1 gennaio 2016,
di Renzo Paternoster -
La storia dei serbi è
costellata di lotte contro l’oppressione e l’assimilazione. Una sfida
che nel corso della storia ha portato ai patimenti della schiavitù
imposta dall’Impero Ottomano, poi all’ostilità criminale degli Ùstascia, per finire, alla controversa guerra
scoppiata con la dissoluzione della Jugoslavia.
La storia della Serbia,
e in particolare la storia del XX secolo, è scritta col sangue di un
popolo maltrattato per motivi etnici, politici e religiosi. Un Paese da
sempre crocevia degli interessi delle potenze mondiali e vittima dei
regimi succedutesi nel tempo.
Tracce di primi insediamenti nell’attuale Serbia risalgono alla
Preistoria. Nel X secolo l’Imperatore Costantino Porfirogenito nel De
Administrando Imperio citava la “Servia” (si tratta di un artefatto
dell’alfabeto cirillico, in cui la “b” in cirillico è tradotta in latino
con “v”).
Organizzati in piccoli principati guidati da uno župan (giuppano), il
popolo serbo subì tra il VII e il XII secolo il dominio dei grandi
imperi vicini: prima i Bizantini, poi i bulgari di Simeone, poi di nuovo
l’impero Bizantino. In questo periodo, tra tutte le entità territoriali
serbe, due emersero politicamente: il principato di Zeta (o Zenta) e il
principato di Raška, (traslitterato anche come Raschka o Rassa). Il
primo è considerato antesignano del moderno Montenegro, il secondo è
territorialmente e nazionalmente il nocciolo da cui, grazie al župan
Stefano Nemanja (1117-1199), si svilupperà il regno di Serbia.
Tra l’871 e l’875 la Nazione serba si converte al Cristianesimo, anche
grazie all’opera di rinnovamento spirituale dei missionari Cirillo e
Metodio. Più tardi i sovrani serbi della famiglia Nemanja, cambiando
politica verso l’esterno, convertono la nazione stabilmente
all’Ortodossia con la creazione di una Chiesa autocefala.
Alla fine del 1400 le regioni serbe sono conquistate dagli ottomani. Da
allora e fino alla formazione del Principato di Serbia (1830), il popolo
serbo resta soggetto ai Turchi. Nonostante la severa dominazione
ottomana, la società serba conserva la specifica individualità
nazionale, assieme alla propria religione ortodossa. Nell’Età moderna,
la Serbia è riconosciuta a livello internazionale dal Congresso di
Berlino del 1878.
Dopo il primo conflitto mondiale, nel 1918 si forma il “Regno dei Serbi,
Croati e Sloveni”, che comprende la Croazia, la Bosnia, l’Erzegovina,
la Vojvodina, l’entroterra sloveno, la penisola dell’Istria, parte della
Venezia Giulia e la Dalmazia. Si tratta di uno Stato molto debole,
composto di elementi eterogenei e tante differenti realtà, prima fra
tutte la religione. Questa unione politica “strana” nasce dai timori
della Croazia e della Slovenia di perdere i propri territori in favore
dell’Italia, vincitrice della guerra mondiale. La nuova entità politica è
posta sotto la dinastia regnante serba del principe Alessandro
Karađorđević. A seguito di dissidi politici interni tra croati e serbi, e
dopo l’uccisione di Stjepan Radić, leader del Partito Contadino Croato,
ferito mortalmente il 20 giugno 1928 da un deputato montenegrino,
durante una seduta del Parlamento del Regno, il reggente Alessandro
Karađorđević sospende la Costituzione e il Parlamento, mette al bando i
partiti nazionali, dichiara decaduto il Regno dei Serbi, Croati e
Sloveni e proclama la nascita del Regno di Jugoslavia. Alessandro
suddivide il territorio a tavolino, creando dei distretti (banovine),
senza dunque tener conto delle differenze nazionali. In questo modo
pensa di superare le distinzioni tra i popoli che compongono il nuovo
Regno. Questo scontenta i nazionalisti croati, che si organizzano in un
movimento indipendentista, la “Organizzazione Rivoluzionaria Croata
Ùstascia” (Ustaša – Hrvatska revolucionarna organizacija). Il termine
“ùstascia” (in croato ustaša) proviene dal verbo ustati o ustajati che
significa “insorgere, risvegliare”.
Belgrado dopo i bombardamenti dell’aprile 1941