Lo spauracchio dell’Isis in Libia appare, almeno per momento, scongiurato; a Sirte infatti, le milizie di Misurata (e non l’esercito libico, visto che non esiste) affermano a chiare lettere di aver preso anche Ouagadougou,
il quartiere centrale non a caso omonimo della capitale del Burkina
Faso, che a suo tempo Gheddafi ha voluto dedicare alla città natale di
Thomas Sankara; al tempo stesso però, le stesse milizie affermano che da
sole non riescono a ‘finire il lavoro’ bonificando l’intera Sirte dalla
presenza dei miliziani jihadisti.
Ouagadougou è il quartier generale del califfato a Sirte e quindi, più in generale, in Libia; la sua caduta segna un passo importante nel contrasto all’avanzata degli uomini di Al Baghdadi nel paese nordafricano, ma non certo la sua sconfitta definitiva.
La notizia comunque non deve sorprendere: i miliziani jihadisti erano
in caduta libera già da giorni ed anche ben prima dei raid Usa partiti
la settimana scorsa. I bombardamenti americani sembrano ancor di più, a
distanza di giorni dal loro inizio, un pretesto per dare formale
appoggio e riconoscimento al governo di Al Serraj
piuttosto che un reale tentativo di battere l’Isis in Libia, il quale
perde quindi Sirte ma appare ancora temibile in molte altre zone al
confine tra Tripolitania e Cirenaica. In tanti sottolineano l’inutilità
di questa azione di forza, a maggior ragione poi se per ammissione degli
stessi miliziani di Misurata per debellare del tutto il califfato serve
il supporto delle forze speciali alleate. Tra questi alleati, ecco
spuntare anche gli italiani; in particolare, oltre al nostro paese,
anche Usa e Regno Unito si trovano in questo momento in Tripolitania e
questo conferma la potenziale grave spaccatura internazionale sulla
questione libica.
Da un lato il trio che ha deciso di stare con Al Serraj e
strumentalizzare la lotta all’Isis a Sirte, con tanto di bombardamenti
che vanno a certificare questo delicato appoggio, dall’altro lato la
Francia e l’Egitto in Cirenaica a sostegno del generale Haftar e del
parlamento di Tobruck; in mezzo, una Russia che definisce illegale i
raid e che si dice preoccupata per una situazione in cui il destino del
popolo libico sembra segnato dalla rincorsa all’oro nero sotto il
Sahara. Washington e Londra vogliono accelerare i tempi, Roma dal canto
suo sembra aver ceduto ed abbandonato la linea di equilibrio tra i due
‘governi’ libici appoggiando definitivamente Al Serraj e le milizie di
Misurata, Parigi ed Il Cairo sperano in un impantanamento sul campo per
convincere le parti in causa a considerare nel futuro della Libia anche i
rappresentanti della Cirenaica.
Ad ogni modo, la guerra nel paese nordafricano non è affatto
destinata ad essere breve come annunciato dagli Usa; al contrario, come
pronosticato anche la settimana scorsa, l’inizio dei raid è preludio ad
un’ulteriore drammatica spaccatura interna ed esterna alla Libia,
con tribù e milizie varie che aspettano il momento giusto per saltare
in uno dei tanti carri in corsa verso le preziose risorse energetiche un
tempo fortuna del governo di Gheddafi.
È forse per questo che le notizie da Sirte non devono comunque far
brindare alla vittoria; non esiste un programma preciso per quando
l’Isis verrà (se le milizie riescono) cacciato dalla città, non esiste
accordo per come cercare di ridare a Tripoli un governo che per davvero
rappresenti il popolo libico, non esiste alcuna prospettiva politica e
per di più emergono sempre più tensioni tra gli attori internazionali in
causa. In poche parole, questi raid USA sono fini a se stessi e sono
stati utili per promuovere l’azione di Obama nel nord Africa ed
avvertire gli Stati ancora dissenzienti che Washington riconosce solo Al
Serraj; un avvertimento però, che non ha avuto affetto visto che
Tobruck ed Haftar continuano a non voler cedere, così come i governi a
loro alleati.
Il pantano libico, a distanza di una settimana dall’avvio dell’azione
a guida Usa, appare sempre più ingarbugliato e di difficile soluzione
anche di tipo militare; secondo molti, la scelta di affidarsi a delle
milizie, quali quelle di Misurata, esauste e non del tutto pronte a
sconfiggere definitivamente l’Isis, potrebbe costringere gli Stati Uniti
a lanciare una vera e propria operazione di terra, oltre a quella già
‘ufficiosa’ in corso con l’aiuto delle sole forze speciali di Londra e
Roma e questo aprirebbe la prospettiva di mille incognite, con il
rischio di dover intraprendere una costosa ed impopolare campagna
proprio alle porte delle presidenziali di novembre.
In tutto questo, il fenomeno dell’emigrazione verso le
coste siciliane non si è affatto fermato; anzi, con tutte le forze
proiettate quasi esclusivamente su Sirte, i trafficanti di esseri umani
hanno vita più facile nei porti della Tripolitania da cui fanno partire i
barconi con centinaia di disperati a bordo. Per l’Italia, per il suo
governo e la sua diplomazia, l’azione USA non sta producendo nulla di
buono ed a maggior ragione il supino assecondare le velleità di
Washington nell’appoggiare Al Serraj e le forze di Misurata, potrebbe
trascinare Roma nelle sabbie mobili in cui rischierebbero di naufragare
interessi e priorità pluridecennali del nostro paese in Libia.
Da un articolo di Mauro Indelicato: http://www.occhidellaguerra.it/i-raid-usa-non-bastano/
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