30 gennaio 2018.
Dopo la confessione shock del politico bosniaco Ibran Mustafić, veterano di guerra, chi restituirà la dignità a Slobodan Milošević, ucciso in carcere, a Radovan Karadžić e al Generale Ratko Mladić, ancora oggi detenuti all’Aja?
Lo storico russo Boris Yousef, in un suo saggio del 1994, scrisse quella che ritengo una sacrosanta verità: «Le
guerre sono un po’ come il raffreddore: devono fare il loro decorso
naturale. Se un ammalato di raffreddore viene attorniato da più medici
che gli propinano i farmaci più disparati, spesso contrastanti fra loro,
la malattia, che si sarebbe naturalmente risolta nel giro di pochi
giorni, rischia di protrarsi per settimane e di indebolire il paziente,
di minarlo nel fisico, e di arrecare danni talvolta permanenti e
imprevedibili».
Yousef scrisse questa osservazione nel Luglio del 1994, nel bel mezzo
della guerra civile jugoslava, un anno prima della caduta della Repubblica Serba di Krajina e
sedici mesi prima dei discussi accordi Dayton che scontentarono in
Bosnia tutte le parti in campo, imponendo una situazione di stallo
potenzialmente esplosiva. E ritengo che tale osservazione si adatti a
pennello al conflitto jugoslavo. Un lungo e sanguinoso conflitto che,
formalmente iniziato nel 1991, con la secessione dalla Federazione delle
repubbliche di Slovenia e Croazia, era stato già da tempo preparato e
pianificato da alcune potenze occidentali (con in testa l’Austria e la
Germania), da diversi servizi segreti, sempre occidentali, da gruppi
occulti di potere sovranazionali e transnazionali (Bilderberg,
Trilaterale, Pinay, Ert Europe, etc.) e, per certi versi, anche dal
Vaticano.
La Jugoslavija, forte potenza economica e militare, da decenni alla
guida del movimento dei Paesi non Allineati, dopo la morte del Maresciallo Tito,
avvenuta nel 1980, era divenuta scomoda e ingombrante e, di
conseguenza, l’obiettivo geo-strategico primario di una serie di
avvoltoi che miravano a distruggerla, a smembrarla e a spartirsi le sue
spoglie.
Si assistette così ad una progressiva destabilizzazione del Paese,
avviata già nel biennio 1986-87, destabilizzazione alla quale si oppose
con forza soltanto Slobodan Milošević,
divenuto Presidente della Repubblica Socialista di Serbia, e che toccò
il culmine con la creazione in Croazia, nel Maggio del 1989, dell’Unione Democratica Croata (Hrvatska
Demokratska Zajednica o HDZ), partito anti-comunista di centro-destra
che a tratti riprendeva le idee scioviniste degli Ustascia di Ante
Pavelić, guidato dal controverso ex Generale di Tito Franjo Tuđman.
Sarebbe lungo in questa sede ripercorrere tutte le tappe che
portarono al precipitare degli eventi, alla necessità degli interventi
della Jugoslosvenska Narodna Armija dapprima
in Slovenia e poi in Croazia, alla definitiva scissione dalla
Federazione delle due repubbliche ribelli e all’allargamento del
conflitto nella vicina Bosnia. Si tratta di eventi sui quali esiste
moltissima documentazione, la maggior parte della quale risulta però
essere fortemente viziata da interpretazioni personali e di parte degli
storici o volutamente travisata da giornalisti asserviti alle lobby di
potere mediatico-economico europee ed americane. Giornalisti che della
Jugoslavija e della sua storia ritengo che non abbiano mai capito
niente.
Come ho scritto poc’anzi, ritengo che la saggia affermazione di Boris Yousef si
adatti molto bene al conflitto civile jugoslavo. A prescindere dal
fatto che esso è stato generato da palesi ingerenze esterne, ritengo che
sarebbe potuto terminare ‘naturalmente’ manu militari nel giro di pochi
mesi, senza le continue ingerenze, le pressioni e le intromissioni della sedicente ‘Comunità Internazionale’,
delle Nazioni Unite e di molteplici altre organizzazioni che agivano
dietro le quinte (Fondo Monetario Internazionale, OSCE, UNHCR, Unione
Europea e criminalità organizzata italiana e sud-americana). Sono state
proprio queste ingerenze (i vari farmaci dagli effetti contrastanti
citati nella metafora di Yousef) a prolungare il conflitto per anni, con
la continua richiesta, dall’alto, di tregue impossibili e non
risolutive, e con la pretesa di ridisegnare la cartina geografica
dell’area sulla base delle convenienze economiche e non della realtà
etnica e sociale del territorio.
Ma si tratta di una storia in buona parte ancora non scritta, perché
sono state troppe le complicità di molti leader europei, complicità che
si vuole continuare a nascondere, ad occultare. Ed è per questo che gli
storici continuano ad ignorare che la Croazia di Tuđman costruì
il suo esercito grazie al traffico internazionale di droga (tutte
quelle navi che dal Sud America gettavano l’ancora nel porto di Zara,
secondo voi cosa contenevano?). È per questo che continuano a non
domandarsi per quale motivo tutto il contenuto dei magazzini militari
della defunta Repubblica Democratica siano prontamente finiti nelle mani
di Zagabria.
Si tratta di vicende che conosco molto bene, perché ho trascorso nei
Balcani buona parte degli anni ’90, prevalentemente a Belgrado e a
Skopje. Parlo bene tutte le lingue dell’area, compresi i relativi
dialetti, e ho avuto a lungo contatti con l’amministrazione di Slobodan Milošević,
che ho avuto l’onore di incontrare in più di un’occasione. Sono stato,
fra l’altro, l’unico esponente politico italiano ad essere presente ai
suoi funerali, in una fredda giornata di Marzo del 2006.
Srebrenica
Sono stato quindi un diretto testimone dei principali eventi che
hanno segnato la storia del conflitto civile jugoslavo e degli sviluppi
ad esso successivi. Ho visto con i miei occhi le decine di migliaia di
profughi serbi costretti a lasciare Knin e le altre località della
Srpska Republika Krajina, sotto la spinta dell’occupazione croata delle
loro case, avvenuta con l’appoggio dell’esercito americano.
Ho seguito da vicino tutte le tappe dello scontro in Bosnia, i disordini nel Kosovo,
la galoppante inflazione a nove cifre che cambiava nel giro di poche
ore il potere d’acquisto di una banconota. Ho vissuto il dramma, nel
1999, dei criminali bombardamenti della NATO su
Belgrado e su altre città della Serbia. Ed è per questo che non ho mai
creduto – a ragione – alle tante bugie che riportavano la stampa europea
e quella italiana in primis. Bugie e disinformazioni dettate da
quell’operazione di marketing pubblicitario (non saprei come altro
definirla) pianificata sui tavoli di Washington e di Langley che
impose a tutta l’opinione pubblica la favoletta dei Serbi ‘cattivi’
aguzzini di poveri e innocenti Croati, Albanesi e musulmani bosniaci.
Favoletta che ha però incredibilmente funzionato per lunghissimo tempo,
portando all’inevitabile criminalizzazione e demonizzazione di una delle
parti in conflitto e tacendo sui crimini e sulle nefandezze delle
altre.
La guerra, e a maggior ragione una guerra civile, non è ovviamente un
pranzo di gala e non vi si distribuiscono caramelle e cotillon. In
guerra si muore. In guerra si uccide o si viene uccisi. La guerra
significa fame, sofferenza, freddo, fango, sudore, privazioni e sangue.
Ed è fatta, necessariamente, anche di propaganda. Durante il lungo
conflitto civile jugoslavo nessuno può negare che siano state commesse
numerose atrocità, soprattutto dettate dal risveglio di un mai sopito
odio etnico. Ma mai nessun conflitto, dal termine della Seconda Guerra
Mondiale, ha visto un simile massiccio impiego di ‘false flag’,
azioni pianificate ad arte, quasi sempre dall’intelligence, per
scatenare le reazioni dell’avversario o per attribuirgli colpe non sue.
Ho già spiegato il concetto di ‘false flag’ in numerosi miei articoli,
denunciando l’escalation del loro impiego su tutti i più recenti teatri
di guerra.
Fino ad oggi la più nota ‘false flag’ della guerra civile jugoslava
era la tragica strage di civili al mercato di Sarajevo, quella che
determinò l’intervento della NATO, che bombardò
ripetutamente, per rappresaglia, le postazioni serbo-bosniache sulle
colline della città. Venne poi appurato con assoluta certezza che fu lo
stesso governo musulmano-bosniaco di Alija Izetbegović a uccidere decine di suoi cittadini in quel cannoneggiamento, per far ricadere poi la colpa sui Serbi.
E quella che io ho sempre ritenuto la più colossale ‘false flag’ del
conflitto, ovvero il massacro di oltre mille civili musulmani avvenuto a
Srebrenica, del quale fu incolpato l’esercito serbo-bosniaco comandato
dal Generale Ratko Mladić, che da allora venne
accusato di ‘crimi di guerra’ e braccato dal Tribunale Penale
Internazionale dell’Aja fino al suo arresto, avvenuto il 26 Maggio 2011,
si sta finalmente rivelando in tutta la sua realtà. In tutta la sua
realtà, appunto, di ‘false flag’.
I giornali italiani, che all’epoca scrissero titoli a caratteri cubitali per dipingere come un ‘macellaio’ il Generale Mladić e come un folle criminale assetato di sangue il Presidente della Repubblica Serba di Bosnia Radovan Karadžić,
anch’egli arrestato nel 2008 e sulla cui testa pendeva una taglia di 5
milioni di Dollari offerta dagli Stati Uniti per la sua cattura, hanno
praticamente passato sotto silenzio una sconvolgente notizia. Una
notizia a cui ha dato spazio nel nostro Paese soltanto il quotidiano Rinascita, diretto dall’amico Ugo Gaudenzi, e fa finalmente piena luce sui fatti di Srebrenica, stabilendo che la colpa non fu dei vituperati Serbi, ma dei musulmani bosniaci.
Ibran Mustafić, veterano di guerra e
politico bosniaco-musulmano, probabilmente perché spinto dal rimorso o
da una crisi di coscienza, ha rilasciato ai media una sconcertante
confessione: almeno mille civili musulmano-bosniaci di Srebrenica
vennero uccisi dai loro stessi connazionali, da quelle milizie che in
teoria avrebbero dovuto assisterli e proteggerli, durante la fuga a
Tuzla nel Luglio 1995, avvenuta in seguito all’occupazione serba della
città. E apprendiamo che la loro sorte venne stabilita a tavolino dalle
autorità musulmano-bosniache, che stesero delle vere e proprie liste di
proscrizione di coloro a cui «doveva essere impedito, a qualsiasi costo, di raggiungere la libertà».
Come riporta Enrico Vigna su Rinascita, Ibran Mustafić ha pubblicato un libro, Caos pianificato,
nel quale alcuni dei crimini commessi dai soldati dell’esercito
musulmano della Bosnia-Erzegovina contro i Serbi sono per la prima volta
ammessi e descritti, così come il continuo illegale rifornimento
occidentale di armi ai separatisti musulmano-bosniaci, prima e durante
la guerra, e – questo è molto significativo – anche durante il periodo
in cui Srebrenica era una zona smilitarizzata sotto la protezione delle
Nazioni Unite.
Mustafić racconta inoltre, con dovizia di particolari, dei conflitti
tra musulmani e della dissolutezza generale dell’amministrazione di
Srebrenica, governata dalla mafia, sotto il comandante militare
bosniaco Naser Orić. A causa delle torture di
comuni cittadini nel 1994, quando Orić e le autorità locali vendevano
gli aiuti umanitari a prezzi esorbitanti invece di distribuirli alla
popolazione, molti bosniaci fuggirono volontariamente dalla città. «Coloro che hanno cercato
la salvezza in Serbia, sono riusciti ad arrivare alla loro destinazione
finale, ma coloro che sono fuggiti in direzione di Tuzla ( governata
dall’esercito musulmano) sono stati perseguitati o uccisi», svela
Mustafić. E, ben prima del massacro dei civili musulmani di Srebrenica
nel Luglio 1995, erano stati perpetrati da tempo crimini indiscriminati
contro la popolazione serba della zona. Crimini che Mustafić descrive
molto bene nel suo libro, essendone venuto a conoscenza già nel 1992,
quando era fuggito da Sarajevo a Tuzla.
«Lì – egli scrive – il mio parente Mirsad Mustafić mi
mostrò un elenco di soldati serbi prigionieri, che furono uccisi in un
luogo chiamato Zalazje. Tra gli altri c’erano i nomi del suo compagno di
scuola Branko Simić e di suo fratello Pero, dell’ex giudice Slobodan Ilić, dell’autista di Zvornik Mijo Rakić, dell’infermiera Rada Milanović.
Inoltre, nelle battaglie intorno ed a Srebrenica, durante la guerra, ci
sono stati più di 3.200 Serbi di questo e dei comuni limitrofi uccisi».
Mustafić ci riferisce a riguardo una terribile confessione del famigerato Naser Orić,
confessione che non mi sento qui di riportare per l’inaudita crudeza
con cui questo criminale di guerra descrive i barbari omicidi commessi
con le sue mani su uomini e donne che hanno avuto la sventura di
trovarsi alla sua mercé. Ma voglio citare il racconto di uno zio di
Mustafić, anch’esso riportato nel libro: «Naser venne e mi disse di prepararmi subito
e di andare con la Zastava vicino alla prigione di Srebrenica. Mi
vestii e uscii subito. Quando arrivai alla prigione, loro presero tutti
quelli catturati precedentemente a Zalazje e mi ordinarono di
ritrasportarli lì. Quando siamo arrivati alla discarica, mi hanno
ordinato di fermarmi e parcheggiare il camion. Mi allontanai a una certa
distanza, ma quando ho visto la loro furia ed il massacro è iniziato,
mi sono sentito male, ero pallido come un cencio. Quando Zulfo Tursunović ha dilaniato il petto dell’infermiera Rada Milanovic
con un coltello, chiedendo falsamente dove fosse la radio, non ho avuto
il coraggio di guardare. Ho camminato dalla discarica e sono arrivato a
Srebrenica. Loro presero un camion, e io andai a casa a Potocari.
L’intera pista era inondata di sangue».
Da quanto ci racconta Mustafić, gli elenchi dei ‘bosniaci non
affidabili’ erano ben noti già da allora alla leadership musulmana ed al
Presidente Alija Izetbegović, e l’esistenza di questi elenchi è stata confermata da decine di persone. «Almeno dieci volte ho sentito l’ex capo della polizia Meholjić menzionare le liste. Tuttavia, non sarei sorpreso se decidesse di negarlo», dice
Mustafić, che è anche un membro di lunga data del comitato
organizzatore per gli eventi di Srebrenica. Secondo Mustafić, l’elenco
venne redatto dalla mafia di Srebrenica, che comprendeva la leadership
politica e militare della città sin dal 1993. I ‘padroni della vita e
della morte nella zona’, come lui li definisce nel suo libro. E, senza
esitazione, sostiene: «Se fossi io a dover giudicare Naser Orić, assassino conclamato di più di 3.000 Serbi nella zona di Srebrenica (clamorosamente assolto dal Tribunale Internazionale dell’Aja!) lo
condannerei a venti anni per i crimini che ha commesso contro i Serbi;
per i crimini commessi contro i suoi connazionali lo condannerei a
minimo 200.000 anni di carcere. Lui è il maggiore responsabile per
Srebrenica, la più grande macchia nella storia dell’umanità».
Ma l’aspetto più inquietante ed eclatante delle rivelazioni di
Mustafić è l’ammissione che il genocidio di Srebrenica è stato
concordato tra la comunità internazionale e Alija Izetbegović ,
e in particolare tra Izetbegović e il presidente USA Bill Clinton, per
far ricadere la colpa sui Serbi, come Ibran Mustafić afferma con totale
convinzione.
«Per i crimini commessi a Srebrenica, Izetbegović e Bill
Clinton sono direttamente responsabili. E, per quanto mi riguarda, il
loro accordo è stato il crimine più grande di tutti, la causa di quello
che è successo nel Luglio 1995. Il momento in cui Bil Clinton entrò nel
Memoriale di Srebrenica è stato il momento in cui il cattivo torna sulla
scena del crimine», ha detto Mustafić. Lo stesso Bill Clinton,
aggiungo io, che superò poi se stesso nel 1999, con la creazione ad arte
delle false fosse comuni nel Kosovo (altro clamoroso esempio di ‘false
flag’), nelle quali i miliziani albanesi dell’UCK gettavano i loro
stessi caduti in combattimento e perfino le salme dei defunti
appositamente riesumate dai cimiteri, per incolpare mediaticamente, di
fronte a tutto il mondo, l’esercito di Belgrado e poter dare il via a
due mesi di bombardamenti sulla Serbia.
Come sottolinea sempre Mustafić, riguardo a Srebrenica ci sono
inoltre state grandi mistificazioni sui nomi e sul numero reale delle
vittime. Molte vittime delle milizie musulmane non sono state inserite
in questo elenco, mentre vi sono stati inseriti ad arte cittadini di
Srebrenica da tempo emigrati e morti all’estero. E un discorso simile
riguarda le persone torturate o che si sono dichiarate tali. «Molti bosniaci musulmani – sostiene Mustafić – hanno
deciso di dichiararsi vittime perché non avevano alcun mezzo di
sostentamento ed erano senza lavoro, così hanno usato l’occasione.
Un’altra cosa che non torna è che tra il 1993 e il 1995 Srebrenica era
una zona smilitarizzata. Come mai improvvisamente abbiamo così tanti
invalidi di guerra di Srebrenica?».
Egli ritiene che sarà molto difficile determinare il numero esatto di morti e dei dispersi di Srebrenica. «È molto difficile – sostiene nel suo libro – perché
i fatti di Srebrenica sono stati per troppo tempo oggetto di
mistificazioni, e il burattinaio capo di esse è stato Amor Masović, che
con la fortuna fatta sopra il palcoscenico di Srebrenica potrebbe vivere
allegramente per i prossimi cinquecento anni! Tuttavia, ci sono stati
alcuni membri dell’entourage di Izetbegović che, a partire dall’estate
del 1992, hanno lavorato per realizzare il progetto di rendere i
musulmani bosniaci le permanenti ed esclusive vittime della guerra».
Il massacro di Srebrenica servì come pretesto a Bill Clinton per scatenare, dal 30 Agosto al 20 Settembre del 1995, la famigerata Operazione Deliberate Force,
una campagna di bombardamento intensivo, con l’uso di micidiali bombe
all’uranio impoverito, con la quale le forze della NATO distrussero il
comando dell’esercito serbo-bosniaco, devastandone irrimediabilmente i
sistemi di controllo del territorio. Operazione che spinse le forze
croate e musulmano-bosniache ad avanzare in buona parte delle aree
controllate dai Serbi, offensiva che si arrestò soltanto alle porte
della capitale serbo-bosnica Banja Luka e che costrinse
i Serbi ad un cessate il fuoco e all’accettazione degli accordi di
Dayton, che determinarono una spartizione della Bosnia fra le due parti
(la croato-musulmana e la serba). Spartizione che penalizzò fortemente
la Republika Srpska, che venne privata di buona parte dei territori
faticosamente conquistati in tre anni di duri combattimenti.
Alija Izetbegović, fautore del distacco
della Bosnia-Erzegovina dalla federazione jugoslava nel 1992, dopo un
referendum fortemente contestato e boicottato dai cittadini di etnia
serba (oltre il 30% della popolazione) è rimasto in carica come
Presidente dell’autoproclamato nuovo Stato fino al 14 Marzo 1996,
divenendo in seguito membro della Presidenza collegiale dello Stato
federale imposto dagli accordi di Dayton fino al 5 Ottobre del 2000,
quando venne sostituito da Sulejman Tihić. È
morto nel suo letto a Sarajevo il 19 Ottobre 2003 e non ha mai pagato
per i suoi crimini. Ha anzi ricevuto prestigiosi premi e riconoscimenti
internazionali, fra cui le massime onorificenze della Croazia (nel 1995)
e della Turchia (nel 1997). E ha saputo bene far dimenticare agli occhi
della ‘comunità internazionale’ la sua natura di musulmano fanatico e
fondamentalista ed i suoi numerosi arresti e le sue lunghe detenzioni,
all’epoca di Tito, (in particolare dal 1946 al 1949 e dal 1983 al 1988)
per attività sovversive e ostili allo Stato.
Nella sua celebre Dichiarazione Islamica, pubblicata nel 1970, dichiarava: «non ci sarà mai pace né coesistenza tra la fede islamica e le istituzioni politiche e sociali non islamiche» e che «il
movimento islamico può e deve impadronirsi del potere politico perché è
moralmente e numericamente così forte che può non solo distruggere il
potere non islamico esistente, ma anche crearne uno nuovo islamico». E
ha mantenuto fede a queste sue promesse, precipitando la
tradizionalmente laica Bosnia-Erzegovina, luogo dove storicamente hanno
sempre convissuto in pace diverse culture e diverse religioni, in una
satrapia fondamentalista, con l’appoggio ed i finanziamenti dell’Arabia
Saudita e di altri stati del Golfo e con l’importazione di migliaia di
mujahiddin provenienti da varie zone del Medio Oriente, che seminarono
in Bosnia il terrore e si resero responsabili di immani massacri.
Slobodan Milošević, accusato di ‘crimini contro l’umanità’ (accuse principalmente fondate su una sua presunta regia del massacro di Srebrenica),
nonostante abbia sempre proclamato la sua innocenza, venne arrestato e
condotto in carcere all’Aja. Essendo un valente avvocato, scelse di
difendersi da solo di fronte alle accuse del Tribunale Penale
Internazionale, ma morì in circostanze mai chiarite nella sua cella l’11
Marzo 2006. Sono insistenti le voci secondo cui sarebbe stato
avvelenato perché ritenuto ormai prossimo a vincere il processo e a
scagionarsi da ogni accusa, e perché molti leader europei temevano il
terremoto che avrebbero scatenato le sue dichiarazioni.
Radovan Karadžić, l’ex Presidente della Repubblica Serba di Bosnia, e il Generale Ratko Mladić,
comandante in capo dell’esercito bosniaco, sono stati anch’essi
arrestati e si trovano in cella all’Aja. Sul loro capo pendono le stesse
accuse di ‘crimini contro l’umanità’, fondate essenzialmente sul
massacro di Srebrenica.
Adesso che su Srebrenica è finalmente venuta fuori la verità,
dovrebbe essere facile per loro arrivare ad un’assoluzione, a meno che
qualcuno non abbia deciso che debbano fare la fine di Milošević.
Ma chi restituirà a loro e al defunto Presidente Jugoslavo la dignità
e l’onorabilità? Tutte le grandi potenze occidentali, dagli Stati Uniti
all’Unione Europea, dovrebbero ammettere di aver sbagliato, ma dubito
sinceramente che lo faranno.
Nicola Bizzi
Fonte: srs di Nicola Bizzi; da Russia News del 24 febbraio 2014
Preso da: http://www.veja.it/2018/01/30/finalmente-emerge-la-verita-srebrenica-civili-non-furono-uccisi-dai-serbi-dagli-musulmani-bosniaci-ordine-bill-clinton/
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