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venerdì 6 settembre 2019

Perché la Cia spia tutti, tranne gli Emirati?

Il caso del mancato spionaggio nei palazzi del potere della monarchia del deserto da parte dalla Cia sta lasciando spazio agli interrogativi di una delle maggiori agenzia d’informazione del mondo: la Reuters, che ha avviato una sua inchiesta sul gap che separa – o unisce su piani che non possiamo nemmeno immaginare – gli interessi di Washington e Abu Dhabi. 
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Come è stato reso noto anche dai nostri approfondimenti in passato, gli Emirati Arabi Uniti sono protagonisti nel finanziare il generale Haftar, che lotta da mesi per rovesciare il governo di Tripoli sostenuto dalle Nazioni Unite in Libia; stringono rapporti con Mosca; sostengono la coalizione di nazioni che impone il blocco economico del Qatar nonostante l’apparente contrarietà degli Stati Uniti; forniscono all’occorrenza armi e logistica per sostenere i propri interessi – oltre al denaro – e arruolano addirittura ex-operativi della National Security Agency (Nsa) americana come hacker d’élite per spiare “un programma che includeva gli americani tra gli obiettivi di sorveglianza”. Tutto questo però non è bastato a mettere in allerta la Central Intelligence Agency (Cia) – agenzia per le operazioni d’intelligence e spionaggio che opera al di fuori dei confini nazionali americani – che sembra non voler spiare in nessun modo i piani segreti degli emiri. Per tre ex-spie della Cia questa scelta rappresenta un pericoloso punto cieco nell’intelligence statunitense. Ma quale può essere la ragione di questa negligenza?

La postura della Cia rispetto ai rapporti con il Medio Oriente e gli stati Opec “non è nuova”, secondo quanto riportato dall’inchiesta di Reuters. Ciò che è cambiato in maniera radicale, sarebbe “la natura” degli interventi “portati avanti da questo minuscolo ma influente stato dell’Opec (gli Emirati Arabi Uniti)” nei teatri del Medio Oriente e dell’Africa. “Combattere guerre, condurre operazioni segrete e usare la propria influenza finanziaria per rimodellare la politica regionale in modi che spesso vanno contro gli interessi degli Stati Uniti”; è questa la nuova strategia adottata dagli Emirati secondo le fonti e gli esperti di politica estera consultati da Reutersche sta conducendo un’inchiesta su questa “peculiarità” della strategia spionistica di Langley. Nota per avere e aver sempre avuto occhi e orecchie ovunque nel mondo, tranne che nei palazzi del potere di Abu Dhabi, a quanto pare, nonostante le diffuse e rinomate operazioni “clandestine” più o meno segrete condotte dagli Emirati in diverse delle zone più calde del mondo, di norma all’interno dell’agenda politica della Casa Bianca dunque nelle strategia elaborate del Pentagono.
Secondo una delle tre ex-spie della Cia consultare: “Il fallimento della Cia nell’adattarsi alle crescenti ambizioni militari e politiche degli Emirati Arabi Uniti equivale a una “rinuncia al dovere”. E sebbene l’Nsa stia portano avanti un’operazione di sorveglianza elettronica che mira a raccogliere informazioni di intelligence all’interno degli Emirati Arabi Uniti – riportate però come informazioni “a basso rendimento” – la mancata sorveglianza da parte della Cia riguardo le reali mire di Abu Dabhi ha dei risvolti se non altro inquietanti. A maggior ragione dopo le voci di riguardo la presenza di una spia degli Emirati, Rashid al-Malik, “attiva” e ben infiltrata nell’amministrazione Trump.

I rapporti tra Cia e Emirati

Attualmente le relazioni della Cia con gli Emirati sono ridotte alla condivisione d’informazioni e dossier d’intelligence su nemici comuni, identificati come l’Iran e Al Qaeda. Tutto il resto, le intenzioni e le operazioni condotte dagli Emirati Arabi Uniti nella regione medio orientale e nell’Africa del nord, sarebbero un grande buco nero per le spie americane. E c’è da domandarsi il motivo. Questa leggerezza della Cia colloca gli Emirati Arabi Uniti in un elenco “estremamente corto” di altri paesi con i quali l’agenzia pare voler adottare un approccio “diverso” ed estremamente permissivo. Questa direttiva sembra essere indotta anche agli altri 4 membri di quella coalizione di intelligence occidentale rinominata “Five Eyes“: ossia gli apparati di spionaggio di Australia, Nuova Zelanda, Regno Unito e Canada.
In questo elenco di Paesi “speciali” che non andrebbero sorvegliati attentamente non compare per esempio l’Arabia Saudita. Stato in contrasto con gli Emirati, che nonostante la duratura alleanza con Washington, che vi intrattiene importanti affari in ambito petrolifero e di armamenti, viene sorvegliata dalla Cia – secondo le fonti interpellate da Reuters – e che mantiene un silenzio ossequioso anche quando le spie di Langley vengono sorprese a reclutare informatori che vogliano rivelare i segreti di Riyad.
La ragione di questa “benda” che Gina Haspel (direttore della Cia) e gli altri alti funzionari dell’agenzia continuano a tenere salda sugli occhi, potrebbe dunque essere motivata da uno spropositato fallimento, o più realisticamente dall’intenzione di non ficcare il naso degli affari di un alleato che secondo alcuni ex-funzionari dell’agenzia opera come uno vero e proprio “stato canaglia” in teatri strategici come la Libia, il Qatar, lo Yemen, e altre aree dell’Africa come il Sudan, l’ Eritrea e l’autoproclamata Repubblica del Somaliland. Proprio nello Yemen, ad esempio, gli Emirati Arabi Uniti conducono fianco a fianco con l’Arabia Saudita una coalizione che combatte i ribelli Houthi allineati all’Iran. Ribelli che sono anche nel mirino delle operazioni nere dei Navy Seal, che cercano i personaggi chiave di Al Qaeda. La conclusone dunque è quelle che finché la corrispondenza tra gli interesse degli Stati Uniti e degli Emirati Arabi Uniti sarà sufficiente, la Cia continuerà a chiudere gli occhi sui piani degli Emirati. E il motivo potrebbe essere riassunto in quell’espressione a lungo attribuita al gotha della strategia politica Niccolo Machiavelli: “Il fine giustifica i mezzi”. E in questo caso, tiene a bada anche le spie.

Preso da: https://it.insideover.com/politica/perche-la-cia-spia-tutti-tranne-gli-emirati.html

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