. La tossicodipendenza sta
invadendo l’odierna Russia e nel mix con l’abuso di alcool sta mettendo
in pericolo l’esistenza stessa della nazione.
La Russia è molto attiva nell’incoraggiare la lotta internazionale
contro la droga – il ministro degli esteri Sergej Lavrov, per esempio,
ha ricordato al forum anti-droga 2010 che il Consiglio di Sicurezza
delle Nazioni Unite osserva il problema della droga come una minaccia
alla pace e alla sicurezza globale. Il suo punto di vista era che il
mandato della coalizione in Afghanistan dovrebbe essere aggiornato per
includere delle misure ben più robuste, incluso lo sradicamento dei
campi di oppio e lo smantellamento delle fabbriche di droga. I passi per
contrastare la produzione di stupefacenti in Afghanistan dovrebbero
essere altrettanto decisi di quelli scattati in America Latina contro il
traffico di cocaina, afferma Lavrov, sottolineando anche che un
coordinamento in tempo reale tra la Russia e la Nato, lungo il confine
con l’Afghanistan, potrebbe essere di grande aiuto. Mosca ha mandato per
anni segnali in merito, ma l’atteggiamento della Nato sembra essere
impassibile. Il capo dell’agenzia russa del controllo della droga Viktor
Ivanov ha affermato nel 2010 che la Russia ha fornito delle
informazioni riservate agli Stati Uniti e all’amministrazione afghana
riguardo 175 stabilimenti di droga in Afghanistan, eppure nessuno di
questi è stato smantellato. I fondi continuano quindi ad accumularsi sui
conti bancari di coloro che gestiscono questi traffici ed è chiaro che
questa condizione richiede un fronte anti-narcotico molto più ampio.
Mosca perderà solo tempo e vedrà sempre più russi morire se attende una
mossa dell’Occidente per sottoscrivere tali iniziative. È giunto il
momento di adottare misure drastiche contro coloro che diffondono la
morte confezionata in dosi.
(“La droga, uno strumento di politica globale”, da “La Crepa nel Muro” del 9 aprile 2019).
Preso da: http://www.libreidee.org/2019/04/la-droga-gestita-della-cia-uno-strumento-di-politica-globale/
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