5 agosto 2016
Petrolio, immense riserve d’acqua, miliardi di fondi sovrani. Il bottino sotto le bombe
Manlio Dinucci
«L’Italia valuta positivamente le operazioni aeree avviate oggi dagli
Stati uniti su alcuni obiettivi di Daesh a Sirte. Esse avvengono su
richiesta del Governo di Unità Nazionale, a sostegno delle forze fedeli
al Governo, nel comune obiettivo di contribuire a ristabilire la pace e
la sicurezza in Libia»: questo il comunicato diffuso della Farnesina il
1° agosto.
Alla «pace e sicurezza in Libia» ci stanno pensando a Washington,
Parigi, Londra e Roma gli stessi che, dopo aver destabilizzato e
frantumato con la guerra lo Stato libico, vanno a raccogliere i cocci
con la «missione di assistenza internazionale alla Libia». L’idea che
hanno traspare attraverso autorevoli voci. Paolo Scaroni, che a capo
dell’Eni ha manovrato in Libia tra fazioni e mercenari ed è oggi
vicepresidente della Banca Rothschild, ha dichiarato al Corriere della Sera
che «occorre finirla con la finzione della Libia», «paese inventato»
dal colonialismo italiano. Si deve «favorire la nascita di un governo in
Tripolitania, che faccia appello a forze straniere che lo aiutino a
stare in piedi», spingendo Cirenaica e Fezzan a creare propri governi
regionali, eventualmente con l’obiettivo di federarsi nel lungo periodo.
Intanto «ognuno gestirebbe le sue fonti energetiche», presenti in
Tripolitania e Cirenaica.
È la vecchia politica del colonialismo ottocentesco, aggiornata in
funzione neocoloniale dalla strategia Usa/Nato, che ha demolito interi
Stati nazionali (Jugoslavia, Libia) e frazionato altri (Iraq, Siria),
per controllare i loro territori e le loro risorse. La Libia possiede
quasi il 40% del petrolio africano, prezioso per l’alta qualità e il
basso costo di estrazione, e grosse riserve di gas naturale, dal cui
sfruttamento le multinazionali statunitensi ed europee possono ricavare
oggi profitti di gran lunga superiori a quelli che ottenevano prima
dallo Stato libico. Per di più, eliminando lo Stato nazionale e
trattando separatamente con gruppi al potere in Tripolitania e
Cirenaica, possono ottenere la privatizzazione delle riserve energetiche
statali e quindi il loro diretto controllo.
Oltre che dell’oro nero, le multinazionali statunitensi ed europee
vogliono impadronirsi dell’oro bianco: l’immensa riserva di acqua
fossile della falda nubiana, che si estende sotto Libia, Egitto, Sudan e
Ciad. Quali possibilità essa offra lo aveva dimostrato lo Stato libico,
costruendo acquedotti che trasportavano acqua potabile e per
l’irrigazione, milioni di metri cubi al giorno estratti da 1300 pozzi
nel deserto, per 1600 km fino alle città costiere, rendendo fertili
terre desertiche.
Agli odierni raid aerei Usa in Libia partecipano sia
cacciabombardieri che decollano da portaerei nel Mediterraneo e
probabilmente da basi in Giordania, sia droni Predator armati di missili
Hellfire che decollano da Sigonella. Recitando la parte di Stato
sovrano, il governo Renzi «autorizza caso per caso» la partenza di droni
armati Usa da Sigonella, mentre il ministro degli esteri Gentiloni
precisa che «l’utilizzo delle basi non richiede una specifica
comunicazione al parlamento», assicurando che ciò «non è preludio a un
intervento militare» in Libia. Quando in realtà l’intervento è già
iniziato: forze speciali statunitensi, britanniche e francesi –
confermano il Telegraph e Le Monde – operano da tempo segretamente in Libia per sostenere «il governo di unità nazionale del premier Sarraj».
Sbarcando prima o poi ufficialmente in Libia con la motivazione di
liberarla dalla presenza dell’Isis, gli Usa e le maggiori potenze
europee possono anche riaprire le loro basi militari, chiuse da Gheddafi
nel 1970, in una importante posizione geostrategica all’intersezione
tra Mediterraneo, Africa e Medio Oriente. Infine, con la «missione di
assistenza alla Libia», gli Usa e le maggiori potenze europee si
spartiscono il bottino della più grande rapina del secolo: 150 miliardi
di dollari di fondi sovrani libici confiscati nel 2011, che potrebbero
quadruplicarsi se l’export energetico libico tornasse ai livelli
precedenti.
Parte dei fondi sovrani, all’epoca di Gheddafi, venne investita per
creare una moneta e organismi finanziari autonomi dell’Unione Africana.
Usa e Francia – provano le mail di Hillary Clinton – decisero di
bloccare «il piano di Gheddafi di creare una moneta africana», in
alternativa al dollaro e al franco Cfa. Fu Hillary Clinton – documenta
il New York Times – a convincere Obama a rompere gli indugi.
«Il Presidente firmò un documento segreto, che autorizzava una
operazione coperta in Libia e la fornitura di armi ai ribelli», compresi
gruppi fino a poco prima classificati come terroristi, mentre il
Dipartimento di stato diretto dalla Clinton li riconosceva come
«legittimo governo della Libia». Contemporaneamente la Nato sotto
comando Usa effettuava l’attacco aeronavale con decine di migliaia di
bombe e missili, smantellando lo Stato libico, attaccato allo stesso
tempo dall’interno con forze speciali anche del Qatar (grande amico
dell’Italia). Il conseguente disastro sociale, che ha fatto più vittime
della guerra stessa soprattutto tra i migranti, ha aperto la strada alla
riconquista e spartizione della Libia.
(il manifesto, 3 agosto 2016)
Preso da: https://ecumenici.wordpress.com/2016/08/05/libia-la-grande-spartizione/
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